CINELUX
FONTANALUCCIA
presentazione del libro
La scuola diversa
di
Daniela Tazzioli
dialogano con l’autrice
il Prof. Lino Paini
e
l’On. Manuela Ghizzoni
Vicepresidente della Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera dei Deputati
CINELUX
FONTANALUCCIA
presentazione del libro
La scuola diversa
di
Daniela Tazzioli
dialogano con l’autrice
il Prof. Lino Paini
e
l’On. Manuela Ghizzoni
Vicepresidente della Commissione Cultura, scienza e istruzione della Camera dei Deputati
Ne parleranno con l’autore la parlamentare Manuela Ghizzoni e Pierluigi Castagnetti. Venerdì pomeriggio 19 luglio, alle 18.30 , presso il Piazzale delle piscine a Carpi , nell’ambito della festa organizzata dai circoli Pd dell’Unione delle Terre d’argine, l’ex segretario del Partito Democratico Walter Veltroni presenterà il suo ultimo libro “E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei”. Ne parleranno con lui la parlamentare Manuela Ghizzoni e l’ex deputato Pierluigi Castagnetti. Coordina il presidente del consiglio comunale di Carpi Giovanni Taurasi.
Nel «caso Calderoli» interviene la magistratura. Al vicepresidente leghista del Senato è costato l’apertura di un procedimento penale l’aver paragonato a un orango il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge sabato scorso dal palco di una festa del Carroccio a Treviglio, nella Bassa bergamasca. Calderoli è infatti indagato dalla Procura di Bergamo per diffamazione aggravata dall’odio razziale in seguito a un esposto del Codacons. Il procuratore di Bergamo, Francesco Dettori, ha raccolto tutti gli articoli di stampa sul comizio e ha acquisito l’audio del discorso, aprendo quindi il fascicolo, affidato ai due sostituti che dovranno valutare se le parole pronunciate dal parlamentare leghista («quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango») siano da considerare diffamatorie.
L’ex ministro leghista, dopo la bufera politica e mediatica da lui scatenata, si è scusato pubblicamente e privatamente con Kyenge, alla quale ha anche inviato un mazzo di fiori. Episodio confermato dal ministro per l’Integrazione: «Mi ha porto le scuse e le ho accettate – ha detto Kyenge – facendo capire che si può scherzare, ma bisogna andare oltre le offese e mantenere comunque il rispetto dell’altro anche nella comunicazione». E mentre le polemiche e le richieste di dimissioni di partiti e associazioni non si placano, il leader della Lega Roberto Maroni replica con un secco «Non diciamo stupidaggini» al presidente del Consiglio, Enrico Letta, che lo aveva definito “correo” con Calderoli per gli insulti al ministro. «Per me la questione è chiusa – ha tagliato corto Maroni – Calderoli si è scusato e Letta farebbe meglio a occuparsi di altre cose».
Intanto ieri è stata condannata ad un anno e un mese di reclusione (pena sospesa) e all’interdizione per tre anni dai pubblici uffici Dolores Valandro, l’ex consigliere di quartiere leghista di Padova (espulsa dal Carroccio) che in un post su Facebook, riferendosi al ministro Kyenge, aveva scritto «mai nessuno che se la stupri…». Valandro, imputata di istigazione a commettere atti di violenza sessuale per motivi razziali, è apparsa in lacrime in tribunale, scusandosi.
Da segnalare infine un nuovo caso di offese. Un consigliere circoscrizionale trentino Paolo Serafini ha pubblicato un post “Torni nella giungla” sulla sua pagina Facebook rivolgendosi a Kyenge. Una frase corredata da foto di scimmie. Indignazione e reazione immediata: l’espulsione del consigliere da Progetto Trentino, movimento a cui Serafini aveva aderito dopo l’uscita dalla Lega.
Il Sole 24 Ore 18.07.13
L’ateneo migliore d’Italia è Siena. Il giudizio reca l’autorevole firma del Censis e si trova nella Grande Guida Università che esce domani con Repubblica per aiutare gli studenti a scegliere la laurea giusta. Il voto di 103,4 su 110, infatti, non lo colloca solo al primo posto della sua categoria, quella di medie dimensioni, ma al vertice assoluto in Italia. Per il rettore Angelo Riccaboni è «una grande soddisfazione, dopo anni di difficoltà economiche che stiamo risolvendo con tanti sacrifici. Anche perché dimostra che mettere al centro dei propri sforzi gli studenti alla fine conviene sempre ». Un’attenzione ripagata: gli studenti che provengono fuori dalla Toscana sono più della metà, a testimonianza dell’attrattiva accademica di Siena. «Comunque non abbiamo aggiustato il bilancio solo tagliando », puntualizza il rettore, «ma anche con iniziative che portano ricavi. Come Med Solutions, la nostra rete che fa parte del programma dell’Onu Sustainable Development Solutions Network
«In pratica, mettendo a frutto l’attenzione che dedichiamo all’ecocompatibilità, con Med Solutions aiutiamo a individuare le soluzioni di sviluppo sostenibile più adatte a raggiungere gli obiettivi della Conferenza di Rio, con la responsabilità del coordinamento per l’area del Mediterraneo».
La classifica che premia la qualità dell’ateneo di Siena tiene conto di quattro grandi indicatori: Servizi (mensa e alloggio). Borse e contributi, Strutture (aule e biblioteche), Web e Internazionalizzazione e anticipa quella più dettagliata sulle singole aree disciplinari. Dove quest’anno c’è una grande novità. A causa della riforma Gelmini, infatti, il Censis ha dovuto rifare le sue valutazioni secondo nuovi modelli. Università anno zero, quindi. «La cancellazione delle Facoltà e la riorganizzazione dell’offerta formativa in base ad altre logiche», spiega Roberto Ciampicacigli, direttore del Censis Servizi che realizza il ranking ormai da quattordici anni, «ci ha costretto a modificare la struttura della valutazione ». Così quest’anno la Grande Guida propone una classifica delle lauree Triennali divisa in Didattica e Ricerca, dove la Didattica, quella che interessa di più i ragazzi che devono iscriversi, è organizzata nelle 15 Aree disciplinari in cui sono state raccolte le 47 classi di laurea istituite dal ministero dell’Università. Per fare un esempio, l’area economico- statistica raggruppa i corsi di laurea in Scienze dell’economia e della gestione aziendale, Scienze economiche e Statistica. La classifica della Ricerca, invece, segue le aree disciplinari stabilite dal Consiglio universitario nazionale (Cun) a questo scopo. Sembra complicato? Effettivamente lo è, ma così lo ha voluto il ministero.
I risultati mettono in luce un primato di Bologna, con 6 primi posti (più 1 nelle lauree a ciclo unico, 2 secondi e 2 terzi posti), seguita da atenei come Padova, che primeggia fra l’altro nelle sei lauree a ciclo unico con ben tre primi posti (Farmacia, Veterinaria e Odontoiatria), Siena, Trento. «In effetti», conferma Ciampicacigli, «benché queste classifiche non possano essere confrontate a quelle degli scorsi anni a causa della revisione dei parametri, i poli di eccellenza didattica continuano ad emergere. Un dato importante è che se un’università è forte nell’Internazionalizzazione, quasi sempre si trova in alta classifica ». In questo anno zero, insomma, la bontà delle valutazioni del Censis ne esce confermata. Tra i risultati apparentemente curiosi c’è il primo posto di Sassari nell’area Architettura, davanti ai Politecnici di Milano e Torino e allo Iuav di Venezia. Ma anche in questo caso è una falsa sorpresa: il valore di Sassari è ben noto da tempo e registrato negli anni scorsi. Confermata anche l’ormai storica latitanza del Sud nei vertici delle classifiche, con l’eccezione dell’ateneo calabrese di Arcavacata di Rende (provincia di Cosenza), secondo nella categoria Grandi.
Ciampicacigli sottolinea che «ci vorrà del tempo per abituarsi a questo nuovo sistema, come dimostra il fatto che gli studenti continuano a ripetere di essere iscritti “alla facoltà di Lettere” o “alla facoltà di Legge”, anche se le Facoltà ufficialmente non esistono più». D’altra parte molti atenei presentando l’offerta formativa usano ancora la parola “Facoltà” e metà dei quarantuno atenei pubblici è in mezzo al guado della riforma: dovranno completare il passaggio entro il 2014. Ma al posto delle Facoltà che cosa c’è? Per complicare ulteriormente le cose, il ministero ha fissato solo le linee guida, lasciando agli atenei la scelta della “governance” del nuovo sistema. Quindi sono nati Dipartimenti, Scuole, Aree…
«Proprio per non fare confusione », spiega Riccaboni, «a Siena abbiamo deciso di dividere l’offerta formativa per aree tematiche e corsi di studio. In fondo allo studente importa poco che facciano capo a Dipartimenti, Scuole o ad altro ancora». Anche se riconosce che questa riforma è stata particolarmente complessa, il rettore crede che «il cambiamento dovrebbe avere diversi vantaggi, perché mette sotto un unico organismo didattica ericerca e semplifica i processi decisionali. Noi per esempio siamo passati da 43 Dipartimenti e 9 Facoltà a 15 Dipartimenti.
Un altro vantaggio è di aver accorpato le lauree in maniera più omogenea. L’esempio lampante è la facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali: un ircocervo che metteva insieme biologia, matematica, fisica, geologia, informatica; queste materie adesso sono più correttamente divise fra Area scientifica e Area Geo-biologica.
«Questo è il momento più difficile », nota Andrea Cammelli, del consorzio universitario Almalaurea, «perché il nuovo sistema convive ancora con il vecchio e questo rende ancora più complicato fare delle scelte che, come nel caso della laurea, potranno avere un impatto determinante sul futuro dei ragazzi. Tanto più che è difficile spazzare il campo da tanti luoghi comuni. Si dice, per esempio, che abbiamo troppi laureati in materie umanistiche, ma i dati dicono che in Italia i laureati nell’area umanistica sono solo il 22 per cento del totale, mentre in Germania sono il 31 e negli Stati Uniti il 29. Speriamo che la confusione non contribuisca a deprimere l’interesse dei giovani per la laurea. Anche perché c’è un problema ancora più grave: purtroppo oggi solo il trenta per cento dei diciannovenni si iscrive all’università, con una quota crescente di giovani provenienti da famiglie benestanti, con il rischio che l’università torni a essere un privilegio dipendente dal reddito. L’Italia si conferma il fanalino di coda dei paesi Ocse per numero di laureati. Altro che ripresa: questo sì che è tagliare le gambe allo sviluppo».
La Repubblica 18.07.13
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IL RATING FA BENE ALLA RICERCA, di GIUSEPPE ROMA
La ricerca scientifica esce dalla retorica e diviene concreto strumento per riattivare il processo di crescita economica e occupazionale nel nostro Paese. Dopo anni di valutazioni delle performance del sistema universitario realizzate da Repubblica e Censis, ora anche le istituzioni si apprestano a utilizzare il rating per finanziarie le università. Giustamente, infatti, il Ministro Maria Chiara Carrozza, ha recentemente affermato che i cittadini (e aggiungerei anche le imprese) traggono vantaggio dall’attività di ricerca se si spende bene e si sostiene chi merita.
Valutare i risultati, la produttività e l’impatto innovativo della ricerca serve, quindi, a favorire le migliori idee, le più elevate competenze, la creatività dei ricercatori, rafforzando la comunità scientifica, a danno di una certa burocratizzazione, pur presente in questo comparto, e che finora ne ha ridotto l’efficacia.
Dalla Guida dell’Università emerge, quest’anno, un elemento di novità rappresentato dalla propensione a intendere l’Università come un grande laboratorio d’idee e di innovazione, tanto da ottenere ottimi risultati in campi di ricerca anche molto differenti fra loro. Quindi, oltre che dagli squilibri territoriali, le migliori performance derivano dall’organizzazione, dalla motivazione e da una particolare “atmosfera” che si “respira” nel singolo insediamento universitario. Prendiamo ad esempio Trento nelle prime posizioni come ricerca sia nell’area delle scienze politiche, sociali e giuridiche che in quella delle scienze matematiche e informatiche, dell’ingegneria industriale e dell’informazione. O anche l’Ateneo di Padova che primeggia nell’ingegneria civile ma anche in scienze economiche e statistiche. E ancora Ferrara ai primi posti nelle scienze dell’antichità e in biologia. Naturalmente un tale meccanismo di “fertilizzazione incrociata” vale per i centri di eccellenza più consolidati, da Milano a Torino, a Pisa. E costituisce anche un possibile modello di crescita per i poli ad alta specializzazione settoriale come l’Università della Tuscia nella ricerca per le scienze agrarie o di Roma Tre per le scienze della terra.
Valutazione e rating hanno consentito, pertanto, di selezionare le università facendo così “sgranare il gruppo” che fin quando è rimasto compatto, piatto e omogeneo, non ha offerto al Paese il contributo necessario a trasformare le idee in lavoro, i progetti in Pil, le intuizioni in
grandi scoperte.
(l’autore è direttore generale Censis)
La Repubblica 18.07.13
«Un atto di responsabilità», rimettere il proprio incarico nelle mani di Letta, per salvare il governo, ma soprattutto la faccia dell’Italia. È questo che chiede il deputato Gianni Cuperlo ad Alfano avvertendo, nello stesso tempo, il Pdl a farla finita con i ricatti.
Onorevole, Alfano deve dimettersi?
«Prima di tutto dobbiamo dare un giudizio sulla ricostruzione della vicenda».
E lei che giudizio da?
«Per come è stata fatta in Parlamento dal ministro dell’interno la ricostruzione della vicenda è apparsa a molti, direi quasi a tutti, insufficiente»
Perché?
«Perché siamo davanti a un fatto gravissimo che ha visto il nostro Paese violare i principi e le regole del diritto internazionale nella sfera fondamentale del rispetto dei diritti umani. E purtroppo ci sono ancora aspetti da chiarire in tutta questa vicenda».
Cosa non la convince nella ricostruzione fornita dal ministro?
«Va chiarito come e perché ha agito ha agito tutta la catena di comando che ha gestito quelle ore così delicate che partono dal fermo dalla signora Shalabayeva e della figlia al momento in cui vengono fatte salire su un aereo privato di proprietà o comunque inviato dal regime kazako violando ogni regola e ogni precauzione riguardante la sicurezza di una mamma e di una bambina. Per questo è doveroso che in primo luogo si attivi, attraverso ogni canale diplomatico, per garantirne la sicurezza, ma è necessario anche che non archivi questa vicenda eliminando ogni zona d’ombra residua sulle responsabilità».
Il governo ha ribadito che non ci sono responsabilità politiche.
«Io invece ritengo che vada eliminato ogni dubbio affinché la credibilità delle istituzioni e del governo stesso non venga indebolita».
E quindi il ministro dell’interno deve dimettersi?
«Sarebbe un atto di sensibilità istituzionale se di fronte a questi eventi e agli sviluppi che hanno avuto, il ministro Alfano scegliesse di rimettere le sue deleghe nelle mani del Presidente del Consiglio».
Così il governo non rischia di cadere?
«Al contrario questo gesto consentirebbe di procedere sulla via della massima chiarezza e metterebbe il governo nella condizione di portare avanti quell’azione, necessaria soprattutto sul piano economico e sociale, e che sta cominciando a dare dei segnali positivi».
Non crede che il Pdl farà cadere il governo se Alfano sarà costretto al passo indietro? «Sono convinto che il Pd in modo unitario debba sostenere l’azione del governo per consentirgli di fare le cose su cui ha ottenuto la fiducia delle Camere. E credo che sarebbe nell’interesse di tutti e quindi anche del Pdl garantire con senso di responsabilità una risposta ferma anche a chi spinge per una crisi di governo che sarebbe questa sì drammatica per il Paese».
Però Letta dice che è chiaro che il vicepremier non ne sapeva nulla, che Alfano è totalmente estraneo. Non è sufficente? «Venerdì il presidente del Consiglio andrà al Senato e ascolteremo con grande attenzione e rispetto le sue parole. Sono convinto che il premier si sia mosso con assoluta correttezza invocando la massima trasparenza e revocando il decreto di espulsione. Ma qui siamo di fronte ad aspetti non ancora chiariti. E si tratta di aspetti gravi. Ma come è possibile che nessuna autorità di governo, o della pubblica sicurezza, o dei servizi non sapeva che quello che l’ambasciatore kazako definiva un pericoloso ricercato invece era un dissidente politico che godeva dello status di rifugiato riconosciuto dal governo britannico? Bisogna capire per quali ragioni con un provvedimento di espulsione accelerata si sono consegnate una mamma e una bambina, moglie e figlia di quel dissidente, a un regime autoritario sottoposto più volte a dei rapporti severissimi da parte di Amnesty sulla repressione del dissenso politico. E soprattutto c’è da capire perché tutto questo sia avvenuto senza investire o mettere a conoscenza l’autorità politica. È questo che richiede un’atto di sen- sibilità istituzionale al ministro Alfano».
Il premier da Londra ha ribadito che è la stabilità il primo obiettivo che dovrebbero porsi i partiti al governo. Sembra un messaggio chiaro al Pd.
«Noi siamo impegnati, e in questi mesi l’abbiamo fatto con una lealtà assoluta, a garantire la stabilità di questo go-
verno. Chi ha invece l’ha ripetutamente e puntualmente minacciata è stato il Pdl con un atteggiamento di costante ricatto e minaccia: “o si fa così o cade il governo, o si toglie l’Imu a tutti o il governo non c’è più”. Il Pd ha sempre di- mostrato equilibrio, ragionevolezza, sostegno leale e autonomo, incalzando il governo ad accelerare decisioni per alleviare la sofferenza della fasce sociali più colpite dalla crisi. È curioso che sul banco degli imputati sia messo il Pd».
In Senato c’è la mozione di sfiducia di Sel e Movimento 5Stelle. I senatori renziani e anche Puppato chiedono al Pd di votarla… «Un atto di responsabilità del ministro permetterebbe di non arrivare a quel voto. I senatori Pd decideranno tutti assieme quale atteggiamento tenere, ma mi sembra evidente che un voto del Senato che sfiduciasse il ministro dell’interno avrebbe elevate possibilità di produrre conseguenze politiche». Se lei fosse al Senato non voterebbe la mozione di sfiducia?
«Ripeto, occorre evitare di arrivare al voto su quella mozione attraverso un atto di responsabilità politica e sensibilità istituzionale».
Ma perché anche di fronte a questi passaggi che dovrebbero produrre posizioni unanimi, il Pd si mostra diviso?
«Il Pd è unito nel dire che ci troviamo di fronte a un fatto enorme e che è ne- cessario che il governo faccia chiarezza fino in fondo. Poi è vero che siamo in una maggioranza strana, e noi lavoriamo affinché compia il compito che s’è data in un tempo ragionevole e che parallelamente il Parlamento acceleri il cambiamento della legge elettorale per liberare il Paese dal ricatto del Porcellum perché non è possibile tornare a votare con le attuali regole».
L’Unità 18.07.13
Da dove comincio, ora che devo parlare di Vincenzo? Dal suo amore per la letteratura o da quello per il cinema, da Roma o dal teatro, dalla musica o dalla politica? Che vita meravigliosa ha vissuto il mio amico Vincenzo!
La dea della fortuna, vestita da dna, gli aveva regalato un’intelligenza da fuochi d’artificio e il volto bello di un senatore romano. Gliel’ho detto mille volte: «Tu hai Roma scritta in faccia». E poi la vita, agghindata dal caso, lo ha fatto incontra- re con Pier Paolo Pasolini che nella sua esistenza ha lasciato segni indelebili. Era- no legati da un filo invisibile, uno di quelli che a inventarli non ci si riesce. Il giorno in cui Vincenzo è nato, il due novembre, è lo stesso in cui Pier Paolo è stato ucciso.
Per tutto il suo tempo Vincenzo ha viaggiato, tutta la vita ha viaggiato. Ha conosciuto porti dove non è stato, persone che non ha mai visto. È stato in tempi antichi, che non ha vissuto. La sua vita ne ha contenute mille altre. La sua vita, come una cornucopia, ha deposto nelle esistenze altrui parole e pensieri, personaggi e sogni che hanno mutato ciascuno. Ogni talento dell’arte forgia la vita degli altri. La sua specialità umana lo avvicina alla funzione divina, perché la sua creazione, non per caso così si chiama, è come un soffio vitale: plasma, modifica. E, in cambio, la storia e la memoria regalano l’immortalità. Perché Shakespeare e Chaplin, Cechov e Caravaggio certamente non sono, come si dice pietosamente, «scomparsi».
E non scompariranno, mai, «Il borghese piccolo piccolo» o il Canaro dei «Fattacci» o Giosuè che cercava i bambini come lui. Chissà se hanno pianto, scrivendo questo dialogo tra un bambino e suo padre nel campo di sterminio, Roberto Benigni e Vincenzo:
GIOSUÈ Si può andare?
GUIDO Certamente! Non crederai mica che tengono qui la gente per forza! (Pensa) Ci si ritira, ci si scancella. Peccato, perché eravamo primi.
Finge di cercare il bagaglio
GUIDO Dove l’ho messa la valigia…. Aspetta….Il carro armato vero lo vincerà un altro bambino…
GIOSUÈ Quale? Non ce n’è più di bambini, sono solo!
Guido scende dal letto.
GUIDO Non c’è più bambini? È pieno così! Zeppo di bambini.
GIOSUÈ E dove sono?
GUIDO Son nascosti, non si devono far vedere. È pieno di bambini nascosti. È un gioco serio….
«Scomparirà» mai l’emozione che abbiamo vissuto vedendo questa scena? Abita milioni di cittadini del mondo che hanno pianto e pensato seguendo il filo dell’emozione costruita da due talenti popolari e arricchita dalle musiche di un terzo antico sodale, Nicola Piovani.
«È tutta la vita che gioco», ha scritto Vincenzo nella prefazione ad un suo libro di racconti. Eppure aveva una naturale predisposizione ad essere maestro, uno di quelli che quando li incontri ti cambiano la vita. I suoi «Consigli ad un giovane scrittore» sono una saga della generosità. Era veloce e profondo, due cose che raramente convivono. Era spiritoso, non se la tirava, era generoso, non faceva la parte dell’intellettuale lontano dalle cose del mondo. Gli piaceva lo sport e la vita. Gli piaceva ridere e sfottere gli altri. Era simpatico, terribilmente simpatico.
La nostra amicizia è cominciata sulle colonne di questo giornale. Vincenzo era tra i più conosciuti e autorevoli di una folta squadra di scrittori, per lo più giovani, che cercavano su l’Unità di raccontare e capire il presente. Nelle parole che arrivavano in redazione, il giusto numero di battute e l’ora di consegna rispettata, si poteva trovare il suo sguardo. Quello sul mondo, largo inquieto e includente, e quello sulle persone che oscillava tra tenerezza e severità. Io l’ho sentito vicino in ogni momento della mia esperienza politica, culturale e giornalistica. Gli chiesi di entrare a far parte della prima segreteria del Pd e poi di diventare ministro ombra per la cultura. Due incarichi che svolse con passione e intelligenza, come sapeva fare lui. Smise quando io mi dimisi. E su quei giorni ha lasciato lucidissime pagine di analisi politica. Perché Vincenzo aveva una finissima sensibilità politica. Avevamo creduto in un sogno e lo avevamo fatto insieme. Ci capivamo. Eravamo romani, di sinistra e curiosi. Non è poco.
L’ultima volta che l’ho visto, ad una manifestazione a Monteverde su Pasolini, mi ha detto che stava bene. Ma il suo volto scavato diceva che non era vero. Forse giocava come Giosuè, pensava che quella brutta bestia si fosse nascosta così bene che non sarebbe mai ricomparsa. Il giorno dopo mi arrivò il suo ultimo libro di poesie. Sono bellissime, tutte. Ma ce n’è una che mi strappa il cuore. È dedicata alla città che aveva scritta sul volto e a un certo punto dice:
«Bisogna aspettare che ondeggi il vento
Degli altipiani
per sentire il profumo Delle rose dell’Aventino
O della corona di pini in cima ai colli.
Così, a Roma
– bruciato tutto l’olio –
Nel pomeriggio
Qualcuno prova a guardarmi
Mentre chiudo in me
Il sogno spezzato».
E poi finisce così, come finisce questo ricordo del mio amico Vincenzo, «Lo chiudo senza un finale Perché ogni fine è sempre la morte».
L’Unità 18.07.13
È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze.
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.
La Stampa 18.07.13