Latest Posts

Aumentano gli alunni, ma non gli organici, di Reginaldo Palermo

Aumentano gli alunni, ma gli organici resteranno stabili: lo ha comunicato il Ministero ai sindacati nel corso dell’incontro svoltosi nella giornata del 29 gennaio.
“L’incontro – sottolinea la Uil-Scuola in una propria nota – e’ stato interlocutorio e l’informativa ministeriale ha preso in considerazione solo una prima previsione degli alunni, sulla base di un modello matematico che tiene conto di alcuni indicatori e della serie storica”.
Il Ministero ha fornito alcuni dati previsionali relativi al prossimo anno scolastico: gli alunni aumenteranno di oltre 26.000 unità, con una situazione diversificata tra ordini di scuola. Si dovrebbe infatti registrare infatti un incremento di oltre 21.000 unità nella scuola primaria, un calo di quasi 8.000 nella secondaria di primo grado e un incremento di oltre 13.000 unità nel secondo grado.
Il Ministero ha precisato che, pur in presenza di un incremento di alunni, l’art. 19 della legge 111/2011 non consente un incremento di organico di diritto, fotografando la situazione dell’epoca che prevedeva un organico di 600.839 di posti comuni e di 63.348 di sostegno.
Ovviamente si sta parlando di organico di diritto e non di fatto, ma bisogna anche ricordare che negli ultimi anni lo scostamento fra il “diritto” e il “fatto” si è andato via via riducendo.
I sindacati hanno fatto rilevare che le norme sulla formazione delle classi non possono essere eluse e che all’aumento di alunni deve necessariamente corrispondere un adeguamento degli organici.

Da Latecnicadellascuola.it

Tutti in tv ma senza duello, di Filippo Ceccarelli

TUTTI IN TV MA SENZA DUELLO FILIPPO CECCARELLI
Ieri notte, del resto, a Porta a porta Oscar Giannino, vestito appena meno eccentrico del solito, si è messo le catene ai polsi e Bruno Vespa ha fatto finta di stupirsi, «oh Dio!», prima di cedere a una misurata soddisfazione.
Da un po’ la scenetta dell’incatenamento riscuote successo. O almeno, in questo modo, fuori dagli studi de La7, Berlusconi ha salutato Ingroia, che a sua volta il giorno appresso si è fatto allegramente ammanettare negli studi videoradiofonici di Un giorno da pecora.
Al rotocalco della Real Casa, l’imperdibile Chi, il pm antimafia ha raccontato che da giovane voleva fare il regista, e ora lo è senz’altro di se stesso.
E mai campagna elettorale è apparsa così ricca di spettacoli, ma anche così buffonesca, così spudorata, così selvatica, così pazzoide. A
Domenica live il Cavaliere ha annunciato il proprio fidanzamento con una ragazza di 27 anni; a Omnibus ha battuto una certa lavagnetta in testa a un giornalista; ma forse non si è attribuita il giusto peso e valore alla circostanza che nella trasmissione di Santoro, Servizio pubblico, dove ha spolverato con il moccichino la sedia su cui era seduto Marco Travaglio, l’ex premier si sia presentato con Massimo Boldi al seguito, «Cipollino», immancabile eroe dei cinpanettoni di prima generazione.
Mai a memoria di osservatore, gli attori comici hanno esercitato l’auctoritas che oggi gli è da tutti tributata e riconosciuta. Ieri la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, inciampata in una sgradevole telegaffe di ordine socio-economico ai danni dei bidelli, si è cosparsa il capo di cenere dinanzi a Crozza, qualificandolo «fantastico, anche su di me». Con lo stesso Crozza, d’altra parte, ha ritenuto di polemizzare l’altra sera nel nuovo programma di Gad Lerner,
Zeta, Mario Monti, già presidente del Governo dei Sapienti.
Va da sé che Crozza è davvero molto bravo, ma quando a Ballarò
si rivolge direttamente ai politici presenti e debitamente inquadrati, più che a far ridere si può dire che sovraintende a una specie di rituale di degradazione preventiva. Ma Fiorello, che tutte le mattine da un bar della periferia di Roma conduce una formidabile diretta con i più ruspanti avventori, e al loro cospetto è arrivato ad evocare un matrimonio gay con Berlusconi che era al telefono, ecco, Fiorello ha detto: «Se mi presento faccio il 30 per cento».
L’invasione di campo dei giullari è palese, massiccia e definitiva. Nel week-end i quotidiani hanno annunciato l’endorsement di Paolo Villaggio per Grillo; questi rilancia in rete contro gli oppositori interni una manifesto parodia di Cetto La Qualunque con Albanese; Teresa Mannino e il mago Forrest si pubblicizzano con lo slogan «I comici di Zelig
sono meglio dei politici». Questi ultimi cercano di difendersi cercando anche loro, e disperatamente, di far ridere gli elettori, come dimostrano le strisce scherzose, i manifesti taroccati e il finto tg del Pd che immagina un’Italia totalmente berlusconizzata.
Quando nemmeno ci provano, è anche peggio. Vedi la foto terrificante di due pupazzi che raffigurano Monti e Fornero dati alle fiamme su una panchina a Busto Arsizio, con il cartello: «Da sempre il Nord tira la carretta, ora siamo all’osso», firmato «Contribuente padano». Ma vedi anche – e Dio solo sa quali processi mentali l’ha suggerito – il poster: «Anna Frank oggi voterebbe MoVimento 5stelle».
Nel frattempo l’immaginario elettorale seguita a riempirsi di visioni inconsulte e di una densità straniante che trascende i soggetti, ma li espone e li divora. La foto di Francesca Pascale e Marina B. che protendono i labbroni; lo scatto del candidato gay montiano, poi ritiratosi, che si avvicina al seno nudo e posticcio di una drag-queen
con gli occhi sbarrati; la signora del Pd che fa un gestaccio: «Vi faccio una regione così»; il filmato della candidata del Pdl all’estero, l’attrice argentina Iliana Calabro, che simula un orgasmo in un talkshow.
Nel suo complesso la campagna butta inesorabilmente sul trash,
ma a tal punto appare satura di materiali senza qualità che è arduo anche solo stabilire quali modelli replicano e degradano. In edicola è ricomparso il reprint di «Noi amiamo Silvio» (Peruzzo, 2010), prodotto minore della foto-encomiastica berlusconiana con immagini di folle da comizi malamente moltiplicate con il photo-shop.
E i simboli incredibili, paradossali, dal «Non voto» alla lista del Bunga bunga, i video, i trailer, gli inni usa-e-getta, le solenni armonie di Steve Jablonsky (My name is Lincoln, colonna sonora di Avatar) che accompagnano i trionfi internazionali Monti, l’apoteosi di Bersani by Gianna Nannini, fino alla marcetta di Leonardo Metalli – che sia perdonato per l’inconsapevole mezza citazione di Mussolini sul popolo di santi ed eroi.
E la nipote, quella originale che ormai si vede in tv da vent’anni e passa, che prima ha abbandonato una trasmissione con il dovuto turpiloquio e poi, per suggellare una pace che fino a ieri pareva impossibile, è finita in braccio a Mara Carfagna; e Albertini che, pure lui attizzato dalle telecamere, si è messo a fare l’imitazione di la Russa; e il tecnocrate Monti che nella sua Scelta Civica che sempre nella giornata di ieri si è saputo che ha arruolato una Miss Padania; e Sanremo alle porte, si salvi chi può.
Tutto si consuma, in campagna elettorale, tutto si brucia, ma così anche prima di quanto sia mai accaduto. E il dubbio, la anzi preoccupazione è come si arriverà al 24 febbraio. In quale stato dell’animo, estenuati dal tutto e dal suo contrario.

Da La Repubblica

Quel luogo leggendario distrutto dall'inerzia, di Salvatore Settis

Coperta dal fango del fiume Crati, Sibari patisce per la seconda volta nella sua storia millenaria il supremo oltraggio dell’oblio: la prima fu per la ferocia della guerra, la seconda (oggi) per l’inerzia delle istituzioni. Modello di ricchezza e di cultura urbana avanzata (o di “lusso”), Sibari fu per due secoli (il VII e il VI a. C.) la più opulenta città dell’Occidente greco, lasciandosi dietro una scia di narrazioni, spesso leggendarie. Aveva, dicono le fonti antiche, un perimetro di 50 stadii (quasi 10 km), e 300.000 abitanti; ne dipendevano quattro popoli e 25 città. Nelle feste, si snodava una processione di 5000 cavalieri. Batteva moneta, emanava leggi, assicurava il contatto fra le colonie greche d’Anatolia (specialmente Mileto) e gli Etruschi. Lotte intestine e la rivalità della vicina Crotone portarono nel 510 a. C. le truppe di Sibari a una rovinosa disfatta. I Crotoniati misero a ferro e fuoco la città, e sulle rovine fumanti deviarono le acque del Crati, per distruggerne anche la memoria. Pochissimo si salvò delle meraviglie d’arte che vi erano raccolte: fra queste una stoffa preziosissima (la più famosa fra quelle tessute dai Greci), che finì nel santuario di Hera Lacinia a Crotone, da cui fu depredata dal tiranno di Siracusa Dionigi il Vecchio, e poi venduta a caro prezzo a Cartagine (IV sec. a. C.). Enorme fu nel mondo greco l’impressione della distruzione di Sibari: a Mileto fu decretato il pubblico lutto.
Per oltre due millennii, si perse memoria di dove Sibari sorgesse: fu Umberto Zanotti Bianco (archeologo e filantropo, primo presidente di Italia Nostra e senatore a vita) a individuare il sito in scavi del 1932, come fu poi confermato da ricerche della Soprintendenza nel 1962. Sibari divenne dal 1970 un mirabile campo scuola che ha formato generazioni di archeologi, sotto la guida di Piero Guzzo e poi della Scuola Italiana di Atene. Ma tutto ha coperto il fango del Crati, rinnovando dopo due millenni e mezzo la violenza dei Crotoniati. Davanti a tanta sciagura, inutile strapparsi le vesti e levare alti lai. Inutile consolarsi favoleggiando di siti Unesco, interventi europei, aiuti extraterrestri. Per cercare una soluzione dobbiamo analizzare errori, denunciare responsabilità: l’incapacità delle nostre istituzioni di gestire se stesse e di mettere in sicurezza il territorio, l’assenza di una cultura della prevenzione. L’inerzia del ministero dei Beni Culturali, in linea con il sonnolento attendismo di Ornaghi, non stupisce ormai più nessuno. Ma la responsabilità di un sito così importante non può essere solo di un ministro, dovrebbe impegnare il Governo. O l’Italia di oggi si considera, contro Sibari, alleata della Crotone
del 510 a. C.?

Da La Repubblica

——————————————-

Sibari, di Giuseppe Baldessaro

Imosaici non ci sono più. Li ha tutti sepolti il fango trascinato dal Crati. L’acqua ha invaso ogni spazio, si è infilata in ogni buco, ha scalato ogni mattone. Il fiume ha rotto gli argini ed è piombato sull’intero parco come una furia. La piena ha sommerso la necropoli, il teatro, i cortili, i pozzi, le terme e le ville romane. Dove c’erano le testimonianze di secoli di storia, sabato 19 affioravano soltanto pochi mozziconi di colonne e qualche muro. Il Parco archeologico di Sibari è stato devastato in una notte. Cinque ettari di scavi (l’intero parco è di 12 ettari) sono stati inghiottiti da un’onda che ha provocato danni incalcolabili, impossibili da quantificare e forse anche irrimediabili.
È sparita Sybaris, antica colonia degli achei, realizzata nel 720 a. C. e distrutta nel 510 a. C. dai crotoniani. È scomparsa Thurii, fondata nel 443 a. C. dai sibariti superstiti che avevano ricostruito la loro antica città. E infine, non c’è più la polis romana di Copia, edificata nel 194 a. C., sullo stesso sito dove erano state alzate le statue di Sybaris e Thurii. Il fiume è riuscito
nell’impresa in cui non erano stati capaci gli eserciti. Ha devastato tre città in un colpo solo. C’è riuscito il Crati, ma l’uomo ha fatto la sua parte. I pompieri massacrati da turni di lavoro di 24 ore hanno quasi finito di tirar via l’acqua. E mentre i motori delle pompe continuano a ronzare coprendo le voci, indicano un punto in direzione della foce. In quel punto è venuto giù l’argine. Il fiume si è ingrossato per due giorni di pioggia imponente, è vero. Ma è vero anche che più a monte i nuovi agrumeti hanno formato una barriera che non consente il deflusso delle acque. Com’è altrettanto innegabile che quest’estate nessuno ha fatto manutenzione sulle sponde. A una settimana dall’esondazione le pompe idrovore dei vigili del fuoco e degli uomini del consorzio di bonifica, hanno fatto il loro lavoro. Ma non è finita. I primi danni sono
già visibili, alcune creste dei muri sono state spazzate via. Ora, però, il vero problema è quell’impasto micidiale di terra ed erba, di limo e arbusti, che se si indurisse diventerebbe fatale per intonaci e mosaici.
Una situazione difficile da affrontare e su cui i tecnici e i responsabili della Soprintendenza ai Beni archeologici della Calabria si stanno interrogando. Dovranno evitare che il fango si asciughi bruscamente e diventi crosta ingestibile, difficile da togliere. Servono professionalità specializzate e risorse, perché l’affitto delle pompe per aspirare il fango costa, e tanto. Per questo la Soprintendenza e il Sindaco di Cassano allo Jonio, Giovanni Papasso, stanno ipotizzando di utilizzare le idrovore per mantenere un filo d’acqua, quindi, di tenere umido il fango. Una scelta temporanea, ma necessaria.
Il sindaco Papasso è disperato: «È uno spettacolo triste. Ed è innegabile la solitudine in cui ci hanno lasciato. Ho chiesto aiuto a tutti, ma qua non si è visto nessuno. È una vergogna». Racconta una tragedia annunciata: «Già nel 2008 il fiume aveva rotto gli argini, l’acqua non era arrivata all’area ar-
cheologica, ma c’era mancato poco. La Regione aveva stanziato quattro milioni di euro per la messa in sicurezza e ad attuare il piano doveva essere la provincia di Cosenza. Poi Catanzaro aveva avocato a sé l’iter e non si è più saputo nulla di quelle risorse». Nei giorni successivi all’alluvione l’unica mobilitazione partita è stata quella di studiosi, accademici, intellettuali, che hanno lanciato dalle colonne del “Quotidiano della Calabria” l’appello “Salviamo Sibari” per richiamare l’attenzione sul sito in pericolo. Le adesioni sono state migliaia da tutto il mondo, ma servono interventi concreti.
Papasso si è rivolto al Governo attraverso i ministeri competenti, alla Regione ed ha scritto anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendogli di adoperarsi «per risolvere la situazione di emergenza».
Il telefono del sindaco squilla in continuazione: «Mi chiamano in tanti. Sono volontari, universitari, gruppi e associazioni. È bello quello che sta avvenendo. Ma qua gli angeli del fango non bastano. Qui ci vuole un piano d’intervento preciso, mezzi e specialisti».

Da La Repubblica

Silvio il nostalgico,di Barbara Spinelli

Fece bene quando uccise Matteotti, incarcerò gli oppositori? Quando inviò l’esercito in Etiopia, ordinandogli di usare i gas asfissianti a scopo di sterminio? Quando entrò in guerra accanto a Hitler, e non per evitare una vittoria tedesca troppo vasta ma convinto da sempre che urgeva vendicare l’oltraggio del ’14-18? Oppure fece bene perché seppe governare accentrando tutti i poteri, reintroducendo la pena di morte, soggiogando l’amministrazione della giustizia? Quando si incontra un politico provocatore, che consapevolmente sceglie il giorno in cui si ricorda la Shoah per inquinare il consenso antifascista da cui è scaturita la Costituzione, è sempre la seconda domanda quella che conta, che aiuta a capire, e la seconda domanda purtroppo è mancata.
Ma in fondo quel che vorremmo sapere lo sappiamo già, perché Berlusconi non è caduto dal cielo: né oggi né nel ’94. Perché quel consenso è stato gracile sempre, a dispetto delle commemorazioni, e lui quest’oscurità italiana la sa, l’attizza, ne fa tesoro. Non aveva mai parlato in questo modo del fascismo, ma sul Regime, e sulla Resistenza, ha già detto in passato cose sufficienti. Ha già detto che Mussolini «non ha ammazzato nessuno; mandava la gente a far vacanza al confino» (settembre 2003). Ha già detto che la Costituzione fu scritta «sotto l’influsso di una fine di una dittatura, e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come un modello» (7-2-2009). Che è congegnata in modo da rallentare le decisioni dei governi, e dilatare proditoriamente il potere giudiziario. Il suo giudizio sull’autonomia della magistratura non è senza rapporto con il suo sguardo su Mussolini ed è chiaro da tempo: l’autonomia è patologica, e i magistrati fedeli ai dettati della Carta sono «mentalmente disturbati, antropologicamente diversi ». Affinché non ci fossero equivoci sulle sue preferenze aveva decretato, il 26 gennaio 2004: «Il fascismo è stato meno odioso dell’odierna burocrazia dei magistrati che usano la violenza in nome della giustizia».
Berlusconi non è il primo né l’unico in Europa a rompere il consenso costituzionale che ha visto rinascere le democrazie nel continente, e le ha spinte a unirsi in una semi-federazione. Da quando quest’ultima si è allargata a Est, molti Stati che avevano patito l’impero sovietico sono giunti a conclusioni simili: il comunismo era il vero nemico, più delle dittature di destra. Ricordo dissidenti di rilievo, negli anni del golpe di Jaruzelski in Polonia, che ne erano convinti. Alcuni erano sedotti da Pinochet: spietato con gli oppositori, ma paladino di dottrine liberiste, filo- occidentali, che avevano resuscitato l’economia cilena. Le attese del-l’Est erano economiche più che politiche. La regressione fascistoide di Viktor Orbán e del partito Fidesz in Ungheria (a suo tempo un partito di dissidenti libertari oltre che liberisti) mette in pratica quel fascino di Pinochet. Orbán è uno dei vicepresidenti del Partito popolare europeo: una formazione che è andata sempre più corrompendosi, da quando ha accolto – dimenticando De Gasperi o Adenauer – capi politici come il Premier ungherese o l’ex Premier italiano.
L’Europa unita non ha l’ardire di dare il nome di costituzione alle proprie leggi fondamentali, ma la sua Carta dei diritti e il Trattato di Lisbona hanno valore costituzionale (se costituzionali sono le leggi che tengono insieme i cittadini). Quando l’articolo 2 del Trattato dice che «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani», comprese le minoranze, è evidente il riferimento alle dittature d’Europa. Quando la Carta
dei diritti, non meno vincolante giuridicamente del Trattato, afferma che saranno rispettati «i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali (…) e dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali », è lo spirito della Resistenza che convoca e suggella. Berlusconi non riconosce le tradizioni costituzionali italiane, e di conseguenza neppure quelle dell’Unione europea. Si dice «migliore amico di Israele», e questa è per lui la patente antifascista decisiva: Israele dovrebbe essere il primo a negargliela.
Al pari di Orbán, e di molte destre europee, l’ex Premier usa far leva sulla democrazia, per sgretolarla dal di dentro. Un’operazione tanto più facile, in un paese dove il confine fra estrema destra e conservatori è sempre più labile. Non esiste da noi una forte destra repubblicana come in Germania, né esiste la tradizione gollista che per anni, in Francia, ha rifiutato ogni patto con Le Pen. L’Italia politica onorò fino all’ultimo il generale Rodolfo Graziani, condottiero della guerra d’Etiopia, e negli anni ’80-90 giocò a riabilitare il fascismo e a declassare l’antifascismo, comunista o azionista. Disinformata, gran parte del suo popolo s’è confusa, smarrita. Una vera
politica della memoria
– così la chiamano in Germania – da noi non c’è mai stata. È mancata soprattutto a destra: l’unica forza in grado di capire e curare efficacemente le
proprie
escrescenze estremiste. Da sola, la sinistra non le placa: le attizza.
L’idea che Berlusconi si fa della democrazia ha acuito questa confusione. A suo parere è la sovranità del popolo, e lei sola, a garantire la democraticità di uno Stato. A che serve tutta un’impalcatura di leggi, di contrappesi? Se il popolo (in realtà non tutto: la maggioranza) premia partiti e persone che avversano la Carta o violano la legge, la Costituzione e la giustizia dovranno sottomettersi: tale è il verdetto delle urne. E assoluta è la sovranità dell’eletto; nessun potere può esistere accanto a lui o sopra. Precisamente contro questa perversione della sovranità democratica fu inventata l’Unione europea, dopo secoli di guerre tra assoluti sovrani nazionali. Sia detto per inciso: l’invenzione nacque proprio in quell’isola di detenzione, a Ventotene, ribattezzata dieci anni fa
luogo di vacanza.
Da quando ha fatto irruzione nella vita politica italiana, Berlusconi ha scelto l’anticomunismo come arma prediletta. Era appena finita la guerra fredda, e non poche destre europee si ritrovarono d’un tratto orfane del nemico esistenziale. Meglio tenere in vita il morto, pensò il fondatore di Forza Italia: serviva a guadagnar voti, additando pericoli totalitari non esistenti, e a bloccare il doppio risanamento civile che Falcone e Borsellino avevano iniziato in Sicilia contro la mafia, e che Mani Pulite tentò a Nord. Fu rapido, il cortocircuito. Berlusconi associò magistrati e comunisti, e ambedue vennero accusati di sovversione antidemocratica.
I dispotismi europei del secolo scorso sono nati con gli stessi metodi, falsificando la storia e attizzando i risentimenti che le grandi crisi economiche, mal governate, suscitano sempre nei popoli immiseriti. Berlusconi scimmiotta Mussolini in piena coscienza: nessuna delle sue parole è – come sembra credere Mario Monti – una malaccorta «battuta infelice ». In cuor suo sa perfettamente che in tempi bui cresce la sete dell’uomo forte, delle dittature. Se la destra e il centro non vedono all’orizzonte nient’altro che sbadate follie, vuol dire che non sono del tutto preparate a un’argomentazione seria sul pericolo che incombe: in Grecia, o in Ungheria, o in Italia. Che hanno dimenticato come ci sia sempre del metodo nelle follie, e come la preparazione sia tutto, in politica come nella vita di ciascuno.

Da La Repubblica

I filantropi? Sono donne, di Elisa Bortoluzzi Dubach e Santa Nastro

Altro che quote rosa. Se parliamo di filantropia le donne la sanno lunghissima. Prima di una serie di analisi su un fenomeno che sta modificando la progettualità in ambito sociale e culturale. E che ha visto emergere prepotentemente la figura della “filantropa” come protagonista indiscussa dell’impegno a beneficio collettivo.
La crisi globale ha messo in discussione molte delle certezze, in termini di raccolta fondi e sviluppo di progetti con finalità culturali e sociali. L’opinione comune è ormai concorde su quello che di fatto ormai è diventato un leitmotiv: il settore pubblico ha perso la centralità che gli spettava, mentre all’orizzonte sono apparsi nuovi protagonisti, i filantropi.
Ma che cosa significa esattamente filantropia? Non soltanto elargire denaro, ma avere il coraggio di farsi personalmente carico di un progetto, non solo per quanto riguarda il suo finanziamento, ma soprattutto in un’ottica di vero spirito imprenditoriale, nella ricerca di modelli sostenibili per la soluzione dei problemi, nell’entusiasmo per una causa e nel convincimento che in una situazione come quella attuale i filantropi possano fornire impulsi preziosi per la risoluzione di problemi.
Il fenomeno è affascinante e complesso e nell’ultimo decennio è in crescita il numero delle donne che mostrano uno spiccato interesse e una notevole sensibilità nello sviluppo di progetti sociali e culturali innovativi. Quelli che inizialmente si proponevano come episodi e best practices hanno portato a un effetto a cascata, a una sensibilizzazione progressiva e a un numero sempre più importante e illustre di mecenati desiderose di avere un ruolo determinante e positivo nella società. Negli ultimi anni, infatti, sono sorte numerose nuove fondazioni istituite da donne. La loro provenienza è estremamente variabile: imprenditrici, scrittrici, giudici, casalinghe, tutte unite dalla decisa volontà di essere una forza propulsiva dei grandi mutamenti sociali in atto.
In occasione di una conferenza tenutasi l’anno scorso a Zurigo, l’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer ha dichiarato che “la profonda crisi in corso rappresenta un’opportunità per tutti coloro che siano in grado di ‘cavalcare l’onda del cambiamento’”. Proprio per questo la filantropia femminile non è soltanto pienamente cosciente della crisi ma dispone, in un momento come quello attuale, di nuove possibilità per influire sul tessuto sociale attraverso trasformazioni strutturali. Negli Stati Uniti la filantropia femminile gode di un vasto riconoscimento, tanto che esistono istituti universitari appositamente dedicati solo a questa materia. Il Women’s Philanthropy Institute dell’Università dell’Indiana, ad esempio, ha conquistato fama e reputazione internazionale grazie a studi, pubblicazioni e programmi all’avanguardia. In Germania, nel 2001, nove filantrope si sono unite per fondare filia. die frauenstiftung, adottando il modello progressivo della fondazione collettiva, che incentiva la partecipazione.
Nel mese di aprile 2012 risultavano già coinvolte 58 fondatrici e numerose donatrici pronte a sostenere progetti femminili in tutto il mondo. Fin dalla sua istituzione, filia è anche membro dell’INWF – International Network of Womens Funds. La commissione e gli uffici della fondazione lavorano con entusiasmo e con grande energia per trasformare le condizioni sociali delle donne e delle ragazze di tutto il mondo. “Change, not charity: trasformate il vostro denaro in un mezzo per rafforzare le donne e cambiare il mondo in positivo, nell’interesse delle donne e delle ragazze”: questo è il motto della fondazione.
E in Italia? Anch’essa ha una forza propulsiva non indifferente in tal senso. E i casi non mancano. Per citarne due, Diana Bracco, con l’impegno di Fondazione Bracco che ha assunto un ruolo da protagonista nel sostegno della ricerca e dello sviluppo culturale e sociale, e Maria Vittoria Rava, con il lavoro che, per tacere di tutto il resto, ha svolto nell’Emilia terremotata. Sarebbe dunque sbagliato pensare che queste mecenati abbiano a cuore solo temi femminili. Spesso, come dimostrano questi esempi, nutrono un forte interesse per tutte le cosiddette tematiche difficili (integrazione, disoccupazione, dialogo multiculturale). Le donne rappresentano così una forza motrice significativa di rinnovamento, che investe ampi settori della società e si rispecchia anche nell’attività delle fondazioni o dei soggetti che promuovono.
Se parliamo di arte contemporanea, solo in Italia possiamo vantare esempi illustri di mecenati che ricoprono un ruolo fondamentale nella promozione dell’arte: Nicoletta Fiorucci con il suo Fiorucci Art Trust, Giovanna Furlanetto con la Fondazione Furla, Miuccia Prada con la Fondazione Prada, Rebecca Russo con il suo Centro Videoinsight, Patrizia Sandretto con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Beatrice Trussardi con la Fondazione Trussardi, Anna Zegna con il sogno di una moda sostenibile… L’elenco sarebbe lunghissimo, infinito, se non ci limitassimo in queste poche righe all’Italia e se guardassimo, inoltre, oltre i confini europei o statunitensi. A volte le donne sono chiamate ad armarsi di enorme coraggio per diventare creative e realizzare cambiamenti. Ma a quel punto il loro impegno diventa così deciso che non si rendono neppure più conto di quanto coraggio stiano dimostrando.
Anche gli esempi citati, del resto, confermano soprattutto un aspetto: le donne che sono riuscite a prendere in mano la propria vita e le proprie finanze diventano coraggiose già soltanto in virtù di questa acquisizione. E un Paese ha bisogno di donne coraggiose, anche e soprattutto quando si tratta di sostenere cause di carattere socio-politico.

Da artribune.com

Scuola, Bersani a Monti "Apriamole tutto il giorno"

Il duello a distanza tra Mario Monti e Pierluigi Bersani prosegue ormai su base quotidiana, trovando ogni giorno un diverso oggetto del contendere. L’ultimo è la scuola e, in particolare, l’idea di chiuderla d’estate solo per un mese. Proposta da ieri al centro della polemica: data come parte integrante dell’agenda Monti, inserita nella bozza della nuova riforma del mercato del lavoro, ricostruzione poi smentita da Mario Sechi, responsabile della campagna elettorale di Scelta Civica. Ma intanto, la sola idea di un simile progetto aveva registrato l’immediata reazione negativa dei sindacati.
Il giorno dopo, Mario Monti si fa sentire via Twitter, con abbondanza di punti interrogativi. “Ma chi ha mai parlato di taglio delle vacanze scolastiche??? – scrive il Professore sul suo profilo -. Abbiamo proposte sulla scuola”.
Proposte sulla scuola, per una modernizzazione del sistema, che ancor prima di essere svelate trovano sulla loro strada Pierluigi Bersani. Il candidato premier del centrosinistra, ancora via Twitter, attacca ricollegandosi all’idea della chiusura estiva degli istituti. “Prima di parlare di allungare o accorciare vacanze estive, teniamo le scuole aperte tutto il giorno per attività didattiche – scrive il leader del Pd sul social network -. Le scuole devono stare in piedi. Per questo allentare Patto Stabilità sui Comuni per un grande piano di piccole opere locali”. Ecco, dunque, la “proposta da primo giorno” di governo lanciata da Bersani: “Ci mettiamo coi comuni, facciamo una deroga al patto di stabilità, e facciamo manutenzione straordinaria delle scuole, così diamo anche un po’ di lavoro in giro”.
Mentre i duellanti incrociano i tweet, a Radio24cerca di fare un po’ di chiarezza il giuslavorista Pietro Ichino, ex Pd passato alla corte di Monti, nel cui studio, sabato scorso, sarebbe stata redatta la bozza di riforma del mercato del lavoro.”Sul tema delle vacanze scolastiche, la bozza non interviene. La bozza, nel suo testo definitivo, che verrà presentato tra poche ore, forse già domani non contiene il capitolo sulla scuola, che è oggetto di elaborazione di un gruppo di lavoro diverso”.
Ma c’è anche chi plaude all’idea di una chiusura estiva delle scuole limitata a un solo mese. E’ Renato Brunetta, che a Tgcom24 commenta: “Un solo mese di vacanza per gli studenti? Mi piace, so che non avrà alcun esito e sarà sommerso di critiche, ma è una delle poche cose giuste dette da Monti negli ultimi 14 mesi”.

da Repubblica.it

Il 31 Hannes Swoboda incontra i sindaci dell’area del cratere

Una delegazione del Gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo sarà nel pomeriggio di giovedì 31 gennaio nell’area del cratere del sisma del maggio 2012. Hannes Swoboda, presidente del Gruppo dei socialisti e democratici, Anna Colombo, segretaria generale del gruppo e Fabrizia Panzetti, consigliere politico del gabinetto del presidente Swoboda, faranno tappa prima a Novi e poi a Crevalcore. Con loro anche il responsabile esteri del Pd Lapo Pistelli, l’europarlamentare Pd eletto nella nostra circoscrizione Salvatore Caronna, la capolista Pd al Senato in vista delle politiche di febbraio Josefa Idem e il segretario regionale del Pd Stefano Bonaccini. Il programma della visita prevede, come detto, una prima tappa a Novi. Il ritrovo è presso la sede del circolo Pd in via Canzio Zoldi alle 16.45. Da lì partirà una breve visita alla zona del centro di Novi devastata dal terremoto. Alle 17.15, incontro presso lo spazio comunale, con le autorità cittadine, i sindaci del cratere e i candidati modenesi del Pd, sono invitati a partecipare anche i rappresentanti dei media. La delegazione del Gruppo dei socialisti e democratici al Parlamento Europeo proseguirà poi per un altro comune del bolognese colpito dal sisma, quello di Crevalcore, dove sarà presente anche il commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani che parteciperà all’incontro pubblico dal titolo “Ricostruiamo l’Europa, l’Italia e le nostre città” e, infine, tappa serale, a Minerbio, sempre nel bolognese, per una cena di autofinanziamento.
“L’incontro è per noi molto importante. – spiega Davide Baruffi, segretario provinciale del Pd e candidato alle elezioni politiche – Nasce, infatti, dalla volontà di coinvolgere sul tema della ricostruzione dell’Emilia il nostro gruppo a Strasburgo. Sarà l’occasione per il presidente Swoboda e i componenti della delegazione di “toccare con mano” quello che è accaduto e come sta procedendo l’avvio della ricostruzione, parlare con i primi cittadini da sempre impegnati in prima linea e confrontarsi anche con i candidati alle elezioni politiche, coloro che hanno preso come primo impegno quello di portare a Roma le istanze delle zone del cratere. Si tratterà anche – conclude Baruffi – di una opportunità per valutare insieme alle autorità coinvolte se l’erogazione dei contributi europei stia procedendo, se vi siano ritardi o problemi, in modo che il Gruppo S&D possa dare ora e in futuro, insieme ai sindaci e ai futuri parlamentari nazionali, un contributo concreto allo sforzo straordinario compiuto in questi mesi dalle autorità locali e regionali e dai cittadini tutti”.
Da Pdmodena.it