Galleria 28, Piazza di Pietra Roma,
“Galleria 28” ha deciso, con grande sensibilità, di allestire la mostra delle opere fotografiche e sostenere il progetto di Charity che “Magnitudo Emilia” intende portare avanti a favore dei ragazzi disabili del territorio colpito e che ANCI Emilia Romagna sostiene con questo evento.
ANCI Emilia Romagna, che con ANCI nazionale ha condiviso fin dai primi momenti gli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione con il resto del Servizio Nazionale di Protezione Civile, è onorata di poter contribuire a tenere viva la memoria del Sisma Emilia a quasi un anno di distanza dalla prima scossa e in un periodo nel quale ricorre il quarto anniversario del terribile sisma che ha colpito l’Aquila e l’Abruzzo.
Che non possiamo né vogliamo dimenticare.
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"L'ultimatum dell'Emilia Romagna", di Ilaria Vesentini
I dati congiunturali sul manifatturiero della via Emilia presentati ieri a Bologna gettano benzina sul fuoco acceso cinque giorni fa dal grido d’allarme di Confindustria Emilia-Romagna, che per la prima volta in 40 anni di vita dell’associazione ha chiamato a raccolta i presidenti di tutte le territoriali e di categoria per lanciare un ultimatum alla politica romana. Un’esasperazione di fronte all’inerzia del Governo acuita dal graduale peggioramento delle performance 2012 delle piccole (che soffrono di più) e grandi industrie regionali: -4,3% produzione e fatturato su base annua e -4,8% gli ordini, segnale non rincuorante sulle prospettive a breve. Con l’aggravante di un gap sempre più ampio tra le attese delle imprese e il reale andamento di produzione e domanda. «Il 2013 doveva essere l’anno in cui si concretizzavano i segnali di risveglio che si respirano in Europa e che altri Paesi competitor stanno già cogliendo. Noi ci confidavamo e parlavamo di recupero per questo avvio d’anno, invece la recessione continua a non dare tregua e rischia di intaccare i fattori portanti della nostra struttura produttiva, peraltro tuttora solida e competitiva», afferma il presidente degli industriali emiliano-romagnoli, Maurizio Marchesini, commentando l’Indagine congiunturale realizzata da Unioncamere e Confindustria Emilia-Romagna assieme a Intesa Sanpaolo.
La ripresa è rimandata al 2014 e non per colpa del terremoto, cui sono imputabili al più un paio di decimi di punto nella caduta del Pil (-2,2% nel 2012 con la prospettiva di un -0,5% anche quest’anno, ma di un -0,8% per l’industria in senso stretto) e il minore smalto all’estero di biomedicale e piastrelle. Il punto è che si è persa qualsiasi prospettiva. E pure l’export è sempre più fiacco nell’arginare la débâcle del mercato domestico (da cui dipende ancora oltre il 60% del fatturato delle imprese): +3,1% la crescita delle esportazioni regionali l’anno scorso (peggio della media italiana), dopo il +13,2% del 2011 e il +16,2% del 2010. Con 3mila imprese internazionalizzate in meno rispetto a dieci anni fa e, quel che più preoccupa, nel bel mezzo di una domanda mondiale che continua a correre a un ritmo del 13% l’anno.
Quel gran pezzo dell’Emilia, come Edmondo Berselli chiamava questa terra di efficienza, competitività e coesione sociale arrivata a pesare il 9% del Pil nazionale e il 12,7% del suo export, ha perso ormai mordente rispetto alla dinamica del Paese. «Serve uno shock di politica economica che ridia fiducia e stimoli all’economia reale», ribadisce Marchesini, secondo cui il decreto che sblocca 40 degli oltre 90 miliardi di debiti della Pa è sicuramente un passo in avanti, ma rischia di sortire pochi effetti tra le Pmi per l’eccesso di burocrazia. Così come allarma la costante erosione di credito: -4% i prestiti alle imprese sulla via Emilia da settembre a inizio 2013 (-4,2% a gennaio contro un -3,9 in Italia). «Le banche sono troppo selettive», è la denuncia degli industriali. Uno su tre ha problemi di liquidità e anche aziende sane sono a corto di cassa e di ossigeno. Il direttore regionale di Intesa Sanpaolo, Adriano Maestri, si difende: «Anche nella virtuosa Emilia il tasso di nuove sofferenze sta crescendo del 3% l’anno».
E non ci sono schiarite in vista, da qui a giugno: l’analisi di Confindustria su un panel di 740 associate racconta che solo un’impresa su quattro prevede di aumentare produzione o ordini, quota di ottimisti che sale (al 31,2%) solo a proposito di domanda estera. Non va meglio per l’occupazione. «Abbiamo perso 55mila unità di lavoro nell’industria dal 2007 a oggi – afferma il numero uno di Unioncamere regionale, Carlo Alberto Roncarati – ovvero il 9,2% del totale, con la previsione di altri 3.500 posti di lavoro in fumo quest’anno. Nel 2013 la ricchezza creata dal settore industriale sarà pari a quella di fine anni Novanta».
I NUMERI
25%
Le imprese ottimiste
Solo un’industria su quattro in Emilia-Romagna prevede un aumento della produzione nel primo semestre 2013, il 22% stima un calo. Più pessimiste le imprese sotto i 50 addetti
-4,3%
Produzione e ordini 2012
Tra i comparti manifatturieri della via Emilia più sofferenti, il legno mobile (-8,3%) e la moda (-6,9). Gli ordini sono scesi in media del 4,8%, ma del 6,9% tra le microaziende
55mila
Posti di lavoro persi dal 2007
È l’occupazione spazzata via dalla crisi. Unioncamere stima altri 3.500 tagli quest’anno, scendendo a quota 500mila unità
Il Sole 24 Ore 09.04.13
"Maturità, niente prova Invalsi", di Flavia Amabile
Scampato pericolo per chi deve sostenere la maturità: al contrario di quanto era stato annunciato, le prove Invalsi non faranno parte dell’esame e la terza prova rimarrà identica, hanno chiarito il ministro Francesco Profumo, e i vertici dell’Invalsi il commissario straordinario Paolo Sestito e il responsabile Roberto Ricci.
L’introduzione della prova sarà graduale: a maggio di quest’anno verrà effettuato un pre-test su base campionaria, poi a gennaio 2014 su base censuaria e a gennaio 2015 ci sarà l’entrata a regime delle prove. Le prove si faranno all’incirca a metà anno e ogni scuola potrà decidere se utilizzarle come strumento di valutazione. L’obiettivo è di farne uno strumento per l’orientamento e la selezione universitaria, anche se ancora si deve definire se e quanto i risultati influiranno sulla valutazione dei test d’ingresso.
La prova Invalsi somministrata all’ultimo anno sarà diversa a seconda degli indirizzi di studio. Una parte sarà dedicata alla verifica delle competenze dell’inglese e la si vorrebbe persino personalizzare proponendo le domande via pc agli studenti facendo in modo che il computer selezioni i quesiti in base alle risposte date.
Molte novità però sono ancora allo studio. L’inglese potrebbe diventare una parte delle due prove di base ( comprensione del testo e matematica), e quindi sottoporre a un test in lingua inglese alcune competenze. Oppure si potrebbe organizzare una vera e propria terza prova, che testi dal punto di vista disciplinare la conoscenza della lingua inglese. Vedremo.
La Stampa 09.04.13
"Vecchi scatti pagati. Poi si vedrà", di Alessandra Ricciardi
È fatta. Il lungo slalom, durato quasi un anno, per portare a pagamento gli scatti di anzianità maturati nel 2011 è riuscito, tra manifestazioni, sindacati divisi, tentennamenti dell’amministrazione, risorse carenti, accordi. Il Tesoro (messaggio 051 del 5 aprile scorso) ha dato disposizioni perché gli aumenti contrattuali per il 2011 siano pagati da maggio e che ad aprile ci sia un’emissione straordinaria a copertura degli arretrati.
Il recupero dell’anno congelato dal decreto legge n. 78/2010 sarà valido ai fini giuridici per tutti i lavoratori della scuola, mentre i benefici economici, nell’immediatezza della conquista dello scalone, interessano circa 180 mila insegnanti, che vedranno crescere la busta paga di circa cento euro al mese. Sui 1400 euro gli arretrati. Resta ora da recuperare il 2012, l’ultimo anno del blocco. Anche in questo caso andranno certificati i risparmi conseguiti dal sistema dopo i tagli della riforma Gelmini, si dovrà verificare se c’è capienza per dare gli aumenti oppure se si dovrà ricorrere, come avvenuto in questa circostanza, al fondo di funzionamento della scuola per coprire quanto mancava. Ma il decreto 78 consente di recuperare per via negoziale tutti gli anni di servizio del triennio congelato. E dunque, anche se sarà una trafila lunga, ci sono i margini perché si possa trattare, come fatto con l’intesa siglata il 13 marzo scorso. Discorso diverso invece per il futuro. Nell’aria, infatti, c’è già aria di nuovi blocchi: il decreto del presidente della repubblica con il quale si dispone la proroga per il 2013/2015 del blocco dei contratti pubblici, e con essi di tutte le progressioni individuali, comprende gli scatti di anzianità nella scuola per il 2013. Il decreto, inviato per i controlli di rito al Consiglio di stato prima della firma definitiva, prevede all’art. 1, comma 1 lettera b), «la proroga al 31 dicembre 2013, con effetto sull’anno 2014, dei blocchi introdotti dall’art. 9, comma 23, del dl 78/2010, riguardanti il personale docente, educativo ed Ata della scuola». Il dpr si è reso necessario, si legge nella bozza di relazione tecnica, per conseguire i risparmi fissati dall’art. 16, comma 1, del dl 98/2011, convertito con modificazioni in legge 15 luglio 2011 n. 111. Si tratta, ha precisato il Tesoro, di obiettivi di risparmio, valutati in 2,7 miliardi di euro, che sono stati già scontati ai fini dell’indebitamento netto. Per cui senza il decreto ci sarebbe un buco nel bilancio dello stato. Insomma, anche se il premier Mario Monti non ponesse alla firma del capo dello stato Giorgio Napolitano il provvedimento, è il ragionamento del ministero del tesoro guidato da Vittorio Grilli, si tratterebbe solo di un rinvio, il nuovo governo non potrebbe fare a meno di adottarlo. «Per noi il blocco degli scatti va rimosso senza far gravare il ripristino a carico del salario accessorio di altri lavoratori», attacca Mimmo Pantaleo, numero uno della Flc-Cgil, da sempre contrario a risoluzioni per via negoziale (infatti l’intesa all’Aran non reca la sua firma), «l’unica via di uscita è ottenere il ripristino dei rinnovi dei contratti». Per Francesco Scrima, segretario della Cisl scuola, «lo sblocco degli scatti è il risultato di un’azione sindacale concreta e utile per tutti i lavoratori. Senza attendere l’arrivo di un presunto governo amico». Il segretario Uil scuola Massimo Di Menna ammette: « Abbiamo superato, sostenuti dalla mobilitazione del personale, una lunga serie di ostacoli posti dal governo, dal ministero, dalle lentezze di una amministrazione che non si fida di se stessa, per ripristinare un diritto…Ora si ricomincia». Parla di «scelta utile a difesa dell’unico strumento di incremento oggi disponibile delle paghe dei lavoratori», Marco Paolo Nigi, numero uno dello Snals-Confsal, e intanto Rino di Meglio, coordinatore Gilda, chiede di superare l’attuale situazione concentradosi « sull’insegnamento attivo e la sua valorizzazione».
da ItaliaOggi 09.04.13
"Responsabilità e demagogia", di Claudio Sardo
Lo stallo politico è insopportabile per il paese. Ma per uscirne – e dare finalmente all`Italia un governo capace di occuparsi del lavoro, delle imprese, delle famiglie – ci vuole coraggio e spirito di verità. Anche se i demagoghi sembrano fare fortune predicando il tanto peggio, tanto meglio. Ieri Giorgio Napolitano ha commemorato Gerardo Chiaromonte – indimenticato dirigente comunista e direttore de l`Unità – e ha ricordato la drammatica stagione 76-79. Una stagione in molti tratti simile a quella che stiamo vivendo. Anche allora le elezioni diedero un risultato paralizzante. Anche allora l`Italia attraversava una gravi crisi economica e, insieme, un`incipiente crisi di sistema. Dc e Pci, i «due vincitori», i due avversari storici, trovarono il coraggio di definire un quadro d`intesa politica per avviare la legislatura e aprire una strada verso il futuro.
Aldo Moro la chiamò «terza fase». Enrico Berlinguer sperava di ritrovare nel «compromesso storico» lo slancio innovatore dell`Assemblea costituente. Poi Moro venne ucciso. E Berlinguer sconfitto dalla svolta a destra della Dc. Erano in campo robuste forze anti-sistema. E, nella storia italiana, le forze anti-sistema hanno sempre spostato gli equilibri a favore della destra.
Eppure quella coraggiosa stagione salvò l`Italia dal declino economico e civile, respinse la minaccia terroristica, realizzò riforme sociali che per decenni hanno ampliato i diritti e ridotto le diseguaglianze (a partire dall`istituzione del servizio sanitario nazionale, in luogo delle mutue corporative). Non ci fu un governo di Grande coalizione. Dc e Pci non governarono insieme. Per ragioni internazionali, certo. Ma anche perché Moro pensava che l`Italia dovesse darsi come traguardo una «democrazia compiuta», con due forze alternative entrambe legittimate a governare. A ben guardare, le somiglianze con l`oggi sono ancora maggiori di quelle che appaiono a una ricognizione superficiale. Nel `76 ci fu una «larga intesa». Ma questa non comportò una compartecipazione al governo dei partiti maggiori. Si realizzò anzitutto in una comune assunzione di responsabilità nelle istituzioni e in Parlamento.
Non è certo una bestemmia che forze alternative governino insieme per un determinato periodo d`emergenza. Il problema è che la Grande coalizione, oggi, non servirebbe all`Italia. Anzi, rischierebbe di portarla più a fondo. L`ondata di sfiducia che ha colpito la politica non può essere affrontata con un bipolarismo suicida: destra e sinistra insieme da un lato, e forze anti-sistema dall`altro. Così non si aiutano neppure le forze nuove a misurarsi con la fatica della politica e delle riforme.
Allora, nel `76, Moro ottenne il via libera al monocolore di Andreotti – con innesti esterni, non di partito – grazie alle astensioni del Pci e dei partiti laici. La Dc aveva superato di poco il Pci. E quello fu un atto di coraggio di tutti i soggetti in campo. Anche oggi è questo l`orizzonte di un`intesa possibile. Il problema non è la pretesa del Pd di governare da solo, o la presunta legittimazione del Pdl (che viene dagli elettori). Il problema è cosa serve al Paese. E l`Italia ha bisogno vitale di una politica che torni ad esprimere le differenze. Dove la sinistra sia la sinistra, e la destra sia la destra. Il governo non può continuare ad essere la risultante delle compatibilità consentite dall`Europa. Deve essere in Europa un attore di cambiamento, con i rischi che questo comporta.
Le larghe intese sono possibili, anzi doverose, in campo istituzionale. Peraltro la riforma della politica è oggi una priorità per i cittadini.
Intanto i grillini annunciano di voler occupare il Parlamento per la mancata costituzione delle commissioni. Si tratta di una questione complessa, ma c`è una sostanza che tocca la responsabilità diretta del M5 S. Un Parlamento è libero di fare tutto, tranne che non esprimere un governo. E se oggi non c`è un governo, è perché Grillo ha impedito l`avvio del governo Bersani e ha volutamente consegnato a Berlusconi un potere di veto. Se i grillini vogliono che il governo Monti torni nella pienezza dei poteri, presentino una mozione di fiducia e spieghino ai loro elettori perché sono diventati fans di «Rigor Mortis». Se invece vogliono il «modello Crocetta» devono consentire che il governo del Pd parta (non è necessario votare la fiducia, il `76 insegna). Se infine vogliono, come Berlusconi, un governo Pd-Pdl, allora continuino così. Ma faremo di tutto perché siano sconfitti.
L’Unità 09.04.13
"Quota 96, la Corte prende tempo", di Franco Bastianini
Quella del 2 aprile, ha precisato il legale, era una udienza di discussione unicamente per la fase cautelare, cioè in relazione alla richiesta di essere autorizzati a presentare appunto «in via cautelare e con ogni più ampia riserva» la domanda di pensionamento. C’è delusione tra i docenti e il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario che hanno chiesto ai giudici di dichiarare illegittimo il rifiuto dell’amministrazione scolastica a collocarli a riposo avendo maturato i requisiti richiesti dalla normativa previgente l’entrata in vigore dell’art. 24 del decreto legge 201/2011, non entro il 31 dicembre 2011, bensì entro il termine dell’anno scolastico 2011/2012.
Dalla Corte dei Conti del Lazio, che si riuniva il 2 aprile, gli oltre duemila docenti e personale Ata che avevano sottoscritto un ricorso predisposto dalla Uil-Scuola si aspettavano infatti se non una sentenza favorevole quanto meno una indicazione su tempi, possibilmente brevi, per giungere ad una decisione. Non è andata come speravano e la spiegazione l’ha fornita l’avvocato che segue il loro ricorso.
Quella del 2 aprile, ha precisato il legale, era una udienza di discussione unicamente per la fase cautelare, cioè in relazione alla richiesta di essere autorizzati a presentare appunto «in via cautelare e con ogni più ampia riserva» la domanda di pensionamento con la procedura on-line senza che ciò potesse comportare per il ministero dell’istruzione il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico. Ha inoltre sottolineato di avere avanzato la richiesta di fissazione dell’udienza di merito (cioè per l’accertamento del diritto ad essere collocati in quiescenza con i criteri antecedenti la normativa Fornero) in tempi brevi evidenziando, ancora una volta, la necessità che la pronuncia della Corte dei Conti possa intervenire in tempo utile per consentire il collocamento in quiescenza prima dell’avvio del prossimo anno scolastico. Sulla richiesta di fissazione dell’udienza di merito il consigliere, in funzione di Giudice Unico, si è riservato di depositare una Ordinanza nei prossimi giorni. Ha invece respinto, con ordinanza n. 117/2013, la richiesta di sospensione di atti del Miur e dell’Inps, ex gestione Inpdap, che era finalizzata a consentire agli interessati di poter presentare in via cautelativa la domanda di pensionamento.
Un collocamento a riposo di alcune altre migliaia di docenti e di personale Ata avrebbe assunto una particolare rilevanza alla luce del ridotto numero di personale che è stato autorizzato a cessare dal servizio il prossimo primo di settembre. Un numero di cessazioni mai così basso, come si ricava dai dati provvisori provenienti del Ministero dell’Istruzione, non potrà infatti non ripercuotersi inevitabilmente sulla definizione del numero dei posti e delle cattedre vacanti e disponibili per le immissioni in ruolo e per il conferimento degli incarichi annuali o fino al termine delle attività didattiche.
da ItaliaOggi 09.04.13
"Senza risorse per la CIG a rischio migliaia di posti", di Massimo Franchi
Si rafforza l’asse imprese-sindacati nella richiesta di interventi contro la crisi. A una settimana esatta dalla mobilitazione sindacale, ieri la Cna ha rilanciato il grido di dolore di Cgil, Cisl e Uil sulla necessità di un miliardo per finanziare la cassa integrazione in deroga. «Accanto al milione di licenziamenti nel 2012, se non si interviene in tempi molto stretti, rifinanziando con un miliardo di euro la cassa integrazione in deroga, esiste il rischio concreto di bruciare, entro luglio, altri 100mila posti di lavoro». «Questo ammortizzatore sociale – spiega la confederazione nazionale dell’Artigianato – introdotto a seguito della crisi economica, viene sostenuto con finanziamenti che non consentono di andare oltre i primi sei mesi dell’anno. Stiamo parlando di uno stock di oltre 200 milioni di ore di Cig in deroga che sono state richieste dal comparto dell’artigianato negli ultimi 12 mesi». «È evidente – sottolinea la Cna – che ai 100mila lavoratori dipendenti a rischio potrebbero aggiungersi titolari e collaboratori di tutte quelle imprese che inevitabilmente chiuderebbero se fossero costrette a privarsi definitivamente della manodopera». Fra sette giorni, il 16 aprile Cgil, Cisl, Uil e Ugl si ritroveranno davanti a Montecitorio per chiedere proprio più fondi per la cassa in deroga. E ieri è stato il leader Uil Luigi Angeletti ha sottolineare la linea comune sindacati-imprese. Per noi «è scaduto il tempo, o riusciamo a metterci insieme e imponiamo davvero un cambiamento dell’agenda politica o non saranno i convegni a salvarci l’anima>>, ha dichiarato il segretario generale Uil, che ha ricordato come il «dramma sociale che sta attraversando il Paese,’ non consenta più «atteggiamenti opportunistici ». Angeletti è poi tornato a sollecitare la formazione di un esecutivo: «Non si può continuare a discutere di formule politiche: c’è bisogno di un governo che riduca drasticamente le tasse sul lavoro e i costi della politica. Queste sono le vere priorità: se non le si affronta seriamente, il 2013 sarà ancor più pesante in termini di distruzione dei posti di lavoro”, sottolinea il leader della Uil. Sempre ieri poi sono arrivati altri dati negativi sulla crisi. Sei milioni di posti di lavoro fantasma. Sono quelli che mancano all’appello in Europa rispetto ai livelli pre-crisi. È stata l’Ilo, l’International Labour Office a fornire un nuovo dato impressionante in uno studio pubblicato in occasione della nona Riunione regionale europea dell’organismo Onu per il lavoro, iniziata ieri a Oslo. Il rapporto in più segnala proprio l’Italia tra i Paesi a maggior rischio per le proteste sociali causate dalla crisi occupazionale, assieme a Cipro, Grecia, Portogallo, Slovenia e Spagna. L’Ilo ripercorre i dati della crisi: il tasso di occupazione europeo (15-74 anni) nel terzo trimestre 2012 era del 57,6%, ancora 1,6 punti sotto al terzo trimestre 2008 quando è scoppiata la crisi. Solo in 5 paesi su 27 (Austria, Germania, Ungheria, Lussemburgo e Malta) l’occupazione è tornata ai livelli pre-crisi. Nel febbraio 2013 erano ben 26,3 milioni i cittadini europei senza lavoro, 10,2 milioni più che nel 2008 e il tasso di disoccupazione era del 10,9%, 4,1 punti in più rispetto al febbraio 2008. Al tempo stesso la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli allarmanti, toccando lo scorso febbraio il 23,5% (l’Italia è al quarto posto, dopo Grecia, Spagna e Portogallo), e quasi il 30% dei giovani Ue e a rischio di povertà o esclusione sociale.
L’Unità 09.04.13