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Epifani: “Il congresso l’8 dicembre”

Quando abbiamo convocato la nostra Assemblea nazionale le avevamo attribuito il compito di stabilire i tempi e le regole del prossimo congresso e questo è ciò che sarà. Ma questo non significa che possiamo trascurare tutto ciò che sta succedendo in questi ultimi giorni nell’agenda politica italiana. Stiamo assistendo al più grande paradosso della vita politica italiana: mentre la condizione in cui ci troviamo ci spingerebbe ad affrontare i problemi economici e sociali a partire dalla disoccupazione, in realtà tutto ruota intorno alle vicende giudiziarie di Berlusconi, del suo partito e delle conseguenze sulla stabilità del governo Letta.

Tutto questo perché come da tempo abbiamo ribadito, senza una netta distinzione tra sfera personale e situazione generale, tutto si sarebbe intorbidito e diventato più difficile. Il contenuto del video di Berlusconi né è una prova. Al di là della foto ingiallita e del film già visto e del basso livello della propaganda, quel video vuole appesantire il clima, contro di noi e contro la magistratura. Non ci propone più un governo di pacificazione ma un governo con contenuto e programma di parte: di centrodestra e questo è un discorso che non va sottovalutato

C’è un rovesciamento delle responsabilità per attirare consenso su di sé e scaricare sulle istituzioni, sull’ Europa, sulla sinistra, sulla magistratura, tutte le responsabilità della situazione attuale. Mettendo tutti nella condizione di difendersi anche quando tutto può sembrare assolutamente assurdo.
Le dichiarazioni di Brunetta sull’aumento dell’IVA vanno in questa direzione: sono tutte manovre che saremo costretti ad affrontare, sono la conseguenza del governo disastroso di centrodestra.

In qualunque altro Paese civile le sentenze della magistratura si rispettano. Qui si tenta di stravolgere anche questo. Non c’è nessun rispetto nei confronti della magistratura e nei confronti del PD. Noi rappresentiamo il primo partito del Paese, tanti cittadini che chiedono rispetto. Dobbiamo essere coerenti con quello che ci chiedono gli elettori. Questa posizione l’abbiamo tenuta nel voto della giunta: il voto lo dimostra e lo dimostrerà nel resto del percorso.

Siamo stanchi ed esasperati dall’uso della politica a fini personali invece di pensare ai veri problemi del Paese. L’uso della propaganda è martellante ed è difficile rimettere al centro dell’agenda i nodi da risolvere per l’Italia.

Imu, Iva, partite sociali ancora non chiuse, deficit al 3,1% sono situazioni che saremo costretti ad affrontare nei prossimi mesi. Ma noi siamo consapevoli che con risorse scarse, i problemi non si possono affrontare foglia per foglia perché c’è il rischio che la soluzione del primo punto possa pregiudicare tutto il resto. Quando i problemi da affrontare li tieni assieme, puoi fare scelte con più accuratezza.

Noi ci battiamo per un fisco equo, per il rispetto del principio (patto di cittadinanza democratica) che chi più ha, più paga. Togliere una tassa per metterne un’altra non significa fare un’operazione seria. Troverei fortemente sbagliato che dopo aver tolto l’Imu, tu vada ad aumentare l’Iva che va ad incidere sui ceti popolari. Non si può fare passare il Pd per il partito delle tasse, il PD è il partito che vuole un fisco più giusto ed equo, contro chi evade le tasse.

Il patto di stabilità deve essere allentato sapendo però che tutti i soldi che deciderai di spendere, andranno prima trovati. La manovra dovrà essere di stimolo agli investimenti e soprattutto all’occupazione.

La destra prima ci ha portato sul baratro poi ha introdotto aumenti dell’Iva e dell’Imu, e dice che è sempre colpa nostra o della magistratura. Con il governo Monti fummo lasciati da soli a sostenere anche le scelte più difficili e impopolari.
Sembra che il Pdl abbia la memoria molto corta, oggi rivendicando correzioni a problemi di cui sono loro i primi responsabili. I problemi non si risolvono restando al buio.

La stragrande maggioranza dell’opinione pubblica chiede che il governo vada avanti. Ma perché il governo di servizio vada avanti non è sufficiente la responsabilità di uno solo, ma sono necessarie della scelte e disponibilità comuni.

La caduta del governo mi pare fuori dall’orizzonte delle cose che possono convenire nell’ottica del centrodestra. Ma il rischio è quello di un logoramento, una fibrillazione continua, una minaccia e un ricatto continuo che si alterna alla blandizia. Non è accettabile!

Non ne possiamo più di minacce nei confronti di chi fa il suo dovere. Non vogliamo minacce nei confronti di Ivan Scalafarotto, non ne possiamo più di minacce nei confronti di Cecyle Kyenge. Ieri abbiamo avuto la prova provata di come è difficile far passare le riforme, l’approvazione del disegno di legge contro l’omofobia alla Camera è stata una vittoria di civiltà.

Non puoi ridurre fino a toglierlo il finanziamento pubblico ai partiti e lasciare senza tetto il finanziamento privato.

Il congresso del PD. Abbiamo bisogno di un congresso che delimiti il nostro profilo e che ci dica chi siamo. Abbiamo una grande responsabilità nei confronti del Paese e di chi ci chiede rinnovamento. Il nostro orizzonte è la scommessa alta e profonda del cambiamento del Paese.

Non pensiamo a nessun congresso che parli solo al nostro interno, che si rinchiuda in sé stesso. Parliamo con la franchezza necessaria anche degli errori che sono stati fatti nel passato per evitarli nuovamente. Rinnoviamo il PD e rafforziamolo. Lo dobbiamo all’Italia.

Riduciamo il ruolo autoreferenziale delle correnti in favore dell’unità e del progetto. Partiamo dalle competenze dei nostri amministratori locali. Ricostruiamo una speranza, una vera comunità al servizio del Paese.

Stiamo lavorando alla data della conclusione del nostro congresso. Io ho detto tante volte che dobbiamo svolgerlo entro l’anno. Questo e’ l’impegno che dobbiamo assolutamente rispettare. Ho riflettuto prima di arrivare a questa Assemblea sul fatto che dobbiamo uscire con qualche certezza. Non abbiamo un’altra Assemblea da fare. Io ho parlato coi vicepresidenti e propongo di fissare la data dello svolgimento finale del congresso per l’8 dicembre prossimo.

www.partitodemocratico.it

“Femminicidio, ora servono risorse”, di Valeria Fedeli

La ratifica della Convenzione di Istanbul, riconoscendo la violenza di genere come violazione dei diritti umani e ponendo agli Stati il vincolo concreto del raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi de jure e de facto, ha rappresentato un primo passo fondamentale per il contrasto alla violenza contro le donne. Ora occorre implementare il corpus normativo per prevenirne i fattori di rischio, agendo a livello strutturale e, quindi, a lungo termine. È per questo che il decreto sul femminicidio deve segnare solo l’inizio dell’implementazione e della piena attuazione delle obbligazioni assunte con la ratifica di Istanbul.
Il raggiungimento dell’obiettivo ultimo di Istanbul, ossia lo sradicamento di ogni forma di discriminazione e violenza nei confronti delle donne in quanto donne, comporta necessariamente un approccio integrato rispetto agli innumerevoli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale delle donne, con l’adozione di misure in materia penale, ma anche amministrativa, economica, sociale.

Dalla questione del cognome paterno – «retaggio di una concezione patriarcale», secondo le parole dello stesso Presidente della Corte costituzionale – alle misure sul piano dell’educazione scolastica e della formazione, dal ruolo di informazione e media al finanziamento dei centri antiviolenza e di una rete di sostegno e tutela per le donne: tutta l’azione istituzionale e della società civile deve caratterizzarsi come gender mainstreaming. Se attuare Istanbul significa quindi agire sul piano politico, culturale, sociale, economico – in linea con i principi già sanciti nei più diversi consessi internazionali – si capisce come ciò abbia condizionato l’azione del governo nell’adozione del decreto femminicidio e debba condizionare quella del Parlamento nella conversione in legge.

Se la violenza contro le donne, come la Convenzione certifica, è un fenomeno strutturale, non si può rispondere con misure emergenziali né affrontare la questione in termini di ordine pubblico e «la messa in sicurezza delle don- ne»: parola impropria anche perché questo approccio finirebbe per rinforzare quegli stereotipi di genere, radicati quanto dannosi, che vittimizzano la donna quale soggetto vulnerabile.

Le donne non sono da tutelare e pro- teggere in quando deboli, ma in quanto discriminate. Istanbul definisce chiaramente la donna come «soggetto vulnerabilizzato» dalla violenza e richiama gli Stati non ad un obbligo di difesa delle donne «deboli», ma ad un dovere di rimozione degli ostacoli all’effettiva e sostanziale uguaglianza nelle differenze. In questa prospettiva, laddove il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 ha subito precedenti violenze da chi poi l’ha uccisa, si è imposta l’«urgente necessità» di fermare la violenza di genere prima che essa giunga all’irreparabile e così si è fatto straordinariamente ricorso ai poteri normativi dell’esecutivo. Ciò non toglie, però, che il decreto sul femmincidio, costituendo una prima implementazione di Istanbul, possa rappresentare un’occasione utile ad avanzare ancora lungo il percorso contro la violenza di genere, comunque indissolubilmente connesso agli stereotipi, alle rappresentazioni culturali, alle abitudini gerarchiche che si innestano ancora nei rapporti di coppia, alle necessità di educazione e formazione, alla difficoltà di finanziarie servizi e assistenza.

Nell’ambito della discussione parlamentare in sede di conversione del decreto, allora, si deve provare a rispondere, almeno in parte, alle richieste avanzate dalla società civile, per introdurre meccanismi di analisi, monitoraggio e produzione di politiche pubbliche secondo un approccio integrato; e per con- seguire effettivamente il raggiungimento degli obiettivi di azione del Piano ordinario nazionale antiviolenza, stanziando adeguate risorse finanziarie, e con una programmazione almeno triennale.

L’Unità 21.09.13

“50 misure per risolvere i problemi di chi vuole investire”, da www.partitodemocratico.it

Il Piano Destinazione Italia è un “modo per agevolare e semplificare” gli investimenti stranieri nel nostro Paese e prevede “50 misure” molto “secche e semplici” per “risolvere i problemi più grossi che le imprese” incontrano venendo in Italia. Così il premier Enrico Letta, durante la conferenza stampa a palazzo Chigi di illustrazione del piano. Gran parte degli interventi, ha aggiunto, riguardano la “burocrazia, i problemi del fisco e le questioni infrastrutturali”, come “il piano per gli aeroporti e le questioni delle bonifiche”, ha aggiunto. “Il nostro Paese ha un drammatico bisogno di investimenti esteri” che al momento hanno “cifre troppo basse”.

”Cominceremo immediatamente una consultazione pubblica con i soggetti istituzionali e pubblici”. La consultazione durerà 2-3 settimane, ”il tempo necessario perché tutti i soggetti, pubblici e privati, che vogliono dare un contributo possano farlo”. L’adozione definitiva arriverà quindi i primi di ottobre.

Il testo esaminato oggi in Cdm è dunque ”una versione 0.5”, ha proseguito, cui si potranno aggiungere contributi. ”E’ un testo carico di cose già fatte, penso alla riforma della giustizia civile, con tribunali dedicati agli investitori che vengono dall’estero, per esempio, e alle semplificazioni, – ha aggiunto il premier – e poi ci sono tutte le proposte, alcune già in Parlamento e in via di realizzazione, con un crono-programma sulla tempistica”.

Cinquanta interventi completi per ”agevolare l’attivita’ imprenditoriale, cosi’ che l’Italia sia attrattiva per gli investimenti dall’estero e quelli delle nostre imprese”. Cosi’ il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, illustra il ‘Piano Destinazione Italia” esaminato durante il Consiglio dei ministri di oggi.

Zanonato ha quindi elencato i principali capitoli del Piano. Si prevede il ”completamento degli interventi di liberalizzazioni della finanza d’impresa, così che le piccole e medie imprese possano accedere con più’ facilità a finanziamenti alternativi rispetto al credito bancario”, come anche la ”rivitalizzazione del mercato azionario”, l’attuazione della ”Strategia energetica nazionale”, misure per favorire ”le ristrutturazioni aziendali, con un meccanismo di reazione rapida che faciliti gli investimenti in aziende italiane caratterizzate da squilibri patrimoniali e finanziari, e agevolazioni per ”gli investimenti in ricerca e sviluppo”.

E ancora, il testo, che è ancora in via di completamento, dispone semplificazioni in materia di normativa fiscale, secondo quanto già’ previsto nella legge delega all’esame del Parlamento che, dice Zanonato, ”dovrà’ essere attuata con una certa rapidità”; si prevedono poi semplificazioni per gli investimenti in genere e nel settore immobiliare e per le normative del mercato del lavoro, cosi’ come il reperimento di ”risorse per realizzare infrastrutture nel nostro Paese”.

”Vogliamo attrarre talenti nel nostro Paese – afferma il ministro – valorizzare alcuni asset come la cultura che caratterizzano l’Italia, velocizzare le procedure doganali e il sistema per ottenere i visti per entrare nel nostro Paese, per i turisti , ma anche per i manager delle aziende che vogliono investire in Italia”. ”Accompagnare gli investitori nel nostro Paese”, questo lo slogan del Piano, ripetuto da Zanonato come dal presidente del Consiglio, Enrico Letta.

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“Con Destinazione Italia il governo di Enrico Letta compie uno sforzo di politica industriale innovativa sintonizzandosi sui migliori benchmark internazionali in tema di competitività: certezza e stabilità delle regole, dei tempi e delle normative fiscali”. Così Matteo Colaninno, responsabile Economia e Lavoro del Pd.

“Gli investitori, da anni, chiedono a gran voce questo! E non certo ricette miracolistiche, annunci continui di incomprensibili terapie shock o uomini della provvidenza.

Il piano costruisce un ecosistema migliore per tutti quelli che investono in Italia, a partire dalle imprese e dagli imprenditori italiani. Il piano del governo contiene anche misure essenziali per riposizionare il sistema industriale italiano: capitalizzazione delle imprese, ruolo fondamentale del sistema finanziario, ricerca più diffusa e strutturata.

Queste sono le linee guida delle principali potenze industriali e oggi devono diventare le chiavi per neutralizzare il rischio di deindustrializzazione e per proiettare il nostro sistema imprenditoriale nel contesto globale. Si tratta di un progetto politico con indicazioni precisa di tempi di realizzazione e un monitoraggio forte.

“Lanciare la sfida al Cav”, di Claudio Sardo

La partita della data e delle regole è assai più logorante di quanto non sia importante per il Pd. E rischia di seminare sconforto, incomprensione, persino ribellione tra gli iscritti, i militanti, i tanti cittadini interessati. L’Italia è mal messa, la crisi morde la carne viva, il Pd è tuttora la spina dorsale e la cerniera del Paese, oltre che la speranza più concreta di una ricostruzione: perché avvitarsi in una discussione oscura ai più e comunque distante dai problemi veri? Speriamo che quello di oggi sia l’ultimo passaggio sulle «procedure». Che il congresso inizi, che le primarie vengano fissate in modo conclusivo, che i candidati comincino a misurarsi su progetti che guardano il cambiamento futuro.

Ma, ben al di là delle regole interne, le ultime vicende hanno collocato sulla strada dei democratici una nuova questione politica. Che può condizionare il percorso assai più della scelta sulla domenica di dicembre nella quale allestire i gazebo. La questione è il destino del governo Letta e della legislatura.

Dopo la condanna definitiva di Berlusconi, dopo che la maggioranza del Senato si è chiaramente espressa in favore della sua decadenza da senatore, dopo lo spettrale video sul remake di Forza Italia, è chiara la strategia di logoramento intrapresa dal Pdl. Berlusconi non può, per ragioni di convenienza, rappresentare la rottura come mera ritorsione della condanna. Per questo alterna quotidianamente richiami elettoralistici con dichiarazioni di fedeltà al governo, ultimatum al limite dell’eversione istituzionale con segnali obliqui di pacificazione. La realtà – ormai chiara a tutti – è che Berlusconi vuole rompere e andare alle elezioni anticipate i primi mesi del 2014. Dopo che la sentenza ha reso inevitabile la sua esclusione da ogni ruolo pubblico e da ogni pubblico ufficio, il Cavaliere intende contrapporre la legittimazione diretta (magari espressa attraverso un simbolo elettorale con il suo nome, visto che non potrà più essere candidato) alla legittimità giuridica. Non è detto che ce la farà: perché è più debole, perché ha dissensi in casa, perché le sue stesse aziende potrebbero pagare un prezzo molto alto, perché nel Parlamento il Pdl non è determinante… Ma intanto ha iniziato la strategia del logoramento, quella già sperimentata con il governo Monti, al quale staccò la spina dopo averlo sfiancato, depotenziato, trascinato in polemiche infinite.

Enrico Letta non deve fare la fine di Mario Monti. Il suo non è un governo tecnico. Ed è Berlusconi che cerca di ridurlo a questa condizione, annullando l’autonomia politica del premier. Letta deve reagire. Con determinazione. Le sue parole di questi giorni – anche quelle che ha scritto ieri su l’Unità – sembrano un segnale in questa direzione. Ma il Pd dovrà sostenerlo, anzi incalzarlo, nel confronto con il Pdl. Un confronto che sarà duro, a partire da queste emergenze finanziarie di fine anno (Iva, copertura Imu, ampliamento della cassa in deroga) e dall’impostazione della legge di Stabilità.

Non può più valere la regola dell’Imu. Con il Pdl a piantare bandierine, dannose per l’equità delle manovre e finalizzate esclusivamente alla propaganda elettorale. Con il Pd a presidiare i profili sociali dei decreti, ma con risorse assai più scarse di quanto non sarebbero state giuste e possibili. Con il governo infine nel ruolo del mediatore e difensore della continuità.

Ma è proprio questa funzione di mediazione, ora, ad essere stata annullata dalla strategia di logoramento berlusconiano. Se Letta restasse fermo, sarebbe stritolato da un lato dalle rigidità europee (qualcuno a Bruxelles ha persino ipotizzato il riavvio della procedura d’infrazione se l’Italia sforasse il deficit anche solo dello 0,1%), dall’altro dagli ultimatum del Pdl. Perché dopo l’Imu, si inventerebbe un altro Imu, fino a far saltare ogni credibilità di questo esecutivo agli occhi degli elettori del Pd.

Questo non è un governo di larghe intese. È un governo senza intese che, non a caso, si trova in questa condizione dopo una sentenza di condanna definitiva a Berlusconi e dopo che Letta e Napolitano si sono doverosamente attenuti al rispetto dell’ordinamento e del principio di separazione dei poteri. Il presidente del Consiglio dovrà dire adesso, prima che parli il Pdl, quale equilibrio ritiene giusto tra Iva e Imu, tra tagli del cuneo fiscale e interventi per lo sviluppo. Deve porre lui stesso un sostanziale ultimatum alla maggioranza che lo sostiene. E il Pd non deve stare in silenzio. Ha fatto bene Epifani a ribadire che l’Iva non va aumentata nel 2014. E bisogna anche aggiungere che per finanziare i cinque miliardi che ci servono a mantenere il parametro del 3% nel rapporto deficit/Pil devono contribuire i proprietari della case più ricche, e comunque le parti più benestanti del Paese. Berlusconi scopra le carte: o accetta, o si va a casa. Non deve essere lui a staccare la spina quando meglio gli conviene. Sia messo al più presto di fronte alle sue responsabilità. E se dovesse far saltare tutto, non potrà mascherare il fallo di reazione alla condanna per frode fiscale. Altro che Imu. Il Pd non dimentichi nel suo congresso questo passaggio, perché i cambiamenti non nascono mai dal nulla. O il governo Letta produrrà atti di cambiamenti utili all’Italia di domani, oppure domani le macerie saranno ancora più alte.

L’Unità 21.09.13

“Domande e risposte sulla legge contro l’omofobia e la transfobia”, di Ivan Scalfarotto

Ieri la Camera ha approvato l’estensione integrale della legge Mancino all’omofobia e alla transfobia. Come previsto, una cosa così nuova per il nostro paese non poteva che suscitare molte domande, polemiche e dubbi. Ho pensato che la cosa migliore fosse fare una lista di domande e risposte, in modo da chiarire a tutti cosa si è approvato ieri sera.

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Domande e risposte sulla legge contro l’omofobia e la transfobia

Perché l’approvazione della legge da parte della Camera rappresenta un passo storico per l’Italia?

Perché per la prima volta un ramo del Parlamento approva una norma ad hoc che riconosce in Italia l’esistenza, la dignità e il diritto di vivere pacificamente di una comunità di persone (le persone LGBT) che fino a oggi non sono state riconosciute in quanto tali, al contrario di altre minoranze. Le uniche norme antidiscriminatorie finora in vigore sono di origine europea e afferiscono a diritti individuali, come quelli del lavoro. Inoltre, per la prima volta il Parlamento italiano ha mandato solennemente al paese il messaggio per cui l’odio contro queste persone costituisce un disvalore per la nostra comunità nazionale.

Cosa hanno ottenuto le persone LGBT, con l’approvazione della legge?

Hanno ottenuto l’integrale applicazione della legge Mancino e il riconoscimento che l’omofobia e la transfobia sono fenomeni da reprimere allo stesso modo del razzismo, della xenofobia e dell’antisemitismo. La legge Mancino è stata estesa nella sua interezza. Anche l’emendamento Verini, che la modifica, introduce un cambiamento per tutta la legge e non solo per l’omofobia e la transfobia. Persino il titolo della legge risulta modificato: la legge Mancino ora si chiama “Misure urgenti in materia di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”.

Cosa vuol dire, in pratica?

Estendere la Mancino nella sua interezza comporta l’introduzione dei reati di omofobia e transfobia:
a. istigare a commettere o commettere atti di discriminazione per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
b. istigare a commettere atti di violenza per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni
Inoltre viene vietata ogni organizzazione, associazione movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’istigazione alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia. Chi partecipa a tali organizzazioni o presta assistenza alla loro attività, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

E la famosa aggravante?

A parte i reati di nuova introduzione di cui sopra, la legge Mancino prevederà che per qualsiasi altro reato (non punito con l’ergastolo), se commesso con finalità di discriminazione o di odio fondati sull’omofobia o la transfobia si applicherà una pena aumentata fino alla metà. Per questi reati è sempre prevista la procedibilità d’ufficio.

L’aggravante non era prevista nel testo base della commissione?

No. Per consentire l’arrivo in aula della legge il PD si era dato disponibile a procedere con un testo che non la prevedeva. Ma ci eravamo impegnati a introdurla in aula, e così è stato. Su questo punto, peraltro, si è arenata la trattativa per arrivare a un’intesa con il PdL.

Perché avete cercato l’intesa più ampia possibile e non avete fatto la legge direttamente con 5Stelle e SEL? Solo per salvaguardare la maggioranza di governo?

No. Nella storia del paese, le grandi riforme civili non sono mai state collegate alle maggioranze di governo: basti pensare alla legge sull’aborto e a quella sul divorzio. I motivi fondamentali sono stati due. In primo luogo per fare in modo che la legge fosse considerata un passo importante di crescita per tutto il paese e non la vittoria di una parte sull’altra. In secondo luogo per garantire una più agevole approvazione al Senato. Purtroppo, aver mancato questo obiettivo rende il percorso legislativo più accidentato, questo proprio a conferma della bontà della nostra strategia.

Ci sono altre disposizioni della Mancino che vale la pena ricordare?

Certo. Per esempio il divieto, in pubbliche riunioni, di manifestare o ostentare simboli propri delle organizzazioni razziste e omofobiche, che è punito con la pena della reclusione fino a tre anni o con una multa. Oppure, il divieto di accedere a luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche a chi vi si rechi con quegli emblemi o simboli. Questo significa che, se fino a ieri, uno striscione razzista non poteva essere esposto in uno stadio mentre si poteva esporre uno striscione a contenuto omofobico, con la nuova legge non sarà più così.

Cosa prevede l’emendamento Verini?

L’emendamento Verini fornisce all’interprete una chiarificazione dell’intera legge Mancino (non solo la parte sull’omofobia e transfobia), forse superflua, ma che è stata richiesta da parte del mondo cattolico. Si tratta di un’applicazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero: le norme della legge Mancino sono norme penali che non servono a risolvere conflitti sulle opinioni. Chiunque può continuare a dire di essere contrario al matrimonio gay o allo ius soli. Sono opinioni che possono non piacerci, ma non possono essere oggetto di un procedimento penale.

E il sub-emendamento Gitti che ha provocato tante polemiche?

Il sub-emendamento Gitti in realtà è molto meno preoccupante di come sia stato descritto. Basta leggerlo. Vi si dice che non costituiscono atti di discriminazione le condotte delle organizzazioni di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto a queste condizioni:
a. se sono conformi al diritto vigente
b. se sono assunte all’interno (non all’esterno) dell’organizzazione
c. se si riferiscono all’attuazione di principi e di valori di rilevanza costituzionale
Tutto questo solo “ai fini della presente legge”. Questo vuol dire che se vi è un’altra norma che stabilisce un divieto di discriminazione (per esempio: norme sul divieto di discriminazione sul lavoro), queste non vengono sanate da questo emendamento. Si tratta solo di una scriminante ai fini della legge penale, non di una scusante di carattere generale.

E’ un emendamento che servirà a coprire organizzazioni neofasciste, come ha detto qualcuno?

No, perché le organizzazioni neofasciste non perseguono principi di rilevanza costituzionale. Al contrario, la legge approvata ieri prevede il divieto, assistito da pesanti sanzioni penali, di creare o assistere organizzazioni che abbiano tra i propri scopi l’omofobia. Fino a ieri questo divieto non era previsto.

Che differenza c’è rispetto alla legge che non si riuscì ad approvare nell’altra legislatura?

Nella scorsa legislatura il risultato a cui ci si avvicinò, senza peraltro nemmeno avvicinarsi a raggiungerlo, era solo l’introduzione di un’aggravante comune aggiunta in coda alla lista delle attenuanti dell’art. 61 del codice penale, e solo per taluni reati.

“Benvenuta Raiteatro”, di Luca Del Frà

E’ una delle più importanti scommesse che negli ultimi anni la RAI si trova ad affrontare, la creazione di un canale dedicato allo spettacolo dal vivo: il cambio della guardia ai vertici di Rai 5 avvenuto l’altro ieri, con il ritorno di Pasquale D’Alessandro, stavolta come direttore, e la nomina di Paola Malanga come vicedirettore comporterà anche un cambio di missione della rete.
Malgrado il nome di Rai 5 resti, nei fatti nasce Rai Teatro, dedicato alle arti del palcoscenico, appunto come il teatro ma anche l’opera, la danza, il balletto, la performance, la musica dal vivo.
La proposta era stata lanciata da Franco Scaglia durante un convegno alla Fondazione Di Vittorio e ripresa da l’Unità per una campagna stampa che aveva messo a confronto le opinioni di creatori, artisti, operatori, politici e trovato l’attenzione e l’appoggio del ministro Massimo Bray e del direttore generale della Rai Luigi Gubitosi.
Oggi che la nostra campagna trova un riscontro, mentre ancora non sono chiare le linee che avrà la neonata rete, merita ricordare l’esigenza che ci ha mosso: in un periodo in cui il ricatto della crisi economica mortifica la politica, la democrazia, i diritti, la Rai doveva finalmente tornare a svolgere il suo ruolo di servizio pubblico in uno dei settori più devastati del nostro paese, la cultura e in particolare le attività culturali.
Niente affatto secondaria è la considerazione che la nascita di un canale televisivo dedicato allo spettacolo dal vivo comportasse una serie di impegni e prove non da poco: in primis la funzione che la rete è chiamata a svolgere, se insomma deve essere un contenitore di programmi, oppure proporsi anche come coproduttore di spettacoli e iniziative, esattamente come accade con Rai Cinema, che figura tra i produttori di Sacro Gra, Leone d’oro al Festival di Venezia. Verso quest’ultima ipotesi, di certo la più innovativa e ambiziosa, sembra spingere la presenza di Malanga che arriva proprio da Rai Cinema.
La collaborazione tra televisione e teatro può portare a risultati di straordinario interesse, come ci ha spiegato il regista e drammaturgo Romeo Castellucci, ricordando la diretta sul canale franco-tedesco Arte per il suo spettacolo ispirato alla Commedia di Dante al Festival di Avignone, in seguito divenuto anche un film. Ma occorre sottolineare che «gli spettacoli di innovazione nel nostro paese sono i più trascurati sia dalle istituzioni sia dall’universo mediatico», come ha spiegato Fabrizio Grifasi, direttore del Romaeuropa Festival. E se il nascente canale dedicato al palcoscenico della Rai prestasse attenzione alla ricerca, ne trarrebbe giovamento anche la scena più tradizionale, da tempo arenata nelle secche di una stanca ripetitività.
Dunque non pochi i temi che si troverà sul tavolo il neo direttore D’Alessandro, che peraltro proprio Rai 5 aveva fondato quando era direttore del settore innovazione della Rai e avrà il compito di riplasmarla.
Occorrerà trovare giusti equilibri tra teatro di parola, musicale, danza, trasmissioni tematiche e di divulgazione. Si parla di un cartellone con 28 spettacoli per il 2014, obiettivo di non facile realizzazione e che dovrebbe imporre anche un investimento da parte della Rai in questa nuova iniziativa.
Sarà un bene anche dedicare risorse a colmare le differenze tra il mezzo televisivo e l’esibizione dal vivo: «Tra i suoi compiti questo nuovo canale dovrebbe avere quello di inventare un modo originale di guardare al teatro, che in modo chiaro e netto faccia capire che è qualcosa di diverso dall’esperienza dal vivo, con qualcosa inevitabilmente in meno ma anche con qualcosa in più», spiega Maurizio Roi, vicepresidente dell’Agis e presidente di Ater.
Questo è un nodo centrale nell’era dello streaming, cioè della possibilità – a pagamento o no – di vedere via internet spettacoli dal vivo da tutto il mondo. Dalla Filarmonica di Berlino, che ha l’intera stagione on line su abbonamento, ad Arte live web del canale franco-tedesco dedicato alla cultura, fino alle nostrane esperienze delle Orchestra Sinfonica della Rai e di quella di Santa Cecilia, nonché del Festival Romaeuropa via Telecom, l’offerta si sta repentinamente ampliando. E dunque una televisione dedicata al palcoscenico deve essere pronta a un’offerta qualitativamente diversa, più cosciente e intrigante, non a una ripresa dello spettacolo.
Nei prossimi giorni si riunirà un tavolo di esperti, per tracciare le linee del futuro palinsesto di Rai 5: naturalmente seguiremo i primi passi della neonata rete.

L’Unità 20.09.13

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Una vittoria collettiva della cultura per la cultura
di Stefania Scateni

RAI5 SI RIMODELLA E DIVENTA IL CANALE DELLA TELEVISIONE PUBBLICA INTERAMENTE DEDICATO ALLO SPETTACOLO DAL VIVO. IN PRATICA, NASCE «RAI TEATRO»: una vittoria per la cultura italiana, ma anche una grande vittoria de l’Unità. È infatti questo giornale che per tutto il mese di agosto ha fortemente sostenuto una battaglia perché la televisione pubblica ricominciasse a onorare la propria missione, quella di fare cultura, tutelarla e sostenerla. È di ieri sera la decisione del consiglio di amministrazione della Rai di ridefinire linea e vocazione di Rai 5, modellandola sull’idea di un canale che diffonda e sostenga concretamente, attraverso la coproduzione con strutture pubbliche e private, spettacoli di qualità, e che contemporaneamente valorizzi il repertorio del variegato teatro dal vivo che le Teche Rai hanno conservato come memoria storica.
Il canovaccio della nuova Rai 5 è il progetto di «Rai Teatro»: aiutare la produzione teatrale ad affrontare la crisi economica e culturale in cui si dibatte da anni, e al tempo stesso segnare un momento di svolta nell’indirizzo della tv di Stato, farla tornare al suo ruolo di servizio pubblico che da anni sembra aver dimenticato. In che modo? L’idea fu lanciata da Franco Scaglia, dirigente televisivo di lungo corso e oggi presidente del Teatro di Roma. Facendo tesoro dell’esperienza di Rai Cinema che ha sostenuto e continua a sostenere il cinema italiano ha immaginato un canale televisivo che non solo mandi in onda spettacoli dal vivo, ma sia anche co-produttore di teatro, opera, balletto, danza contemporanea, performance e concerti.
È un’idea che circolava da qualche tempo in rete, ripresa da l’Unità, che ha dimostrato la fattibilità concreta del progetto, coinvolgendo addetti ai lavori, politici e vertici della Rai. Le numerose adesioni non si sono limitate al semplice appoggio, ma sono state anche propositive, fino alla decisione del ministro Bray e dell’amministratore delegato Rai Gubitosi di aprire un tavolo operativo per valutare un rilancio del teatro italiano. Dopo trent’anni di televisione pubblica schiacciata da quella privata, mortificata dalla concorrenza verso il basso della tv commerciale, dopo trent’anni di tv spazzatura, è un bel segnale di cambiamento.
Oggi è un buon giorno. Va festeggiato.

L’Unità 20.09.13

“Il maestro riluttante”, di Massimo Recalcati

In queste settimane che la Scuola riapre le sue porte auguro che ogni insegnante ritrovi il senso del suo lavoro – bistrattato e umiliato economicamente e socialmente – come uno tra quelli più decisivi nella formazione dell’individuo. Auguro loro di saper ritrovare passione nello spiegare una poesia di Ungaretti, le leggi della termodinamica, la deriva dei continenti, una lingua nuova, la bellezza formale di una operazione di matematica o di un teorema di geometria. Auguro che la loro parola riesca a tenere vivi gli oggetti del sapere generando quel trasporto amoroso ed erotico verso la cultura che costituisce il vero antidoto per non smarrirsi nella vita.
Nel nostro tempo la scuola di ogni ordine e grado sembra ridotta ad un “esamificio”. L’impeto della valutazione vorrebbe imporre scansioni dell’apprendimento uguali per tutti. Sempre più si sta imponendo una scuola che il “sogno” di un recente ministro della pubblica istruzione codificava con le tre “i” (impresa, inglese, informatica), cioè una scuola fondata sul principio di prestazione. Il nostro tempo non coltiva l’ideale di una scuola autoritaria e disciplinare. Non è più il tempo dove – secondo una tristemente nota metafora botanica – l’allievo è assimilato ad una vite storta e l’insegnante ad un paletto diritto e ad un filo di ferro capace di raddrizzarne la stortura. Il conformismo attuale non è più morale ma cognitivo. Il nostro tempo non concepisce più l’allievo come una vite storta, ma come un computer vuoto. L’apprendimento è il riempimento del cervello di file seguendo l’ideale di un travasamento potenzialmente illimitato di informazioni nella sua memoria. All’illusione botanica si è sostituita quella tecnologico- cognitivista: morte dei libri, informatizzazione degli strumenti didattici, esaltazione delle metodologie dell’apprendimento, accanimento valutativo, burocratizzazione fatale della funzione dell’insegnante che deve sempre più rispondere alle esigenze dell’istituzione che non a quella degli allievi. Attualmente un’altra illusione ha fatto capolino. È l’illusione dell’insegnante-psicologo che possiamo sintetizzare con il racconto che ho udito fare da un professore di liceo ad un recente convegno sulla scuola al quale ho partecipato. Questi si vantava nel suo lavoro quotidiano di lasciare da parte i contenuti dei programmi ministeriali per dedicarsi a cogliere i segni di disagio esistenziale dei suoi allievi raccogliendo le loro confidenze più personali. Mettere da parte lo studio di Aristotele, di Spinoza o di Hegel per dare voce alla sofferenza dei ragazzi della quale, com’è noto, i programmi didattici si disinteressano. Quale nuova pericolosa illusione si annida in questo atteggiamento? L’amore per il sapere – che dovrebbe animare ogni insegnante – lascia il posto ad una supplenza diretta del mestiere del genitore. Mentre l’informatizzazione cognitivista della scuola esalta un sapere senza vita, questa nuova ondata psicologista sembra invece esaltare la vita senza sapere. Si tratta di due facce della stessa medaglia accomunate da una stessa fondamentale dimenticanza: l’importanza dell’ora di lezione nel promuovere l’amore verso il sapere come condizione per ogni possibile apprendimento.
Lo scandalo del professore di liceo che ha abusato del suo ruolo per coltivare relazioni sessuali con le sue allieve minorenni è ancora caldo. In quel caso si è trattato di una distorsione, o se si preferisce, di una deviazione di quello che gli psicoanalisti chiamano “transfert”. Di cosa si tratta? La sua matrice si trova nel gesto di Socrate narrato nel Simposio di Platone. Agatone, l’allievo, si siede vicino al maestro coltivando l’illusione che il suo cervello sia un contenitore dentro il quale Socrate dovrebbe versare il liquido del suo divino sapere. È l’illusione che abita ogni scolastica dell’apprendimento. Essere un recipiente passivo che il sapere del maestro può riempire sino all’orlo. Ma Socrate si nega ad Agatone. Non accontenta la sua aspirazione ad essere “riempito”. Negandosi
alla domanda ingenua di Agatone – “travasa in me il tuo sapere” – Socrate cerca di mettere in movimento il suo allievo (transfert significa “trasporto”, “sentirsi trasportati”) distogliendolo dall’illusione che conoscere significa riempirsi passivamente il cervello di nozioni già esistenti e possedute da qualcuno. Il gesto di Socrate è controcorrente rispetto ad ogni idea scolastica del sapere ed è il motore di ogni forma di apprendimento autentico.
Svuota il maestro di sapere affinché l’allievo si metta in movimento – si senta trasportato – verso il sapere, affinché nasca nell’allievo un
desiderio autentico di sapere.
Il gesto di Socrate è innanzitutto un gesto di sottrazione; anch’io non so quello che tu non sai, non perché sono ignorante, ma perché so che è impossibile possedere tutto il sapere, perché il sapere stesso non può mai costituire un tutto. Il compito di un insegnante è quello di generare amore, transfert erotico, sul sapere più che distribuire sapere (illusione cognitivista) o mettere tra parentesi il sapere occupandosi della vita privata degli allievi (illusione psicologista) perché l’alternativa tra la vita e il sapere è sempre sterile.
Sull’importanza vitale dell’ora di lezione mi si permetta un ricordo personale. Da ragazzo frequentavo alla fine degli anni Settanta le aule disadorne di un Istituto agrario specializzato in coltivazione di serre calde situato nell’estrema periferia di Milano. Alcuni dei miei compagni finirono sperduti in India, altri costeggiarono pericolosamente il terrorismo, altri ancora sono stati ammazzati dalla droga. Eravamo in quell’Istituto un manipolo di cause perse. Cosa mi salvò se non un’ora di lezione, se non una giovane professoressa di lettere di nome Giulia Terzaghi che entrò in aula stretta in un tailleur grigio rigorosissimo parlandoci di poeti con una passione
a noi sconosciuta? Cosa mi salvò se non un’ora di lezione? Se non quella passione sconosciuta che Giulia sapeva incarnare? Questa storia non è solo la mia ma è la storia di molti. Cosa ci salvò se non quel desiderio di sapere che si propagava dalla forza della parola dell’insegnante capace di scuoterci dal sonno? Non è forse questo quello che la scuola burocratizzata della valutazione e della informatizzazione sospinta rischia di dimenticare? Non è forse l’ora di lezione che può rimettere in movimento le vite scuotendole dall’inerzia di un sapere proposto solo come un oggetto morto? Auguro a tutti gli studenti di ordine e grado di incontrare la loro Giulia.

La Repubblica 20.09.13