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“Non c’è democrazia senza istruzione”: il Pd rilancia il problema di “Quota 96”, di Pasquale Almirante

Il Partito democratico riprende nel suo sito internet tutta la problematica relativa alla scuola con tutti gli impegni che in campagna elettorale ha preso. “Non c’è democrazia senza istruzione. Restituire risorse, stabilità, fiducia a Scuola e Università”, così si apre la pagina dedicata. Tra i punti anche l’impegno a risolvere la questione del personale di “Quota 96”.
E al paragrafo: Stabilità è sinonimo di qualità, al punto C, troviamo: “Mandare in pensione gli insegnanti Quota 96, come previsto da proposta di legge che stiamo ripresentando alla Camera e al Senato (4000 posti).”
Appare chiaro tuttavia che questa proposta di legge in fieri, di mandare cioè in pensione il personale di “Quota96”, si inserisce in un piano più ampio di miglioramento della scuola e quindi di eliminazione, si spera “totale”, del precariato.
Per attuare tale ambizioso progetto, esaurito (ma ci riuscirà mai qualcuno?) il quale finalmente si può pensare a piani razionali di assunzione dei neo laureati, il Pd propone l’assegnazione “a ogni scuola di una dotazione di personale stabile, ma stabilizzando coloro che da troppi anni stanno lavorando su posti vacanti con contratti annuali e quegli insegnanti di sostegno che sono fra i più precari e che invece dovrebbero garantire continuità didattica agli studenti più deboli. Si tratta di 50.000 posti che si possono stabilizzare subito per garantire continuità e qualità alla scuola e dare concretezza all’organico funzionale, senza spese aggiuntive per lo Stato.”
Liberare quindi altri 4.000 posti attualmente coperti dal personale “Quota 96”, che vogliono come è noto lasciare la scuola per avere già dato quanto la legge ha finora consentito ai loro colleghi nelle stesse condizioni, significa allargare la platea degli occupati, riducendo ulteriormente, se le proposte del Pd avranno concretezza di Governo, un precariato che negli anni si è sempre di più incancrenito e per sola ignavia dello Stato che ha chiamato al bisogno e poi ha ritenuto di abbandonare a se stessi. E infatti le tante sentenze della Corte europea di giustizia hanno dato, e non a caso, torto marcio a un tale distratto e tracotante datore di lavoro.
Ma non finisce qui la superficialità della legislazione in merito ai pensionamenti e anche per disinteresse del passato Governo Monti (con tutti gli altri meriti che da molte parti gli vengono riconosciuti).
Approvando infatti la legge detta “spending review, il Governo Monti ha concesso ai soli sopranumerai, in possesso dei requisiti invocati dal personale “Quora 96”, cioè la maturazione di 36 anni di contributi con età anagrafica di 60 anni o 40 di contributi ma con età anagrafica inferiore purchè la quota raggiungesse “96”, di lasciare il servizio al 31 agosto 2013.
E se tale dispositivo è legale per i sopranumerai, perché non estenderlo anche a tutti gli altri e in modo particolare a chi pensa di avere dato già alla scuola tutto quello di cui disponeva?

La Tecnica della Scuola 21.03.13

"L’ultima trincea del convitato di pietra", di Claudio Tito

In questa difficile crisi politica giocata quasi integralmente sul ruolo del presidente della Repubblica Napolitano e sul possibile incarico al segretario del Pd Bersani di formare il governo, c’è un convitato di pietra con cui tutti sono costretti a fare i conti. Ossia Silvio Berlusconi. Il leader del Pdl al momento non è seduto intorno al tavolo che dovrà decidere le sorti del futuro esecutivo e di questa zoppicante legislatura.
Eppure la sua ombra si sta già stendendo sulle soluzioni più nefaste. L’ex premier ha rappresentato un vero e proprio tappo che ha impedito per vent’anni il rinnovamento e il cambiamento della politica, a destra e a sinistra. Una volta saltato, il primo effetto è stata l’esplosione dell’antipolitica, della demagogia, del grillismo e del populismo più virulento. Eppure, in un quadro parlamentare tanto debole e frammentato il Cavaliere si gioca il tutto per tutto per riconquistare un ruolo. Con un obiettivo prioritario: tornare, appunto, a sedersi al tavolo delle decisioni. Non sono più importanti le cariche o le poltrone. Non si tratta più di discutere — come accadeva nelle precedenti legislature — sulla presidenza del consiglio o sui ministeri. Bensì di far valere la sua forza di interdizione e di utilizzarla con una finalità: spiattellare su quello stesso tavolo il vero nodo della questione, la salvaguardia giudiziaria. All’ultimo incontro con i vertici del suo partito, infatti, è stato sul punto chiarissimo, quasi crudo: «Non dovete spaventarvi nei prossimi giorni, arriveranno delle sentenze e saranno molto brutte. Ma voi non dovete temere, noi resisteremo».
Le sue preoccupazioni sono queste e in gioco c’è essenzialmente l’idea di escogitare una qualche forma di “salvacondotto”. Qualcosa che lo renda immune dalle «brutte sentenze » che stanno per essere pronunciate. La sua ricerca si focalizza quasi esclusivamente su una nuova forma di “scudo”. Fino allo scorso anno il peso
elettorale del centrodestra e la guida dell’esecutivo gli avevano permesso di plasmare diversi e fantasiosi mezzi di salvaguardia. Ora la sua strategia è cambiata perché i rapporti di forza sono mutati. E anche la richiesta — formalmente legittima — di far partecipare la coalizione che rappresenta un terzo degli elettori italiani, nel complicato risiko per l’elezione del nuovo capo dello Stato, è solo una mossa per rimettersi al centro della discussione. Contribuire a far nascere un governo di emergenza e a insediare un presidente della Repubblica di “garanzia” è la premessa per inserire nel menu della trattativa anche il capitolo giustizia.
La disponibilità a quello che chiama «governo della concordia » insieme al Partito Democratico, non è altro che la voglia di mettersi seduto a quell’ideale tavolo delle decisioni. Va bene Bersani presidente del Consiglio, va bene l’ex magistrato Grasso a Palazzo Chigi, va bene chiunque purché il centrodestra rimetta un piede nel piatto. D’un tratto sembra svanire il suo viscerale anticomunismo sacrificato sull’altare del “salvacondotto”. Del resto, i verdetti di alcuni delicatissimi processi si stanno avvicinando: Ruby e Mediaset. Se le sentenze dovessero arrivare prima che la crisi politica trovi una soluzione, la capacità di incidere del Cavaliere si ridurrebbero sensibilmente. Senza contare che il processo Mediaset sta chiudendo il suo secondo grado di giudizio e, nel caso in cui la condanna dovesse essere confermata anche in Cassazione, scatterebbe anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Quindi, via dal Parlamento.
Non è un caso che l’ex premier alterni il dialogo alle prove di forze. Il “governo della concordia” con la piazza. Sabato prossimo il Pdl manifesterà ma l’oggetto della protesta sta lentamente variando: fino a pochi giorni fa era indispensabile alzare un muro contro le toghe rosse. Ora sembra più semplicemente che il Pdl voglia mostrare la sua azione per una “Nuova Italia”. Un cambio di rotta determinato dalla convinzione che è di nuovo alla portata la possibilità di sedersi al “tavolo delle decisioni”. In quel caso, non solo gli altri commensali dovranno misurarsi sulla vera questione irrisolta della stagione berlusconiana ormai avviata al tramonto, ma saranno costretti ad accettare che anche in questa legislatura il Cavaliere potrà confermare la sua funzione di tappo per il rinnovamento della politica italiana. Ma quando le sue esigenze saranno soddisfatte o respinte, l’ex premier farà comunque precipitare la situazione verso un esito scontato: le elezioni anticipate. «Il ritorno al voto — ha infatti avvertito i suoi fedelissimi — è comunque un’opzione cui dobbiamo prepararci».

La Repubblica 21.03.13

I diritti per un'Italia più civile

Oltre 500mila i minori nati in Italia da genitori stranieri. In Italia vivono circa 100mila bambini di genitori omosessuali. Secondo l’Istat il 61,3% dei cittadini ritiene che in Italia gli omosessuali siano discriminati. Nel 2011 sono state uccise 137 donne, 124 nel 2012, spesso per mano di mariti, compagni o ex partner.

– Chi nasce in Italia da genitori stranieri residenti da almeno 5 anni nel nostro Paese è italiano
– L’acquisto della cittadinanza non è automatico ma è necessaria una esplicita dichiarazione di volontà
– Può richiedere la cittadinanza italiana anche chi non è nato in Italia ma è cresciuto nel nostro Paese e ha compiuto un ciclo di studi o di formazione professionale
– Approvare in tempi rapidi una legge contro l’omofobia
– Riconoscimento delle unioni civili delle coppie omosessuali secondo il modello tedesco
– Subito una legge organica contro il femminicidio
– Istituire un Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne
– Approvare subito la ratifica della convenzione di Istanbul
– Riconoscimento del ruolo delle case e dei centri antiviolenza e rafforzamento dei servizi pubblici e convenzionati
– Misure di sensibilizzazione dell’opinione pubblica a partire dalle scuole
– Istituzione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne

Nuovi italiani: chi è nato in Italia è italiano

La presenza di più di mezzo milione di minori nati in Italia da genitori stranieri, impone la modifica delle leggi in materia di acquisto della cittadinanza.

I “nuovi italiani” sono una risorsa per il nostro Paese che investe e si impegna per la loro crescita e la loro formazione scolastica e professionale. Occorre assicurare a questi giovani un futuro, nel quale sia chiara la loro appartenenza al Paese che li ha visti nascere e che ha garantito la loro istruzione.

I criteri ispiratori della normativa vigente in materia di cittadinanza prevedono che l’acquisto della cittadinanza italiana sia basato principalmente sullo “ius sanguinis” (diritto di sangue), per il quale il figlio nato da padre italiano o da madre italiana è italiano.
Secondo la normativa vigente il minore, nato in Italia da genitori stranieri (quando non ricorrano particolari condizioni, come genitori ignoti o apolidi), può acquistare la cittadinanza per la cosiddetta “elezione di cittadinanza” che ha come presupposto la residenza legale, senza interruzioni, fino al raggiungimento della maggiore età, e richiede che la dichiarazione di voler eleggere la cittadinanza italiana sia resa entro un anno dal compimento dei diciotto anni di età.

Questa normativa presenta rilevanti criticità quali:
– necessità di attendere il compimento del diciottesimo anno di età;
– possibilità di richiedere la cittadinanza entro e non oltre il compimento del diciannovesimo anno;
– obbligo di dimostrare di aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano. La norma prevede che la residenza sia regolare per 18 anni, pertanto se i genitori stranieri erano irregolari al momento della nascita, ovvero durante tale lasso di tempo hanno vissuto, anche per un breve periodo, in condizione di “clandestinità”, poiché l’irregolarità dello status dei genitori si riflette su quello dei figli la cittadinanza non viene concessa.

Dal momento che si condividono i contenuti di una proposta di legge (AC 5030) di iniziativa popolare, presentata nel corso della XVI legislatura da parte del comitato promotore “l’Italia sono anch’io”, promosso da 19 associazioni della società civile, si vuole introdurre:

a) l’acquisto della cittadinanza per nascita, in favore di chi nasca nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, che siano a loro volta nati in Italia ovvero regolarmente residenti sul territorio della Repubblica da almeno cinque anni. Questo per garantire uno stabile collegamento tra il nuovo cittadino e l’Italia, ed evitare che quanti nascano nel nostro territorio “casualmente” possano accedere a tale diritto.

Poiché l’acquisto della cittadinanza non deve essere imposto, perché è ben possibile che i nati in Italia vogliano conservare come esclusiva cittadinanza quella del Paese di origine, è prevista una dichiarazione di volontà espressa dei genitori (con la specificazione che entro due anni dal raggiungimento della maggiore età il soggetto possa rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana). In mancanza di dichiarazione dei genitori è possibile l’acquisto della cittadinanza a richiesta dell’interessato, da proporre entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

b) l’acquisto della cittadinanza per i minori non nati in Italia; occorre poi prendere atto della situazione dei minori che essendo nati in Italia da genitori “clandestini” (seppur tali per un breve lasso di tempo), ovvero di minori che pur non essendo nati nel nostro Paese vi abbiano vissuto gran parte della loro vita, frequentando la scuola e crescendo in questo contesto culturale, vogliano avere una prospettiva di appartenenza. Anche per loro è prevista la possibilità di acquistare la cittadinanza italiana quando abbiano compiuto in Italia un ciclo di istruzione o di formazione professionale. In questo modo l’investimento nella loro istruzione non sarà “perduto”, perché sarà servito a creare dei nuovi italiani.

Rispetto dei valori fondamentali del Nostro Paese

Per superare il possibile nodo critico derivante dall’acquisto della cittadinanza italiana da parte di quanti, provenendo da Paesi che abbiamo tradizioni culturali diverse, non aderiscano ai valori fondamentali del nostro Paese e delle Convenzioni internazionali in materia di parità di diritti e divieto di discriminazioni, è prevista da parte dei genitori, che formulino l’elezione di cittadinanza per i figli, una dichiarazione di impegno a educarli nel rispetto di tali valori e principi fondamentali.

Norma transitoria
Per applicare le nuove disposizioni anche a coloro che siano nati in Italia ovvero abbiano completato un ciclo di studi in Italia prima dell’entrata in vigore della legge è dettata una apposita norma transitoria.

I dirittti delle coppie omossessuali

La situazione attuale in Italia e in Europa
In tutta Europa e in molti Paesi extraeuropei i diritti delle coppie omosessuali vengono riconosciuti, secondo un trend inarrestabile, o dalle Corti giurisdizionali, o dal legislatore.

La Corte costituzionale italiana ha considerato legittima la norma che vieta alle persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, tuttavia ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore concedere riconoscimento giuridico a diritti e doveri di tali coppie, sulla base dell’art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, ed ha aggiunto che per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, ivi compresa l’unione omosessuale.

Una recente sentenza della Corte di Strasburgo (24 giugno 2010), pur negando che la Convenzione dei diritti dell’uomo attribuisca agli omosessuali un diritto al matrimonio, ha riconosciuto il loro diritto alla vita familiare (art. 8 della Convenzione), il cui riconoscimento, da parte dello Stato, benché non doveroso, appare auspicabile ai fini di una più compiuta tutela.

La Cassazione italiana, nella sentenza n. 4184 del 2012, ha affermato che le coppie gay «conviventi in una stabile relazione di fatto, se non possono far valere il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato all’estero», tuttavia hanno il «diritto alla vita familiare» e a «vivere liberamente una condizione di coppia», oltre al diritto, in presenza di «specifiche situazioni» (che non vengono, però, individuate), a un «trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». Solo di recente la giurisprudenza di merito si è occupata della possibilità di estendere i diritti riconosciuti al convivente eterosessuale anche al convivente omosessuale; in particolare la Corte di Appello di Milano (sentenza 31 agosto 2012) ha riconosciuto il diritto del convivente omosessuale di un dipendente bancario a fruire delle prestazioni mediche che la Cassa Mutua Nazionale di tale istituto bancario riconosceva al convivente more uxorio.

Numerosi Comuni italiani hanno istituito registri delle unioni di fatto. Il Comune di Empoli nel 1993 fu il primo a dotarsi di tale registro ma la relativa delibera comunale venne bocciata dal Co.Re.Co. Nel 2001 il TAR accolse il ricorso del Comune di Empoli contro la decisione del Co.Re. Co e da allora numerosi comuni si sono dotati di registro. Tra gli altri: Pisa, Firenze, Ferrara e, da ultimo, Milano, Napoli, Cagliari. Nel 2006 La Spezia fu il primo comune a prevedere espressamente l’iscrizione in questi registri anche delle coppie omosessuali: da allora molti comuni hanno previsto tale possibilità. Le amministrazioni comunali concedono alle coppie di fatto benefici sulla base della mera convivenza (punti per assegnazione case popolari, per sussidi etc.)

Anche alcune regioni (Calabria, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna), nei loro statuti, hanno fatto riferimento al riconoscimento dei diritti delle unioni anche omosessuali, disponendo che venga riconosciuta tutela anche alle “forme di convivenza” ulteriori rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. Il Governo Berlusconi (2001-2006) ha impugnato alcuni di questi statuti, segnalando profili di illegittimità costituzionale; la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi.

Nel mondo occidentale numerose legislazioni riconoscono forme di convivenza registrata (per es. Australia, Belgio, Danimarca, Francia) ovvero ammettono al matrimonio soggetti appartenenti allo stesso sesso (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Portogallo, Norvegia, Svezia, e, dal 2012, Danimarca). In alcuni casi i due istituti coesistono (ad esempio, in Belgio, dove sono disciplinate le convivenze registrate e dal 2003 è ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso).

In Germania l’unione registrata è prevista per i soli omosessuali e dà luogo a diritti e doveri analoghi a quelli derivanti dal matrimonio. Nella Repubblica Federale Tedesca con l’approvazione della legge 16.2.2001 è stato previsto che: “Due persone del medesimo sesso stabiliscono una convivenza, quando esse dichiarano vicendevolmente, personalmente ed in presenza l’una dell’altra che esse desiderano condurre insieme una convivenza a vita. Le dichiarazioni non possono essere sottoposte a termini o condizioni”.

La nostra proposta: il modello tedesco
Nella prossima legislatura si proporrà di disciplinare le unioni omosessuali sulla falsariga del modello tedesco.

SOGGETTI: Possono accedere alla disciplina delle unioni civili i partners omosessuali maggiorenni e non coniugati o non conviventi con terzi, e non legati da stretti vincoli di parentela (ascendenti discendenti, fratelli, sorelle).

FORMA: Occorre una dichiarazione resa davanti all’autorità competente per la celebrazione, in Italia l’ufficiale di stato civile.

EFFETTI PERSONALI: Dall’unione derivano effetti analoghi a quelli discendenti dal matrimonio. I conviventi si debbono reciproca assistenza e sostegno e debbono “gestire in comune le loro esistenze”., nonché un obbligo di mantenimento analogo a quello previsto per i coniugi. Una deroga è prevista in materia di filiazione.

REGIME PATRIMONIALE: il regime legale sia quello di comunione degli acquisti ammettendo, tuttavia, la possibilità per i conviventi di derogarvi con la conclusione del contratto di convivenza, che può essere redatto proprio al fine di disciplinare i rapporti patrimoniali tra conviventi.

ADOZIONE ED ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE: non si interverrà in tema di filiazione e adozione; l’adozione resterà riservata alle coppie eterosessuali coniugate; ma andranno previste norme per disciplinare la possibilità che a uno dei partner omosessuali sia attribuita la responsabilità genitoriale sul figlio naturale dell’altro partner, nonché la possibilità che il convivente possa adottare il figlio biologico (e non adottivo) dell’altro.

SUCCESSIONE: il convivente andrà considerato erede legittimo del partner e andrà prevista una quota di legittima.

PARENTELA: il convivente va considerato membro della famiglia dell’altro convivente.

SEPARAZIONE: il convivente può chiedere all’altro il mantenimento commisurato al tenore di vita, al reddito e al patrimonio avuto in costanza di convivenza. E’ prevista la possibilità di assegnazione della casa “coniugale”.

SCIOGLIMENTO: come per il matrimonio è necessaria una decisione giudiziale, che può essere chiesta in caso di cessazione della convivenza e quando vi sia richiesta congiunta ovvero non sia possibile ripristinare la comunione di vita.

PENSIONE: La legge tedesca dal 2004 equipara gli effetti dell’unione registrata a quelli del matrimonio per quanto riguarda il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità, in ottemperanza a quanto previsto dalla sentenza MARUKO della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella quale, facendo leva sul principio di parità di trattamento e sul divieto di discriminazione fondato sulle tendenze sessuali in materia di occupazione e lavoro, è stato stabilito che nel caso in cui uno Stato membro disciplini unioni registrate, attribuendo ai partner dell’unione diritti analoghi a quelli previsti per i coniugi, costituisce discriminazione fondata sul sesso non riconoscere al partner gli stessi diritti in materia di diritti pensionistici riconosciuti al coniuge. In Italia, andrà dettata una disciplina uniforme, in materia di pensione di reversibilità, per le coppie omosessuali ed eterosessuali, ma in entrambi i casi, a tutela della finanza pubblica e per prevenire facili elusioni, andrà prevista una durata minima della unione (matrimonio, unione omosessuale), e in assenza di figli minori, quale condizione per l’accesso alla pensione di reversibilità.

Provvedimenti contro il femminicidio e violenza sulle donne

La violenza contro le donne è una drammatica violazione dei diritti umani fondamentali che nel nostro paese ha assunto un carattere pervasivo e strutturale. Nel 2011 sono state 137 le donne uccise, nel 2012 sono state 124, spesso per mano di mariti, compagni o ex-partner. E’ il conto tragico di un fenomeno che deve essere contrastato con un’efficace ed urgente strategia politica: vogliamo approvare subito la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul e presenteremo, come già nella passata legislatura, una legge organica contro il femminicidio formulata secondo le più recenti Convenzioni internazionali, che costituisca il vincolo per serie azioni di governo.

Il 25 giugno 2012 è stato presentato all’ONU il primo Rapporto tematico sul femminicidio, frutto del lavoro realizzato in Italia da Rashida Manjoo. Prevenzione, punizione dei colpevoli, protezione delle vittime sono i ritardi dell’Italia. Secondo il rapporto la maggior parte delle violenze non sono denunciate perché perpetrate in un contesto culturale sessista, dove la violenza domestica non è sempre percepita come un crimine, dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono adeguate per riconoscere il fenomeno, perseguire per via legale gli autori di tali crimini e garantire assistenza e protezione alle vittime. Il Rapporto rileva che in Italia gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. La violenza non è un fatto residuale, ma attiene a profonde motivazioni culturali ed ai cambiamenti introdotti dalle donne, ai rapporti, ancora caratterizzati da modelli fondati su dominio e prevaricazione, tra i generi e le persone.

Siamo dunque consapevoli che per combatterla c’è bisogno di un cambiamento culturale e nessuna legge, anche la più rigorosa, può contrastarla se non è accompagnata da una volontà di cambiamento nel rapporto tra i sessi e le persone. Occorre una nuova stagione delle relazioni, la presenza appropriata delle donne in tutti gli ambiti della società, la valorizzazione del ruolo e della soggettività femminile. Per questo non ci convincono le risposte che la riducono a questione meramente penale, ma crediamo sia necessario adottare un approccio multidisciplinare che coniughi misure volte a prevenire le cause stesse della violenza – anche contrastando quegli stereotipi che ne sono alla base – e a promuovere una visione paritaria dei rapporti tra generi.

Ci impegniamo ad approvare immediatamente la legge di ratifica della convenzione di Istanbul e a sostenere ogni iniziativa legislativa per adeguare l’ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione, a presentare una proposta di legge contro il femminicidio e, più in generale, ad adottare le norme regolamentari e i provvedimenti amministrativi che promuovano realmente una cultura segnata da un diverso rapporto tra i generi contrastando il femminicidio quale negazione della soggettività, dei diritti fondamentali, della dignità delle donne, agendo sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, e della tutela delle vittime.

Dieci misure urgenti:
1 – istituzione di un apposito “Osservatorio sulla violenza nei confronti delle donne”, con il compito di assicurare lo svolgimento di una rilevazione statistica sulla discriminazione e la violenza di genere e sui maltrattamenti in famiglia, attraverso un sistema integrato ed omogeneo.

2 – Rafforzamento del sistema dei servizi, pubblici e convenzionati, organizzati in rete su tutto il territorio nazionale. Riconoscimento del ruolo delle case e centri antiviolenza, quali luoghi nei quali non solo possa trovare tutela la vittima di violenza o di discriminazioni di genere, ma nei quali possa pure darsi libero corso a iniziative volte alla promozione della soggettività femminile, anche mediante azioni di solidarietà e accoglienza rivolte ai figli minori delle stesse donne, a prescindere dalla loro cittadinanza. Promozione in conformità agli standard internazionali dei programmi di trattamento degli uomini autori di violenza.

3 – Misure volte a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al fenomeno della violenza di genere e a promuovere una rappresentazione rispettosa della dignità femminile .

4 – Campagne di prevenzione e sensibilizzazione a partire dalle scuole volte a formare gli studenti attraverso un’educazione alla relazione e alla promozione di un rapporto rispettoso tra i sessi.

5 – Formazione specifica di tutti gli operatori che accolgono, sostengono e soccorrono le donne vittime di abusi, operatori sanitari, legali, psicologi, forze di polizia.

6- Rafforzamento della rete territoriale di contrasto, attraverso protocolli d’intesa tra soggetti istituzionali, quali province, comuni, aziende sanitarie, consigliere di parità, uffici scolastici provinciali, forze dell’ordine e del volontariato che operano sul territorio. Creazione di banche dati condivise tra forze di polizia e tribunali volte a fornire i dati giudiziari all’osservatorio.

7 – Tutela peculiare anche sul piano previdenziale e lavorativo, inserendo tra i livelli essenziali delle prestazioni di accoglienza e socio-assistenziali le attività volte a fornire misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, stalking e maltrattamenti.

8 -Qualora ad essere vittime di violenza o abusi sessuali, maltrattamenti o stalking siano donne migranti, si estende a loro la sfera di applicazione del permesso di soggiorno ex articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

9 – Aggravante comune per tutti i delitti contro la persona commessi mediante violenza, realizzati alla presenza di minori; maggiori diritti alla vittima nella fase più delicata del procedimento penale, ovvero quella delle indagini, prevedendo in particolare l’obbligo di comunicazione alla persona offesa della cessazione di misure cautelari, della chiusura delle indagini preliminari o della richiesta di archiviazione ; carattere prioritario ai procedimenti penali per i reati sessuali o contro la personalità individuale, attraverso la creazione di corsie preferenziali. Riconoscimento della violenza assistita come grave pregiudizio per i figli minori e causa di decadenza o limitazione della potestà genitoriale si sensi degli artt. 330 e 333 c.c.

10 – Istituzione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne, destinato a finanziare le iniziative.

www.partitodemocratico.it

"Al Megafono gli esempi altrui non bastano mai", di Toni Jop

A gridare “E le Foibe?” non è ancora arrivato, ma promette bene: ieri Grillo ha sparato contro i Presidenti di Camera e Senato colpevoli di aver fatto sapere al paese che hanno deciso di tagliare i propri appannaggi del trenca per cento. Il Megafono non ha detto: è apprezzabile. No, ha reagito come chi crede di aver fiutato puzza di bruciato, l’odore sgradevole di una manovra tutta immagine e poca sostanza. «Non è spiegato», scrive Grillo, dove opera il taglio «e questo è un particolare importante»: vuol dire che hanno preferito evitare la chiarezza e quindi stanno trotterellando disinvolti su un buco nero? Non contento, rilancia: comunque, i due presidenti devono farsi carico di provvedere a far dimezzare gli stipendi dei parlamentari e a far cancellare i rimborsi elettorali. Suggerendo, in sostanza: non credano di farla franca o di incantare con un colpo di teatro di dubbia efficacia. Bravo, così si fa quando si è all’angolo, così fa il lupo quando qualcuno lo riconosce sotto la vestaglia della nonna. Infatti, siamo ancora qui ad aspettare che le sue parole siano realtà almeno per i parlamentari grillini, e cioè che si taglino per davvero i compensi riducendo quella complessa treccia di emolumenti alla metà del totale, almeno. Non lo hanno fatto. Hanno dimezzato la voce principale, questo sì, ma tutte le voci accessorie sono rimaste dov’erano. Per questa via, a conti fatti, nelle tasche di deputati e senatori Cinque Stelle finiranno oltre undicimila euro, 3-4mila meno di quelli che alimenta i «servi», i «cadaveri putrefatti» della casta. Tutto qui? Dicono che si tratta di una soluzione tampone, che non dovrebbe durare più di due-tre mesi, in attesa di capire quale sia effettivamente la somma indispensabile per rendere accettabile la vita in trasferta dei parlamentari. Ma intanto le cose stanno così. «Restituiranno tutto», giurano, e magari sarà anche vero, ma intanto. Ecco, hanno scoperto l’«intanto», hanno abbracciato la logica dei due tempi. Ma Grillo strilla. Dovevano aprire la massima istituzione del Paese con l’apriscatole. Infatti, hanno provveduto a chiudere a chiave la loro comunicazione, affidandola a due commissari nominati dal Megafono e dal suo sceneggiatore; hanno blindato la seduta dei gruppi; hanno provveduto ad oscurare anche la penosa seduta di ieri in cui hanno imposto l’autodenuncia a chi aveva votato Grasso. E non si sono mai sognati di coinvolgere, in quelle decisioni, il loro elettorato, nemmeno quei santi dei loro militanti. Ma Grillo strilla, giudica, condanna, assolve, perdona i suoi quando comprende che se va avanti così il potere delle due badesse rischia di saltare assieme al convento. Come un Bossi qualunque.

L’Unità 21.03.13

"Se nessuno ferma la pericolosa rabbia anti-Ue", di Paolo Soldini

Cipro è Cipro. Un’isola confinata laggiù, piena di miliardari russi e con le banche imbottite di titoli greci. Un caso speciale, in cui il volume dei depositi negli istituti di credito è due volte e mezza il ioè: 47,9 miliardi su 18 miliardi, il 263,3%. Queste cifre, ci garantiscono, spiegano perché non si potesse far altro che quel che s’è fatto – o meglio: s’è tentato di fare – sui conti dei risparmiatori. Va bene, ma guardiamo altre cifre. Nelle banche del Lussemburgo sono depositati 227,37 miliardi, ovvero il 516,8% del Pil del Granducato (44 miliardi). In ben 10 dei 17 paesi dell’Eurogruppo il rapporto tra i depositi e il Pil nazionale è superiore al 100%. Persino nella solida Germania vince l’economia di carta, al 118,9% dell’intera produzione di merci e servizi.
È inutile rovinarsi l’umore al pensiero di che cosa potrebbe succedere se questa bolla cosmica un giorno dovesse scoppiare. È bene, però, cercare di capire quanto la situazione che c’è sotto incida oggi sulla percezione che dell’Europa hanno i cittadini in tutti i Paesi. Mettiamo un po’ di fatti in fila. In Italia quasi la metà degli elettori hanno votato tre settimane fa per due partiti che un tempo sarebbero stati definiti «euroscettici» ma il cui atteggiamento verso le istituzioni europee, oggi, va ben oltre i dubbi e, viaggiando nella confusione e nella demagogia, sconfina nell’ostilità aperta. In Germania tra una ventina di giorni nascerà un partito che vuole tornare al marco o almeno, in subordine, cacciare dall’euro i Paesi del sud e creare un bell’euro «nordico» sostenuto da casse pubbliche floride che non debbano più dissanguarsi per sostenere le cicale della Dolce Vita meridionale. Le elezioni italiane e l’annuncio della nascita di «Alternative Deutschland» sono avvenuti quando di Cipro si par- lava ancora solo sui giornali economi- ci, è vero, così come la ribellione che avrebbe portato poi al cambio di go- verno in Slovenia e le violente convulsioni nella Grecia torchiata dalla trojka. Ma i problemi e le scelte politiche che avrebbero portato al drasti- co aut aut a Nicosia si manifestavano da mesi e mesi in tutti i Paesi a rischio. La rottura del tabù sui conti privati ha reso solo più vivido e incombente un timore che si percepiva da tempo in Spagna, in Portogallo, in Irlanda e anche qui da noi: da Bruxelles e Francoforte arrivano solo guai.
L’Europa, oggi, non è popolare. Ma detto così è troppo facile e non spiega nulla. Che cosa suscita l’ostilità, le paure, il rancore di tanta parte dell’opinione pubblica in tutti i Paesi contro Bruxelles? L’Unione europea in quanto tale o le politiche che vengono perseguite in suo nome? Rifugiamoci pure nel pensiero consolante che ciò che viene rifiutato, in modo sempre più evidente e con sfumature sempre più forti di populismo, non è l’idea in sé, non sono neppure le istituzioni in quanto tali ma le loro azioni o, spesso, la loro inazione. Però l’impressione è che la soglia oltre la quale il rifiuto passa dalle politiche alle istituzioni si vada facendo pericolosamente vicina. È in atto una rinazionalizzazione strisciante non solo delle politiche comunitarie, e di questo sono pesantemente colpevoli i governi, ma anche del comune sentire. La scelta dell’austerity viene attribuita alla Germania e non all’attuale governo di centro-destra di Berlino, dove magari fra qualche mese non ci sarà più Angela Merkel ma forze politiche favorevoli alla condivisione del debito. Così come in Germania, in Finlandia negli altri Paesi del nord non si considerano le difficoltà di bilancio dei paesi del sud come frutto di politiche sbagliate, ma come espressione di un’eterna propensione allo sperpero. In un sistema che è integrato per la sua stessa natura e in cui il comporta- mento di ciascuna parte influisce su tutti gli altri si riscoprono i presunti valori della «sovranità» (anche mone- taria) e si grida contro le «ingerenze» da Paese a Paese.
La nazionalizzazione dei contrasti impedisce di discernere tra la giustezza o meno delle scelte politiche, genera una sorta di pensiero unico inevitabilmente dettato dai più forti e punitivo verso i più deboli, che risolve tutto nella disciplina di bilancio e non si cura minimamente degli investimenti, del lavoro e delle tutele sociali. Della vita delle persone, cioè. Per paradosso, poi, il pensiero unico appiattisce anche le diversità di posizione e di interessi che pure è normale che esistano tra i Paesi.
Il rischio, ora, è che il cerchio si chiuda e il transfert diventi permanente: che in larghi strati di cittadini che votano il rifiuto delle politiche europee diventi rifiuto dell’Europa punto e basta. Allora dovremmo temere che alla fine anche da noi si faccia «come a Cipro». Perché se la logica è solo quella che i conti tornino perché i conti tornino ogni cosa è legittima.

L’Unità 21.03.13

"Il grido dei sindaci: ora i fondi per la crescita", di Laura Matteucci

I Comuni tornano a farsi sentire. E con loro, imprese e sindacati. Insieme, chiedono lo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti del- le aziende, almeno 9 miliardi da «liberare» subito per impegnarli in investimenti e opere. Per questo, l’Anci ha organizzato un’iniziativa pubblica, stamattina a Roma, aperta alle parti sociali, ai soggetti istituzionali ed associazioni, in contemporanea con il Consiglio nazionale dell’associazione. «Senza risposte concrete da parte del presidente Monti – dice l’associazione dei Comuni – entro la prima metà di aprile chiederemo ai Comuni di autorizzare tutti i pagamenti dovuti, utilizzando un modello di delibera con l’obiettivo di garantire la coesione sociale e i servizi essenziali delle comunità». Secondo il presidente Anci, Graziano Delrio, per questo non serve l’autorizzazione da Bruxelles. «Il governo faccia un decreto che autorizzi i pagamenti alle imprese e non troverà alcuna opposizione in Parlamento». Una delegazione dell’Anci incontrerà anche il presidente del Senato, Piero Grasso. Una questione sempre più pressante, sulla cui urgenza anche il ministro del Tesoro, Vittorio Grilli, si dice d’accordo. «Dopo il via libera della Commissione europea non vedo ragioni per non procedere con un provvedimento d’urgenza per sbloccare i pagamenti», dice al Sole-24 Ore. Con un decreto? «Non vedo ostacoli». Ci sono «ancora molti aspetti tecnici da definire. Ma se è vero che siamo davanti a un’emergenza, e credo sia vero, è giusto partire prima possibile. Ci stiamo lavorando, poi toccherà a Monti decidere quando spingere il bottone». «Ovviamente – continua – servirà anche un consenso ampio del Parlamento, perché un eventuale decreto dovrà comunque essere convertito in legge dal Parlamento. Qui si tratta di cambiare, anche se solo una tantum, i saldi di bilancio. Non è un’operazione banale». Grilli spiega che tra i pagamenti ci sono innanzitutto le spese per investimento dei Comuni e in questo caso «molto spesso le risorse ci sono» e spendibili «attraverso un allentamento del Patto di stabilità». Per i debiti legati alla spesa corrente, invece, alcuni potrebbero essere pagati «direttamente con titoli di Stato». Parole «importanti» per Delrio: «Abbiamo vinto una prima fondamentale battaglia per le imprese e le famiglie», commenta. Il presidente dell’Anci va oltre, e ha anche scritto una lettera ai ministri Grilli e Cancellieri (Interno), con cui chiede di «riconoscere pienamente l’esigenza di una revisione ampia e fondata di tutti gli elementi che concorrono alla determinazione delle risorse comunali per il 2012 così da poter evitare squilibri ingiustificati nelle assegnazioni».
I DATI DEL DISASTRO
Legittimata dal governo, la manifestazione incassa anche la partecipazione di tutte le sigle delle associazioni datoriali della lunga filiera dell’edilizia (Ance, Anaepa-Confartigianato, Cna-costruzioni, Fiae-Casartigiani, Claai, Alleanza
delle cooperative italiane, Aniem e Federcostruzioni). Per l’Ance, infatti, «si tratta dell’ultimo atto, in ordine di tempo, della lunga battaglia che il settore in modo unitario sta conducendo da mesi per arrivare a una soluzione efficace relativa al grave problema dei ritardati pagamenti». E anche quella dei sindacati delle costruzioni Cgil, Cisl e Uil, che lan- ciano l’allarme per il settore, ormai allo stremo. I dati, relativi al periodo 2008-2012, sono disastrosi: ore lavorate -34%, operai iscritti -31%, massa salari -26%, imprese iscritte -26%. Mentre, ricordano, «la mancanza di liquidità che ha portato al fallimento anche molte imprese creditrici nei confronti della Pa».
Che il clima sia favorevole allo sblocco, almeno parziale, dei pagamenti, lo conferma anche la proposta di legge, a prima firma Angelo Rughetti (ex segretario generale dell’Anci) appena presentata dal Pd alla Camera: l’intenzione è di consentire ai Comuni, per l’anno 2013, in deroga agli obiettivi del Patto di stabilità interno, di «procedere ai pagamenti in conto capitale nel limite massimo del 26 per cento dei residui passivi in conto capitale entro il limite delle giacenze di cassa», per un totale di circa 13 miliardi, ottemperando ad obblighi già assunti con opere progettate o già cantierate, favorendo l’occupazione e sostenendo la domanda interna. Una proposta che si cala «in un contesto mutato – spiega Rughetti – perché la commissione Ue ha fatto un’apertura verso l’Italia, consentendo al governo di adottare iniziative». Ancora: «Si tratta di liquidità già disponibili, che consentirebbero di salvare 8mila aziende senza fare mutui o creare nuovo debito». Un esempio per chiarire: qualcosa che per la città di Firenze significherebbe azzerare nel solo 2013 il debito di 80 milioni che il Comune ha nei confronti delle imprese.

L’Unità 21.03.13

Mirandola – Convegno: "La scuola prima di tutto"

Villa Tagliata
via Dorando Pietri, 23

Ore 9.00
Maino Benatti
Sindaco di Mirandola
Elena Malaguti
Assessore Istruzione, politiche giovanili e cultura Provincia di Modena
Stefano Versari
Vice Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna
Patrizio Bianchi
Assessore Scuola, formazione, università e ricerca, lavoro
Regione Emilia-Romagna
Ore 9.45
Proiezione del documentario
Il battito della comunità
La ricostruzione delle scuole dell’Emilia
Ore 10.30
Alfiero Moretti
Direttore della Struttura tecnica del Commissario delegato
Manuela Manenti
Responsabile Unico del Procedimento EST e PMS
Giovanni Biondi
Direttore del Dipartimento programmazione e gestione delle risorse umane
Ministero dell’Istruzione, dell’università
e della ricerca
Paolo Ceccarelli
Cattedra Unesco in “Pianificazione urbana
e regionale per lo sviluppo locale sostenibile” Università di Ferrara
Giangiacomo Schiavi
Vicedirettore Corriere della Sera
Silvia Vegetti Finzi
Scrittrice e docente di Psicologia dinamica
Ore 11.45
Giorgio Siena
Dirigente scolastico Istituto di Istruzione Superiore G. Luosi (Mirandola)
Mauro Borsarini
Dirigente scolastico I.C. D. Alighieri (Sant’Agostino)
Alessandra Pederzoli
Insegnante scuola primaria I.C. (Sant’Agostino)
Luigi Guerra
Preside della Facoltà di Scienze della formazione Università di Bologna
Ore 12.30 Conclusioni
Francesco Profumo
Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca