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Università, Ghizzoni e Galli “Missioni fondamentali per la ricerca”

I parlamentari modenesi Pd hanno interrogato i ministri dell’Istruzione e dell’Economia. I deputati modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Carlo Galli hanno depositato una interrogazione a risposta in Commissione indirizzata al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e al ministro dell’Economia e delle Finanze per tentare di salvaguardare il regolare svolgimento delle attività di ricerca delle università italiane messo in serio pericolo dalla “stretta” ulteriore sulle spese per missioni contenuta in una recente circolare della Ragioneria dello Stato.

Le attività di ricerca nelle Università si basano anche sul necessario confronto con quanto stanno facendo altri enti nel mondo e sul controllo delle fonti che, non sempre, com’è naturale, sono vicine a casa. E’ per questo che la “stretta” sulle spese per missioni già prevista nel 2010 dall’allora governo Berlusconi, ma resa ancor più pressante con una circolare emanata nel febbraio scorso dal dipartimento della Ragioneria dello Stato rischia seriamente di mettere in discussione il regolare svolgimento dell’attività di ricerca degli studiosi italiani. L’argomento oggi è stato portato direttamente sul tavolo del ministro dell’Istruzione Profumo e di quello dell’Economia Grilli dai parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Carlo Galli. Con una interrogazione a risposta in Commissione, Ghizzoni e Galli spiegano come la circolare in questione abbia dato una interpretazione ancor più riduttiva della normativa tanto che si corre seriamente il rischio che una Università possa avere i fondi per sostenere la missione all’estero di un suo ricercatore, ma non li possa poi materialmente spendere. “La ricerca implica spesso la mobilità degli studiosi, nazionale e internazionale. – spiegano i deputati Ghizzoni e Galli – La partecipazione a convegni e seminari, le visite di studio in musei, scavi archeologici, laboratori, biblioteche, sono attività che fanno ordinariamente parte dei doveri dei ricercatori, e spesso costituiscono parte considerevole del loro lavoro. La ricerca scientifica stava già morendo per i tagli continui alle risorse stanziate, adesso al danno si aggiunge anche la beffa. I primi tagli alle spese per missioni risalgono alla gestione Gelmini-Tremonti, ora il governo Monti sta continuando su quella stessa strada. Non sono sprechi: la ricerca non può prescindere dalla mobilità degli studiosi. Occorre – concludono Ghizzoni e Galli – che dai ministeri competenti arrivi un’interpretazione della circolare che consenta di salvaguardare il regolare svolgimento della maggior parte delle attività di ricerca”.

"In Emilia si muovono i rimborsi", di Ilaria Visentini

Saranno un paio di milioni di euro o poco più i soldi che arriveranno nelle zone terremotate emiliane oggi, 10 aprile, scadenza della quarta tranche per i pagamenti dei lavori di ricostruzione, attingendo ai 6 miliardi della Cassa depositi e prestiti. Controvalore di qualche decina di pratiche di privati, ma ancora nessuna di imprese. Una goccia nel mare. «Ma il meccanismo è partito e sta ingranando, le domande in lavorazione sono migliaia tra i nostri uffici, quelli dei comuni, le associazioni di categoria e i professionisti», ribatte l’assessore regionale alle Attività produttive Gian Carlo Muzzarelli, che proprio stamattina incontra i vertici di Confindustria per fare il punto su iter delle domande e problemi tuttora aperti. Sono 62 le richieste Sfinge arrivate – a ieri – in regione per un importo di 54 milioni di euro, ma ancora nessuna è andata in pagamento. Si tratta delle pratiche telematiche completate e inviate dalle imprese attraverso le quali accedere ai contributi per la ricostruzione dei capannoni (con la copertura al 100% dei danni), per la sostituzione dei macchinari (80% dei danni) o per ripristinare le scorte (50% del valore perso). Poche, se si pensa alle stime iniziali di quasi 10mila imprese danneggiate, ma non solo l’iter delle domande – e, in particolare, delle perizie giurate – è complesso, «ma molti più imprenditori del previsto sono coperti da assicurazioni e finché non è chiusa la pratica assicurativa non si procede con le domande», precisa Muzzarelli ricordando che c’è una task force della regione che tre volte a settimana batte il cratere emiliano per affiancare tecnici e aziende nella compilazione delle pratiche e nella soluzione dei quesiti: all’attivo ha già 250 imprese supportate.
Procedono sicuramente più spedite le pratiche Mude, quelle dei privati. Quasi 2mila quelle in lavorazione, 397 in pagamento, per oltre 22,3 milioni di euro concessi e 5,6 in pagamento. Qualcosa già liquidato nelle precedenti tranche e un paio di manciate di pratiche che saranno pagate oggi nelle principali banche dell’area, per importi che non raggiungono mai il milione di euro per istituto.
Ma ci sono nodi che neppure la buona volontà della Regione Emilia-Romagna può sbrogliare e sono le carte ferme a Roma da mesi, che aspettano una firma per trasformare in denaro impegni presi, in alcuni casi, ancora l’anno scorso. Provvedimenti come i 50 milioni di euro per la ricerca o come l’estensione degli ammortizzatori sociali nell’area del cratere, di fronte ai quali l’inerzia del Governo non ha giustificazioni. Tanto che la squadra del commissario Vasco Errani sta intensificando proprio in questi giorni il pressing su Palazzo Chigi per cercare di portare a casa i decreti entro fine aprile. Anche perché il prossimo mese scadrà il primo anniversario dalle scosse del 20 e 29 maggio 2012 e sarebbe un buon risultato per Viale Aldo Moro poterlo festeggiare con la chiusura dell’apparato normativo e l’apertura dei rubinetti finanziari. Riuscendo magari a rimettere in pista anche gli oltre 5 miliardi che avanzano inutilizzati da dicembre dal plafond della Cdp per la moratoria fiscale.
Undici mesi di attesa senza aiuti economici concreti ma ben 140 ordinanze commissariali emanate sembrano però troppi alle imprese terremotate, anche se sono numeri che impallidiscono di fronte ai quattro anni e alle oltre 1.100 leggi dell’Aquila. L’industria emiliana non si può permettere il lusso di perdere mercato e clienti per i ritardi causati dalla burocrazia o da dubbie interpretazioni normative, nel mezzo di una recessione che continua a tagliare produzione, ordini e occupati. Intanto la fine dello stato di emergenza si avvicina, perché se non sarà varata una proroga, dal 1° luglio tutto nel cratere dovrebbe tornare come se non ci fosse più traccia degli 11,5 miliardi di danni causati dal sisma e dei costi straordinari che famiglie e imprese hanno dovuto sostenere nel frattempo.
«Difficile, se non impossibile, ricominciare a pagare tasse, contributi, mutui e bollette se non iniziano ad arrivare anche i rimborsi», fa notare la Cna di Modena, che sta assistendo mezzo migliaio di associati nella compilazione delle pratiche Sfinge, con ancora molte domande irrisolte e la certezza che i tempi saranno lunghi: «Stanno liquidando ora – raccontano gli artigiani – le pratiche di agosto e settembre 2012 finanziate dal Por Fesr 4!». Un’impasse che nell’industria pesa meno, grazie a spalle più grosse tra finanze e competenze tecniche interne e coperture assicurative, ma non è sottovalutata. Tanto che Confindustria Modena ha messo in pista una sua squadra di esperti – supportata da ingegneri e geologi esterni – che affianca in modo sartoriale le aziende danneggiate e cerca di interpretare la mole di norme in continua evoluzione.

Il Sole 24 ore 10.04.13

"Nella fabbrica dei falsi le lauree 110 e frode", di Ettore Livini e Gina Kolata

Lo spread? Nossignori. Il peggior nemico dell’euro è la “Lauree Patacca Spa”, la fiorente industria multinazionale di diplomi millantati, tesi copiate e titoli di studio venduti da improbabili atenei online, che sta facendo ridere (e tremare) mezza Europa. I casi di Renzo Bossi e di Oscar Giannino sono solo la punta dell’iceberg. Una Laureopoli continentale che rischia di chiudersi ora con il botto: nel tritacarne deisospettièfinitaieri Alenka Bratusek, neo-primo ministro della Slovenia incaricato di salvare il paese (e forse anche la moneta unica) dal crac. «Il paper che le ha garantito un master in Scienze sociali — dicono implacabili i suoi accusatori — è la fotocopia in carta carbone di altri studi accademici». L’università di Lubiana ha aperto un procedimento di verifica e Bratusek ha già annunciato — facendo correre i brividi a molte cancellerie della Ue — che se il plagio fosse provato «darebbe subito le dimissioni».
Chi è senza peccato, del resto, scagli la prima pietra: la tentazione della scorciatoia accademica è una storia vecchia come il narcisismo dell’uomoealimentadasempre un indotto economico a molti zeri. E così le vie (traverse) per arrivare al pezzo di carta più prezioso del mondo, il certificato di laurea, non solo sono infinite ma sono battute pure da un’umanità varia ed eterogenea. C’è Ron Hubbard, il fondatore di Scientology, che una cinquantina di anni fa ha scelto quella più diretta, fondando — almeno così sostiene la giustizia britannica — un ateneo ad personam
a Los Angeles, la Sequoia University, e auto-conferendosi un diploma honoris causaper meriti nello studio della dianetica. C’è Scott Thompson, ex numero uno di Yahoo!,
licenziato in tronco dal gigante del web per aver millanta-to una laurea in informatica. Oppure Gilles Bernheim, rabbino capo della Francia, accusato di aver copiato buona parte del suo libro “Quaranta riflessioni ebraiche” e di aver incassato la Legion d’Onore da Nicolas Sarkozy tacendo il particolare trascurabile di non aver mai ottenuto il titolo di professore in filosofia.
Peccatucci veniali. Come quelli di chi — non avendo il pelo sullo stomaco per inventarsi il titolo di dottore — se lo compra. Negli Stati Uniti, complici le rette dell’Ivy League arrivate ormai ai 40mila dollari l’anno, sono spuntati decine didiplomificichevendonodottorati “espresso” e a prezzi da saldo. La University of Berkley, una
vocale di differenza con il mitico campus californiano, propone un catalogo stile Ikea con la laurea a 2.785 dollari e un master a 3.145. Troppo caro? Poco male: Instantdegrees. com, offre un ventaglio di specializzazioni degno di Harvard — dalla Moda alla Medicina ayurvedica, da Economia e commercio fino alla Gastronomia — a partire da 180 dollari l’uno, mentre chi non ha tempo da perdere o soldi da spendere può stamparsi un certificato di laurea fai-da-te a due lire da www.123certificates. com. I controlli sono pari a zero, se è vero che Colby Nolan, un simpatico gattone di sei anni di proprietà di un procuratore generale della Pennsylvania è riuscito a guadagnarsi un diploma in Business administration alla Trinity Southern University di Dallas (poi chiusa dai giudici) senza dare un esame — per ovvi motivi — e pagando la miseria di 299 dollari.
Siamo, inutile dirlo, in pieno Circo Barnum del tarocco. Un mondo dove oltretutto non esiste senso della vergogna: «Sono molto imbarazzata all’idea che Karl Theodor Zu Guttenberg abbia copiato la tesi», ha detto Annete Schavan, ministro dell’Istruzione tedesco, commentando le dimissioni del suo collega della difesa. Salvo poi essere costretta a mollare la poltrona due mesi fa quando l’università di Dusseldorf le ha revocato per plagio la sua laurea in Filosofia.
E l’Italia? Noi — come tradizione nel campo dell’arte d’arrangiarsi — non dobbiamo farci insegnare niente da nessuno nemmeno sul fronte delle lauree patacca. Il genio nel campo, in fondo, resta il senatur Umberto Bossi (buon sangue non mente, dice chi ha seguito le peripezie accademiche del Trota) che come ha confessato il cognato «ha organizzato tre feste di laurea senza averne presa una». Nella rete del millantato credito accademico sono finiti l’ex sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto — «ho detto una piccola innocente bugia» — reo di aver vantato un diploma in Economia e commercio inesistente, Daniela Santanchè per un contestatissimo master alla Bocconi finito nel suo curriculum vitae e la new entry grillina Marta Grande, messa in croce sul valore del suo Bachelor of Art
conseguito in Alabama. Non solo: l’università di Ca’ Foscari, è stata costretta a mettere in piedi un software anti-plagio che ha già smascherato diverse tesi riciclate e di “seconda mano”.
Il sogno della pergamena ha fatto altre vittime illustri: Lino Banfi è stato vittima della stangata dell’Università Giovanni Paolo I, aperta nel pontino all’ex tenente dell’esercito Luciano Ridolfi e finita nel mirino dell’operazione “110 e frode” dei Carabinieri. Ridolfi, cavalcando il nome di Papa Luciani e la dabbenaggine dei suoi interlocutori, avrebbe truffato decine di studenti grazie allo specchietto delle allodole del suo ateneo virtuale. Sede in un appartamento fatiscente di Latina ma in grado di consegnare finte lauree honoris causa al comico pugliese, a Rocco Buttiglione e a Joaquin Navarro Valls in pompose cerimonie nei palazzi romani, con tanto di servizio del Tg1.
Nessuna sorpresa: la voglia pazza di laurea, in un mondo dove l’apparenza conta spesso più della sostanza, non è mai calata nemmeno ora che il pezzo di carta conta meno di una volta. Il Bureau of Labour statistic di New York ha calcolato che solo sette delle trenta professioni emergenti (e solo due delle dieci più retribuite) richiedono un diploma universitario. Mentre una recentissima ricerca di AlmaLaurea sostiene che un anno dopo la tesi, la retribuzione media in Italia è di mille euro, con un tasso di disoccupazione salito dal 19 al 23 per cento per chi ha in tasca la laurea breve e dal 20 al 21 per cento per chi ha seguito i corsi di cinque anni. Tanto vale, verrebbe da dire, non star lì a perdere tempo. In fondo il povero Steve Jobs, ha mollato anzitempo il Reed College di Portland per fondare Apple malgrado il motto dell’ateneo — “Communism, Atheism, Free Love” — promettesse molto bene. E né Bill Gates, numero uno di Microsoft, né Mark Zuckerberg, il
deus ex machina di Facebook, hanno mai concluso gli studi. Volessero rimediare, no problem.
Niente di più facile che un prestigioso ed economicissimo master a Cambridge. Basta non si mettano in testa di sfidare Oxford. La Cambridge International University — sede alle Isole Vergini, cavallo di battaglia il corso di dermatologia estetica — non è stata mai ammessa (per motivi inspiegabili)
alla regata sul Tamigi.

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Riviste, studi e conferenze la pseudo accademia è sul web, di GINA KOLATA

Gli scienziati che partecipavano alla conferenza “ Entomology- 2013” pensavano di essere stati scelti per fare una presentazione alla principale associazione professionale di studiosi degli insetti. Hanno scoperto a loro spese che si sbagliavano.
La prestigiosa conferenza patrocinata dal mondo accademico che avevano in mente si chiama in modo leggermente diverso: “Entomology 2013”, senza trattino. Quella a cui si erano iscritti proponeva un elenco di conferenzieri reclutati via email. Chi ha accettato di partecipare, ha poi dovuto pagare una quota onerosa in cambio di un posto sul palco utile per rimpinguare il curriculum.
Questi studiosi sono finiti per sbaglio in un mondo parallelo di pseudo-accademia, fatto di conferenze dai titoli prestigiosi e riviste che le sponsorizzano. Steven Goodman, rettore e professore di medicina a Stanford e direttore della rivista Clinical Trials, ha definito il fenomeno «il lato oscuro dell’accesso aperto», il movimento per rendere accessibili, in forma gratuita, le pubblicazioni accademiche.
Oggi il numero di queste riviste e conferenze è esploso, insieme al mutamento del modello di impresa delle pubblicazioni scientifiche: da prodotto rivolto a organizzazioni professionali e basato sugli introiti degli abbonamenti all’accesso aperto, basato sui soldi versati dagli autori o dai loro sponsor per pubblicare saggi online.
L’accesso aperto si è diffuso con l’avvento di riviste di qualità, basate sulla revisione inter pares, come quelle pubblicate dalla Public Library of Science.
Ma i ricercatori ora lanciano l’allarme sulla proliferazione di riviste online, disposte a pubblicare a pagamento qualsiasi cosa: per i non addetti ai lavori diventa difficile distinguere quelle credibili dalla spazzatura. Così come per la maggior parte delle università sta diventando più complicato valutare i curriculum di professori e ricercatori.
Il fenomeno ha richiamato l’attenzione di Nature, che ha rimarcato «l’incremento di operatori discutibili» e si è interrogata se fosse meglio creare una lista nera di riviste o al contrario una «lista bianca» di quelle ad accesso aperto che soddisfano determinati parametri.
Jeffrey Beall, bibliotecario specializzato in ricerche all’Università del Colorado, a Denver, ha elaborato una lista delle «riviste scientifiche predatorie». Nel 2010 erano 20, ora più di 300 e, secondo le stime, in circolazione ce ne sono almeno 4.000, il 25 per cento del totale delle riviste scientifiche ad accesso aperto.
Le riviste inserite nella Beall’s listnon pubblicano sui siti le tariffe, le comunicano agli autori dopo che hanno proposto un pezzo. Tampinano professori e ricercatori con inviti a spedire articoli e partecipare al comitato editoriale. La Avens Publishing Group cerca di ingraziarsi quelli che accettano di far parte del comitato editoriale del Journal of Clinical Trails & Patenting offrendo loro il 20 per cento dei suoi ricavi.
Uno degli editori più prolifici nella Beall’s List,
Srinubabu Gedela, il direttore dell’Omics Group, ha circa 250 riviste e si fa pagare dagli autori 2.700 dollari a saggio. Gedela, che elenca fra i suoi titoli un dottorato all’Andhra University in India, sul suo sito dice di aver «imparato a inventare meraviglie della biotecnologia». Un altro editore nella lista, la Dove Press, specifica sul suo sito che “non ci sono limiti al numero o alla dimensione dei saggi che possiamo pubblicare”.
Le riviste ad accesso aperto sostengono che i saggi vengono rivisti e che la loro attività è legittima ed etica. «Non c’è nessun compromesso sulla qualità dei criteri di revisione», ci scrive Gedela via email. Ma secondo gli accademici i metodi usati non si distinguono dalle mail di spam. Il medico messicano Paulino Martínez è cascato nella trappola e ha inviato due articoli in risposta a un invito che gli era arrivato dal Journal of Clinical Case Reports.
Gli articoli erano stati accettati, poi gli era arrivato il
conto: 2.900 dollari. Ha chiesto di ritirare i saggi, ma sono stati pubblicati ugualmente. Anche alcuni professori citati nei siti di riviste inserite nella Beall’s list,
e nelle conferenze associate a questi siti, dicono di aver fatto un errore a farsi coinvolgere e che non riescono a tirarsene fuori.
Due anni fa, James White, fitopatologo alla Rutgers University, accettò di far parte del comitato editoriale di
Plant Pathology & Microbiology.
Il suo nome, la sua foto e il suo curriculum furono pubblicati sul sito. Poi ha scoperto che un sito che pubblicizzava la conferenza Entomology-2013 lo aveva inserito fra gli organizzatori. Secondo White l’editore aveva incollato sul sito della conferenza il suo nome, la sua foto e il suo curriculum. «Avrei dovuto essere più attento», dice White e aggiunge che il mondo delle pubblicazioni scientifiche «ormai sembra il Far West».
(Copyright New York Times-La Repubblica. Traduzione di Fabio Galimberti)

La Repubblica 10.04.13

"Cassa in deroga già finita: servono altri 2,5 miliardi", di Massimo Franchi

«Siamo tutti molto preoccupati, i soldi stanno già finendo». E le risorse che il prossimo governo dovrà trovare non sono più il miliardo finora previsto, ma molto probabilmente più del doppio: 2,5 miliardi. Sulla cassa integrazione e mobilità in deroga, gli ammortizzatori sociali che riguardano piccole aziende (sotto i 15 dipendenti) e settori non industriali e che non è finanziata direttamente da imprese e lavoratori (come invece cassa integrazione ordinaria e straordinaria), il grido di dolore arriva direttamente dagli assessori regionali al Lavoro, coloro che gestiscono le richieste delle imprese in difficoltà. Se un mese fa, assieme ai sindacati, avevano sostenuto che i soldi stanziati dal governo sarebbero bastati fino a giugno, ora si devono ricredere. «Le richieste sono aumentate molto più di quanto avevamo previsto, siamo al 60% in più dell’anno scorso», spiega Gianfranco Simoncini, assessore toscano e coordinatore del settore lavoro per la Conferenza delle Regioni. Quasi tutti i suoi colleghi hanno fatto pubbliche dichiarazioni dello stesso tenore: non abbiamo più soldi. L’esempio della Toscana è forse uno dei meno urgenti, ma rende bene l’idea: «Dopo l’intervento della Fornero e il riparto fra noi Regioni, abbiamo a disposizione altri 16 milioni che portano il totale del 2013 a quota 49 milioni. Ebbene, abbiamo già autorizzato pagamenti per 43 milioni di euro, ma abbiamo ben 3 mila pratiche accumulate per i ritardi di inizio anno dovuti alla circolare del ministro: poche settimane e finiremo i soldi». La situazione a livello nazionale è questa. Oltre i 520 milioni già stanziati, il 20 marzo scorso Elsa Fornero ha sbloccato 260 milioni e si è impegnata a sbloccarne altri 200 sui fondi interprofessionali per la formazione (il cosiddetto «Fondo 0,30»). Lo sblocco di questi ultimi non c’è ancora stato, ma considerandoli come acquisiti si arriva a quota 980 milioni. Stimando un 60 per cento in più rispetto ai fondi del 2012 (2,2 miliardi) il totale necessario è oltre i 3,5 miliardi, fissando la cifra mancante a più di quota 2,5 miliardi. Solo venerdì scorso lo stesso Simoncini, scrivendo al ministro Elsa Fornero, aveva stimato «la copertura della cassa integrazione e della mobilità in deroga per il 2013 servono almeno 2750 milioni di euro ». Il calcolo era però «una ipotesi prudenziale », scriveva Simoncini, stimando che «l’aumento non sarà inferiore al 25% in più rispetto all’anno precedente». L’escalation della crisi infatti non ha dato tregua in questi anni portando la spesa dai 773 milioni di euro del 2009 (anno dell’entrata in vigore della cassa in deroga) agli 1,5 miliardi del 2010, agli 1,6 del 2011, fino ai 2,2 miliardi, ma il dato non è ancora definitivo, del 2012. Ieri intanto è stato reso pubblico il volatino unitario dei sindacati in vista della manifestazione di Cgil, Cisl, Uil di martedì 16 aprile (alle 9,30 davanti a Montecitorio). «Alla crisi – scrivono i sindacati – sta per aggiungersi un ulteriore dramma: le risorse per finanziare gli ammortizzatori in deroga stanno per finire. La legge di stabilità ha stanziato risorse palesemente insufficienti. Se non si interviene subito, tra poche settimane non sarà più possibile sostenere il reddito dei lavoratori delle imprese in crisi e dei licenziati. Si tratta di almeno 350-400mila persone. Questo disastro deve essere evitato. Il governo in carica, il nuovo Parlamento hanno l’obbligo morale, prima che politico, di scongiurare questa ulteriore catastrofe. Così come si sono trovati, giustamente, i soldi per i crediti vantati dalle imprese verso la Pubblica amministrazione, si devono trovare i soldi per garantire continuità di reddito a chi è in Cig o è stato già licenziato», chiude la nota.

IN 5 ANNI 230MILA STATALI IN MENO Se i lavoratori privati rischiano gli ammortizzatori sociali, i lavoratori pubblici non se la passano meglio. In 5 anni gli statali sono diminuiti di 230 mila unità arrivando sotto quota 3,4 milioni nel 2011.1 dipendenti pubblici sono infatti passati da 3.627.139 del 2006 a 3.396.810 del 2011, una diminuzione del 6%. E nel 2011 per la prima volta da11979 cala la spesa pubblica sostenuta dalla pubblica amministrazione per pagare i salari. È quanto emerge dal «Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti» diffuso dall’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pa. Un rapporto che i sindacati commentano con amarezza, chiedendo di rilanciare la contrattazione bloccata per leggi da anni: «I lavoratori non hanno perso solo 1’1,6% dei loro stipendi. Al netto dell’inflazione tra il 2010 e il 2012 il loro potere d’acquisto è sceso del 7,2%», scrivono in una nota.

L’Unità 10.04.13

"Sulla scuola tra Pd-Pdl non ci sono convergenze", di Pasquale Almirante

Si parla di governissimo, di una alleanza tra Pd e Pdl per formare il nuovo esecutivo su base programmatica, che potrebbe essere forse valida (ne dubitiamo) nei confronti di altri settori, ma per la scuola appare impraticabile. Sulla base dei programmi presentati in campagna elettorale infatti fra i due partiti non c’è un solo punto in comune. Se la politica vuole essere cosa seria e se alle parole devono seguire i fatti e se la demagogia non può praticarsi in “Utòpia” allora il “Governissimo” insieme col Pd, auspicato dal Pdl, non può soffiare nessuna conseguenza positiva sulla scuola. Ciò significa che tutti i suoi problemi o vengono ancora ulteriormente dilazionati oppure si continua a rattoppare alla meno peggio, accontentando ora l’uno ora l’altro schieramento politico, ma non certamente si potrà centrare l’obiettivo verso un futuro sereno per l’istruzione italiana, quello che in effetti merita da tempo.
Mentre per il Partito democratico uno dei punti qualificanti è l’aumento del Pil (benché non si capisca dove trovi i fondi necessari) da impegnare per la scuola, rivolgendo tutti gli sforzi sulla scuola pubblica, l’idea del Pdl è quella del “bonus scuola a tutti” per consentire alle famiglie di iscrivere i propri ragazzi nelle scuole che desiderano, in omaggio al principio di libertà educativa. Ha detto a tale proposito Berlusconi: “Anche le famiglie meno agiate hanno il diritto di mandare i loro figli alle scuole private e dare loro un’educazione cattolica e non devono essere obbligati a iscriverli alla scuola pubblica dove gli insegnanti vogliono tirare su i figli con i principi della sinistra”. Se dunque le parole hanno senso appare impossibile, già solo da questo enunciato, conciliare i due schieramenti.
Ma se le uscite di Berlusconi possono pure passare per folkloristiche, e quindi senza un effettivo riscontro (ma non lo crediamo) sul campo, rimane come un macigno la volontà del suo partito di aprire alla scuola privata sul “Modello Milano”, con tutte le implicazioni (ricordiamo la Governance della scuola di Valentina Aprea) anche in ordine al reclutamento dei docenti, che verrebbe affidato ai presidi. Punto questo sul quale il Pd è assai distante, avendo sempre fatto perno sulla libertà dell’insegnamento e quindi sulla nomina in base alle graduatorie.
Se dunque il Pd ha promesso investimenti, nei programmi elettorali del Pdl non si trova affatto indicata l’intenzione di tornare a investire sulla scuola e, pur non prospettando nuovi ed ulteriori tagli, viene troppo speso ventilato che 80miliardi di spesa a carico della pubblica amministrazione sono troppi e che bisogna tagliare da qualche parte: dove?
Se poi il Pd proponesse all’alleato Pdl di investire sulla scuola, per il partito di Berlusconi significherebbe il riconoscimento evidente di aver sbagliato tutto con i tagli operati della già ministra dell’istruzione Gelmini, con una ammissione di colpa senza precedenti, mentre le promesse alle scuole private andrebbero disattese, inimicandosi un affidabile elettorato. Ma si capisce pure che invertendo gli ordini, stesso discorso si potrebbe fare col Pd se accettasse le proposte programmatiche degli eredi di Gelmini, cioè di non fare investimenti in istruzione e di incentivare il privato.
Ancora, tra le proposte del Pdl c’è un generico richiamo a un “Piano di sviluppo degli asili nido”, di iniziare la scuola a 5 anni e di affidare, come abbiamo già detto, ai presidi-manager la scelta dei docenti, mentre martella su una fantomatica oasi di meritocrazia su cui, sempre la Gelmini, spese tempo e denaro ma senza risultati, in ciò supportata da Brunetta.
Mentre il Pd ha intenzione, con promessa sottoscritta, di assorbire tutti i precari storici anche con la reintroduzione del “modulo di tre maestri”, il Pdl non ha mai parlato chiaro se, come e quando assorbire il precariato, tranne gli accenni trascorsi di Gelmini sui supplenti che non possono pensare di usare la scuola come un “ufficio di collocamento”.
Andando insieme al Governo, quale direttiva prevarrà? O una delle due o nessuna, lasciando quindi un altro problema della scuola, ma soprattutto di persone e di lavoro, sul guado, con nocumento e colpa.
Non ha mai inoltre considerato il Pdl di arginare la dispersione scolastica, cosa che il Pd ha messo fra i punti centrali del suo programma, per cui, anche su questo aspetto, quale sintesi dovrebbero trovare in un fantomatico comune Governo della Nazione?
Per chi l’avesse dimenticato, ricordiamo pure che per il Pd è centrale smaltire e ridurre le classi pollaio con 30-35 alunni che però, essendo state implementate da Gelmini, non si capisce come una nuova “santa alleanza” possa smantellare.
Di elementi comuni dunque non c’è neanche l’ombra e mancando l’ombra manca il soggetto che la possa proiettare, tranne che, come nella fantastica storia di Peter Schlemihls, qualcuno se l’è venduta pensando di fare un buon affare.

La Tecnica della Scuola 10.04.13

"Una sola strada da seguire", di Piero Ignazi

Se il presidente Napolitano, saggiamente, non avesse fatto scendere la tensione nominando i due comitati di esperti, una sorta di micro-bicamerale, non ci sarebbe stato l’incontro di ieri tra Bersani e Berlusconi. Grazie alla pausa di riflessione “presidenziale” è maturato un clima meno gladiatorio. Inoltre, all’interno di ciascun partito si è sviluppato un dibattito più articolato.
Igrillini hanno incominciato a discutere apertamente e nel merito – e a sbuffare sempre più sonoramente contro gli ukase genovesi; nel Pd, come da tradizione, si è aperto il vaso di Pandora, con un Matteo Renzi ritornato pimpante come ai tempi delle primarie; e persino nel Pdl si sono alternati grida di guerra a ragionamenti articolati e dialogici. I più ricettivi del nuovo spirito dei tempi sono stati Pd e Pdl mentre il M5S sembra seguire – per ora – una traiettoria solitaria, al limite del solipsismo, sempre più radicale, di contestazione globale. I leader dei due partiti “tradizionali”, incontratisi giustamente e finalmente in una sede istituzionale e non di fronte ad una crostata, non possono però pretendere di rappresentare, come nel passato, la totalità delle opinioni dei cittadini. C’è anche un convitato di pietra che benché si autoescluda rappresenta un quarto dell’elettorato. La stessa tessitura discreta che il Pd ha messo in campo per arrivare al tête à tête tra Bersani e Berlusconi dovrà ora essere attivata anche nei confronti dei grillini. Il segretario del Pd lasci perdere gli stucchevoli rimproveri sul suo primo incontro con i capigruppo del M5S e insista, come è sembrato anticipare ieri sera Enrico Letta, nel cercare di coinvolgere anche quei rappresentanti. Non si possono “lasciar perdere” come una scheggia impazzita. Anche perché il Pd, partito più votato in entrambe le Camere e con un tesoretto di deputati garantitogli dal porcellum tale da arrivare sulla soglia della maggioranza assoluta, ha il “dovere” di presentare
pubblicamente, per primo, il proprio candidato per la presidenza della Repubblica.
I tatticismi e le cortine fumogene irritano profondamente una opinione pubblica stanca di questi quaranta giorni improduttivi. Se Bersani ha avuto il coraggio di incontrare in streaming i grillini infischiandosene del bon ton, a maggior ragione affronti a carte scoperte la partita del Quirinale. In un clima di antipolitica imperante gli incontri riservati, incubatori di possibili trattative segrete e scambi occulti, rischiano di diventare intollerabili per i cittadini. I colloqui nelle sedi istituzionali vanno bene purché aperti a tutti, altrimenti la sensazione di do ut des nascosti e innominabili, inevitabilmente, si diffonde. Quindi, una volta concluso questi giro di consultazioni informali, Il Pd esprima, forte della sua responsabilità di primo partito, un nome rispettoso di tutte le culture politiche presenti in Parlamento. Un nome alto e inattaccabile per competenza e moralità. Un difensore dei diritti di tutti, e cioè della Costituzione repubblicana.

La Repubblica 10.04.13

Povera una famiglia su sei, serve subito un piano straordinario

Sulla povertà non si scherza. In Italia una famiglia su sei è povera e la soglia di povertà è di circa 8.500 euro. E’ quanto emerge dall’indagine della BCE sui bilanci delle famiglie nell’aerea dell’euro. La soglia di povertà nazionale è al 16,5% contro il 13% dell’area euro. Mentre se si considera la soglia di povertà unica ( che tiene conto dei diversi livelli di prezzi e tratta tutte le nazioni come unico paese), la percentuale dell’Italia sale al 20% e per l’area euro al 14,6%.

Allarmanti anche i dati che ci arrivano dall’Istat. Crolla il potere d’acquisto, crolla anche il reddito ma soprattutto naufraga la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, pari all’8,2% nel 2012: è il livello annuo più basso da quando è disponibile il dato, cioè dal 1990.

“La fotografia scattata dall’Istat è impressionante – ha commentato il deputato del Pd Francesco Boccia – e racconta il paese reale che non è quello oggi rappresentato da chi scimmiotta la prima repubblica e annuncia folkloristiche occupazioni delle istituzioni democratiche”.

Duri i commenti dei democratici verso le parole di Grillo che ha ironizzato sul suo blog su un argomento così delicato e che coinvolge tante famiglie italiane.

“Si vede che Beppe Grillo è un miliardario e dunque non ha la più vaga idea di cosa sia la povertà. Non a caso si permette di ironizzare. Ha fatto bene invece Bersani a promuovere una manifestazione contro la povertà”, ha incalzatoLivia Turco, presidente del Forum Politiche Sociali e Immigrazione del PD.

“Si tratta di una scelta giusta oltre ad essere un segnale importante. Questo tema deve essere affrontato tutti i giorni, coinvolgendo i circoli e le aree del territorio più esposti. Il prossimo governo – ha aggiunto Turco – metta quindi in atto, tra i suoi primi provvedimenti, il reddito minimo garantito sulla base dell’esperienza di Prodi, investa nel fondo per le politiche sociali e applichi il reddito minimo di inserimento.

Questa manifestazione dimostra cosa intenda il PD quando parla di governo di combattimento che comprendano e condividano i problemi reali delle persone. Bersani è la persona giusta per affrontare con tenacia queste tematiche ed è per questo che sostengo e appoggio pienamente le sue scelte”.

Sabato 13 Aprile il PD unito contro la crisi.
Iniziativa promossa dai circoli PD di Scampia, San Salvario, Corviale, Torbellamonaca, Laurentino e San Basilio

Anche Cesare Damiano, deputato del Partito Democratico, ha commentato i dati impressionanti resi noti oggi sul progressivo impoverimento degli italiani e quelli dei giorni scorsi, sull’aumento della disoccupazione.

“Sono conseguenza di problemi strutturali del nostro paese e di scelte economiche adottate a livello europeo che hanno contribuito ad aumentare il disagio. Abbiamo sacrificato sull’altare del rigore fine a se stesso persone reali.

Ora bisogna invertire questo andamento. Dobbiamo ricominciare a sostenere la domanda interna, abbandonando le politiche restrittive tanto care a chi ha fatto del liberismo un totem. Il pagamento dei debiti della P.A., il finanziamento di opere di pubblica utilità e di servizi indispensabili sono passaggi indispensabili.

Per impedire, però, che l’emergenza si aggravi è necessario provvedere al più presto a rifinanziare la Cig in deroga, che a giugno di quest’anno non avrà più risorse (la stima è di circa 1mld di euro). E rifinanziare il fondo per salvaguardare la platea degli esodati ancora non salvati almeno fino al 2015 (secondo le stime della Regioneria almeno due-tre mld di euro). Sono situazioni drammatiche che devono essere gestite con determinazione”.

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