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"L’irrazionale antica paura della sinistra", di Stefano Menichini

L’elettore di centrosinistra, si sa, è fragile. Ha sofferto molto, per molti anni. Come i tifosi di certe grandi e sfortunate squadre di calcio, porta la sconfitta dentro di sé e la rimira come un destino ineluttabile anche (anzi, soprattutto) nei momenti in cui le cose sembrano invece andare bene. È affetto da indicibili complessi d’inferiorità, figli di altrettanti complessi di superiorità. Infine, invariabilmente sotto elezioni dal ’94 in avanti, patisce la prepotente sicumera di Berlusconi, avversario mai attraversato dal dubbio, e tende a credere a qualsiasi cupa leggenda propalata da lui, o cresciuta nelle proprie stesse fila.
Come la leggenda della Rimonta.
La leggenda della Rimonta, accreditata da importante grande stampa e fin qui contrastata invano solo da Paolo Natale su Europa, sta scatenando una psicosi collettiva. Una corrente di pessimismo amplificata dall’inevitabile malignità giornalistica (ieri sul Fatto, per esempio) che non può essere arrestata dagli affollati comizi della campagna elettorale condotta praticamente in solitudine da Bersani (mica per altro: solo per colpa della dinamica nefasta del Porcellum, che non invoglia alla lotta i candidati messi nei posti sicuri).
La propaganda e la narrazione della Rimonta berlusconiana si basano sul precedente del 2006 e sul trend positivo di alcuni attuali sondaggi del Pdl: affiancando l’uno agli altri si pretende che di nuovo il centrodestra starebbe rimontando lo svantaggio e potrebbe chiudere a ridosso del pareggio, come riuscì a fare contro l’Unione di Prodi.
La realtà fattuale, se solo l’elettore di sinistra riuscisse a emanciparsi dai complessi e dall’irriducibile sfiducia verso se stesso e i propri leader, è che le due situazioni sono incomparabili. Innanzi tutto perché nel 2006 mai, nei tre mesi precedenti il voto, al centrosinistra venne accreditato un vantaggio come l’attuale, intorno ai 10-11 punti: le rilevazioni più ottimistiche per l’Unione a venti giorni dal 9 aprile 2006 non superavano i 4-5 punti di vantaggio.
In secondo luogo, cinque anni fa non c’erano né terze né quarte forze (infatti non entrò in parlamento nessuno che non fosse Unione o Cdl).
Berlusconi non dovette competere con nessuno nel recupero dei suoi elettori delusi: adesso sta tentando la stessa identica operazione avendo però almeno due alternative in Monti e Grillo.
Se accettiamo che da dicembre in poi un ritorno parziale di elettorato berlusconiano era prevedibile, che si è già verificato e che non sembra affatto un fenomeno travolgente, bisogna razionalmente concludere che all’inizio di febbraio l’unica incognita aperta è la stessa che si poneva due, tre o sei mesi fa: la dimensione della maggioranza del centrosinistra al senato.
Un problema politico di prima grandezza, senza dubbio. Ma non al punto da giustificare ondate di panico o mitologie eroiche.

da www.europaquotidiano.it

"Chi decide è altrove", di Concetto Vecchio

Il politologo Giorgio Galli: “Democrazia debole”

«Il punto centrale dello scandalo Monte dei Paschi a me pare questo: c’è un potere insondabile che sta altrove e che decide carriere, impone decisioni, approfittando della debolezza del sistema politico, che in Italia non è mai stato così debole e screditato». Giorgio Galli, 85 anni, politologo, autore di molti saggi, dalla Dc alla P2, dal terrorismo rosso al nazismo magico di Hitler, dalla sua casa di Milano dice: «Le grandi concentrazioni economiche sono il nuovo Leviatano».
Come definirlo? Un potere parallelo, un doppio livello?
«La democrazia rappresentativa, come potere basato sul consenso, sui voti del Parlamento, è da tempo incrinata in favore di altri poteri, non trasparenti. Non è un problema solo italiano. Uno studioso americano, David Rothkopf, ha scritto un libro,Superclass. La nuove élite globale e il mondo che sta realizzando, in cui ha cercato di spiegare i meccanismi di cooptazione nei consigli d’amministrazione».
Per l’onorevole Sposetti, del Pd, è una storia di massoneria.
«Certe carriere appaiono inspiegabili. Ci si dà tanto da fare per eleggere parlamentari che contano pochissimo e quasi nulla si sa invece di chi comanda, e perché, nel capitalismo globalizzato. Questi altri poteri plasmano dirigenze che non passano per il consenso».
Ma il consiglio d’amministrazione di una banca non è un Parlamento.
«Sì, ma conta infinitamente di più. Mi chiedo come sia possibile che la Banca d’Italia si sia fatta imbrogliare: vuol dire che c’è un sistema reale che stabilisce certi destini ben al di sopra delle istituzioni che conosciamo».
E come si forma questo sistema di relazioni?
«Questo è quel che un politologo oggi dovrebbe approfondire. Quando studiai la P2 mi accorsi che la sua vera essenza non risiedeva nella lettura che gli aveva dato la commissione Anselmi: Gelli non meditava alcun colpo di Stato, ma aveva creato una grande camera di compensazione, legami invisibili che avevano sostituito i reali centri decisionali. La P2 nell’81 sembrava finita e invece…».
Invece uno della P2 è diventato più volte premier.
«Il che conferma la mia tesi. Un organismo permanente per gestire relazioni occulte, tanto più che questa rete continua a rigenerarsi, sotto altre forme. Una volta è la P3, poi la P4, e con figure che in qualche modo sopravvivono ai vari scandali, come quel Bisignani».
La storia di queste rete è stata sottovalutata?
«Temo di sì. Il fatto che questo scandalo scoppi in campagna elettorale non va letto come una manovra contro il Pd. Che ci siano strumentalizzazioni può darsi, ma il Monte dei Paschi finanziava tutti. Qualcuno, però, ha deciso che la vicenda doveva esplodere adesso, con queste modalità, e probabilmente decreterà anche quel che avverrà dopo le elezioni».
Non è una lettura troppo dietrologica?
«È saltato il bilanciamento dei poteri. Nel dopoguerra Fiat ed Edison avevano il loro peso sulla società, ma il sistema politico era forte. Poi, alla fine degli anni Settanta, questo equilibrio si spezza, e da allora questi nuovi tipi di potere si sono rafforzati».
Tecnicamente questa rete non è massoneria?
«La massoneria è uno dei canali di questi poteri, ma non penso sia l’unico, forse nemmeno il più importante. Possiamo chiamarla in tanti modi, ma il suo fine è questo: mettere uomini privi di consenso “con i soldi degli altri”, per citare il felice libro di Luciano Gallino, in posti strategici a decidere su cose che grandissimamente toccano tutti noi».

da la Repubblica

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“SOLDI, SCISMI E GREMBIULINI”, di Filippo Ceccarelli

I lingotti nelle fioriere di Villa Wanda. Una certa pomata fatta entrare con triplice e fraterna destrezza nel Prontuario della Sanità. La revolverata che il Gran Maestro — e medico! — sparò di buon grado attraverso un cuscino sul polpaccio di Michele Sindona per simulare un attentato delle Br. I fregi del mausoleo di Arcore e l’architettura di Villa La Certosa, il cui orto botanico ricorderebbe le geometrie del tempio di Salomone.
Tra i centomila bislacchi documenti della Commissione P2 ce n’è uno, apparentemente secondario, ma illuminante. Un memoriale in cui un generale spiega il senso ultimo per cui ha aderito alla loggia segreta di Gelli, convinto di trovarvi, letteralmente, «la crema dei valori spirituali d’Italia». Ecco, in questa furba e ingenua giustificazione, domestico miscuglio di pasticceria e idealità, mirabilmente si rispecchia l’essenza e forse anche il destino della massoneria all’italiana. Là dove la specificazione vorrebbe indicare, insieme con il ripudio dell’esoterismo e di una nobile storia, l’inesorabile discesa dell’istituzione nel tragicomico. Quest’ultimo reso ancora più grottesco dall’altisonanza del linguaggio in uso nelle logge e dalla funerea solennità cerimoniale di cui resta indimenticabile testimonianza l’iniziazione di Alberto Sordi ne Il borghese piccolo piccolo (1977).
Eppure, tale dotazione non impedisce il più ciclico riemergere di sospetti riguardo all’influenza di cappucci e grembiulini nella vita pubblica, governi non solo tecnici, corse al Quirinale, importanti nomine e — come ti sbagli! — affari e affaracci. Per cui dal golpe al mostro di Firenze, dal Vaticano alla criminalità organizzata, dai traffici proibiti fino ai più miserabili impicci di Tangentopoli non c’è storia nei cui pressi non s’avverta l’inconfondibile puzzetta, con relativi annusatori maniacali e professionali tra i quali primeggiano spioni e faccendieri, per giunta in concorrenza fra loro.
E saranno poteri occulti, come si dice, però mai come nelle faccende massoniche, con il relativo armamentario di elenchi fasulli, vane smentite, comici soprannomi, certificati penali, lettere anonime, animose beghe e frequentissimi scismi, ecco, troppo spesso accade che il millantato credito s’intrecci al richiamo del torbido, e facilmente l’occhietto strizzato si combina con il favore, la bustarella, e alla fine della giostra la massoneria c’entra sempre e al tempo stesso non c’entra mai, salvo rientrarci spesso e volentieri.
A Roma, fino ad alcuni anni fa, con una piccola mancia si poteva visitare di straforo il tempio di piazza del Gesù, ospitato nello stesso edificio in cui aveva sede una radio vicina al Pci e un’associazione di sordomuti. Non mancavano, come ovvio, turisti maleducati che tra sghignazzi mettevano in scena parodie rituali. Ma in verità c’era poco da ridere perché all’inizio degli anni Ottanta si scoprì che una buona fetta del potere (politico, economico, giudiziario, editoriale) la deteneva il Venerabile direttore dello stabilimento Permaflex (materassi).
Oggi Gelli dispensa memorie abbastanza addomesticate, scrive poesie e ha appena fondato una Lega per la difesa del crocifisso, pure disegnandone di suo pugno il simbolo. Ma già nel 1990 aveva potuto dare alle stampe uno straordinario manuale significativamente intitolato Come arrivare al successo (Aps) comprensivo di consigli sull’importanza dell’aspetto, del sonno, sul ruolo della donna, l’organizzazione della giornata e perfino provvisto di un test «per conoscere se stessi». Né era trascurata la «decadenza dei valori» — dei
quali, peraltro, meno si parla e più si evitano guai.

da la Repubblica

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“Quegli uomini in nero nascosti tra politica e affari”, di Alberto Statera

La massoneria? «Conta davvero molto più di quanto si immagini». Parola di Cesare Geronzi, ultimo “banchiere di sistema”, tranne il superstite Giovanni Bazoli. E se allora si provasse a ribaltare la vulgata che vuole la politica unica responsabile dello scandalo del Monte dei Paschi di Siena e si guardasse un po’ più nel capitalismo feudal-relazionale percorso da solidi intrecci di esoterismo massonico, che può tingersi di rosso e anche di bianco? Nessuno negherà che a Siena la rossa la politica sceglie da sempre attraverso la Fondazione i manager del Monte. Ma chi è il Leone e chi la Volpe, la politica o l’economia? Il Centauro che combina insieme forza e astuzia a Siena ha un timbro platealmente iniziatico persino nella toponomastica.
Ma è in tutta l’Italia senza borghesia e con pochi princìpi che si annodano in nome del potere e del denaro legami e solidarietà trasversali. Tra l’alta burocrazia e la finanza, tra gli alti gradi delle forze armate e l’università, tra i servizi segreti e le grandi imprese, tra i gabinetti ministeriali, i tribunali amministrativi, naturalmente la politica e persino le sacre stanze vaticane. Racconta Geronzi, campione per un trentennio dei poteri trasversali nelle memorie consegnate a Massimo Mucchetti: «Una volta andai a trovare nel suo nuovo ufficio in Vaticano un importante prelato che era appena stato elevato alla porpora cardinalizia. Nell’avvicinarmi alla sua scrivania rimasi di sale. Sul montante lungo era applicato un tondo che recava in bassorilievo i simboli massonici». Curioso, peraltro, lo stupore dell’ex banchiere “di sistema” visto che il suo sodale Gianni Letta è il trait d’union tra chiesa, Opus Dei e massoneria, ruolo che per tre lustri ha svolto con passione da Palazzo Chigi e che ha continuato a svolgere imponendo alcuni catto-massoni nel governo di Mario Monti. Il quale ha dovuto smentire la sua affiliazione: «Non sono massone e non so neanche bene cosa sia la massoneria». Sarebbe un torto all’intelligenza credere che davvero il presidente del Consiglio, ex presidente della Bocconi, ex commissario europeo e grande consulente della finanza internazionale da decenni, frequentatore di tutti i consessi del potere mondiale, a cominciare da Bilderberg, non sappia che cos’è la massoneria. Ma il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi si era forse spinto un po’ troppo oltre quando aveva dichiarato: «Mario Monti è un gran galantuomo, potenzialmente ha tutte le carte in regola per essere un ottimo fratello».
Il Grande Oriente d’Italia, 22 mila fratelli e 762 logge, centinaia di “bussanti” che per entrare devono attendere i passaggi di fratelli anziani all’Oriente eterno è la maggiore “obbedienza” italiana, ma tante altre, regolari e irregolari, pullulano quasi sempre in lotta tra loro, dilaniate da lotte intestine, travolte dall’indebolimento del “fondamento iniziatico” e dalla “profanizzazione”. Raffi, avvocato ravennate con antichi rapporti professionali col Monte dei Paschi di Siena, Gran Maestro da quattordici anni, è al centro di una combattiva opposizione interna, che ha portato alla costituzione di una sorta di corrente, come nei partiti politici, denominata Grande Oriente d’Italia Democratico.
Per accrescere il suo prestigio, vorrebbe parlare inglese perché la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, è la madre di tutte le massonerie mondiali. Ma non può perché il Grande Oriente d’Italia non è più riconosciuto da Londra. Fu espulso per volontà del duca di Kent dopo l’ultima scissione del 1993, dodici anni dopo lo scandalo della P2 di Licio Gelli, quando il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo fondò la Gran Loggia Regolare d’Italia, invocando la revoca del riconoscimento al GOI e ottenendolo per sé. Non contento, ha fondato anche l’Accademia degli Illuminati, che si richiama agli Illuminati di Baviera e si riunisce una volta l’anno a Roma. Tra i suoi adepti, Di Bernardo colloca più o meno esplicitamente, come ha confessato al giornalista Ferruccio Pinotti, anche il presidente di Intesa San Paolo Giovanni Bazoli, oltre a Vincenzo De Bustis, il banchiere considerato vicino a D’Alema che portò al Monte dei Paschi per un prezzo considerato allora esorbitante la Banca del Salento. E poi ancora Carlo Freccero, ex Fininvest e poi Rai, Rubens Esposito degli Affari legali Rai, Sergio Bindi, ex consigliere Rai e antico portaborse del democristiano Flaminio Piccoli, Severino Antinori, specialista della fecondazione assistita, il filosofo Vittorio Mathieu, il generale Bartolomeo Lombardo, ex Sismi. Banche, informazione, medicina, cultura, Servizi segreti, non manca niente. Ma la Rai sembra un luogo privilegiato di coltura della massoneria se è vero, come testimonia il professor Aldo Mola, che a un certo punto al Grande Oriente giunse in dote una Loggia coperta, retta dal Venerabile Giorgio Ciarocca, di cui facevano parte Cesare Merzagora, Eugenio Cefis, Giuseppe Arcaini dell’Italcasse, nonché Guido Carli, Enrico Cuccia, Raffaele Ursini, Michele Sindona e Ettore Bernabei, notoriamente soprannumerario dell’Opus Dei.
Anche la Gran Loggia d’Italia, obbedienza di Piazza del Gesù-Palazzo Vitelleschi, al contrario di Di Bernardo, non gode di buona reputazione a Londra perché il 30 per cento dei fratelli sono sorelle, unica obbedienza tra le grandi famiglie massoniche italiane che ammette la presenza femminile, trascurando la tradizione britannica che concepisce invece la massoneria come un club esclusivamente maschile. «Certo – spiega Alessandro Meluzzi, ex deputato di Forza Italia, massone, ma anche diacono della comunità di Pierino Gelmini – la Loggia implica un’iniziazione solare, mentre le donne rappresentano la metà lunare del cielo, le stelle d’oriente e non di occidente».
«L’idiota religione massonica è roba da diciottesimo secolo», disse Benedetto Croce. E in certi casi come dargli torto? Ma è possibile che grandi banchieri e uomini d’affari misurino le loro mosse sui binari dell’ortodossia massonica? È escluso, ma non è affatto escluso che utilizzino per i loro scopi più o meno commendevoli la miriade di confraternite del potere che impiombano questo paese. Di certo «non è vero che tutti i massoni sono delinquenti, ma non ho mai conosciuto un delinquente che non fosse anche un massone», disse il massone Felice Cavallotti prima di essere ucciso in duello da un suo fratello massone.

da la Repubblica

Sicar, Ghizzoni: “Subito tavolo per salvare l’azienda”

La candidata Pd “Occorre tutelare i lavoratori e non disperdere gli ordinativi”

Precipita la situazione di una delle storiche aziende del tessuto produttivo carpigiano, la Sicar che produce macchine per la lavorazione del legno. La parlamentare carpigiana del Pd Manuela Ghizzoni e candidata alla Camera alle politiche 2013 ribadisce la necessità di compiere un ultimo tentativo per salvare quanto rimasto, tentando di non disperdere gli ordinativi che ancora ci sono e dare prospettive future ai lavoratori. Ecco la sua dichiarazione:

«Il governo e le istituzioni non possono restare immobili di fronte alla perdita di tanti posti di lavoro in un territorio già vessato dal terremoto. La chiusura della Sicar, azienda che dal ’70 produce macchinari per la lavorazione del legno, porterà al licenziamento di 70 lavoratori, di cui 20 nella sede di Carpi. È da due anni che le difficoltà dell’azienda vengono solo tamponate e non affrontate. Questo atteggiamento sta portando all’estrema conseguenza della chiusura delle sedi aziendali. Ora è necessario compiere un ultimo tentativo per salvare quanto rimasto, tentando almeno di salvare gli ordinativi e dare prospettive future ai lavoratori. Le difficoltà del settore sono note ma mettendo a sistema le aziende del territorio e attraverso la creazione di un tavolo istituzionale, è possibile ed auspicabile che non si disperdano gli ordinativi presenti e che si recuperino gli arretrati dei dipendenti.»

da ufficiostampa@pdmodena.it

Lite tra la Boccassini e Ingroia “Vergogna, non sei come Falcone” “E tu pensa prima di parlare”, di Piero Colaprico

Finché Antonio Ingroia non ha “sconfinato”, Ilda Boccassini lo ha ignorato. Ma quando il neo-candidato ha accostato il suo nome a quello di Giovanni Falcone, Ilda Boccassini ha deciso che non era più il caso di tacere: «Ma come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro — sottolinea Ilda Boccassini — esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni». Una frase dura, che arriva all’indomani di una delle dichiarazioni di Ingroia a margine delle polemiche per le candidature: «Anche Falcone — diceva Ingroia — ha subito le critiche più forti dai colleghi magistrati ».
In serata Ingroia partecipa a
Ballarò
e la sua non è una risposta altrettanto dura: «I miei maestri mi hanno insegnato a misurare le parole, Ilda Boccassini non ha letto le mie dichiarazioni. Quando sono entrato in politica, ho percepito una stizzita reazione, e questo ne è la riprova. Lo stesso era accaduto a Falcone, quando era andato al ministero. Prima di sparare a
zero bisogna informarsi, non mi sono certo paragonato a Falcone».
Liquidare questa giornata come se fosse una questione che ha a che fare con la politica, o con i personalismi dentro la magistratura, sarebbe sbagliato. Se Ilda Boccassini affida al Tg de
La7
la sua frase sui «milioni di anni luce» di differenza, e l’affida senza una ripresa in video o la registrazione della voce, è perché ritiene «la misura colma». Ingroia, rivendicando il diritto dei magistrati ad esprimere le opinioni, ha spesso partecipato in passato a programmi tv, a comizi, a incontri di partito, a conferenze, non evitando di rispondere sulle indagini in corso. Anche quando Ingroia parlava di Paolo Borsellino definendolo un suo maestro, Boccassini ha taciuto. Da ieri ha messo fine alle diplomazie.
A palazzo di giustizia, tra i detective, di lei si dice: «La dottoressa è una che parla con gli atti», intentendo gli atti giudiziari. Le cronache registrano negli ultimi trent’anni pochissime sue interviste; qualche incontro pubblico, specie con gli studenti; e anche i
dialoghi informali con pochissimi “estranei” sono sempre rimasti informali (o sono finiti). «Da quando è procuratore aggiunto all’antimafia — dice uno dei suoi investigatori — è cambiata la musica per i magistrati del dipartimento. Lei sta qui dalla mattina alla sera e nessuno osa fare più il “copia e incolla” con gli atti della polizia giudiziaria, se lei li becca…». Boccassini è dunque una che «non molla». Ha indagato nella Palermo delle stragi e, tornata a Milano, ha insieme con Giuseppe Pignatone a Reggio Calabria messo in una morsa le famiglie di ‘ndrangheta del Nord.
Ingroia ha estimatori e detrattori. Ma tra i fatti incontrovertibili
c’è che mentre le inchieste su quello che combina Cosa Nostra oggi a Palermo e in Italia sembrano languire, l’ex procuratore aggiunto palermitano si è dedicato soprattutto a riesaminare il “passato”: come la trattativa, circa vent’anni fa, tra Stato e mafia, che tante critiche ha suscitato per i titoli di reato ipotizzati, per le telefonate registrate tra il Quirinale e l’ex ministro Nicola Mancino, per l’utilizzo dei documenti falsificati da Ciancimino jr. In ogni caso, Ingroia tra Guatemala per l’Onu e Roma per la politica, ha mollato il “fronte” della procura antimafia. E quando uno con questo curriculum — rispettabile finché si vuole, ma diverso dal suo e da quello di Falcone — s’è messo nello stesso solco di un martire, e di «quel» martire che Cosa nostra ha eliminato per paura nei confronti di uno che non mollava la presa, Boccassini s’è indignata. E ha chiamato
La7,
come fece quando morì per infarto Loris D’Ambrosio, magistrato e collaboratore del presidente della Repubblica, e lei disse: «Era un galantuomo». Ed era anche lui citato nell’inchiesta firmata Ingroia.

Lavoro: Ghizzoni, subito tavolo per salvare Sicar

“Il governo e le istituzioni non possono restare immobili di fronte alla perdita di tanti posti di lavoro in un territorio già vessato dal terremoto. – lo dichiara la deputata carpigiana Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera e candidata del Partito Democratico in Emilia – La chiusura della Sicar, azienda che dal ’70 produce macchinari per la lavorazione del legno, porterà al licenziamento di 70 lavoratori, di cui 20 nella sede di Carpi. È da due anni – spiega Ghizzoni – che le difficoltà dell’azienda vengono solo tamponate e non affrontate. Questo atteggiamento sta portando all’estrema conseguenza della chiusura delle sedi aziendali. Ora è necessario compiere un ultimo tentativo per salvare quanto rimasto, tentando almeno di salvare gli ordinativi e dare prospettive future ai lavoratori. Le difficoltà del settore sono note – conclude Ghizzoni, che già in passato aveva seguito la vertenza aziendale – ma mettendo a sistema le aziende del territorio e attraverso la creazione di un tavolo istituzionale, è possibile ed auspicabile che non si disperdano gli ordinativi presenti e che si recuperino gli arretrati dei dipendenti”.

Sassuolo, Manuela Ghizzoni venerdì al mercato di piazza Garibaldi

Venerdì 1° febbraio, per tutta la mattina, Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera e candidata del Pd alle politiche di febbraio, sarà a Sassuolo: i cittadini potranno incontrarla, durante il mercato settimanale, presso il banchetto allestito dal Partito democratico in piazza Garibaldi. Ecco una nota del Pd di Sassuolo sull’iniziativa:
« La campagna elettorale del Pd in vista delle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 continua secondo i principi che caratterizzano da sempre il nostro partito: sobrietà e partecipazione.
Non eventi spot, bensì occasioni di incontro e di confronto con i cittadini. Siamo presenti già da alcune settimane in centro, in occasione del mercato cittadino, per stare vicino ai sassolesi, in un momento di grande difficoltà, e cogliere gli spunti e i consigli che, di volta in volta, ci vengono forniti. Venerdì avremo ospite al banchetto di Piazza Garibaldi, Manuela Ghizzoni, parlamentare nell’ultima legislatura e componente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione” della Camera dei deputati, nonché candidata alle prossime politiche. Chiunque fosse interessato a conoscerla e ad informarsi sulle proposte e sulle posizione del Partito democratico, potrà sfruttare questa importante occasione».

da pdmodena.it

Le stragi dell'anti-Stato, di Walter Veltroni

Per me le stragi degli anni ‘92-’93 sono le stragi dell’anti Stato. Ora che sono finiti i lavori della commissione antimafia (con la relazione del presidente Pisanu, che pure ha provato a ricostruire la storia di quel passaggio) dobbiamo dire che l’obiettivo più ambizioso – quello di una ricostruzione storica, prima ancora che giudiziaria – non è stato centrato.
Che cosa è stata la stagione delle stragi di mafia in quel fatidico tornante della vita italiana dei primi anni Novanta? Proverò (l’ho fatto intervenendo in commissione) a mettere insieme una analisi di quello che è avvenuto, di quali piani e progetti si sono intrecciati in una vicenda segnata dalla trattativa tra Stato e mafia. La mia opinione è che probabilmente ci sono stati, come succede nella vita, piani paralleli, ma che uno è stato più grande dell’altro. Il piano più grande dell’altro è stato il modo attraverso il quale la mafia ha cercato – ed è riuscita – di contribuire a un disegno più grande di lei. Il disegno di una «stabilizzazione » politica di questo Paese.
Spesso si parla della mafia e del terrorismo come di agenti di destabilizzazione, invece sono elementi fondamentali di stabilizzazione nel senso che quando il Paese tende a cambiare, arriva qualche soggetto che vuole conservarlo esattamente così com’è.
Per dire questo parto da alcune affermazioni raccolte in Antimafia o fatte altrove di grande interesse. La prima è audizione in commissione del dottor Chelazzi: «I fatti di strage – diceva – sono sette (si riferisce a quelli del 1993) e hanno occupato 11 mesi». Facendo notare che per durata e dimensione si tratta di eventi mai avvenuti prima, Chelazzi ricorda che quelle stragi «erano da ricondurre all’intendimento incontenibile di Cosa nostra di indurre le istituzioni dello Stato a recedere, in qualche modo a rivedere determinate decisioni che si erano tradotte in atti normativi e che avevano contrassegnato le linee guida dell’azione di contrasto alle organizzazioni criminali». Ma poi aggiunge: «Tuttavia poi bisogna spiegare meglio, bisogna andare più in profondità per capire come questa finalità, o meglio questo obiettivo, ha prodotto che si colpissero determinati obiettivi e non altri; che si agisse non in Sicilia ma fuori della Sicilia… perché tra un fatto e un altro intercorrono in alcuni casi pochi giorni e in altri un periodo di tempo lungo. C’è da spiegare, infine, la ragione per la quale non è stato replicato un certo attentato che fallisce, quello allo stadio Olimpico».
Il procuratore Vigna il 30 maggio 2010 in una intervista afferma: «A distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori della Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa nostra (…). Cosa nostra non si è mossa da sola … il 1993 – aggiunge – è anche l’anno dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe di Saxa Rubra, dell’esplosivo sul rapido Siracusa-Torino piazzato da un funzionario dei Servizi di Genova, di un ordigno inerte di via dei Sabini a Roma e del black-out a Palazzo Chigi». Insomma l’anno delle deviazioni interne allo Stato.
Ancora – e finisco le citazioni – il dottor Grasso, ascoltato sempre in commissione il 27 ottobre 2009: «Non c’è infatti dubbio che tali azioni – si riferisce agli omicidi di Falcone e Borsellino – siano state commesse da Cosa nostra, però rimane l’intuizione, il sospetto – chiamiamolo come vogliamo – che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell’ideazione o nell’istigazione le attività di Cosa nostra, o comunque dare un appoggio».
La mia opinione è che queste siano le stragi dell’anti-Stato. Le stragi del 1969 venivano chiamate (secondo me sbagliando) le stragi di Stato. Quelle come questa sono invece più correttamente definibili come le stragi dell’anti-Stato. Viene utilizzata la mafia e naturalmente non è un’utilizzazione cieca. Mettiamo insieme gli elementi: c’è la mafia, che viene colpita per la prima volta severamente. C’è un sistema politico che non è stato in grado di garantire in Cassazione la cancellazione delle sentenze di condanna (per la caduta della corrente andreottiana che paga con l’assassinio di Lima e poi con quello di Salvo). C’è la crisi del sistema politico: spariscono i partiti, alcuni dei quali erano stati, per alcune loro componenti, riferimento storico della mafia.
La mafia vuole il ripristino di un regime di convivenza durato fino agli anni Ottanta e chi muove la mafia vuole una stabilizzazione politica. Questa è la mia convinzione. Oggi sappiamo, infatti, che ci sono state cose che non sono spiegabili. Davvero pensiamo che potesse avere una logica lo sviluppo degli eventi di questi due anni dentro una semplice dinamica di trattativa volta a raggiungere il risultato di ottenere dieci revisioni in più o in meno dell’articolo 41-bis? Mi chiedo: perché loro uccidono Falcone in quelmodo? Perché Riina richiama il commando da Roma? Se volevano punire Falcone lo potevano uccidere per strada, invece no: organizzano qualcosa che nella storia della mafia non ha paragoni. L’attentato di Capaci era un gigantesco atto di terrorismo dimostrativo, che doveva intervenire in un momento strategico (crisi del sistema politico ed elezione del presidente della Repubblica) in qualche misura per condizionarne l’esito.
Potevano non sapere che un atto di questo genere avrebbe determinato un irrigidimento? Poi, meno di due mesi dopo, il 19 luglio del 1992, decidono di fare l’attentato in via D’Amelio. Possono pensare che lo Stato non reagisca?
È chiaro che c’è qualcosa di più e che abbiamo vissuto in quegli anni un’alterazione della dinamica naturale del corso politico della nostra storia. Sappiamo che sono intervenute varie mani. Abbiamo avuto depistaggi giganteschi e sistematici: solo 17 anni dopo abbiamo scoperto che sull’attentato a Borsellino era stata costruita una falsa verità, per iniziativa di pezzi dello Stato.
Vi è stata una trattativa? Sì che c’è stata una trattativa, ormai lo sappiamo, ma adesso, siccome ci sono, i soggetti
di questa trattativa dicano chi ha dato l’indicazione politica di farlo. Dicano chi ha condotto questa trattativa con un capo della mafia come era Ciancimino.
Dicano chi ha dato l’indicazione politica.
Non c’è logica nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio, se non quella che ho cercato di descrivere. E poi c’è tutto il resto: i suicidi, come quelli di Biondo e di Gioè, la sparizione dell’agenda di Borsellino. Quanto spariscono le agende in Sicilia! Ne sparì un’altra, quella sulla quale Ignazio Salvo aveva scritto il numero diretto del senatore Andreotti, il presidente del Consiglio: è sparita anche quella.

da L’Unità