Latest Posts

Lo tsunami delle urne “I giornali sotto accusa”, di Gianni Riotta

Se chiedete nella redazione di un giornale, o al bar della piazza di paese, «Da dove vengono i guai della stampa?» la risposta tuonerà «da internet». Come tanti luoghi comuni, però, anche questo va in pezzi confrontato con la Maestra Realtà. Sapete infatti qual è l’anno record delle tirature dei giornali negli Stati Uniti? Il 1974, ben venti anni prima del web. In Italia, ancora a metà degli anni ’80 cioè venti anni prima del boom web di casa nostra, i giornali aumentavano di pagine e influenza.

Non dal web nasce la rivoluzione nell’informazione. Il mutamento è la fine della società di massa del XX secolo, impiegati, imprenditori, studenti, casalinghe, operai, contadini, soldati, destra, sinistra, cattolici, ceti o gruppi di opinione omogenei tra loro, che potevano leggere lo stesso editoriale, la stessa inchiesta, con soddisfazione condivisa.

Quando, dopo 1968, Concilio Vaticano II, declino della catena di montaggio, femminismo, scuola dell’obbligo, va in pensione «l’uomo a una dimensione» deprecato dal filosofo Marcuse, ogni cittadino si scopre con gusti, idee, curiosità, bisogni, interessi variegati, diversi. Per quasi vent’anni non c’è ancora un mezzo che soddisfi questo caleidoscopio di opinioni poi arriva il web.

La stessa analisi fotografa il ruolo dei giornali durante le elezioni italiane 2013. Molti osservatori, in buona fede o con malizia, assimilano l’informazione alla decadente Casta, incapace di anticipare l’umore dispeptico del paese. Se dai siti dei giornali populisti, o dal popolare blog di Beppe Grillo, si denunciano i giornalisti come «venduti», «maiali», più raffinati suggeritori insinuano che non ci sia più bisogno di un professionismo dell’informazione, basterà accedere al grande e fantastico del web per redigere, in proprio, la prima pagina del MarioRossiTimes o della GazzettaCarlottaBianchi.

È davvero cosí? Fino a un certo punto. La stampa italiana ha coperto il voto 2013 secondo antiche tradizioni e filosofie, molto schierata in alcuni settori, obiettiva in altri, con la novità dei siti online. È vero che i sondaggi hanno dato una dimensione minore al boom di Grillo, ma è sempre difficile calcolare il voto di una formazione debuttante e fuori dal campione. Sugli altri partiti son stati precisi.

Chi si ostina a vedere una trincea irta di filo spinato tra old media e new media, giornali, tv e web non coglie la realtà integrata del nostro mondo. Grillo ha reinvestito online la vecchia popolarità degli show tv. Twitter rende Agora, Porta a Porta, Ballarò, Sky, interattive come un sito, si guarda e commenta. Un metodo di lavoro che La Stampa ha impiegato sui Big Data con il progetto Tycho-Imt. È la riedizione del classico lavoro del cronista, suola di scarpe e parlare casa per casa con la gente, moltiplicato dalla potenza dei dati che si possono raccogliere in massa sul web con algoritmi, reti da pesca di opinioni e idee. Il silenzio sui candidati minori, la mancanza di scintilla nel centro di Monti, il veleggiare senza impeto di Bersani, la spallata di Berlusconi dopo il no all’Imu, sono stati tutti colti con precisione.

I dati Tycho-La Stampa hanno colto lo tsunami di Grillo, ma al tempo stesso anticipato il suo dilemma strategico futuro: il 25% è consenso con la piattaforma online del 5 Stelle o invece sprezzante no agli altri partiti? La seconda risposta sembra corroborata dall’alta frequenza con cui Grillo è citato dalla sua, appassionata, base militante ma dagli scarsi rilievi con cui interagisce invece nella discussione con gli altri partiti. Un voto Findus, compatto ma congelato in se stesso se Grillo e il suo braccio destro Casaleggio non decideranno infine di «far politica».

Ancor meglio i dati parlano se confrontati con il territorio. Come dimostrano i calcoli dei flussi del professor Roberto D’Alimonte per il Cise, è stato il Sud, in particolare Campania e Puglia, a toglier fiato al Pd, negandogli la vittoria. E sulle mappe regionali Tycho-Imt (www.lastampa.it) il Pd al Sud stentava molto, in Puglia non riuscendo neppure a passare la soglia minima delle citazioni. Visualizzazione dati di una sconfitta annunciata.

I dati cantano dunque, ma i dati vanno analizzati, ponderati. Uno studio del Journal of Computer-Mediated Communication dimostra come i «troll», i calunniatori online, i sarcasmi di chi commenta nichilista in fondo agli articoli, danneggino la credibilità dei loro obiettivi in modo grave e imprevisto. Napolitano, Benedetto XVI, il Papa, Rita Levi Montalcini, nessuno è immune all’acido della perfidia online. Un pericolo che induce il pioniere del web Jaron Lanier, nel suo nuovo libro «Who owns the future» (chi possiede il futuro?) a temere che l’informazione libera finisca in mano a pochi grandi monopoli punzecchiati dai troll che alla lunga elimineranno, come pulci su un elefante.

Un destino malinconico ma non obbligato. Se, come ha già cominciato a fare sperimentalmente nel 2013, la stampa impugnerà rete e dati per informare, i risultati saranno sorprendenti. A un seminario della Scuola di Giornalismo alla Columbia University, durante la recente Social Media Week, Amanda Zamora e Blair Hickman hanno parlato di callout, inviti diretti alla rete a dire la propria nel corso di un’inchiesta, sulle case fatiscenti, la scuola che non funziona, la crisi finanziaria. Anziché intervistare le solite, poche, fonti, attingere a una massa larga di esperienze, storie, aneddoti, emozioni. Insomma, se guardate senza astio al voto 2013 possiamo dire che l’informazione ha davanti a sé un grande futuro: a patto, beninteso, di non avere paura del futuro, di amarlo, studiarlo, sperimentarlo.

"Delitti contro le donne le colpe dell'informazione", di Giovanni Valentini

Le donne sono il primo Altro degli uomini e nell’immaginario maschilista sono le depositarie insieme del passato e del futuro, delle tradizioni e dell’identità della nazione così come della sua continuità.
(da “Contro il decoro” di Tamar Pitch – Laterza, 2013 – pag. 12)
Finora, nel gergo dell’informazione quotidiana, li abbiamo chiamati sbrigativamente reati passionali, delitti d’onore, raptus di follia, drammi della gelosia. Ma in realtà sono omicidi di genere, commessi dagli uomini contro le donne, come atto estremo di una serie di abusi, sopraffazioni e brutalità, spesso all’interno della stessa famiglia. Per motivi sessuali, di prepotenza o di sfruttamento.
Il femminicidio, per usare il neologismo coniato già per la strage di circa cinquemila ragazze compiuta in vent’anni nella città messicana di Ciudad Juarez, non è però soltanto un fenomeno criminale. Ha anche una dimensione mediatica, di comunicazione e di cultura. E perciò interpella direttamente tutti noi, operatori dell’informazione, in rapporto alle rispettive responsabilità.
È stata dunque un’iniziativa più che apprezzabile quella promossa dalla Commissione Pari opportunità dell’Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti Rai, sotto il titolo “Donne e informazione: ricominciamo dai giovani”. Proprio da loro, infatti, è opportuno partire per cercare di rompere la sottocultura maschilista che costituisce l’humus di certi comportamenti aggressivi e violenti. Con questo obiettivo dichiaratamente pedagogico, negli ultimi due giorni i colleghi dell’Usigrai sono entrati nelle scuole e nell’università di diverse città italiane, in occasione della Festa della donna, per lanciare una campagna di rieducazione civica.
Non c’è dubbio che la televisione e il cinema abbiano sfruttato più di tutti gli altri media l’immagine femminile, contribuendo così ad alimentare una mentalità sopraffattrice. La donna come oggetto di desiderio e di concupiscenza. Ma anche come vittima designata di una violenza latente che può arrivare, appunto, a degenerare fino al femminicidio.
È anche questa, in fondo, una forma di razzismo o di schiavismo che pretende di rivendicare al maschio – padre, marito o compagno – una presunta superiorità di genere. D’altra parte, secondo la stessa cultura cristiana, Eva non sarebbe nata da una costola di Adamo? Quasi fosse un essere inferiore, una parte o una derivazione dell’uomo.
A ben vedere, è proprio intorno alla figura femminile che ruota il degrado della nostra società verso l’indecenza pubblica e la mancanza di decoro. Il sessismo declinato come segregazione ovvero sfruttamento: in famiglia o nel lavoro, in privato o in pubblico. Ed è anche attraverso una comunicazione improntata a un modello diseducativo che la donna rischia di essere considerata un soggetto sociale di rango inferiore, sottoposto per diritto naturale alla volontà o al dominio maschile.
Ecco un campo privilegiato in cui il servizio pubblico televisivo, se mai volesse, potrebbe distinguersi nettamente dalla concorrenza privata, rifiutando gli stereotipi anti-femministi che imperversano sulla tv commerciale: dall’informazione all’intrattenimento, dalla fiction al reality. Non si tratta, evidentemente, di tornare indietro al bigottismo né tantomeno alla censura del vecchio monopolio Rai. Ma piuttosto di tutelare l’identità della donna e valorizzarne il ruolo nella società moderna, per incrementare un orientamento di maggiore rispetto e considerazione nei suoi confronti.
Rincresce, perciò, che il vertice della Rai non abbia accolto la richiesta del sindacato di dedicare a questo tema una trasmissione di approfondimento in prima serata. Non si rischia di essere troppo severi a giudicarlo come un segno di insensibilità rispetto a una questione sociale che riguarda l’intera comunità nazionale. Ne deriva purtroppo un’ulteriore conferma che il nostro servizio pubblico non è incline a interpretare la propria funzione istituzionale in ragione di una crescita generale della collettività.
Il femminicidio, come tutte le manifestazioni di violenza, si può contrastare più prevenendo che reprimendo. E cioè sradicando il fenomeno dall’habitat sociale e culturale in cui alligna. Vale a dire rimuovendo le prevenzioni, i pregiudizi, le ostilità che più o meno consapevolmente i mass media favoriscono. Se oggi è senz’altro opportuno aggiornare il nostro Codice deontologico professionale, questo è un punto da cui non si deve assolutamente prescindere.

La Repubblica 09.03.13

"Un patto per cambiare se non ora quando?", di Remo Bodei Roberta De Monticelli Tomaso Montanari Antonio Padoa-Schioppa Salvatore Settis Barbara Spinelli

Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle, Una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa. Ma si apre ora, qui e subito. E si apre in questa democrazia, dove è sperabile che nessuna formazione raggiunga, da sola, il 100% dei voti. Nessuno di noi può avere la certezza che l’occasione si ripresenti nel futuro. NON potete aspettare di divenire ancora più forti (magari un partitomovimento unico) di quel che già siete, perché gli italiani che vi hanno votato vi hanno anche chiamato: esigono alcuni risultati molto concreti, nell’immediato, che concernano lo Stato di diritto e l’economia e l’Europa. Sappiamo che è difficile dare la fiducia a candidati premier e a governi che includono partiti che da quasi vent’anni hanno detto parole che non hanno mantenuto, consentito a politiche che non hanno restaurato ma disfatto la democrazia, accettato un’Europa interamente concentrata su un’austerità che – lo ricorda il Nobel Joseph Stiglitz – di fatto «è stata una strategia anti-crescita», distruttiva dell’Unione e dell’ideale che la fonda.
Ma dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo. Le speranze pure. Non otterremmo quelle misure di estrema urgenza che solo con una maggioranza che vi includa diventano possibili. Tra queste: una legge sul conflitto di interesse che impedisca a presenti e futuri padroni della televisione, della stampa o delle banche di entrare in politica; una legge elettorale maggioritaria con doppio turno alla francese; il dimezzamento dei parlamentari il più presto possibile e dei loro compensi subito; una Camera delle autonomie al posto del Senato, composta di rappresentanti delle regioni e dei comuni; la riduzione al minimo dei rimborsi statali ai partiti; una legge anti-corruzione e antievasione che riformi in senso restrittivo, anche aumentando le pene, la disciplina delle prescrizioni, bloccandole ad esempio al rinvio a giudizio; nuovi reati come autoriciclaggio, collusione mafiosa, e ripristino del falso in bilancio; ineleggibilità per condannati fin dal primo grado, che colpisca corruttori e corrotti e vieti loro l’ingresso in politica; un’operazione di pulizia nelle regioni dove impera la mafia (Lombardia compresa); una confisca dei beni di provenienza non chiara; una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla cementificazione; un’abolizione delle province non parziale ma totale; diritti civili non negoziati con la Chiesa; riconsiderazione radicale dei costi e benefici delle opere pubbliche più contestate come la Tav. E vista l’emergenza povertà e la fuga dei cervelli: più fondi a scuola pubblica e a ricerca, reddito di cittadinanza, Non per ultimo: un bilancio europeo per la crescita e per gli investimenti su territorio, energia, ricerca, gestito da un governo europeo sotto il controllo del Parlamento europeo (non il bilancio ignominiosamente decurtato dagli avvocati dell’austerità nel vertice europeo del 7-8 febbraio).
Non sappiamo quale possa essere la via che vi permetta di dire sì a questi punti di programma consentendo la formazione del nuovo governo che decida di attuarli, e al tempo stesso di non contraddire la vostra vocazione. Nella giunta parlamentare si può fin da subito dar seguito alla richiesta di ineleggibilità di Berlusconi, firmata da ormai duecentomila persone: la fiducia può essere condizionata alla volontà effettiva di darvi seguito. Quel che sappiamo, è che per la prima volta nei paesi industrializzati e in Europa, un movimento di indignati entra in Parlamento, che un’Azione
Popolare diventa possibile. Oggi ha inizio una vostra marcia attraverso le istituzioni, che cambieranno solo se voi non fuggirete in attesa di giorni migliori, o peggiori. Se ci aiuterete a liberarci ora, subito, dell’era Berlusconi: un imprenditore che secondo la legge non avrebbe nemmeno dovuto metter piede in Parlamento e tanto meno a Palazzo Chigi. Avete detto: «Lo Stato siamo noi». Avete svegliato in Italia una cittadinanza che vuole essere attiva e contare, non più delegando ai partiti tradizionali le proprie aspirazioni. Vale per voi, per noi tutti, la parola con cui questa cittadinanza attiva si è alzata e ha cominciato a camminare, nell’era Berlusconi: «Se non ora, quando?».

La Repubblica 09.03.13

Gas, Ghizzoni e Vaccari “Benvenuto il nuovo interesse dei 5 stelle”

Defranceschi accusa il Pd di cantare vittoria e nascondere le possibili criticità esistenti. Il Movimento 5 stelle regionale accusa il Pd di eccessiva euforia all’annuncio da parte di Independent dell’abbandono del progetto del deposito di gas interrato a Rivara. “Curioso questo subitaneo interesse di Defranceschi alla vicenda – rispondono i parlamentari Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari – Si rassicuri, il Pd, come ha sempre fatto in questi anni, continuerà la sua battaglia vigile contro un progetto non voluto né dalle popolazioni né dalle istituzioni locali. Adesso che è arrivato anche Defranceschi speriamo che sia al nostro fianco nel monitorare l’evolversi della situazione”

Il consigliere regionale del Movimento 5 stelle Andrea Defranceschi attacca il Pd accusato di aver accolto con eccessiva euforia l’annuncio della Independent di voler abbandonare il progetto del gas interrato a Rivara con il contemporaneo cambio al vertice della stessa azienda e l’assegnazione a un ruolo minore di Greyson Nash che era stato colui che maggiormente si era speso per la sua realizzazione. “E’ strano questo subitaneo interesse di Defranceschi per una vicenda che, in anni di lotte dei cittadini e delle istituzioni locali, ha visto il Movimento brillare per la sua assenza. – sottolineano i parlamentari Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari che, in questi anni, nei rispettivi ruoli di deputato e assessore all’ambiente della Provincia di Modena, assieme a Palma Costi, Alberto Silvestri e gli altri amministratori locali si sono costantemente impegnati contro un progetto non solo non voluto dai residenti, ma oggettivamente pericoloso – Le valutazioni positive del Pd sono state espresse sul fatto che l’azienda, dopo anni di pervicace insistenza su di un progetto che non aveva l’avvallo delle istituzioni deputate, finalmente riconosceva l’impossibilità di portarlo avanti e la necessità di rivolgere le proprio forze ad altri progetti. E la rimozione di Nash, volto in questi anni del progetto, ha sicuramente un peso e un significato anche simbolico nella decisione aziendale. Per il resto, il Pd continuerà a vigilare, come ha fatto in questi anni, affinché la volontà delle popolazioni e delle amministrazioni dell’Area Nord sia rispettata. Adesso – concludono Ghizzoni e Vaccari – che anche Defranceschi, assieme ai neo-parlamentari modenesi del Movimento 5 stelle, si è proclamato “paladino” della causa, speriamo che lavori al nostro fianco per monitorare l’evolversi della situazione”.

"Le donne chiedono un new deal anti-crisi", di Roberta Agostini

L’8 marzo non è una festa, e mai come quest anno questa considerazione viene ripetuta nei blog e sui social network. Non è una festa, perché come sappiamo, c’è ben poco da festeggiare in un Paese dove la crisi economica fa aumentare a livelli allarmanti l’esercito di precarie, povere e disoccupate; non è una festa perché le donne continuano ad essere uccise al ritmo di una ogni due giorni.
Il voto di febbraio è uno spartiacque che sconvolge la geografia politica, che può avere effetti pericolosi sulla stabilità del Paese che affronta una crisi difficilissima. Esprime una critica radicale verso i partiti incapaci di dare le risposte che servono e verso le forme tradizionali della democrazia. Ci interroga tutti, noi per prime che abbiamo proposto il terreno della democrazia paritaria come risposta alla crisi democratica e della rappresentanza. È un voto che ci parla dell’Europae delle politiche di austerità e rigore rispetto alle quali paghiamo il prezzo dell’assenza di veri partiti continentali, di una politica che sappia uscire dalle pura dimensione nazionale. Il voto ci parla delle fratture storiche che attraversano il Paese e dei divari che la crisi aggrava: tra nord e sud, tra città e campagna, tra vecchi e giovani.
Possiamo dire di aver visto con chiarezza e per tempo l’incedere di una crisi che si sta rivelando la peggiore del secolo, di aver messo a tema la questione del rapporto tra cittadini ed istituzioni (le primarie sono state un esercizio democratico), di aver indicato l’intreccio tra questione economica sociale, democratica. Ma dobbiamo dirci che rispetto alla crisi strutturale, un vero e proprio movimento tellurico che rimette in discussione il nostro modo di vivere e lavorare, e dove i mercati finanziari mettono sotto scacco le istituzioni democratiche, la nostra proposta non è stata sufficiente, non è stata percepita come una proposta adeguata di cambiamento. Dobbiamo indagare meglio il voto.
Alcune scelte di fondo, però ci hanno però consentito di conquistare una credibilità soggettiva rispetto alla radicalità delle questioni che si agitavano nel Paese, e la scelta di campo della democrazia paritaria non può non segnare in maniera irreversibile il profilo e la proposta politica della sinistra e del Partito democratico.
Per la prima volta nella storia del Paese la presenza femminile in Parlamento arriva al 30 per cento, soprattutto grazi al Partito democratico che porta 155 tra deputate e senatrici, il 40% circa dei gruppi. Non abbiamo mai pensato, quando abbiamo lavorato sui regolamenti che hanno reso possibile questo obiettivo (a partire dalla doppia preferenza nelle primarie) che si trattasse di un semplice fatto formale, ma al contrario di qualità della rappresentanza e di sostanza della proposta.
Tante donne si sono affermate nelle primarie perché nell’opinione pubblica le donne sono state percepite come forza di cambiamento. Questa presenza di tante elette è il cuore del cambiamento che vogliamo vedere nel Paese e rafforza il nostro profilo di alternativa ad una destra che ha calpestato la dignità delle donne, che ci ha colpite nelle condizioni di vita e nei diritti e che porta la responsabilità delle politiche che hanno provocato la crisi.
La nostra sfida è ora sul terreno del cambiamento e della responsabilità, con proposte concrete, a partire dagli 8 punti approvati in Direzione e che riguardano il lavoro, il welfare, l’investimento in politiche pubbliche rinnovate. Chiediamo subito una legge contro il femminicidio e di approvare la ratifica della Convenzione di Istanbul. Il senso della nostra iniziativa è che la crisi si contrasta con un nuovo «new deal», anche per le donne. Il recente discorso di Obama sullo stato dell’Unione può rappresentare un punto di riferimento per i progressisti. Dunque l’8 marzo non è una festa, ma un’occasione di mobilitazione intorno ai grandi problemi del Paese.

L’Unità 08.03.13

"Ma l’Italia non fa eccezione", di Marc Lazar

Le elezioni del 24-25 febbraio sono state commentate in Italia soprattutto in funzione di criteri nazionali. Si è sottolineato, cercando di spiegarlo, il formidabile successo di Beppe Grillo, la vittoria strappata dal centro-sinistra, la rimonta di Silvio Berlusconi, il flop di Mario Monti. E si continua a disquisire sulla situazione inestricabile in cui il Paese si è venuto a trovare, con grave rischio di ingovernabilità. Se però questo voto interessa tutta l’Europa, non è solo per il profumo esotico che emana dai «due comici», secondo una formula in uso che ha suscitato molte polemiche; ma anche perché quanto avviene in Italia si riscontra, sotto forme diverse, in quasi tutti i Paesi europei. Di fatto, le elezioni nel Bel Paese sono state inficiate da tre crisi strettamente interconnesse: una crisi sociale, una crisi politica e una crisi europea. E la combinazione di questi tre ingredienti esplosivi non è certo una particolarità italiana.
Nell’Eurozona, fatta eccezione per la Germania, l’Austria e la Finlandia, le politiche di austerità e di rigore stanno provocando effetti recessivi più o meno accentuati. Ne consegue, oltre all’aumento della disoccupazione (che supera l’11%) e della povertà, l’aggravamento delle disuguaglianze sociali, territoriali e generazionali, nonché di genere e tra nativi e immigrati. In queste condizioni, è difficile spiegare agli europei che in prospettiva il risanamento dei conti pubblici dovrebbe favorire il ritorno alla crescita e il miglioramento delle condizioni di vita. La loro esasperazione cresce e si manifesta, oltre che nelle urne, anche sulle piazze, come è avvenuto in Portogallo. Ormai il dibattito non coinvolge più soltanto gli economisti, divisi tra difensori del rigore e adepti del rilancio, ma sta diventando apertamente politico. È ancora politicamente possibile sostenere l’imperativo di ridurre i debiti e i deficit pubblici senza rischiare di far esplodere tutto?
Su questo terreno si innesta un profondo malessere politico, più fortemente sentito in Italia, ma che non risparmia gli altri Paesi. Dovunque si evidenzia la sfiducia nei confronti delle istituzioni e dei partiti, la disaffezione per la politica, il rifiuto, se non addirittura l’odio nei confronti dei suoi leader, ma anche di tutte le élite, economiche, finanziarie, mediatiche e culturali. Tutto ciò ha investito in pieno i principali partiti, di destra o centro-destra, di sinistra o centro-sinistra, che si sono alternati al potere, ben sapendo che i governi uscenti sono quasi sistematicamente penalizzati. Tanto più che le formazioni populiste protestatarie sono in piena espansione. Indubbiamente questi schieramenti presentano grosse differenze da un Paese all’altro (il Movimento Cinque Stelle non è il Fronte Nazionale di Marine Le Pen), ma hanno anche molte caratteristiche in comune: come quella di stigmatizzare le élite, criticandone le pratiche e i costumi, di esaltare il senso comune popolare, di propugnare soluzioni semplici per le questioni più complesse, di mescolare i temi più eterogenei, di rimettere in discussione l’Europa; e inoltre il ruolo centrale dei leader, la rivendicazione di una prassi di democrazia diretta ecc. L’avanzata di questi movimenti colpisce tutto il sistema dei partiti tradizionali. I quali cercano o di coinvolgerli in alleanze per meglio soffocarli, o di radicalizzarsi facendo propri alcuni dei loro argomenti. Come David Cameron, che sotto la pressione dell’Ukip (Partito dell’indipendenza del Regno Unito) ha proposto un referendum sull’Europa. C’è anche chi cerca di contenere la loro avanzata mediante cordoni sanitari, e finisce così per collaborare con i propri rivali di sempre, rischiando di prestare ancor più il fianco alle denunce di collusione dei populisti.
Infine, quest’Europa che rappresentava un’opportunità sta diventando ovunque un problema: perché è associata al rigore e all’austerità, perché nonostante alcuni innegabili sforzi appare poco democratica, perché non fornisce ancora un progetto mobilitante, nel momento in cui i cittadini dell’Unione percepiscono, più o meno nettamente, che oramai lo stato-nazione non è più un contesto adeguato, e sono quindi alla ricerca di nuovi quadri di riferimento. Ma c’è di peggio. L’Europa è sempre più divisa tra i Paesi che seguono il modello tedesco, eretto ad esempio e motivo di speranza, e quelli — soprattutto al Sud — che lo vedono come un vero e proprio incubo, alimentando oltre tutto sentimenti antitedeschi. L’idea europea sta arretrando, anche se agli occhi della maggioranza dei suoi abitanti l’Europa rimane un orizzonte di aspettative irrinunciabili. Ma per quanto tempo?
L’Italia non è dunque un’anomalia, ma una realtà rivelatrice del dramma dell’Europa e dei dilemmi degli europei. È il caso di disperarsi, richiamando sempre più i paralleli con gli anni 1930, quando la crisi economica fece vacillare tante democrazie europee? Sappiamo bene che un paragone non autorizza una conclusione. Dal 1945 in poi, la ragione democratica ha sempre avuto la meglio sulle passioni antidemocratiche. Ma è ormai sempre più urgente prendere sul serio il segnale d’allarme che viene dall’Italia, grande Paese dell’Eurozona, forte potenza economica, pilastro della costruzione europea. Aprendo un dibattito sulle politiche economiche e sociali a livello europeo per tornare alla crescita. Rinnovando profondamente le prassi democratiche in ciascuno dei Paesi membri. Rilanciando la costruzione europea, e dotandola dei mezzi per essere una vera potenza pubblica — cosa che i dirigenti dei vari Paesi membri rifiutano. Non agire in questo senso vuol dire rischiare di essere travolti dallo tsunami scatenato da Beppe Grillo, che in questi giorni scuote la Penisola, ma presto si estenderà a tutto il continente europeo.
Traduzione di Elisabetta Horvat

La Repubblica 08.03.13

Napolitano: "Sono stato e sarò sempre dalla parte delle donne. Abbiate a cuore l'Italia, siate amiche del vostro paese che ha bisogno di voi, oggi come non mai"

Con un ringraziamento a “coloro che stanno per lasciare i loro incarichi istituzionali” e ” un sentito benvenuto alle molte giovani deputate” è iniziato il discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale nella cerimonia per la Giornata internazionale della donna.

“È una novità – ha proseguito il Capo dello Stato a proposito della schiera delle parlamentari – sul cui carattere positivo possiamo tutti concordare e sono certo che questa nutrita rappresentanza non dimenticherà di promuovere i diritti delle donne, di offrire alle ragazze italiane migliori prospettive di lavoro e di vita. A tutte le neoelette in Parlamento rivolgo l’augurio di adempiere con passione e serietà al proprio incarico, avendo come punto di riferimento l’interesse generale e il benessere del nostro Paese. Lo stesso augurio rivolgo anche ai prossimi presidenti delle Camere, ai membri del futuro esecutivo, a tutti coloro che saranno chiamati ad assumere diversi incarichi istituzionali. Sarebbe auspicabile e costituirebbe un segnale positivo per chi guarda all’Italia che le scelte relative, appunto, ai vertici delle istituzioni rappresentative, avvenissero in un clima disteso e collaborativo”.

“Questa cerimonia – ha sottolineato il Presidente Napolitano – cade in un momento complicato per il nostro sistema democratico e per il nostro paese. Lasciatemi osservare che il mio settennato non è mai stato al riparo da tensioni e da bruschi alti e bassi. Anche se in fondo siamo sempre riusciti a superare i più acuti momenti di crisi e rischi di scontro sul piano istituzionale. Dobbiamo riuscirvi anche questa volta”.

Il Capo dello Stato ha quindi rilevato che “i problemi urgenti e le questioni di fondo che riguardano l’economia, la società, lo Stato, non possono aspettare, debbono ricevere risposte e dunque richiedono che l’Italia si dia un governo ed esprima uno sforzo serio di coesione. Anche perché i problemi e le questioni cui mi sono riferito si ripercuotono nella vita quotidiana della gente e per le persone e le famiglie più disagiate, spesso drammaticamente”.

“La giornata internazionale della donna, – ha sottolineato il Presidente Napolitano – non è solo una festa ma un’occasione di riflessione sulla condizione femminile. Durante il mio settennato abbiamo introdotto la prassi di intitolare ogni anno la cerimonia dell’8 marzo in Quirinale a un tema specifico e quest’anno l’abbiamo dedicata alle adolescenti e alle giovani donne. “Avanti ragazze!” è un augurio per loro. La ragione di questa scelta generazionale non vuole certo discriminare, come potete arguire dalla mia stessa età, chi è più avanti negli anni. Mi è sembrato però doveroso guardare ai giovani, e in questo 8 marzo, guardare in particolare alle giovani donne, in quanto appare con assoluta evidenza la attuale incapacità della nostra società e del nostro sistema politico-istituzionale di valorizzare queste risorse ed energie, di dare loro un futuro. Ma le donne, le ragazze, hanno ripreso a chiedere attenzione anche facendo sentire con forza la loro voce. Ho assistito con soddisfazione alla nuova ondata di mobilitazione che ha visto tante donne, anche giovanissime, rivendicare il rispetto della propria dignità. Come abbiamo sentito rivendicarlo da Lucia delle ReteG2 per le immigrate prive, anche se nate ed educate in Italia, del sacrosanto diritto alla cittadinanza. Ho ammirato la forza con cui state conducendo la battaglia contro tutte le forme di violenza di genere. Sono stato e sarò sempre dalla vostra parte. Ho una precisa convinzione: così come il livello di uguaglianza tra i sessi è un indicatore, un termometro del grado di civiltà di una nazione, allo stesso modo la considerazione e il rispetto che gli individui di sesso maschile hanno nei confronti delle donne indica quanto loro stessi siano civili”.

A questo punto, il Presidente ha toccato una questione di grande attualità: “Per alcuni l’identità maschile coincide ancora con la capacità di sottomettere le proprie compagne anche con l’uso della forza, e perfino punendole con bestiale ferocia ; per altri, cosa comunque triviale e deprecabile, con atteggiamenti irriguardosi nei confronti del sesso femminile. In Italia -continuiamo a registrare comportamenti scorretti, atti persecutori, sopraffazioni e violenze contro le donne. In quanto a voi, ragazze, imparate a proteggervi, a bloccare la violenza fin dai primi segni. Dovete vigilare, nelle vostre famiglie e insieme con le vostre amiche e colleghe. E voi, giovani uomini, sappiate circondare di disprezzo e isolare i violenti”.

“In Italia – ha ricordato il Capo dello Stato – sono sempre di più le ragazze che si laureano, spesso con voti migliori dei loro colleghi. E cresce il numero delle studentesse che entrano in percorsi di studio tradizionalmente maschili. Le giovani superano i loro coetanei non solo nell’istruzione, ma anche per certi versi nel consumo di cultura. Rattrista però constatare che questo impegno nell’accrescere il proprio bagaglio di conoscenze, nell’arricchire il proprio capitale umano non trovi poi, in generale ma in particolare per le donne, un adeguato riscontro nel mondo del lavoro, delle opportunità, della realizzazione della propria personalità nel lavoro. Sappiamo che sono soprattutto i giovani di entrambi i sessi a pagare in questa crisi il prezzo più alto. L’Italia è tra quei paesi in cui la povertà si concentra maggiormente tra i giovani. Non solo i giovani guadagnano poco, ma troppo alto e in aumento è per essi il tasso di disoccupazione. Come ha già ricordato anche il Ministro Fornero, le ragazze sono più svantaggiate anche sotto altri aspetti: per la precarietà dell’occupazione, per il part-time involontario, per il salario di ingresso, che è per i laureati inferiore a quello dei coetanei anche quando escono dalle stesse facoltà. Le donne sono poi svantaggiate anche in seguito, cioè nelle carriere. Tuttavia l’introduzione recente di penalizzazioni o di quote minime negli organismi rappresentativi, così come nei consigli di amministrazione sta dando, lo voglio ribadire, frutti importanti”.

“Ma anche oggi in Italia – ha sottolineato il Presidente Napolitano – dove la situazione delle donne non è certo comparabile al passato, resta ancora molto da fare. Non valorizzare il contributo femminile al mondo del lavoro non è una questione che riguardi solo le donne: come ha già osservato il Ministro Profumo, è un fattore che incide sul benessere economico generale del Paese e, aggiungo, sulla sua coesione sociale. Costituisce uno spreco assurdo e ingiusto di risorse umane che l’Italia non si può permettere. Molti giovani talenti emigrano e tra loro troppi ritengono di non trovare in Italia le condizioni per tornare. Questo vale anche per i talenti al femminile ; considerando peraltro le eccellenze femminili che stanno emergendo, come si sa, nei centri europei di alta ricerca, come talenti italiani non emigrati ma impegnati a rappresentare nel modo migliore il nostro paese. Creare un habitat favorevole per lavoratori e lavoratrici altamente specializzati significa premiare il merito, investire ben di più nella ricerca, promuovere giovani e donne in ogni campo. Obiettivi che vorremmo vedere sempre presenti nell’agenda politica italiana ed europea”.

Il Presidente Napolitano ha quindi rilevato che nel corso dell’ultima legislatura, sono state avanzate molte proposte per favorire il lavoro femminile a tutti i livelli. Tuttavia “occorre continuare a operare per promuovere e impostare politiche attive del lavoro femminile”. “E sono anche convinto – ha aggiunto il Capo dello Stato – che voi, giovani donne, riuscirete ad affermarvi sempre più, ad abbattere altre barriere, grazie alle vostre qualità e alla vostra determinazione, alla vostra capacità di impegnarvi per raggiungere traguardi importanti. Fortunatamente già ci riuscite, ‘invadete’ campi prima considerati riserva maschile. Inoltre, e questa è un’altra caratteristica che rende le donne così preziose, vi impegnate, sfidate situazioni difficili, siete aperte ai bisogni degli altri, e alle realtà del mondo d’oggi. Le nostre insignite e le giovani alfiere dimostrano sia che sapete eccellere in settori che vi erano prima preclusi, sia che sapete spendervi per gli altri”.

“La cerimonia di oggi – ha concluso il Presidente Napolitano – vuole essere un invito alle giovani perché s’impegnino in prima persona, non solo per se stesse come individui, non solo per promuovere i diritti delle donne. Nel percorrere strade professionali e d’impegno civile non sempre facili cercate di ricordare che l’unione fa la forza, l’unione tra donne, tra ragazze fa la forza. La solidarietà e la cooperazione costituiscono leve essenziali per riuscire. La cooperazione e la solidarietà sono valori che non devono funzionare semplicemente come leve per conquistare meritati successi. Abbiate a cuore l’Italia, siate amiche del vostro paese : che ha bisogno di voi, oggi come non mai”.