Latest Posts

"Cala la spesa per gli insegnanti: meno il 2%", di P.A. da La Tecnica della Scuola

Il costo dei dipendenti pubblici cala in media del 2,21% rispetto al 2012, con un alleggerimento di quasi il 2% delle retribuzioni degli insegnanti e del personale del ministero dell’Istruzione. Il costo medio previsto per questo personale è il più basso di tutto il comparto ministeri.
Il calcolo la mette in linea il Sole 24 Ore, secondo il quale la motivazione è semplice, almeno secondo i tecnici della Ragioneria generale dello Stato: «Le amministrazioni centrali dello Stato hanno processi di erogazione e produzione dei servizi basati prevalentemente sul lavoro umano, con limitate eccezioni», si legge nel budget statale per il periodo 2013-2015.
Nel complesso i costi di funzionamento dei ministeri e delle strutture periferiche scendono dagli 87.455.456.000 indicati dal “budget rivisto” del 2012 a 84.821.068.000 previsti per il 2013, 84.541.050.000 per il 2014 e 83.941.516.000 per il 2015.
Le misure adottate negli ultimi anni, spiega il giornale della Confindustria, a cominciare dal blocco del turn over e dalle limitazioni degli incrementi retributivi, hanno prodotto, si legge nel budget dello Stato, «una contenuta, ma significativa contrazione del costo del personale tra le previsioni 2013 e 2012». Una riduzione del 2,21% pari, in valore assoluto, a 1.689.941.000 di euro, alla quale «contribuiscono, in modo determinante – sottolinea la Ragioneria generale – i costi per le retribuzioni che presentano una contrazione del 2,13% pari a 1.590.181.000 di euro».
In modo particolare un alleggerimento sulle retribuzioni degli statali «è attribuibile prevalentemente al Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, che pur presentando una riduzione poco significativa a livello di amministrazione (1,92%), riconducibile ad una diminuzione degli Anni persona, incide significativamente sul totale costi delle Amministrazioni centrali». Proprio sul versante delle retribuzione emerge che per quest’anno il costo medio previsto per il personale del ministero dell’Istruzione è il più basso di tutto il comparto ministeri: 39.436, contro il 43.533 del personale del ministero del Lavoro, i 48.296 di quello del ministero delle Politiche agricole o i 57.799 euro del ministero della Salute, che guida la classifica.

La Tecnica della Scuola 08.06.13

"Le parole che Beppe dovrebbe conoscere", di Claudio Tito

«Il popolo italiano — nella sua parte migliore — si è dato un governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento ». Molto probabilmente Beppe Grillo non ha mai letto queste parole. Si tratta di Benito Mussolini in un famoso discorso pronunciato nel 1922. Ovviamente il paragone tra il capo del Movimento 5Stelle e il dittatore fascista è soprattutto un paradosso. E del resto nelle parole scriteriate dell’ex comico c’è un inconsapevole paradosso che impedisce un confronto autentico con un precedente tanto inquietante.
Eppure quando un leader politico – e Grillo è un leader politico – si esprime in pubblico o in piazza, come è quella virtuale del suo blog, non può fare a meno di soppesare bene le parole che sta usando. La politica non è il palcoscenico in cui si recita una gag. Aver raccolto tanti voti alle ultime elezioni politiche impone delle responsabilità che sono superiori a quelle che si assumono quando si recita una parte. Paragonare le Camere ad una tomba, invocare la chiusura del Parlamento, ossia il simbolo e l’espressione più alta di ogni democrazia, significa insultare in primo luogo tutte le moderne conquiste di libertà.
Il portavoce del Movimento 5Stelle, invece, si sente alleggerito da ogni scrupolosità, autorizzato a violare le norme minime del rispetto democratico. Sembra quasi che non si renda conto di quello che sta dicendo. È come se andasse alla continua ricerca della battuta e dello stupore altrui anche a costo di dire delle incredibili baggianate.
In questo modo, però, Grillo appare sempre più allergico al confronto. I suoi obiettivi, anzi, prescindono dal dialogo con chiunque non la pensi a suo modo. Ignora il dissenso all’interno del suo Movimento, minaccia espulsioni, addita al pubblico ludibrio chi prova a contraddirlo. Metodi che fanno tornare alla memoria episodi drammatici. Del resto ogni qual volta, qualcuno tenta di prendere le distanze, ecco che parte il suo ukase. Lo ha fatto – in modo davvero contraddittorio – anche di recente rinnegando i suoi due candidati al Quirinale. Stefano Rodotà e Milena Gabanelli sono stati prima promossi come competitor “anti-partiti” per la corsa al Colle. Poi, non appena hanno mostrato la loro autonomia intellettuale, sono stati brutalmente scaricati. Il leader del M5S non sopporta dunque alcun tipo di divergenza. E quel che sta avvenendo nei suoi gruppi parlamentari ne sono la dimostrazione. Nel giro di tre mesi, le assemblee dei grillini si sono trasformate in una vuota e burocratica adunata in cui non si decide assolutamente niente. Tutto avviene negli uffici milanesi di Casaleggio. Senza alcun preavviso lo staff ha deciso pochi giorni fa che gli aborriti talk show sono diventati improvvisamente frequentabili. Dovevano essere i gruppi parlamentari – avevano promesso – a valutare la svolta e le modalità di partecipazione. Invece Grillo e Casaleggio hanno convocato a Milano una dozzina
di senatori e deputati e hanno fatto tutto.
È chiaro che in un contesto del genere viene facile dire che il Parlamento è la «tomba della Prima Repubblica ». Forse l’ex comico non sa nemmeno che un giudizio analogo – sebbene molto meno violento e molto meno eversivo – lo emise qualche tempo fa il suo acerrimo nemico, Silvio Berlusconi, che voleva far partecipare al voto d’aula solo i capigruppo per snellire le procedure.
La lezione che gli italiani gli hanno impartito alle ultime amministrative – quelle in cui a suo giudizio hanno votato soprattutto i cittadini di serie B – evidentemente non ha lasciato alcun segno. Ha dimezzato nel giro di due mesi i voti raccolti a febbraio. Aver messo nel surgelatore della politica il 25% per cento di elettori non ha funzionato. Così come non può funzionare l’idea che siccome in Parlamento non riesce a vincere, allora meglio chiuderlo. Come quei bambini che quando perdono a calcio, si portano via il pallone. Magari dovrebbe andarsi a rileggere Voltaire («Non sono d’accordo con te ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee») o magari, come terribile memento, il discorso letto dal Duce proprio alla Camera nel 1922: «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangarlo e costituire un governo di soli fascisti». Quando si parla di Parlamento, dunque, è bene fare un uso prudente dei paradossi.

La Repubblica 08.06.13

"Privacy o sicurezza la scelta di Barack", di Vittorio Zucconi

Certa come le tasse e la morte ecco arrivare la immancabile «delusione» dei progressisti nei confronti del campione che tradisce le illusioni e perde, come Barack Obama, «credibilità». La scoperta che anche il Presidente insediato cinque anni or sono nel segno del cambiamento ha continuato a usare il greve martello delle intercettazioni e dei controlli telefonici nel nome della «sicurezza nazionale» ha sconvolto il New York Times, l’Unione dei difensori delle libertà costituzionali Aclu, il Washington Post, i pochi parlamentari liberal e molti dei suoi fan oltre oceano.
Non siamo certamente tornati agli anni nei quali Richard Nixon usava la Cia e l’agenzia delle tasse, l’Irs, per cercare di intimidire e tacitare i propri avversari in politica e nei media compresi nella «black list». Ed è stato lo stesso Obama, sotto l’attacco dei giornalisti, a cercare ieri di giustificarsi: “Non si può avere il 100 per cento di privacy e il 100 per cento di sicurezza”. Ma la rivelazione della massiccia mietitura di numeri telefonici e di tabulati fatta attraverso le società di telefonia sembra contraddire sfacciatamente l’immagine di un uomo che era profeta di un nuovo modo di governare. E che è addirittura un professore costituzionalista e dunque dovrebbe conoscere bene il divieto contro le «irragionevoli » violazioni della privacy. Invece l’amministrazione Obama, della quale sono parte e braccia agenzie come la onnisciente National Security Agency, il grande orecchio che tutto ascolta e ovunque origlia, ha continuato nel solco scavato dopo l’11 settembre dal «Patriot Act», quella legge varata da George Bush e approvata nel panico, che ha ampliato a dismisura i poteri discrezionali del governo. Il New York Times, che pure di Obama è sempre stato un supporter, aveva proclamato la «perdita di credibilità» del Presidente, forse la sentenza politica e morale più grave fuori dalle questioni giudiziaria, prima di moderare la mazzata, aggiungendo «in questa materia», cioè su questioni di controlli sui cittadini.
Ma la delusione, pur amarissima, è figlia di un equivoco e dunque di un’illusione. Senza un’abrogazione del «Patriot Act», della legge che sotto l’etichetta retorica del patriottismo (l’ultimo rifugio del mascalzoni,
come ammoniva Samuel Johnson) e dei successivi inasprimenti introdotti nel 2005, sono rimasti nelle mani del potere esecutivo e delle sue braccia, poteri immensi e di fatto incontrollati di controllo, di sorveglianza, di intrusione.
Già il procuratore di New York Elliot Spitzer aveva avvertito che tutto quello che noi facciamo in Rete può essere, e sarà, «letto» dal Grande Fratello. Avvertimento che lui stesso ignorò organizzando incontri con escort attraverso sms ed email.
La colpa di Obama, che oggi turba il progressismo americano deluso, è quella di essere caduto nella tentazione alla quale nessun governo sa resistere, ed è quella di usare gli attrezzi che ha a disposizione. La legge consente mietiture di tabulati telefonici con la semplice autorizzazione di un tribunale «con il timbro di gomma», come si dice degli organismi senza autonomia o autorità, chiamato Fisa, che vidima nel 99 per cento dei casi le richieste del governo.
Mentre, per accrescere il discredito e il sarcasmo acre, la Casa Bianca spiega di avere soltanto raccolto numeri, e non nomi. Come se fosse un gran problema risalire, per le compagnie telefoniche e la Nsa, dal numero al nome.
Non dovendo più affrontare elezioni, Barack Obama può anche guardare con distacco a questo tornado contro la propria credibilità scatenato in una base democratica già molto perplessa. Alle parlamentari di mezzo mandato manca ancora un anno e mezzo, dunque anche il danno per il Partito Democratico potrà essere contenuto. E sarebbe comunque difficile per i Repubblicani, sostenitori accaniti delle leggi draconiane post 9/11 rimproverare a lui di avere fatto quello che George Bush fece puntualmente per quasi otto anni.
La vera delusione è la scoperta che personalità politiche diverse tendono a comportarsi allo stesso modo se messi nelle stesse circostanze. Che il «noi siamo diversi » mostra ben poca diversità quando il potere si trova ad affrontare problemi identici. Obama non ha lanciato invasioni, ma ha utilizzato i «droni», gli aerei senza pilota con un trasporto e un’abbondanza senza precedenti: li ha, dunque li adopera. Ha sfruttato le enormi smagliature costituzionali aperte dalle leggi sfornate nell’angoscia del 9/11, come ha fatto il predecessore. Ha permesso che il fisco, l’Irs, andasse a frugare nello «status erariale» di avversari politici per scoprire se si fingessero «no profit» per godere di esenzioni ingiuste.
«Il primo dovere di un Presidente americano» aveva detto e ripetuto più volte Obama è quello di proteggere e garantire la sicurezza dei proprio cittadini e la parola «sicurezza» è il toboga sul quale molti, se non tutti, scivolano. Nella impossibilità di usare le forbicine per asportare le piante di gramigna che si nascondono nella prateria nazionale, le autorità impugnano le falci che il Parlamento ha messo nelle loro mani e cercano di mietere fascine. Barack Obama, autorizzando o fingendo di non vedere quello che la Nsa con l’operazione «Prisma» (erede della altrettanto famigerata «Echelon») faceva per combattere il rischio del terrorismo, non ha fatto nulla di straordinario.
E per questo ha rinunciato alla propria aureola di eccezionalità.

La Repubblica 08.06.13

Scuola, Ghizzoni “Si discute della modifica della manovra Fornero”

“Avevamo più volte chiesto risposte al precedente Governo per docenti e personale Ata”. Si riapre la questione della cosiddetta “Quota 96” relativa al pensionamento nel mondo della scuola dopo la riforma Fornero. La prossima settimana, infatti, la Commissione Lavoro della Camera comincia l’esame della proposta di legge, a prima firma della parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera, che chiede la modifica dell’ultima manovra pensionistica in quanto non tiene conto delle specificità del mondo della scuola. “Tra l’altro – conferma Ghizzoni – i giudici hanno già più volte dato ragione ai lavoratori che hanno fatto ricorso. La politica non può tardare ancora a correggere un errore ormai acclarato”.

“L’Ufficio di Presidenza della Commissione Lavoro della Camera ha posto all’ordine del giorno dei lavori della prossima settima la nostra proposta di legge n. 249 che modifica la manovra Fornero in merito ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico per il personale della scuola: avevamo chiesto la modifica già nella scorsa legislatura ma il governo non ha dato risposte”. Lo rende noto la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera. “La manovra Fornero – spiega Manuela Ghizzoni – non ha tenuto conto del fatto che i lavoratori della scuola possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1° settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica. Per tener conto di questa specificità – sempre rispettata in tutte le normative in materia pensionistica antecedenti la manovra – la nostra proposta di legge prevede che i requisiti per il pensionamento, previsti dalla normativa antecedente alla manovra Fornero, continuino ad applicarsi ai lavoratori della scuola che abbiano maturato gli stessi requisiti entro l’anno scolastico 2011/2012. La platea dei beneficiari – continua Ghizzoni – non supera le 3000 unità tra docenti e personale ATA. Tra loro, diversi hanno intrapreso vie legali ottenendo provvedimenti giurisdizionali favorevoli: la politica non può più ritardare la correzione di un errore già acclarato dai giudici. L’approvazione della norma, oltre a garantire il rispetto della specificità della condizione del personale della scuola e, conseguentemente, l’eguaglianza di trattamento tra tutti i lavoratori in relazione ai requisiti per il pensionamento, consentirà di incrementare le immissioni di docenti giovani all’interno della scuola, riducendo il precariato e contrastando un’anomalia propria dell’Italia che è il Paese europeo nel quale esiste la percentuale più alta di insegnanti di oltre cinquanta anni di età e quella più bassa al di sotto dei trenta”.

"Piano giovani da 4,5 miliardi tra sconti, tirocini e formazione", di Roberto Petrini

Le parole-chiave sono «accelerazione e riprogrammazione». Il linguaggio è complicato e le procedure note solo a pochi iniziati, in serrato dialogo tra Roma e Bruxelles dove ai dossier presiede il commissario alle Politiche regionali, Johannes Hahn. Ma stavolta sulla partita dei «fondi strutturali europei» c’è uno spiraglio di concretezza: l’obiettivo è quello di destinare buona parte delle risorse assegnate all’Italia per mettere in piedi un piano-occupazione di 4,5 miliardi in tre anni, di cui 1,5 fin dal 2013. La partita sarà giocata dal presidente del Consiglio Enrico Letta in prima battuta nel vertice dei ministri Lavoro ed economia convocato a Roma la prossima settimana, il 14 giugno e, un mese dopo, il 15 luglio, in occasione del Consiglio europeo. Il target è preciso: convincere l’Europa a cambiare la «destinazione d’uso» di molti nostri progetti e indirizzarli tutti a favore dell’occupazione.
Sul tavolo ci sono i celebri fondi strutturali europei, venduti e rivenduti dai governi che si sono succeduti, ma da sempre incagliati nella incapacità delle Regioni di fare progetti e di spendere effettivamente risorse sulla carta a portata di mano. I fondi che provengono dal bilancio europeo e che per essere spesi devono essere integrati (ovvero cofinanziati) da una pari somma stanziata dall’Italia, sono spesso destinati alla realizzazione di una miriade di opere, frammentate, poco efficaci e senza un disegno comune: basti pensare che tra il 2007 e il 2013 sono stati allestiti, almeno sulla carta ben 600 mila progetti. Tuttavia di soldi veri e di opere realizzate ce ne sono state poche: il 31 maggio scorso c’è stata una prima verifica dei target di spesa presso il ministero della Coesione territoriale e ci si è accorti che stentiamo a raggiungere quota 40 per cento. Inoltre i progetti spesso sono spesso bizzarri: aiuole, piccoli monumenti, corsi di formazione per barbieri, iniziative turistiche sporadiche, sagre, feste di piazza.
Ora si cambia: il presidente del Consiglio Enrico Letta sembra intenzionato a chiedere al prossimo Consiglio Europeo del 15 luglio una accelerazione e riprogrammazione dei 30,2 miliardi a disposizione dell’Italia fino al 31 dicembre del 2015, già cofinanziati nel bilancio dello Stato, ma sostanzialmente bloccati per carenza di decisione politica e immobilismo. Si tratta di circa 10,5 miliardi entro fine anno e di altri dieci per ciascuno dei due anni successivi. Obiettivo: spazzare via i microprogetti e puntare tutto il fuoco sull’emergenzalavoro. Si tratta di riprogrammare, cioè
di cambiare destinazione ai fondi, una operazione che potrà essere fatta solo con il via libera della Ue che ci dovrà consentire di cambiare la natura dei progetti già approvati nell’ambito dei due fondi europei-chiave: il Fondo sociale europeo e il Fondo di sviluppo regionale. Si tenterà di dirottare verso l’emergenza- occupazione almeno il 15 per cento di queste risorse, in pratica 4,5 miliardi in più per il lavoro. Non è poco, se si pensa infatti che introdurre la decontribuzione di 10 mila euro per chi assume un giovane disoccupato, comporterebbe l’impiego di 1 miliardo di fondi europei, e potrebbe attivare circa 100 mila posti di lavoro.
I margini operativi ci sono. Le caratteristiche dei progetti di cui Bruxelles accetta il finanziamento sono efficaci in termini di occupazione: si possono finanziare le decontribuzioni per assunzioni; la riforma dei centri per l’impiego; la formazione dei giovani artigiani (in aziende sopra i 9 dipendenti che per ora non hanno risorse); lo start up delle imprese innovative; le ore di formazione per gli apprendisti; stage e tirocini; incentivi alle imprese per le innovazioni di prodotto. Il tutto senza appesantire il deficit, problema sempre in agguato.

La Repubblica 07.06.13

"Carrozza: i fondi assegnati oggi alle scuole sono del tutto "simbolici"", di R.P. da La Tecnica della Scuola

Il sistema paritario – ha detto il Ministro nel corso dell’audizione parlamentare – svolge un servizio per il 12% della popolazione studentesca e cosa allo Stato una somma pari all’1,2% del budget totale. Come dire che c’è spazio per aumentare i finanziamenti alle scuole paritarie. Nel discorso svolto dal ministro Maria Chiara Carrozza di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato non mancano gli elementi che faranno discutere e che magari provocheranno anche qualche polemica.
L’accenno alle norme sulle scuole paritarie non piacerà a quanti hanno sostenuto il referendum bolognese.
Una soluzione equilibrata dei problemi di gestione e organizzazione del nostro sistema scolastico va ricercata, secondo il Ministro, “nella individuazione di specifiche e idonee forme di cooperazione, collaborazione e coordinamento tra apparati statali e regionali, che insieme si rapportano al sistema delle scuole autonome e delle scuole paritarie”.
“Infatti – ha aggiunto Carrozza – come stabilito dalla legge 62 del 2000 il sistema pubblico di istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie. L’intero finanziamento verso le 13.657 scuole paritarie italiane consiste di 500 mln di euro circa, pari all’1,2% della spesa relativa alle scuole statali, a fronte di una platea di 1.042.000 alunni che rappresenta il 12% della popolazione scolastica”.
“Occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro sistema di istruzione – ha concluso il Ministro -attraverso misure volte a tutelare la qualità e l’inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie”.
Il ragionamento è fin troppo esplicito: il sistema paritario “serve” una platea di alunni e studenti pari al 12% dell’intera popolazione scolastica ma costa allo Stato solo l’1,2% dell’intero budget. Come dire che c’è ancora spazio per aumentare i finanziamenti alle scuole paritarie.
Un altro accenno interessante è quello relativo ai fondi per il funzionamento amministrativo e didattico delle scuole, oggi fermo sulla cifra di 8 euro per alunno, somma che il Ministro stesso ha definito del tutto “simbolica”.
Curiosamente Maria Chiara Carrozza ha anzi ammesso che dal 2004 in poi i finanziamenti sono progressivamente calati fino ad essere pressoché azzerati nel 2009. Il dato fornito dal Ministro è assolutamente esatto, peccato che finora nessun politico di centro-sinistra abbia mai avuto il coraggio di ammettere che il calo delle risorse c’è stato anche nel biennio 2006/2008 quando a viale Trastevere sedevano Giuseppe Fioroni e Mariangela Bastico.
E, ha aggiunto Carrozza, nel prossimo triennio bisogna aumentare lo stanziamento fino ad arrivare ad almeno 25 euro ad alunno. Intento molto nobile e condivisibile anche se forse il Ministro dovrebbe sapere che i tagli sulle spese ordinarie delle scuole sono stati l’effetto della clausola di salvaguardia che da alcuni anni incombe non solo sulla scuola ma su tutte le Pubbliche amministrazioni che non riescono a raggiungere gli obiettivi di riduzione della spesa strutturale (quella per intenderci legata al personale).

La Tecnica della Scuola 07.06.13

"Programma della Carrozza, i sindacati apprezzano ma chiedono risorse", di Alessandro Giuliani

Di Menna (Uil): progetto ambizioso, ora niente colpi di mano sul contratto. Scrima (Cisl): discorso credibile, preludio al confronto sui grandi temi innovazione, qualità, merito. Pantaleo (Flc-Cgil): condividiamo l’impegno su precari, edilizia, organici, mancano certezze sui finanziamenti. Pacifico (Anief): le assunzioni da fare sono 130mila, non 44mila, e il mutamento della carriera può passare solo se si sbloccano gli scatti e si adegua lo stipendio all’area Ocde.
Ha destato interesse e diverse reazioni la lunga esternazione del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, tenuta il 6 giugno nel corso dell’audizione in commissioni Istruzioni e Cultura in occasione della presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero. Carrozza ha affrontato argomenti a tutto campo: turn over, precariato, progressioni di carriera, edilizia, l’immancabile edilizia scolastica ed anche qualche accenno alla semplificazione normativa.
Alcune delle esternazioni della Carrozza, bisogna dirlo, hanno sorpreso in positivo. Come l’entità delle assunzioni, che seppure in numero sempre ridotto rappresentano un passaggio indispensabile verso la stabilizzazione dei precari e il proseguimento del turn over fisiologico.
Alcune aperture non sono sfuggite ai sindacati. Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola, parla di “un progetto ambizioso”, ma chiede anche di “non partire col piede sbagliato bloccando contratto e retribuzioni”.
Anche per Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola, quello di Carrozza è “un discorso credibile, su cui si può aprire senz’altro una proficua stagione di confronto attivo coinvolgimento sui grandi temi dell’innovazione, della qualità, del merito”. Come, sempre per il leader della Cisl, sono “molto importanti i segnali dati sul versante del contrasto alla precarietà, con la proposta di un nuovo piano triennale di assunzioni, l’obiettivo di un organico funzionale e la proposta di consolidamento dei posti di sostegno in organico di diritto, così come l’impegno a ricercare soluzioni al problema dei docenti inidonei e dei pensionamenti negati”.
Scrima si dice soddisfatto, inoltre, per l’intenzione di avviare un “‘tempo scuola’ più ricco” e di valorizzare il “ruolo da assegnare al sistema di valutazione, strumento indispensabile per la crescita di qualità ed efficacia del sistema”, sempre a patto che rimanga “fuori da ossessioni premial-punitive”.
Decisamente più moderato è il giudizio di Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil, che ha trovato alcuni passaggi dell’audizione “apprezzabili e condivisibili a partire dall’impegno sul personale precario, edilizia scolastica, stabilizzazione degli organici, Anvur e governance di enti di ricerca e università, quando le stesse si concretizzeranno in un cronogramma che tenga insieme priorità, obiettivi e risorse”. Pantaleo ritiene, tuttavia, che Carrozza sarebbe dovuta partire da una “lettura critica delle politiche che hanno devastato scuola, università, ricerca e afam con i tagli epocali e il tentativo di andare verso una privatizzazione dei saperi”. Il sindacalista Flc-Cgil individua, inoltre, nelle “risorse il punto debole degli obiettivi programmatici esposti dalla Ministra: (…). Serve perciò avere certezze di finanziamenti, a partire da quelli che servono per rinnovare i contratti nazionali di lavoro del personale della scuola, università, ricerca, Afam bloccati dai precedenti governi”. Anche perché Pantaleo annuncia che il sindacato “si opporrà a qualunque intervento su orari e carriere del personale docente che avvenga fuori dal contratto nazionale e senza risorse aggiuntive a ciò destinate”.
L’audizione della Carrozza è stata commentata con parziale apprezzamento dal presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, secondo cui “l’annuncio fatto oggi in Parlamento va apprezzato, però il numero di immissioni in ruolo che andrebbero attuate entro il 2017 sono 130mila e non 44mila. Via libera dal sindacato anche al progetto di revisione della carriera degli insegnanti, a patto che sblocchi gli scatti e adegui lo stipendio a quelli dell’area Ocde” e “alla realizzazione di nuovi testi unici per superare l’attuale giungla normativa attualmente esistente”.

La Tecnica della Scuola 07.06.13