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"Sindacati a Giovannini: no a più precarietà", di Bianca Di Giovanni

L’ora X è oggi alle 16. A quell’ora i sindacati varcheranno la soglia del ministero del Lavoro per conoscere in dettaglio il piano Giovannini, dopo settimane di annunci e indiscrezioni di stampa ancora troppo vaghe. La lista sul tavolo è lunga, vista l’emergenza occupazione che il Paese attraversa. Ma su un punto si concentrerà l’attenzione dei tre segretari confederali: quell’ipotesi di revisione della riforma Fornero su cui per ora si è capito molto poco. Il timore, neanche troppo nascosto, è che si voglia tornare alle forme più precarizzanti dei contratti, visto anche il pressing che stanno facendo i datori di lavoro, da Confindustria all’Abi. «Se si vuole limare qualcosa sull’apprendistato, o si vuole esercitare una sorta di moral suasion perché i diversi contratti di categoria accorcino le soste tra un contratto a termine e l’altro, va bene – dichiara Guglielmo Loy, segretario Uil – Ma se si pensa di depotenziare le misure su partite Iva, sul lavoro accessorio e altre forme atipiche, noi non ci stiamo». CONVERGENZA DELLE IMPRESE Su questo i sindacati marciano compatti, così come hanno ritrovato l’unità sulla legge per la rappresentanza, su cui si sono segnalate convergenze anche della Confindustria. Il governo parte dai primi fatti messi in campo con l’ultimo decreto: il rifinanziamento per un miliardo della cig in deroga e la proroga dei contratti a termine della Pa. Ma i sindacati hanno già fatto sapere che quel miliardo non basta. Il ministro Giovannini si è impegnato a ridefinire il perimetro della cig in deroga entro un mese. Si pensa a eliminare l’erogazione per dipendenti di imprese fallite. Anche su questo punto, tuttavia, i rappresentanti dei lavoratori avanzano dubbi, visti i costi sociali che l’operazione potrebbe comportare in un periodo di recessione come questo. Si potrebbe pensare, comunque, a criteri più uniformi tra le diverse Regioni rispetto alla giungla di oggi. Per il premier Enrico letta al primo posto c’è l’occupazione giovanile. Ha già dichiarato che chiederà a Bruxelles l’anticipo del piano «Youth guarantee», cioè garanzia per i giovani, che dovrebbe partire l’anno prossimo. Ma questo capitolo per l’Italia vale solo qualche milione, una goccia in un oceano di giovani senza lavoro che l’esecutivo punta a ridurre, offrendo una chance a circa 100mila under 24. Letta vuole di più, e conta di avere validi alleati, come Francois Hollande e Mariano Rajoy, al vertice di giugno. Già oggi, tuttavia, il premier potrebbe anticipare il tema al consiglio europeo dedicato alle frodi fiscali e all’energia. Giovannini ha già cominciato a lavorare a una riforma complessiva degli ammortizzatori, che dovrebbe essere più orientata verso i giovani, ma ha anche promesso ai sindacati di chiudere entro l’estate la «questione esodati». Non sarà facile, tuttavia, trovare una soluzione che i sindacati possono accettare. Per Cgil, Cisl e Uil alla platea già salvaguardata (130mila) si dovranno aggiungere altre 80mila unità. Il ministero sarebbe orientato invece a fermarsi a 30-40mila in più, utilizzando misure mirate soprattutto in favore di chi è stato licenziato con accordi individuali e di chi aveva iniziato la contribuzione volontaria. A restringere il bacino dei potenziali esodati dovrebbero contribuire i correttivi alle pensioni in chiave flessibilità allo studio dell’esecutivo. In altre parole, si punta alla «forbice» in uscita da 62 anni a 67, con penalità in decalage fino all’azzeramento. Ma sarà difficile proporre questa strada anche agli esodati, che avevano optato per un trattamento diverso. Non a caso ieri la Uil ha alzato le barricate contro le penalizzazioni. «Prepensionamenti in cambio di tagli sull’assegno? – si è chiesto Luigi Angeletti – No, non ci sta bene. Andare in pensione con una penalizzazione che durerà in eterno è un’operazione assolutamente da evitare». Il piano di pensionamento flessibile si dovrebbe incrociare con la staffetta generazionale il mix «part-time lavoro» e «part-pensioni», con un allargamento della sperimentazione in corso, destinate ad entrare nel pacchetto occupazione per incrementare l’occupazione di over 50-55enni. Il meccanismo però non è a costo zero, e sulle risorse a disposizione è ancora nebbia fitta. Vero è che si attende l’uscita dalla procedura d’infrazione per ottenere maggiori margini sul bilancio. Ma sarà sicuramente più facile chiedere la cosiddetta «golden rule» (cioè l’esclusione di alcune spese dal computo del deficit) per gli investimenti, piuttosto che per le politiche di lavoro. Il governo Letta sembra aver rinunciato all’idea di decontribuzioni o defiscalizzazioni legate alle assunzioni: un meccanismo che non funzionerebbe in questa fase. Piuttosto si punta a politiche attive per il lavoro, con formazione e nuove agenzie per l’impiego.

L’Unità 22.05.13

"Il catalogo del male", di Michele Serra

Le molotov che brillano nel centro di Milano, in pieno giorno, hanno il riverbero remoto di antiche guerriglie urbane. Anche se mai in strade così prestigiose, via della Spiga, via Montenapoleone. Ma niente ricordano e niente sanno, di quelle fiammate, le giovani commesse dei negozi eleganti, e i giovani immigrati addetti alla sicurezza.
Difficile che nei rapinatori che quelle molotov hanno lanciato ci fosse qualche vaga malizia “politica”, quasi una citazione della violenza di strada per marcare il territorio; più probabile che sia stato solamente un inedito espediente tattico del sempre fervido ingegno criminale, confondere eventuali inseguitori, costringere i curiosi a starsene rintanati. Fatto sta che da ieri mattina Milano aggiunge un nuovo capitolo alla discussione, non sempre congrua ma sempre inevitabile, sull’ordine pubblico: la rapina con le molotov non ha il terribile impatto degli spari e del sangue, e tanto meno l’orribile ricaduta di morte del clandestino fuori di testa che mulina un piccone contro gli inermi, ma aggiunge una nuova paura, lugubremente spettacolare, al catalogo delle paure. Che nelle grandi città sono già tante.
Per evitare di ripetersi, chi scrive è andato a ritroso nel tempo, alla ricerca delle tante occasioni, nella sola Milano, in cui quel dibattito si è acceso. Recente (settembre scorso) l’esecuzione a freddo in corso Lodi di un piccolo spacciatore, davanti alla compagna e al figlio piccolo, “come a Scampia”, si disse e si scrisse. Ma è bene sapere – perché un dibattito già complicato non diventi anche stupido – che non è passato anno, da quando esistono gli archivi di cronaca nera, in cui un delitto orribile o una rapina sanguinaria non abbiano stretto il cuore della città, sollevato ira contro sindaci di qualunque colore, questori, prefetti, governi, scatenato speculazioni politiche quasi mai seguite, una volta sfumata l’emotività, da tangibili mutamenti politici. (Obbligatorie a questo proposito due citazioni, la rapina di via Osoppo e la fuga assassina della banda Cavallero, episodi efferati che oggi alzerebbero un polverone politico fitto, irrespirabile, isterico).
La sola certezza è che la crisi morde e tra i suoi effetti, ahimè ovvi, c’è un percepibile aumento dei reati detti “predatori”, cioè rapine, scippi, furti in appartamento. I reati nel loro complesso sono invece, non solo a Milano, in lenta e costante diminuzione: ma si capisce che la criminalità percepita, quella che fa sentire le persone insicure, che mozza il respiro e taglia le gambe, è quella predatoria, che mette a rischio, oltre al patrimonio, anche la sicurezza fisica, l’intimità domestica, insomma l’integrità della persona.
I sindaci – non solamente quello di Milano – sono in prima linea quando la gente, spaventata, si domanda “chi ci protegge”, e lamentano le poche divise visibili per le strade, la sensazione di essere inermi di fronte ai malandrini. E certo non basta, ai sindaci, citare Lucio Dalla, che raccontava di Roma, dunque della metropoli italiana per eccellenza, e suggeriva che se “ci sono anche i delinquenti, non bisogna aver paura, basta stare un poco attenti”. Non basta neppure dire che se è l’economia in apnea la causa principale dell’aumento di furti e rapine, le leve per agire sono tutte o quasi nelle mani del governo centrale. I sindaci sono inevitabilmente chiamati in causa e tirati per la giacca, quando la città si sente meno sicura. C’è chi lo fa con sgarbo o con calcolo, chi invece, e sono molti, perché ha paura e chiede più protezione e più giustizia (poche cose sono ingiuste come subire una rapina o uno scippo).
Pisapia ritiene che le politiche sociali e l’integrazione (con i pochi quattrini che rimangono nelle casse dei Comuni) siano, per la sicurezza, la politica migliore: meno ci si sente esclusi, meno si delinque. Più diritti portano a più doveri. Ma l’opposizione non è d’accordo, pretende più repressione, più polizia, qualcuno addirittura l’esercito con le sue camionette, chissà come sarebbero contenti gli orafi, gli stilisti, gli antiquari di Montenapo di avere una camionetta piena di militi davanti alle sue vetrine.
Cercando di mantenere fermo il punto di verità (dolorosa, ma verità) che nessuna politica, né di intolleranza né di tolleranza, né di destra né di sinistra, può levare il male e il crimine dalle nostre città e dalle nostre vite, va detto che non gli autoblindo, ma certamente quei vigili di quartiere dei quali in Italia si parla da generazioni, forse da secoli, senza mai vederne mezzo, potrebbero servire a qualcosa. A tranquillizzare, anche psicologicamente, a prevenire, ad avvertire in tempo di qualche emergenza (si pensi alle due ore di ritardo nel bloccare l’omicida col piccone).
Nel programma di Pisapia i vigili di quartiere c’erano. Erano una bella idea, meno originale delle altre, ma bella e molto civica, dunque in perfetta sintonia con lo spirito di cittadinanza che ha portato Pisapia a stravincere. I soldi sono pochi e si sa, ma se i vigili di quartiere non si possono avere perché costano troppo, è giusto che i milanesi vengano informati. Perché, oltre allo spirito civico, la giunta Pisapia si è fatta forza, insediandosi, anche del principio di trasparenza, di un rapporto diretto tra il Municipio e la strada. Quando la strada brucia, alza lo sguardo al Municipio, e aspetta che qualcuno si affacci.

La Repubblica 22.05.13

"Quota 96. Ghizzoni presenta alla Camera disegno di legge. Partiti tutti d'accordo. Che sia la volta buona?", da orizzontescuola.it

E’ stato presentato in data 15 marzo 2013, ma ancora da assegnare, il disegno di legge C. 249 che ha scopo di “Modifica all’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di requisiti di accesso al trattamento pensionistico per il personale della scuola”

Si tratta della cosiddetta “Quota 96”, quella categoria di lavoratori della scuola che, a seguito della riforma Fornero, non hanno potutto conseguire la pensione perché nella legge non è stato tenuto in alcun conto il fatto che nella scuola i lavoratori possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1 settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica.

L’avvio delle procedure ricorsuali, dopo le sentenze favorevoli di vari giudici del lavoro e d’appello al CdS, si sono arenate a seguito della bocciatura da parte della Corte dei Conti per la riapertura dei termini per il pensionamento, non esistendo, a detta dei giudici, i presupposti per la richiesta di sospensione cautelare dei provvedimenti in questione.

Adesso la parola ritorna alla politica, dopo diversi tentativi di inserimento di un emendamento in varie leggi durante la precedente legislatura, l’On Ghizzoni, impegnata nelle vicende di Quota 96 fin dagli esordi, ha presentato una disegno di legge per rivedere i requisiti di accesso della legge Fornero.

Nel frattempo, durante la campagna elettorale, i docenti di Quota 96 hanno incassato l’impegno trasversale delle forze politiche, dal Partito Democratico, al Popolo delle Libertà, fino al Movimento 5 stelle.

Domani, queste forze di Governo e d’opposizione saranno ad una tavola rotonda presso il Teatro dell’Angelo a Roma, sperando sia la volta buona per risolvere questa ingiustizia.

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“QUOTA 96”, INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DI SEL
di Pasquale Almirante

L’on Annalisa Pannarale di Sel ha depositato un’interrogazione urgente al Governo su Q 96. Solidarietà di Imposimato per la Tavola rotonda di domani, 22 maggio. Boccia (Pd):colmare in tempi brevi la lacuna su ‘quota 96’
In occasione della tavola rotonda di domani, 22 maggio, a Roma,(è disponibile la diretta Streaming) Quota 96 incassa un’interpellanza parlamentare dell’on. Annalisa Pannarale, deputata di Sel e segretaria della presidentessa della Camera dei deputati, Laura Boldrini. La Pannarale, nell’annunciare al personale della scuola la sua iniziativa, scrive pure: “L’interpellanza è più veloce del decreto e ha obiettivi diversi. Serve a preparare il parlamento all’eventuale approvazione del decreto predisposto dal governo. Avviene in commissione ed è più facilmente condivisibile nella preparazione della strada per l’approvazione del decreto stesso”.
Domani questa interpellanza al nuovo Governo di Enrico Letta (ricordiamo che nella scorsa legislatura ne furono presente altre sugli scranni della ministra Fornero e quindi senza successo) verrà letta e illustrata pubblicamente nel corso dei lavori della tavola rotonda, dove è prevista pure la presenza dell’on. Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.
E Boccia, in un messaggio inviato alla tavola rotonda sui pensionandi della scuola, organizzato dal comitato civico Quota 96, ha scritto: “Non appena in Commissione Bilancio arriverà il primo provvedimento in materia pensionistica sarà mia priorità raccordarmi con il presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, per proporre al governo una modifica che colmi, in tempi brevi, la grave lacuna sui cosiddetti ‘Quota 96’. Già nei mesi scorsi ho avuto modo di seguire, in prima persona, l’importante battaglia portata avanti dal comitato civico degli esodati della scuola e mi sento di esprimere, ancora una volta, una forte vicinanza a tutti i lavoratori che si sono dovuti scontrare con quel “mostro esodati” creato dalla recente riforma Fornero. Non è mancato provvedimento che avesse attinenza con il tema delle pensioni nel quale il Partito Democratico non abbia tentato, con emendamenti appositi, di porre rimedio a questo evidente errore. E oggi, anche alla luce del nuovo esecutivo appena insediato, voglio ribadire il mio impegno perché questa vicenda trovi, finalmente, la giusta soluzione”.
Contestualmente Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, scrive al Comitato “Quota 96”: “Posso e voglio rassicurarvi dicendovi che rimango sempre accanto a voi nelle vostre sacrosante rivendicazioni. La grave ingiustizia da voi sofferta, cari amici, offende tutti i cittadini che credono nella giustizia e nell’uguaglianza sociale. Sono pronto a firmare una petizione in parlamento in base all’ex art. 50, qualora ve ne fosse la necessità, ma auguro a tutti voi di risolvere quanto prima questa ingiustizia e che già stasera i politici ospiti alla vostra Tavola Rotonda possano darvi sicure rassicurazioni in merito passando dalle promesse ai fatti concreti”.
Come è possibile constare dunque, qualcosa si muove a favore di questi lavoratori ingiustamente penalizzati dalla nuova legge sulle pensioni, che inopinatamente ha stravolto i progetti di vita e le aspettative future di circa 3500 persone impegnate nella scuola e che contavano su una legge precisa dello Stato.
Di grande importanza risultano le parole dell’on. Boccia che non solo riconosce lo sbaglio grave nella Legge Fornero che riguarda le pensioni della scuola, ma anche la necessità di porvi al più presto rimedio, in sintonia col giudice Imposimato che da sempre è stato vicino, suggerendo, consigliando, incoraggiando della giustezza della lotta, il Comitato “Quota 96”. Vorremmo sperare che finalmente questa paradossale e assurda vicenda trovi il suo giusto e immediato epilogo.

Mafia, Pdl ritiri proposta indecente

“Il Pdl ritiri la proposta che dimezza le pene per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e varie altre cose irricevibili. E’ questione di decenza .La proposta del PDL nella realtà mira semplicemente a cancellare qualsiasi possibilità di scoprire chi aiuta la mafia dall’esterno: con pene così basse tutta una serie di atti investigativi, prima di tutto le intercettazioni, non sarebbero piú realizzabili”. Così Laura Garavini, deputata PD.

“Tra il tentativo di ieri di riproporre il condono edilizio e il testo presentato oggi in commissione Giustizia sul dimezzamento della pena per concorso esterno in associazione mafiosa, non mi pare che il Pdl abbia iniziato con il piede giusto”. Lo dice Nicola Latorre, senatore del Partito Democratico e presidente della commissione Difesa.

“La sensazione è che si vogliano mettere in campo temi su cui è nota la profonda divisione politica tra noi e il Pdl – csostiene Latorre – probabilmente per creare problemi alla maggioranza. Mi auguro che questo sospetto sia infondato. La riforma della giustizia, di cui il nostro Paese necessita da tempo, non è nel programma di governo e comunque non può essere affrontata utilizzando iniziative propagandistiche.

Le nostre prioritá – conclude Latorre – restano il lavoro, le urgenti misure economiche e le riforme costituzionali. Ogni altro tentativo di proporre testi su cui non c’è alcun accordo di maggioranza è soltanto un modo per perdere tempo e per creare turbolenze all’interno del governo”.

“Il Pdl deve immediatamente ritirare la proposta dal parlamentare di Gal, Luigi Compagna che vede relatore il senatore Giacomo Caliendo del Pdl. Si tratta di una iniziativa inaccettabile che priverebbe gli investigatori degli strumenti per accertare quanti fiancheggiano l’attività mafiosa, depotenziando l’azione di contrasto della magistratura. Inoltre la previsione di pene così basse renderebbe inutile la lotta contro il potere mafioso e le sue ramificazioni nella società. Appoggiare una simile proposta significa rendersi complici dell’attività malavitosa prospettando l’esistenza di un vero e proprio partito del malaffare”.

www.partitodemocratico.it

"Il vizietto della destra", di Vittorio Emiliani

Nei raduni fascisti, quando il gerarca di turno voleva un po’ scaldare l’ambiente, alludeva a Lui e subito si alzava un grido solo «Duce! Duce!». E una selva di braccia irrigidite nel saluto romano.
Lo stesso deve succedere al Pdl con la «magica» parola «condono». Purché ci sia qualcosa da condonare (in campo edilizio, ambientale, fiscale), subito scatta, come per Lui, il «Sì» berlusconiano. Giorni fa aveva lanciato in proposito un «ballon d’essai» il neo-ministro della commissione Giustizia (ma quale giustizia?), eletto senza i voti del Pd, Francesco Nitto Palma. Adesso ci riprova per iscritto, senza arrossire, il senatore Domenico Del Siano, il quale, propone di attaccare un emendamento al decreto sulle emergenze per il terremoto dell’Emilia e di Rovigo del maggio 2012. Si riaprirebbe così, fino alla fine di quest’anno, i termini del condono edilizio 2003, concedendolo a quanti all’epoca non l’avevano ottenuto… Un condono di dieci anni fa, vi rendete conto?
È davvero bieco giustificare una simile porcheria col pretesto di passare poi i proventi (sempre ipotetici, oltre tutto) ai terremotati della Bassa padana. Forma di solidarietà decisamente «pelosa». Lo sottolinea con forza per il Pd, il vice-presidente della commissione Llpp, Stefano Esposito, il quale conferma che il suo partito «si è sempre opposto al condono e continuerà a farlo». Del resto, che volete, uno dei cardini della «filosofia» politica del Cavaliere – purtroppo di grande successo fra gli italiani e le italiane – è stato «Ciascuno è padrone a casa sua». Intendendo per «casa sua» un qualche lembo di proprietà, un’area, un fazzoletto di terra, non importa se inedificabili, non importa se franosi, non importa se vincolati per ragioni idrogeologiche o perché inseriti in zona paesaggistica o archeologica. Così il Cavaliere si è reso protagonista di una bella serie di condoni, di ogni tipo purché «tombali», alla faccia dell’interesse generale sancito dalla Costituzione repubblicana (per lui, almeno giacobina, se non «sovietica») e in omaggio, per contro, a milioni di interessi personali, famigliari, di clan, ecc.

Del resto il senatore proponente è nato a Ischia, isola bellissima, sfigurata dagli abusi, periodicamente colpita da frane e da smottamenti provocati proprio dall’incredibile numero di case costruite laddove era rigorosamente proibito. Numerose sono state nell’isola le vittime di questi eventi causati non dalla natura bensì dall’uomo, dalla sua avventatezza, in- cultura, spregio delle leggi. Secondo il leader verde Angelo Bonelli la sanatoria «che ossessiona il Pdl costerebbe alla collettività più di 18 miliardi di euro per le opere di urbanizzazione secondarie (strade, fogne, acquedotti, ecc.), ossia 4-5 volte di più di quanto porterebbe nelle casse dello Stato».

Non sono passate 24 ore da quando il vice-presidente e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dichiarato che vanno al governo sottoposti soltanto «provvedimenti condivisi» onde non mettere in crisi una unione che non è certamente basata «sull’amore». La semplice aspettativa di una riapertura della sanatoria riaccende una nuova corsa all’abuso edilizio (ormai speculativo, collegato al racket, e non più «di necessità») in attesa di un nuovo condono, e via di questo passo. Nell’ultimo decennio – quello che ci separa dal condono tombale del 2003 – sono stati costruiti oltre 30 mila immobili abusivi all’anno, concorrendo così ad aggravare lo spappolamento del territorio al quale assistiamo ad ogni pioggia appena più forte e insistente. In Italia sono in atto 500 mila e più frane, aggravate dal fatto di essere Paese mediamente o altamente sismico quasi ovunque (la sola Sardegna ne è esclusa), con 172.359 vittime per frane, alluvioni e terremoti negli ultimi cento anni. Soltanto per le frane (che l’edilizia abusiva potenzia) si verificano 43 vittime all’anno. Con le alluvioni – sovente dovute a case e fabbriche costruite negli alvei – si sale 55. Ieri sera poi il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi (Pdl), ha praticamente cestinato, con le stesse argomentazioni di Alfano, la proposta del collega De Siano. Ma se domani il Pdl fosse di nuovo maggioranza?

L’Unità 21.05.13

“All’asilo non c’è posto” la rivolta delle mamme contro le liste d’attesa, di Corrado Zunino

A Pescara le famiglie si stanno organizzando in casa (e in giardino): asilo fai da te con nonne e nonni a disposizione. Giocattoli, libri con figure e una didattica all’impronta. D’altronde il nuovo bando per gli asili comunali, con domande da presentare entro il prossimo 31 maggio, prevede 130 nuovi posti, non uno di più. «Ci aspettiamo una pioggia di richieste», dice l’assessore Guido Cerolini, «non riusciremo ad accogliere tutti, ma attiveremo convenzioni con strutture private».
Per le scuole dell’infanzia è emergenza in tutta Italia. La capacità di nidi e materne di ospitare i bambini è al minimo storico. A Napoli il sindaco De Magistris viene chiamato in causa dai genitori organizzati, alle comunali ci sono state 500 iscrizioni in meno: il ritardo delle comunicazioni ha fatto dirottare i piccoli su statali e private. La situazione negli istituti del centro è al collasso: mancano gessi, plastilina, carta igienica. Il calendario docenti non prevede supplenze. Le maestre in maternità non vengono sostituite, una insegnante deve fare pura sorveglianza su venti bimbi senza poter organizzare alcuna didattica. Non ci sono insegnanti di sostegno per i portatori di handicap, denuncia la Cgil scuola. Alla Foliero di via Guadagno, e questo lo raccontano le madri, i bambini sono così tanti che qualcuno viene tenuto fisso in direzione: in classe non entra. Anche a Roma la situazione è critica: le domande per la prossima stagione sono state mille in più e 11.381 bambini (su 21.757) resteranno a casa. Nella capitale i “fuori asilo” sono diventati più di quelli che entreranno nelle scuole comunali e il rapporto tra educatori e bambini passerà da uno ogni sei a uno ogni sette.
In tutto il paese la morsa tra i comuni dissestati e la crescita delle richieste per le materne (i figli degli immigrati ma anche quel ceto medio che non ha più i soldi per mandare il bimbo alla privata) sta disarticolando centinaia di istituti. A Reggio Emilia, esempio di scuola dell’infanzia nel mondo, negli ultimi due anni i finanziamenti comunali sono scesi di un milione di euro. In Lombardia aumentano le richieste di iscrizione e si ingrossano delle liste. Il Comune di Milano ha dovuto mettere a bilancio 550mila euro per le convenzioni con le private. I bambini in attesa per le materne pubbliche sono 652, ma un’associazione di madri assicura che fuori dagli asili l’anno prossimo resteranno almeno mille. In Toscana da anni la Regione finanzia le speciali sezioni Pegaso all’interno di statali e comunali per affrontare richieste altrimenti inevase: per il prossimo anno scolastico saranno settanta in più, ma la Regione non ha più fondi e ha chiesto l’intervento dello Stato. Anche Firenze, nonostante un’ospitalità da 2700 posti, sta iniziando a lasciare scolari a casa. Le cinquanta famiglie in attesa a Modena hanno ricevuto una lettera del dirigente del servizio che, per dare certezze, offriva l’elenco delle materne private che avevano posti disponibili. Alcuni comuni di Emilia e Toscana non hanno più i soldi per mantenere i loro istituti e hanno stretto accordi per passare allo stato il mantenimento di alcune sezioni.
Uno che ne sa, l’ex ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, dice: «In queste ore si stanno concretizzando ulteriori tagli, decisi prima del governo Letta, e rischiano di mettere in discussione il diritto alla scuola materna». L’emergenza infanzia si fa ancora più pesante per gli asili nido. La maglia nera è della Capitale dove è stata affidata la gestione di otto asili ad altrettante strutture private emanando un bando che farà scendere il costo per bimbo da 600 euro a 480, un low cost che si traduce in ribasso della qualità. Rischiano, ancora, di saltare le sezioni primavera, che consentono l’ingresso in anticipo (2-3 anni) a una scuola materna. Contano 25 mila iscritti, ma non ci sono più soldi per mantenerle.

La Repubblica 21.05.13