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"L'impossibilità di essere madri: la crisi riporta indietro le donne", di Rita Querzè

La crisi mette al primo posto l’essenziale. I redditi, il lavoro, il rischio di tensioni sociali sono l’Urgenza. Ma il cambio di paradigma nello sviluppo economico porta con sé anche una serie di «effetti collaterali» nelle relazioni fuori e dentro la famiglia. Ancora tutti da mettere a fuoco. Il libro di Elena Rosci La maternità può attendere (Mondadori, pagine 175, 17) entra senza paura nel nuovo mondo ad aspettative ridotte. E costringe le donne (e gli uomini) a una presa di coscienza non rinviabile.
Tutto parte da una constatazione: le italiane mettono al mondo pochissimi figli. Ne facevano pochi prima del 2008, anno spartiacque, e ora anche meno. «L’Italia e la Spagna con 1,4 piccoli per donna sono i Paesi europei in cui nascono meno bambini — sintetizza Rosci —. E i dati relativi alle donne colte che vivono in alcune aree del Nord ci indicano che circa il 50 per cento conclude la vita senza figli: quasi una su due».
A partire dalla metà degli anni 90 i demografi avevano evidenziato una nuova e incoraggiante correlazione tra tasso di fertilità e occupazione femminile. Apripista i Paesi del Nord Europa dove più le donne lavoravano più facevano figli. Di qui la rinata speranza di poter, prima o poi, conciliare il lavoro/autorealizzazione con la famiglia. Magari con l’aiuto di uno stato sociale più generoso. Qualche segnale ha fatto pensare nei primi anni 2000 che anche nel Nord Italia culle e ufficio potessero andare di pari passo. La speranza è stata soffocata dalla crisi. Oggi per le italiane è il momento di bilanci spietati.
Primo boccone amaro: la conciliazione famiglia e lavoro non è più a portata di mano. Anche di questo si è parlato nei giorni scorsi sul blog della «27esima ora», con un fuoco di fila di interventi online scatenato proprio da un post di Elena Rosci. La presa di coscienza è dura soprattutto per chi ci aveva investito energie, risorse e intelligenza. Il libro della psicologa racconta casi e situazioni. Quelle tra le ragazze degli anni 90 che inseguono ancora il miraggio di una realizzazione sia sul lavoro che come madri si trovano oggi prigioniere nel ruolo scomodo di mamme acrobate (che poi è anche il titolo della precedente fatica dell’autrice).
Poi ci sono le altre. Le realiste. Sempre più numerose. Quelle che — di fronte a una partita che i fatti dimostrano difficile se non impossibile da vincere — hanno scelto di passare la mano: niente figli. Ma forse «scelto» è il verbo meno adeguato. Secondo Elena Rosci le donne che non fanno figli spesso si lasciano portare da un giorno per giorno di mancate decisioni. Che conduce all’ineluttabile: la non maternità, appunto.
È su questa sempre più grande famiglia di «non madri» che si concentra l’osservazione della saggista. Secondo Rosci ancora oggi c’è troppo spesso un solo modo di essere mamma. Quello dello stereotipo romantico fatto di corredini ricamati, dedizione e sacrificio. I modi di essere «non madre», invece, sono numerosi. Le donne con problemi di fertilità o che non hanno mai considerato l’idea di generare sono una minoranza. Più ampia la categoria delle narcisiste, troppo concentrate su se stesse per fare il salto dal ruolo di figlia a quello di madre. Mentre la gran parte delle italiane che non arriva in sala parto appartiene alle categorie delle «ondivaghe» o delle «ritardatarie». Perché, spiega Rosci «i tempi psicologici e sociali della formazione dell’identità si sono talmente dilatati, si sono così protratti, da rendere labile la percezione dei limiti biologici».
A guardar bene le «madri acrobate» e le «non madri» sono le due facce della stessa medaglia. Due modi di adattarsi a una realtà complessa e arcigna. Ruoli e destini opposti che hanno in comune l’incapacità di ribellarsi a una organizzazione della società e del sistema produttivo che impedisce la realizzazione in contemporanea nella famiglia e nel lavoro. «Perché le donne non dicono mai “non ce la faccio”, non si battono per avere maggiori servizi per la famiglia?», si chiede Rosci. Ora la crisi rende tutto più complicato: i tempi del lavoro ancora più flessibili e le risorse per nidi e scuole difficili da trovare. La questione diventerà sempre più urgente. Ma potrà essere seriamente affrontata solo quando travalicherà il recinto angusto della battaglia di genere.

Il Corriere della Sera 08.06.13

Epifani avverte il Cav «Basta ricatti a Letta», di Simone Collini

Il timore è che questo sia un modo per preparare il terreno, in caso arrivino a fine mese sentenze a lui sfavorevoli su Mediaset, Ruby e Mondadori. Ecco perché Guglielmo Epifani dice a Silvio Berlusconi di stare «attento a non mettere in crisi il governo per le sue ragioni personali». Il segretario del Pd teme che le ultime uscite del leader del Pdl sul governo e sulla necessità che il premier Enrico Letta sfidi Angela Merkel sul tema dell’austerità siano puramente finalizzate a porre le premesse per uno strappo qualora negli ultimi dieci giorni di giugno Corte costituzionale e Corte di cassazione esprimano due condanne penali e l’obbligo di pagare oltre 500 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti. «Saranno i fatti a dimostrare le vere intenzioni di Berlusconi», dice ora Epifani aggiungendo che l’ex premier «in passato ha spesso anteposto le sue esigenze a quelle del Paese». Il segretario del Pd non vuole lasciare il leader del Pdl libero di muoversi mettendo a repentaglio la tenuta del governo: «Il Paese ha bisogno di una fase costruttiva, di impegno al servizio del Paese e bisognerebbe lasciare il tempo alle riforme». Tempo che non ci sarebbe se il leader del Pdl dovesse ritenere più con- veniente per lui ripetere quanto già fatto col governo Monti, quando da un giorno all’altro tolse il sostegno all’esecutivo e rese inevitabili le urne anticipate.

Nel Pd si mette in conto l’ipotesi che Berlusconi, di fronte a delle condanne, possa seguire la tentazione di andare a nuove elezioni, contando sul Porcellum ancora in vigore e su sondaggi che danno il Pdl in crescita. E quindi ora Epifani da un lato lancia moniti finalizzati a scoprire il gioco di Berlusconi, dall’altro confida sul fatto che lunedì sera l’ex premier dovrà fare i conti con un risultato delle amministrative che vale molto più di tanti sondaggi. «Se vinceremo le elezioni risaliremo e il centrodestra abbasserà un po’ le penne. Il Pdl si è innervosito perché se anche stando insieme al governo noi vinciamo le amministrative e loro no, significa che la gente ha capito il nostro senso di responsabilità nel sostenere l’attuale governo».

Un buon risultato elettorale può consigliare a Berlusconi di non tirare la corda, ma un atteggiamento che crei fibrillazioni al governo pur non arrivando a uno strappo sarebbe comunque negativo. L’uscita dell’ex premier sul «braccio di ferro» che Letta dovrebbe ingaggiare con Merkel viene giudicata strumentale perché totalmente infondata. Per più motivi. Perché, come dice Epifani, quando Berlusconi era a capo del governo «il braccio di ferro lo ha perso»: «Lo ha firmato Berlusconi il patto per il pareggio di bilancio nel 2013, mentre altri Paesi lo hanno ottenuto per due anni dopo». Perché la minaccia di uscire dall’Euro è palesemente irrealistica. E poi perché Letta ha dato prova in più modi di voler lavorare per aprire in Europa una nuova fase, nella quale il rigore non sia fine a se stesso e si avviino invece serie politiche per lo sviluppo.

Del resto anche a Palazzo Chigi, pur evitando di commentare direttamente l’uscita di Berlusconi su Merkel e sul rapporto da instaurare con la Germania, si ricorda che fin dal discorso di insediamento Letta ha sottolineato che «di sola austerità l’Europa muore» e che appena incassata la fiducia è volato a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco. Anche per questo le mosse di Berlusconi vengono guardate con attenzione, nonostante Letta dica di non temere per la tenuta del governo in caso sopraggiungano «eventi esterni»: «Io penso che sbagli chi pensa che la durata governo dipenda dagli esiti dei processi Berlusconi perché i ministri stan- no lavorando tutti di buona lena», è la linea.

Letta è insomma convinto che di fronte ai risultati ottenuti dall’esecutivo nessuno proverà ad aprire una crisi. Sul fronte europeo il premier si muove per favorire politiche per lo sviluppo, senza andare al muro contro sollecitato da Berlusconi con la Germania (considerata fondamentale per disegnare un nuovo panorama comunitario) ma coinvolgendola insieme a Francia e Spagna nella definizione di proposte comuni sul lavoro in vista del prossimo Consiglio europeo (ci sarà un vertice il 14 a Roma). E anche sul fronte interno Letta sta lavorando per concentrare sull’occupazione più risorse economiche possibili, puntando ad arrivare all’appuntamento di Bruxelles con un provvedimento già approvato in Consiglio dei ministri per la defiscalizzazione e la decontribuzione per le imprese che assumono giovani. Questione di cui il premier ha parlato ieri con il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e con il Ragioniere generale Daniele Franco, con i quali ha anche ragionato su un decreto da presentare entro luglio per «rimodulare» l’Imu. Dice il titolare del Tesoro riferendosi all’uscita di Berlusconi: «Molti degli euroscettici hanno avuto il loro tempo per fare un braccio di ferro con Angela Merkel. Si vede che non ci sono riusciti».

L’Unità 08.06.13

"Sisma, ripartire dalla solidarietà", di Ilaria Vesentini

L’equazione terremoto uguale riqualificazione più coesione sociale è stata ripetuta come un mantra nell’ultimo anno da tutti i protagonisti del territorio ferito dal sisma. Un’equazione suggellata definitivamente ieri nel progetto presentato da Confindustria Emilia-Romagna per l’utilizzo dei 7,53 milioni di euro raccolti con il Fondo interconfederale di solidarietà attivato – già il 30 maggio 2012, il giorno dopo la seconda scossa – dal presidente nazionale di Confindustria Giorgio Squinzi, assieme ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e a Confservizi, per sostenere popolazioni, lavoratori e sistemi produttivi delle zone rosse.
Un progetto rivoluzionario per l’approccio, il modello, gli obiettivi: «Realizzare opere funzionali, che migliorino il vivere civile e rispondano a esigenze concrete delle comunità locali; opere innovative per qualità dei materiali, delle sperimentazioni tecniche, dell’impatto ambientale; opere identificabili, tipiche, che diventino un marchio riconoscibile del territorio terremotato ma anche un modello architettonico replicabile», spiega Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria Emilia-Romagna, che guida operativamente la gestione del fondo. Con i 7,53 milioni raccolti si potranno realizzare tra i 5 e i 7 interventi focalizzati sul sociale, come asili dell’infanzia per la conciliazione lavoro-famiglia, palestre e centri di aggregazione per i giovani, strutture socio-sanitarie per gli anziani, non però disseminati qua e là, ma integrati tutti in un unico luogo, un centro di incontro aperto alla comunità nelle sue diverse fasi della vita.
Luoghi che saranno «pillole di bellezza per il post sisma». Così definisce i primi schizzi disegnati l’architetto Mario Cucinella, che con il suo studio sta curando gratuitamente la fase progettuale. «Siamo all’inizio di un percorso all’insegna di una grande convergenza tra tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo è trasformare questo intervento edilizio in un’opportunità per i giovani, perché saranno sei giovani architetti e ingegneri neolaureati ad affiancarmi nel lavoro. Sei professionisti under 30, residenti nelle province terremotate, selezionati tra 160 curriculum arrivati, che sono lo specchio dell’Italia migliore, dell’Italia che vuole cambiare e anche trait d’union con l’identità dei territori feriti». Gli edifici non hanno ancora forma, ma Cucinella estrae dalla tasca una foglia palmata per raccontare come se li immagina: piazze complesse e armoniche, dove succedono tante cose insieme e tante persone si incontrano. Così come non sono definiti i tempi di realizzazione, ma Marchesini è ottimista: «Vorremmo finalizzare con gli enti locali le aree dove costruire entro l’estate, poi partirà la fase di progettazione e in autunno ci auguriamo di poter lanciare le gare».
Il percorso non è semplice, «la burocrazia rende difficile anche fare beneficienza in questo Paese», commentano gli industriali, alle prese con la fase costitutiva della Onlus, sotto forma di trust, che consentirà di donare i manufatti “chiavi in mano” ai sindaci, anche per evitare che l’ora di salario che migliaia di dipendenti dell’industria e dei servizi hanno donato al cratere (una pari cifra l’hanno versata le loro aziende) finisca in contributi allo Stato. I comuni a loro volta dovranno firmare protocolli di intesa molto chiari sulle aree da offrire per la realizzazione delle “pillole di bellezza”, sull’impegno a velocizzare gli iter amministrativi e sulla successiva gestione. Così come trasparente sarà l’affidamento dei lavori, con gare aperte a tutti che privilegeranno la reputazione etica delle imprese edili e la loro prossimità alle zone terremotate.
«L’ultimo anno ha sancito un periodo di grande comunità di intenti tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria – commenta Vincenzo Colla, segretario generale della Cgil Emilia-Romagna – una coesione che si riflette in questo nuovo modo di fare solidarietà, governata, trasparente, visibile e utile. Non si raccoglie e consegna il denaro, si dà un marchio di qualità a un progetto condiviso con le comunità e a un concetto di sicurezza a tutto tondo, nel metodo, nei materiali, nel rispetto dell’ambiente. Si tratta di uno dei contributi di solidarietà più alti raccolti per le zone terremotate e sarà un esempio di rinnovamento».

Il Sole 24 Ore 08.06.13

Crollo iscrizioni e caos bonus l’università fa dietrofront e rinvia i test a settembre", di Corrado Zunino

Rottamato l’ultimo pacchetto Profumo: i prossimi test universitari per le facoltà a numero chiuso tornano all’inizio di settembre. In un primo tempo erano stati previsti a partire dal 23 luglio, a ridosso della maturità. Il ministro Maria Chiara Carrozza ha annunciato la riapertura delle date per le iscrizioni alle prove nel giorno in cui il decreto precedente — firmato da Francesco Profumo — le aveva chiuse: cioè ieri.
Il calo degli iscritti a Medicina, nonostante il rush degli ultimi giorni, era evidente. Ad Architettura si stava assistendo a un crollo impressionante. Fermi tutti, quindi: meglio tornare indietro. E così il ministro in carica da cinquanta giorni, dopo cinque di consultazioni ha preso la sua prima decisione di peso: mercoledì prossimo ripristinerà il vecchio calendario delle prove, dal 4 al 10 settembre.
Era diventato necessario, vista l’informazione carente offerta dal ministero sull’anticipazione dei test, offrire altri ventitré giorni ai maturati: li aiuteranno a capire se è il caso di infilare la testa nella fornace dei “test di logica”, porta d’accesso per Medicina, Architettura, Ingegneria edile e Professioni sanitarie (i test universitari in media lasciano a casa nove candidati su dieci).
Dopo le rivelazioni di Repubblica, il ministro ha chiesto ai funzionari di rimettere mano anche al sistema del “bonus maturità”, da quattro a dieci punti offerti ai ben diplomati (da 80 a 100 centesimi) e validi per formare il punteggio finale dei successivi test universitari. Il tentativo di ponderazione realizzato ad aprile dal ministero per non favorire gli studenti del Centro-Sud (statisticamente licenziati alla Maturità con voti più alti) aveva mostrato troppe falle. Con lo stesso voto, due studenti di due scuole della stessa città potevano ottenere un punteggio-bonus diverso e, in generale, gli istituti tecnici venivano favoriti a scapito dei licei e le scuole paritarie a scapito di quelle pubbliche.
Non è stato facile riassettare un decreto legge operante, ma mercoledì il ministro Carrozza dovrebbe annunciare alcune nuove interpretazioni del testo: sarà diminuito il “peso” del bonus Maturità (che resta compreso tra 4 e 10 punti) e la valutazione del premio non sarà basata sui risultati degli ultimi tre anni trascorsi alle superiori, ma solo sul voto della Maturità. «Stiamo cercando di trovare una maggiore equità», ha detto il ministro, «il bonus sarà rapportato alle singole commissioni d’esame». I “premiati” usciranno, secondo l’ultima versione del decreto, dalle singole commissioni d’esame (chiamate a valutare in maniera omogenea gli esaminati) e non dalla media dei voti dell’intera scuola. Il nuovo testo ministeriale manterrà infine la graduatoria nazionale per le prove d’accesso.
Gli studenti, quasi tutte le organizzazioni, hanno accolto con favore il rinvio. L’Udu rilancia chiedendo la fine del numero chiuso all’università.
L’Unione degli studenti, «scandalizzata per i continui cambi di marcia», chiede procedure chiare per la re-iscrizione ai test. Skuola.net, con un sondaggio all’impronta, assicura che sette maturandi su cento stavano studiando contemporaneamente per l’esame di Stato e per l’esame d’ingresso all’università.

La Repubblica 08.06.13

"Una battaglia strategica", di Vittorio Emiliani

Il test elettorale che si svolgerà domani e lunedì non è soltanto romano e tuttavia, ancora una volta, il confronto per il Campidoglio assumerà il ruolo di prova strategica, nazionale. In realtà lo ha già rivestito al primo turno col secco ridimensionamento del Movimento 5 Stelle il cui candidato-sindaco si è fermato a quota così bassa da confinare il suo sempre più esagitato «profeta» a tenere comizi a Pomezia. Eppure era vasto il serbatoio di scontenti e di astensionisti che lo «sgoverno» della giunta Alemanno aveva alimentato. Malauguratamente gli ultimi cinque anni si possono considerare anni perduti per una Capitale del terzo millennio bisognosa di saldare antico e moderno in modo armonico, di essere insieme metropoli culturale, turistica, commerciale, industriale, del terziario avanzato, city politica e Comune verde, uno dei più verdi e agricoli d’Europa.

Ma come poteva un sindaco salito al Campidoglio in mezzo ad una selva di saluti romani cogliere il senso profondo della sfida che Francesco Rutelli aveva ripreso all’inizio degli anni 90 dopo che le «giunte rosse» di Argan, Petroselli e Vetere si erano con forza e successo caricate sulle spalle, alla metà degli anni 70, il peso schiacciante del risanamento e del recupero della non-città illegale cresciuta dal dopoguerra? Certo, qualcosa di più e di meglio era lecito aspettarselo. Ma il valzer impazzito degli assessori al Bilancio avvicendatisi in Comune e, in parallelo, quello degli amministratori di grandi aziende pubbliche, inseguiti da inchieste giudiziarie, il clientelismo diffuso avevano fatto presto capire che quella salita al Campidoglio era una destra senza idee e senza classe dirigente. Come l’altra che con Renata Polverini alla Regione stava producendo un guasto drammatico. Con un «oscuramento» della cultura in quasi tutti i campi. A cominciare dalla cultura della
tutela di beni che, anzitutto a Roma, se restaurati e promossi, possono produrre un indotto turistico qualificato di grande valore. La Capitale, invece, è stata abbandonata all’involgarimento «bottegaro», alla sottocultura degradante del mordi-e-fuggi, esemplificata dai furgoni di surgelati precucinati che intasano il centro storico e dai camerieri che invitano in modo insistente, a volte petulante, i turisti a sedersi. Con la cosiddetta «movida» che si faceva sempre più rumorosa (e violenta) in pochi punti centrali, mentre semi-periferie e periferie rimanevano deserte ed esposte ad ogni pericolo. Come le statistiche criminali comprovano. Alemanno ne ha dato la colpa all’insinuarsi, al radicarsi dentro Roma della criminalità organizzata. Come se questo fenomeno fosse recente. In realtà esso ha trovato varchi spalancati coi tagli che i governi Berlusconi-Tremonti hanno inferto alla rete di sicurezza, alle volanti, ai presidii di polizia. Tagli dissennati ai quali la sua amministrazione non sapeva opporsi in alcun modo. Lo stato di semi-abbandono dei parchi urbani ed extraurbani, alla testa dei quali la destra aveva nominato persone sconosciute, prive di competenza specifica, confermava l’arretramento generale di Roma.

In questa tornata politico-amministrativa il Pd è riuscito a dimostrare di essere la sola forza politica organizzata alla quale guardare con realistica fiducia. Pur nel turbinio incessante di dichiarazioni provocate dall’idea fissa che «chi non dichiara, è perduto». Ignazio Marino, sostenuto dal neo-segretario Guglielmo Epifani, è partito bene, con un programma chiaro e definito, con posizioni di netta svolta rispetto all’andazzo della destra.

Se avrà una larga fiducia da parte dei romani e con lui l’avranno i candidati del centrosinistra andati in vantaggio ai ballottaggi nei Municipi, potrà (anzi, dovrà) schierare persone oneste, competenti, preparate negli assessorati di Roma Capitale e nelle sue aziende di servizi, e con esse concorrere – in uno con Nicola Zingaretti già positivamente all’opera in Regione – al rilancio di una Capitale del buongoverno, moderna, colta, efficiente, di cui il Paese ha urgente bisogno. Per uscire dalla depressione, dall’apatia, dalla sfiducia in cui l’ultimo ventennio e la crisi in atto lo hanno gettato.

L’Unità 08.06.13