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Terremoto: Deputati PD, copertura 100% danni è legge

Ancora un passo nella giusta direzione per la ricostruzione. “Oggi il Parlamento ha compiuto l’ultimo passo, in questa Legislatura, nella giusta direzione per l’eliminazione degli ostacoli ancora presenti nel processo di ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 20 e del 29 maggio. – Lo dichiarano i deputati modenesi del Partito Democratico Manuela Ghizzoni, Ivano Miglioli e Giulio Santagata, dopo l’approvazione in via definitiva del provvedimento che prevede un rimborso fino al 100% delle spese sostenute per il ripristino o la ricostruzione degli immobili nella zona del cratere. – Fino ad oggi era previsto un contributo dell’80%, mentre – spiegano i deputati – il 20% restava a carico del terremotato, che, in una situazione di difficoltà economica, non sempre era in grado di garantirne la solvibilità.

L’importante obiettivo di ottenere contributi pari al 100% delle spese per la ricostruzione è stato ottenuto grazie al lavoro sinergico del commissario Errani, del Partito democratico e del Parlamento, dopo che la Ragioneria dello stato e il Governo avevano già espresso un parere negativo. Abbiamo così dimostrato che, per garantire la ricostruzione e dare certezze alle famiglie e alle imprese, è necessaria la collaborazione delle istituzioni locali e centrali – concludono Ghizzoni, Miglioli e Santagata – anche con una politica di priorità e piccoli passi.”

Elezioni, Ghizzoni “Il nuovo governo colmerà spread formativo”

Sottoscritto oggi l’appello “Diamo speranza all’università, per dare speranza all’Italia”. “Chi, come il Pd, si pone come futura guida del Paese non può guardare all’Europa solo in termini di spread finanziario, ma deve colmare anche lo spread formativo che ci separa dal mondo avanzato in termini di numero di laureati e di investimento nella ricerca”: lo dichiara la parlamentare Pd, candidata alla Camera dei deputati alle politiche 2013, Manuela Ghizzoni che oggi ha sottoscritto l’appello dei docenti universitari “Diamo speranza all’università per dare speranza all’Italia”.

“È scaduto il tempo dei tagli al sistema della cultura e del sapere, che deve essere interpretato come unica chiave per un equo ascensore sociale e per lo sviluppo occupazionale. Fiducia alla scuola, investimenti sul sapere, sulla ricerca e sulla cultura devono esser le misure anti-crisi per la crescita e per lo sviluppo dell’Italia, concepite nel segno dell’equità. – lo dichiara la deputata del Partito democratico Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura Scienze e Istruzione della Camera dei Deputati, sottoscrivendo l’appello dei docenti universitari “Diamo speranza all’università per dare speranza all’Italia” – Solo ripartendo dalla centralità della scuola pubblica possiamo restituire dignità alle persone appassionate che vi lavorano e formare i cittadini del futuro – spiega Ghizzoni – e solo attraverso l’investimento pubblico nell’università e nella ricerca, colpite per troppo tempo da un’emorragia di risorse finanziarie e umane da rischiare il collasso, si può rimettere in moto il Paese. È evidente che la formazione è la chiave per un’auspicabile mobilità sociale: i giovani che hanno avuto accesso a un’istruzione superiore, anche secondo i dati Ocse, hanno più garanzie occupazionali e retribuzioni adeguate. Chi si pone come futura guida del Paese – conclude Ghizzoni – non può guardare all’Europa solo in termini di spread finanziario, ma deve colmare anche lo spread formativo che ci separa dal mondo avanzato in termini di numero di laureati e di investimento nella ricerca.”

"Le ombre sulla Primavera araba", di Tahar Ben Jelloun

La «primavera araba» non finisce mai di sorprenderci. Ciò che sta accadendo da alcuni mesi nel Nord del Mali e nel Sud algerino è conseguenza di una serie avvenimenti occorsi più di vent’anni fa in Algeria, e più recentemente in Libia. La battaglia di Bengasi (marzo 2011) e il successivo linciaggio di Gheddafi (20 ottobre 2011) hanno lasciato allo sbando migliaia di soldati libici, oltre a numerosi mercenari e qualche Tuareg senza meta. Fuggiti verso il Sahel, questi sbandati hanno portato con sé ingenti quantità di armamenti prelevati da vari depositi. E nel deserto si sono aggregati ad altri avventurieri, come gli algerini del Gia (Gruppo Islamico Armato) che avevano preso parte alla guerra civile tra il 1991 e il 2001, i mauritani e i magrebini già passati per l’Afganistan, e altri tagliagole senza fede né legge, provenienti da vari Paesi della regione, e magari anche dall’Europa. Così il Nord del Mali è divenuto il punto d’incontro di banditi e assassini pronti a combattere qualunque battaglia, agli ordini di capi occulti, uomini velati e misteriosi, detentori di enormi patrimoni, che usano l’islam come insegna per i loro crimini.
Al Qaida, principale soggetto di riferimento, ha seguito con simpatia i fondatori di Aqmi (Al Qaida del Maghreb islamico), e vede di buon occhio il progetto di un Maghreb governato da un islamismo radicale, cioè salafista. Ma a contare è soprattutto il denaro. Per procurarselo, i principali metodi sono due: il narcotraffico e il sequestro di ostaggi. Un’altra fonte, seppure un po’ meno succulenta, è il traffico di migranti clandestini di provenienza africana.
Oggi gli obiettivi criminali sono assai più evidenti dei progetti ideologici e politici. Guidati da personaggi carismatici come Iyad Ag Ghali, leader storico della rivolta dei Tuareg e capo del partito Asar Dine; o come Mokhtar Ben Mokhtar, detto «il guercio», esponente di un movimento denominato «Coloro che firmano col sangue», salafista, ma soprattutto grande trafficante (ritenuto il cervello del sequestro di ostaggi all’impianto di In Amena, nell’Est algerino); o ancora come il mauritano Hamada Ould Khairou, che ora risiede nella città di Gao, questi terroristi, armati fino ai denti e ben addestrati, occupano un territorio immenso, sul quale sventola una bandiera nera con la scritta: «Allah è il solo Dio, e Maometto il suo messaggero». Tuttavia questi gruppuscoli non sono uniti. Ciascuno prende iniziative per favorire i propri interessi.
L’intervento francese in Mali (che secondo alcuni avrebbe l’obiettivo inconfessato di proteggere le miniere di uranio ai confini col Niger) è stato applaudito dall’intera classe politica in Francia, ma anche dalla popolazione del Mali, minacciata dall’avanzata dei gangster che nel Nord del Paese hanno già dimostrato di cosa sono capaci.
Per una volta l’islam non c’entra; su questo sono tutti d’accordo. I jihadisti, che applicano taluni precetti della sharia nel modo più barbaro, mozzando mani e piedi e lapidando le donne, non sono militanti di una nobile causa, ma innanzitutto narcotrafficanti; e quando sequestrano ostaggi lo fanno per estorcere forti somme di denaro. Ma al di là di questi fatti reali, molte domande restano in sospeso: chi finanzia questi criminali? Da chi ricevono tutte quelle armi? Chi si nasconde dietro questa barbarie che dilaga in forme sempre più internazionali? Bisogna che si sappia quali Stati sostengono questi «jihadisti» senza scrupoli, per denunciarli come promotori del terrorismo e nemici della pace. Perché dietro a questi gruppi vi sono non solo miliardari, ma Stati che sognano un «dominio islamico del mondo».
Fin dall’inizio di queste vicende, l’Algeria aveva mantenuto un prudente silenzio, decisa soprattutto a evitare un intervento militare. Solo dopo un impegno di Parigi in questo senso ha infatti consentito agli aerei militari francesi il sorvolo del suo spazio aereo. Inoltre ha chiuso i propri confini a Sud — cosa che però non ha impedito ai terroristi di mettere a segno, il 16 gennaio, una ritorsione contro l’aiuto prestato ai francesi: il sequestro, nell’impianto di Tigantourine, nei pressi di In Amenas, di 41 ostaggi di diverse nazionalità. Questa rappresaglia contro l’Algeria, sfidata sul suo stesso territorio, ha fatto precipitare il Paese in una guerra che non ha mai voluto. Ma come si spiega che i terroristi abbiamo potuto occupare indisturbati quell’impianto di produzione di gas, e sequestrare un così gran numero di persone? Come mai un sito così importante non era sorvegliato adeguatamente? C’è da chiedersi se i terroristi non abbiano fruito di qualche complicità locale.
Se è vero che il Mali aveva tutto l’interesse a un intervento della Francia e a quello di altri Paesi africani, per ricuperare parte del suo territorio, dal canto suo l’Algeria era decisa a non entrare in questo conflitto. Con le ferite della guerra civile ancora aperte, aveva resistito alla primavera araba; e non ha alcun interesse a farsi coinvolgere in un ingranaggio mirante a destabilizzare una parte dell’Africa. Ma il sequestro degli ostaggi ha costretto Algeri a uscire dal suo silenzio e a passare all’azione. Secondo alcune informazioni che circolano fin dal settembre 2012, i campi di Tindouf, dove erano parcheggiati i sahrawi appartenenti al Polisario, venivano utilizzati per l’addestramento di membri di Al Qaida. Gli Stati Uniti avrebbero chiesto allora agli algerini di accettare una soluzione politica al conflitto sul Sahara occidentale, che dal 1975 li contrappone al Marocco. Vi era stato effettivamente un negoziato, in una località nei pressi di New York, tra marocchini ed esponenti di quel movimento separatista, ma una soluzione seria non si era trovata.
L’Algeria ha rifiutato di trattare con i sequestratori. Senza avvisare nessuno, nel pomeriggio di giovedì 17 gennaio truppe algerine hanno fatto irruzione nel sito per riprendere il controllo dell’impianto occupato dai terroristi: questa linea di fermezza (di tipo russo) ha portato però a un esito sanguinoso: numerosi i morti, tra cui alcuni degli ostaggi.
Ad approfittare della primavera araba e a sfruttarla per i propri fini sono stati soprattutto gli islamisti di ogni risma, che hanno accolto come una manna il caos suscitato dai rivoluzionari in Libia — una terra senza Stato — e in Paesi come la Tunisia e l’Egitto, dove lo Stato esiste, ma è nelle mani dell’islamismo. Tutto ciò consente a Bashar Al-Assad di proseguire i suoi massacri nella più totale impunità. Perché la Russia e la Cina, escluse dal gioco libico, oggi rifiutano di abbandonare il dittatore siriano, facendo credere che un regime come quello di Assad sia comunque preferibile a una repubblica islamica, con i salafisti a tagliare le mani ai ladri. Ma le cose in realtà sono assai meno semplici.
Traduzione di Elisabetta Horvat

La Repubblica 22.01.13

"Iscrizioni on line: euforia Miur, critiche le associazioni dei consumatori", di A.G. da La Tecnica della Scuola

Il Ministero parla di prima giorno storico: sono state inserite 23.179 domande, con un milione e mezzo di accessi al sito. Per il Codacons il 43% degli interessati avrà però difficoltà per via dei propri limiti informatici. Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum: preoccupano Meridione e aree più svantaggiate, dove l’Adsl non arriva. Sono dati ufficiali più che incoraggianti, malgrado gli intoppi informatici ed i frequenti blocchi di connessione, quelli relativi alla prima giornata di attivazione delle iscrizione on line a tutti gli ordini scolastici, esclusa la materna, solo attraverso la rete internet.
In serata, il Miur ha reso note l’alta mole di interesse e di connessioni, aggiornate alle ore 19,00 del 21 gennaio. Questi i risultati più importanti: il picco orario di connessioni si è avuto alle ore 9, con ben 313.520 richieste di visualizzazione; alle 17 erano già 21.464 le domande inserite.
In base a quanto riferisce viale Trastevere, che parla di “grande successo dell’iniziativa”, sono state “inserite 23.179 domande. Il sito ha avuto 1.529.936 accessi con dei picchi notevoli, particolarmente tra le 8 e le 13”. Viale Trastevere sottolinea, inoltre, “che per la prima volta nella storia della scuola”, questa opportunità “consente alle famiglie di effettuare le iscrizioni alla scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado esclusivamente in rete”.
Ma non tutti la pensano allo stesso modo. Dopo gli studenti, anche le associazioni dei consumatori hanno molto da ridire contro l’iniziativa ministeriale. Per il Codacons, ad esempio, “è sicuramente positivo incentivare l’uso di internet, ed è fondamentale che la pubblica amministrazione accetti le domande on line dei consumatori e, ancor di più, che invii le risposte e la documentazione richiesta dai cittadini via email, cosa più unica che rara. Cosa ben diversa, però, è invertire l’obbligo, gravando le famiglie di questo onere”.
“Secondo gli ultimi dati Istat infatti – prosegue il Codacons – nel 2011 solo il 56,8% delle famiglie italiane ha un personal computer. Il che vuol dire creare difficoltà al 43,2% degli italiani. Nel mezzogiorno, poi, la percentuale di chi possiede un computer scende al 49,5% delle famiglie, il che vuol dire che oltre il 50% non lo possiede. E persino laddove le cose vanno meglio, nel Centro, la percentuale sale al 60,7%, il che si traduce comunque in una difficoltà per quasi il 40% dei genitori”.
“Il rischio, inoltre, considerato che le scuole devono comunque offrire un servizio di assistenza a coloro che non possiedono un computer o un collegamento internet, anche perché altrimenti il provvedimento del ministro dell’Istruzione Profumo sarebbe stato illegale (e sarebbe stato impugnato dal Codacons…), è che il vantaggio economico di gestire obbligatoriamente on line tutte le pratiche sia poi vanificato dal lavoro aggiuntivo delle segreterie delle scuole che devono rendersi disponibili a supportare chi non ha gli strumenti e le competenze necessarie”, conclude l’associazione.
Forti critiche arrivano anche dall’Adiconsum, il cui segretario generale, Pietro Giordano, “pone interrogativi sull’effettiva possibilità per tutte le famiglie di procedere in modo autonomo e con facilità alla registrazione sul sito del Ministero e alla compilazione della domanda di iscrizione. Infatti – prosegue – nonostante la circolare 96/2012 del Ministero preveda che gli istituti destinatari delle domande in primis, ma in subordine anche quelli di provenienza, offrano supporto alle famiglie prive delle necessarie dotazioni informatiche, occorre intervenire soprattutto nel Meridione e nelle aree più svantaggiate, dove la penetrazione di Internet e degli stessi strumenti informatici è più scarsa. Vi è poi il problema della mancata copertura del servizio ADSL in molte zone, dove – continua Giordano – solo in un’ottica di servizio universale e non di mercato si potranno finalmente realizzare le necessarie infrastrutture”.
Il rappresentante Adiconsum invita quindi le famiglie “a segnalare al Ministero e per conoscenza anche alle nostre sedi territoriali e al gruppo Facebook ‘Adiconsum Scuola’, le eventuali criticità che si dovessero presentare”.

La Tecnica della Scuola 22.01.13

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“L’iscrizione on line, un vero incubo”, di Amanda Ghiengi

Premessa: per molti sarà andata benissimo, e il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo vi racconterà che «sì, c’è stato qualche problemino, ma comunque alla fine il sistema ha retto bene». Ma a me non è andata affatto bene. Sto parlando dell’iscrizione online di mia figlia alla prima classe della primaria per il prossimo anno. Un’operazione che mi ha assorbito per diverse ore e che più volte sono stata tentata di mollare a metà. Prima che fosse lei a mollare me. Si partiva ieri 21 gennaio su www.iscrizioni.istruzione.it e teoricamente tutto sarebbe dovuto andare per il meglio, visto che la cosa era stata abbondantemente propagandata su giornali e tv nelle settimane precedenti. Il mio approccio è stato dunque abbastanza fiducioso. Pia illusione. Intanto, accedere alla maschera, per poter procedere alla registrazione di utente e password, ha richiesto almeno tre quarti d’ora di attesa al pc. Completata la registrazione, l’invio per posta elettronica del nome utente è stato abbastanza veloce. Di lì, è partita la fase di iscrizione vera e propria. Primo passo: trovare il codice della scuola a cui iscrivere il proprio figlio: sono stati altri venti minuti di attesa per riuscire a entrare nel sito dedicato, chiamato «Scuola in chiaro» . Inserisco il primo criterio di ricerca: scuola primaria statale «intorno a me», cioè vicino a dove sto. Appare l’inquietante scritta: «Con i criteri di ricerca impostati si è superato il limite massimo di visualizzazione delle scuole. Utilizzare la funzionalità «…intorno a me» restringendo i criteri di ricerca». Che era esattamente quanto avevo fatto. Vabbé, ricomincio daccapo e questa volta riesco a trovare la scuola. Clicco su «scheda», dove immagino sia riportato il codice che sto cercando. Si blocca tutto e appare una schermata bianca. Intanto sono passate circa due ore da quando mi sono messa davanti alla tastiera. Esasperata, digito su Google «codice meccanografico scuola…» e alla fine riesco a trovarlo. Riparto daccapo con la procedura, stavolta cambiando browser (magari quello di prima era più lento), ma sciroppandomi comunque un altro po’ di attesa. Dopo vari «il server non risponde» riesco a entrare nella schermata di iscrizione. Si inizia con le opzioni relative ai «Tempi scuola». Le istruzioni (?) dicono: «Tempi Scuola visualizzati sono quelli indicati dalla scuola. Se sono presenti più opzioni, hai la possibilità di scegliere indicando la priorità dall’elenco. La stessa priorità non può essere assegnata a due differenti Tempi Scuola. Se non c’è scelta, va comunque selezionato l’unico Tempo Scuola presente, selezionando priorità 1. Se il tempo scuola è unico va comunque selezionato con priorità 1». Per i cinefili, amanti di Amici miei, una classica «supercazzola». Insomma, sarà un problema mio, ma al momento non ci ho capito niente. Ci ragiono. Suppongo che per ogni tipologia di orario io debba dare una priorità. Dunque: priorità 1 per le 40 ore, 2 per le 30 ore etc etc. Mi butto e in appena due tentativi (le priorità sembravano quattro ma si poteva darne al massimo tre) riesco ad azzeccare il mix giusto. Riempio tutti i riquadri con codici fiscali, date di nascita, domicili eccetera eccetera e alla fine salvo. Dai, mi dico, ce l’ho fatta. Compare la scritta: «Non è stato possibile completare l’operazione…riprovare più tardi». In parole povere, devo rifare tutto. Bene, mi fermo qui. Quando leggerete queste righe probabilmente starò ancora al computer a tentare di iscrivere mia figlia a scuola on line.

da Italia Oggi 22.01.13

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L’odissea di una mamma: tre ore per compilare un foglio

ROMA Oltre tre ore. Dalle 9 alle 12. Tanto ha impiegato Gloria Mammarella, una mamma di Pescara, per inoltrare la domanda on line della propria bambina alla prima elementare. Ma la sua piccola odissea è cominciata un’ora prima, quando si è affacciata, invano, alla scuola per vedere, non si sa mai, se era possibile farsi aiutare. Poi, tornata delusa a casa, ha aperto il pc e si è avventurata nel web, nel primo giorno utile all’iscrizione on line. Con tante impressioni da raccontare. In fondo, è il primo giorno di un’avventura che diventerà abitudine per gli italiani. «Mi sono collegata al sito del ministero per la prima volta alle 9. Ma non sono riuscita ad entrare nell’applicazione. Ho riprovato più volte, ma ce l’ho fatta solo dopo mezzogiorno», racconta.
ESPERIENZA CON IL PC
E prosegue: «Il problema, poi, è che se si riesce ad entrare non è detto che si riesca a compilare il modulo perché le sessioni scadono molto velocemente. Ogni volta bisogna ripartire daccapo con la compilazione, sperando di essere fortunate e di trovare il momento con il minore affollamento. Ma per fortuna ce l’ho fatta e mi è arrivata anche la ricevuta di conferma sulla mia email». Per Gloria l’unico intoppo sta nella connessione: «L’iscrizione di per sé è facile, intuitiva. La grafica è molto chiara. E in dieci minuti il modulo si compila in tutte le sue parti. Ma connettersi è un problema». La mamma pescarese non si arrende e racconta che sta facendo l’iscrizione di un altro bambino. «Nella classe di mia figlia ci sono mamme che magari hanno il computer in casa, ma che non l’hanno mai usato. Sono casalinghe. Non hanno necessità di lavorare con il computer. O comunque non sono così sicure con il pc». E così lei dà una mano. Come lei anche altre mamme. «Ci aiutiamo». E intanto, Gloria ammette che sono due ore che sta provando a iscrivere il secondo bambino, quello della sua amica. «Lei non può, ma lo capisco perché bisogna avere un minimo di dimestichezza con il pc. Bisogna saper smanettare un per inserire i dati. Per quanto semplice ci vuole un po’ di esperienza. Io ne devo inserire due richieste, oltre a quella di mia figlia. Tra noi c’è chi si è offerta di inserirne anche altre tre».
MANCATA ASSISTENZA
E l’assistenza della segreteria? «Alle otto siamo andate nella segreteria della scuola dei nostri figli ed erano in difficoltà anche loro. Così siamo andate via. E una mamma che è rimasta ad aspettare l’hanno fatta entrare alle 10. Tra l’altro non sono riuscite a farle la domanda perché non potevano connettersi neanche loro. In segreteria – dice ancora Gloria – le hanno detto di lasciare la domanda e di tornare fra tre o quattro giorni. Proprio così: lasciare la domanda in cartaceo, penseranno loro a trasferirla on line. Noi ci aspettavamo che almeno nelle scuole avevano una connessione privilegiata e invece non è così. Son messi come noi! Chissà se ce la faranno ad inserire tutto in tre o quattro giorni. Secondo me ci sarà il rischio che i genitori dovranno tornare anche più volte in segreteria». Al punto che, dopo un’odissea come quella di ieri, alle mamme viene un po’ di nostalgia per come si faceva prima l’iscrizione «Non ho avuto difficoltà, a parte i problemi con la connessione – confessa Gloria – ma nonostante questo avrei preferito continuare nella vecchia maniera, con il cartaceo. Non vedo un gran risparmio, ma tanta perdita di tempo».

Il Messaggero 22.01.13

“La mia laurea è inutile Mi sono iscritta all’Its”, di Flavia Amabile

Chissà a quale categoria dei tanto citati e discussi «gggiovani» appartiene Marina Franco, 31 anni, una laurea in chimica alla Sapienza a Roma e poi una borsa di studio vinta per partecipare ad un dottorato in «Chimica analitica e dei sistemi reali». Ha partecipato fino alla fine, ha iniziato anche la sua carriera all’università come ricercatrice. Sei mesi da precaria senza uscita, quando ha capito si è sfilata dalla casella in cui era finita e, come in un gioco dell’oca dalle regole rovesciate, ha scelto di non andare avanti ma di tornare indietro e di sedersi fra i banchi di chi ha anche più di dieci anni di meno e all’università non è mai andato e mai ci andrà. Ma troverà lavoro.

È il popolo degli Its, gli Istituti tecnici specializzati nati nel 2008 ma andati davvero in funzione due anni fa con la promessa di dare una formazione superspecializzata e poi un lavoro. Ce ne sono 59 in tutt’Italia, ognuno ha la propria area tecnologica, dalla moda alla nautica all’efficienza energetica o alla mobilità sostenibile. Due soli Its in tutt’Italia formano i futuri esperti nelle nuove tecnologie della vita, uno in Lombardia, l’altro a Pomezia, alle porte di Roma.

Marina Franco ha ricominciato da qui a rincorrere i suoi sogni. La vita, no, quella corre comunque a dispetto di chi sostiene che i giovani si fanno mantenere da mamma e papà e che non hanno voglia di fare nulla. Al mattino va ad insegnare in una scuola superiore, supplente precaria – ma i prof di chimica sono abbastanza richiesti -, tutto sommato il lavoro non le manca. «Ma non è il mio sogno nel cassetto», racconta. Il sogno è la chimica, la ricerca, i laboratori, che stavano per diventare una chimera se fosse rimasta a aspettare chissà che cosa tra le file dei ricercatori. E che invece dal prossimo anno potrebbero diventare qualcosa di concreto già dal prossimo anno quando Marina terminerà l’Its e i due anni di studi previsti, pari a duemila ore di lezione di cui almeno 1800 sono obbligatorie altrimenti si viene respinti. Lezioni pomeridiane, Marina dalla cattedra passa ai banchi nel giro di un’ora. In aula dalle 14,30 alle 19 dal lunedì al sabato (di mattina, però) tra lezioni in italiano e in inglese, esperimenti, provette, stage. E poi a casa ad occuparsi della famiglia. Ha una figlia di 15 mesi, un marito e un secondo bebè in arrivo. «Non credo che non si trovi lavoro, chi rimane fermo non ottiene molto, non è che il lavoro scenda dal cielo», spiega.

E quindi va bene anche tornare indietro perché il 2011 quando si è trovata con l’università che non aveva fondi per rinnovarle il contratto di dottorato e le aziende poco disposte a assumere un laureato con tanta teoria e quasi nessuna pratica ha capito che non aveva scelta, poteva salvarla solo un Its.

Un pensiero che stanno avendo in tanti. Il Miur ha affidato al sito Skuola.net il compito di raccontare questi istituti in rete attraverso dei video. Alla fine dell’inchiesta Daniele Grassucci, cofondatore del sito, spiega: «La reazione più comune è: “Se avessi saputo della loro esistenza ne avrei fatto uno anche io”».

È anche per questo motivo che l’Italia scivola sempre più lontana dagli obiettivi europei, che vogliono per il 2020 laureato il 40% della popolazione di età 30-34 anni mentre noi rimaniamo fermi al 20%, contro il 37% nel complesso dei Paesi Ocse. Ed è anche per questo motivo che sono sempre meno numerosi i giovani che si avvicinano al mondo universitario. In parte è colpa del calo demografico, in parte della crisi economica e della diminuzione degli immatricolati in età più adulta, ma soprattutto del senso di inutilità di cinque anni di studio, della percezione che si stanno buttando via soldi e tempo.

In classe con Marina in tanti hanno abbandonato l’università. Come Veronica Aprile, 20 anni, si era iscritta a Giurisprudenza ma ci è rimasta pochi mesi, quanto bastava per capire di non avere alcun futuro lì.. «Mi sono resa conto che l’università è una specie di metropolitana: tanta gente di passaggio e c’è chi scende e chi sale. Io sono scesa».

La Stampa 22.01.13

"Scovate le risorse per gli scatti", di Carlo Forte

I gradoni rientreranno in busta paga a partire dalla mensilità di marzo. É alle battute finali, infatti, la trattativa sulla ripartizione delle risorse da destinare alla contrattazione integrativa di istituto. Il 17 gennaio scorso c’è stato un primo incontro al ministero dell’istruzione tra i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda-Unams e dell’amministrazione scolastica. E il 24 gennaio le parti si incontreranno di nuovo per fare il punto della situazione e verificare se vi sono i termini per un accordo. La posta in palio è la distribuzione delle risorse al netto dei tagli operati per finanziare i gradoni. Una questione delicata che vede ancora una volta una forte spaccatura tra i sindacati: i firmatari dell’accordo del 12 dicembre scorso, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams da una parte e la Cgil dall’altra. I firmatari hanno chiesto, infatti, che le decurtazioni da apportare alle risorse destinate a finanziare il fondo di istituto venissero spalmate tra l’anno in corso e quello successivo. Il tutto facendo valere sui primi otto mesi di quest’anno poco meno della metà dell’importo da tagliare. E il restante importo sugli ultimi 4 mesi sempre del 2013. Così da mitigare gli effetti dei tagli e distribuire più risorse alle scuole per la contrattazione integrativa di quest’anno. Oltre tutto la proposta dei 4 sindacati firmatari non fa che dare attuazione all’articolo 2 dell’accordo, il quale dispone che: «Relativamente ai prelievi sull’anno finanziario 2013, al fine di consentire una migliore programmazione delle attività, si concorda che gli stessi siano effettuati incidendo maggiormente sui primi quattro mesi del nuovo anno scolastico 2013/2014 al fine di equilibrare le disponibilità delle scuole nei due anni scolastici». La Cgil, invece, è dell’avviso che i tagli dovrebbero essere distribuiti nell’ordine di 8/12 sulla dotazione finanziaria spettante alle scuole da gennaio ad agosto. E per i restanti 4/12 su quella relativa ai mesi da settembre a dicembre 2013. L’amministrazione, dal canto suo, ha ascoltato le varie posizioni e, in riferimento alla proposta dei firmatari, prima di rispondere si è riservata di chiedere un parere al ministro dell’economia, Vittorio Grilli. Nel corso dell’incontro l’amministrazione ha consegnato ai sindacati una prima bozza di accordo sulla distribuzione delle risorse al netto dei tagli. Che riporta, però, solo gli importi di alcuni voci della contrattazione di istituto (funzioni strumentali, incarichi specifici del personale Ata, ore eccedenti, attività complementari di educazione fisica). L’importo complessivo dei tagli ammonta a 350milioni di euro. Che sono stati pattuiti il 12 dicembre per rifinanziare l’utilità del 2011 ai fini dei gradoni. Il passaggio al tavolo negoziale si è reso necessario perché l’art. 9, comma 23, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 ha disposto che: «Per il personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario (Ata) della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti». L’intenzione del legislatore, infatti, era quella di introdurre un ritardo di tre anni nella maturazione degli scatti di anzianità. E ciò avrebbe comportato, a regime, una perdita secca di circa 1000 euro per ognuno degli anni del triennio, sia nella retribuzione che nella pensione. Con ulteriori decurtazioni della buonuscita. Gli effetti delle nuove disposizioni, però, sono stati mitigati da un successivo intervento legislativo, che ha ripristinato il recupero del 2010, mediante l’utilizzo dei fondi inizialmente accantonati per finanziare il merito. Fondi derivanti dal taglio di circa 135mila posti di lavoro nella scuola, disposti tramite il piano programmatico dell’art.64 della legge 133/2008. Il ritardo, dunque, era già stato ridotto di un anno, grazie al recupero dell’utilità del 2010. Per il recupero del 2011, però, i soldi del merito sono risultati insufficienti: buona parte delle disponibilità sono state utilizzate dal governo per retribuire i docenti di sostegno, autorizzati in deroga alle riduzioni di organico. Per trovare i fondi che mancavano, governo e sindacati hanno concordato di utilizzare una parte dei fondi previsti per finanziare lo straordinario dei docenti e degli Ata. La Cgil non ha firmato l’accordo).

Da ItaliaOggi 22.01.13

"Il governo studia un decreto per gli studenti Erasmus", di Raffaello Masci

In attesa che si trovi una soluzione legislativa, gli studenti Erasmus che non vogliano far mancare il loro voto alle prossime elezioni, si procurino 99 euro per il biglietto aereo «a tariffa agevolata» che Alitalia ha messo a loro disposizione. Fino a questo momento l’iniziativa della compagnia aerea è l’unico provvedimento concreto a favore del voto dei circa 25 mila ragazzi che si trovano temporaneamente a studiare in altri atenei europei. Molto meno sollecita e capace di trovare soluzioni, specie in un tempo così breve, è apparsa la politica, nonostante le pressioni comunitarie in questo senso. Al Viminale ieri pomeriggio gli alti papaveri ministro Cancellieri in testa – erano in conclave per cercare di sbrogliare la matassa. Alla Farnesina stavano facendo altrettanto, perché i due titolari degli Interni e degli Esteri, oggi si devono presentare in consiglio dei ministri con una proposta condivisa e che stia in piedi.

Il timore di dire mezza parola in più su una materia così delicata, ha consigliato di innalzare una barriera mediatica impermeabile ad ogni indiscrezione e, in questo senso, la dichiarazione rilasciata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi è di una prudenza estrema: «La Farnesina – ha detto – si tiene in stretto coordinamento con il Viminale per valutare ogni possibile intervento. Qualsiasi soluzione dovrà naturalmente tener conto dell’esigenza di assicurare parità di trattamento tra tutte le categorie di “temporanei” egualmente interessate».

Si sa, per esempio, che la via del decreto d’urgenza ha trovato qualche opposizione tra i tecnici del Viminale, in quanto la materia elettorale risolta con un simile strumento potrebbe incappare in riserve di costituzionalità. Al più potrebbe essere estesa agli studenti la formula adottata per far votare i militari in missione all’estero, ma anche questa ipotesi presenterebbe delle controindicazioni: perché gli studenti sì e i lavoratori no? E perché quelli che fanno Erasmus si e quelli che stanno facendo – per dire – uno stage in una azienda estera no?

Si è pensato anche al voto per corrispondenza, ma secondo la normativa vigente (DL 223/2012), possono votare con questo sistema solo tre categorie di cittadini: gli appartenenti alle Forze armate impegnati nello svolgimento di missioni internazionali, i dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio e i professori e ricercatori universitari.

La questione è complicatissima, dunque. Tanto più – dicono fonti del ministero dell’Istruzione – che non è facile neppure fissare «la platea» degli erasmiani che saranno all’estero nei due giorni delle elezioni, perché la massa è magmatica, in quanto alcuni si trovano ora all’estero ma potrebbero essere rientrati per il 24 febbraio, mentre altri, ora qui, potrebbero essere partiti. Il ministero di viale Trastevere, tra l’altro, non può verificare la situazione ora per ora di questa massa di nomadi del sapere, dato che a gestire questi studenti sono le singole università in piena autonomia. Insomma un rompicapo. A fronte del quale, però, esiste una pressione politica fortissima affinché una soluzione si trovi. Ieri hanno speso la loro autorità a favore del voto agli erasmiani, una quantità di candidati di tutti i partiti. Oltre ai sindacati degli studenti, ovviamente, anche la coordinatrice dell’Unione degli studenti europei Karina Ufert e Dennis Abbott, portavoce della commissaria europea alla Cultura e istruzione Androulla Vassilou: «L’Unione europea – ha detto – sostiene fortemente gli sforzi dell’Italia per assicurare che gli studenti del programma Erasmus non siano discriminati nell’esercizio del voto». Oggi il consiglio dei ministri dirà se questi sforzi hanno portato ad una soluzione. Resta un interrogativo: Erasmus è un programma attivo dal 1987, da quella data in avanti si sono tenute una ventina di elezioni tra nazionali e locali. Ce ne siamo accorti solo ora che bisognava far votare anche questi migranti della cultura?

La Stampa 22.01.13