“Stima e gratitudine per l’impegno, la passione e la competenza riposti nel suo lavoro”. “Ci auguriamo che le competenze e le capacità indubbie fino ad oggi espresse dall’Onorevole Ghizzoni non vadano disperse, ma vengano nuovamente messe al servizio dell’intera comunità e del territorio”: la Giunta e il gruppo di maggioranza del Consiglio dell’Unione Terre d’Argine si schierano al fianco della deputata Pd Manuela Ghizzoni. L’invito che rivolgono alla politica locale e nazionale è che l’impegno e il lavoro svolto dall’unica presidente di Commissione parlamentare del Pd non venga vanificato, ma anzi valorizzato. Ecco la dichiarazione congiunta della Giunta e del gruppo di maggioranza del Consiglio dell’Unione Terre d’Argine: «Come Giunta e come gruppo di maggioranza del Consiglio dell’Unione Terre d’Argine, vogliamo esprimere all’Onorevole Manuela Ghizzoni tutta la nostra stima e la nostra gratitudine per l’impegno, la passione e la competenza che ha riposto nel suo lavoro. Lo sforzo di restituire all’università italiana, alla ricerca e all’istruzione la dignità che meritano sono stati i motivi conduttori che hanno caratterizzato il suo lavoro in Parlamento: ne sono una conferma la sua nomina a Presidente della VII Commissione e le attestazioni di stima dell’intero mondo accademico. Non va dimenticato l’impegno di Manuela Ghizzoni sul fronte del sisma che ha contraddistinto i tanti interventi alla Camera e gli emendamenti a favore delle popolazioni terremotate e che, molto spesso, l’hanno vista contrapposta a un Governo sordo e capace solo di concentrarsi su calcoli ragionieristici. Da ultimo, ma non certo per importanza, il suo altissimo indice di produttività alla Camera dei Deputati, un parametro che è una riposta a certe derive populistiche e sulla cui base, siamo sicuri, si possa ancora ridare dignità al Parlamento e alla democrazia. Per queste e per altre ragioni riconducibili alla sue molteplici doti, ci auguriamo che le competenze e le capacità fino ad oggi espresse dall’On. Ghizzoni non vadano disperse ma che anzi vengano nuovamente messe al servizio dell’intera comunità e del territorio».
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Dichiarazione del segretario del PD di Carpi Davide Dalle Ave sulle primarie
Le primarie del 30 Dicembre sono state un momento importantissimo di democrazia e partecipazione che ancora una vota il Pd ha messo a disposizione dei propri elettori e del Paese per dare seguito ad una riforma concreta della politica e del rapporto tra cittadini ed istituzioni. Oltre 28000 votanti in provincia di Modena e 3664 a Carpi (pari al 44% rispetto alle primarie per la scelta del candidato premier) sono la risposta partecipativa concreta che gli iscritti ed elettori del Pd hanno dato anche in questa occasione.
Manuela Ghizzoni, candidata carpigiana e deputata uscente, non ce l’ha fatta a essere tra le prime due donne votate: ancora una volta il PD di Carpi vuole unirsi alle tante testimonianze di stima e gratitudine che in queste ore stanno pervenendo a Manuela. Stima e gratitudine dovute al suo impegno svolto in questi anni in parlamento, sui temi della scuola, università, ricerca e non solo, oltre che per il ruolo fondamentale svolto a sostegno del nostro territorio, drammaticamente martoriato dal sisma il 20 e 29 Maggio scorso. Manuela ha dato prova concreta di come si può essere leader riconosciuti in parlamento (unica tra le figure modenesi ad aver ricoperto l’incarico di presidente di una commissione parlamentare) mantenendo il contatto diretto con il territorio e con i cittadini, che chi ha incarichi politici è tenuto a rappresentare. Le 2700 preferenze per lei su 3600 votanti a Carpi sono la conferma più evidente di un consenso e di un legame profondo tra Manuela e le democratiche e i democratici carpigiani.
Manuela si è dimostrata figura importantissima per l’Italia in un momento così difficile per il nostro Paese; un esempio, su cui continuare a credere ed investire. Ecco perché, preso atto del risultato imprescindibile delle primarie, crediamo che Manuela Ghizzoni debba ancora in futuro ricoprire ruoli politici di primaria importanza. Sono figure come le sue che attuano concretamente il cambiamento. Ancora una volta per il territorio, per il Paese, e per la politica italiana.
"Cinque capi solitari", di Michele Prospero
È ormai appurato il nesso tra il declino sociale dell’Italia e l’anomalia del populismo. Se per populismo si intende l’irruzione di un capo che trascende la mediazione politica organizzata per abbracciare la gente indistinta in un contatto assorbente, tolto il Pd, continua per tutti gli altri il gran carnevale dell’antipolitica. Vecchi e nuovi leader danzano con le maschere del populismo sul corpo gracile di un paese in affanno. In una fenomenologia del populismo italiano, si rintracciano cinque varianti di una mobilitazione irregolare che, nelle sue esuberanze espressive, si discosta dal registro delle democrazie rappresentative consolidate.
Continuano anzitutto le manifestazioni di un caricaturale etno-populismo mimato dalla Lega. Nel nudo territorio essa rinviene i tratti della spiritualità paganeggiante ed estrae i valori della appartenenza come un senso della geocomunità coesa da scagliare contro le élite al potere, contro qualsiasi irruzione di culture altre. Si attarda ancora sulla scena anche il populismo-patrimoniale-mediatico incarnato da Berlusconi e specializzato nella eterna denuncia di complotti e di arcane macchinazioni di oligarchie che ostacolano il lavoro salvifico del capo.
Indebolito dai fiaschi ripetuti registrati nel lungo governo, il vetero populismo del Cavaliere e della Lega è però ancora in auge perché interpreta la sopravvivenza di una alienazione politica mai spenta nelle viscere di un agguerrito blocco sociale aggrappato ad una ricchezza che lievita sull’immobilismo e sulla mortificazione del pubblico. Ad un antico filone del populismo, emerso già negli anni ’90, si riaggancia anche l’avventura verbalmente rissosa di Ingroia. Con l’ipertrofia del capo, il cui nome è scolpito a caratteri cubitali nel simbolo, il partito personale del magistrato maltratta la funzione aggregativa della rappresentanza politica. Il nuovo soggetto declina in un modo monco la legalità enfatizzandola come una esemplare azione penale-repressiva affidata ad un procuratore eroe. Scompare invece la legalità colta anche come una aderenza allo spirito della Costituzione, quello oggi impunemente violato e che ad esempio non tollera l’aberrazione dei partiti personali.
Una variante più recente (ma dalle radici antiche) della sempre fiorente fabbrica del populismo è da considerarsi l’antipolitica inscenata dal comico genovese, ostile alla rappresentanza, alla mediazione. È, quello del comico, un populismo della semplificazione, che va alla ricerca di comodi capri espiatori cui imputare la colpa di crisi, epidemie, malanni.
Dietro la facciata di una ventata di iperdemocrazia affidata alla magia dialogica della rete, operano gli arcani poteri personali-privati del capo, di fatto insindacabile. Anche in Grillo la metafisica del popolo sciolto da ogni differenza e verticalità («uno vale uno») conduce ad un dominio assoluto del capo e alla espropriazione di spazi di libertà, di deliberazione. Solo il corpo del comico che regna il non-partito è visibile in pubblico e mostrato nei media nel corso delle sue gesta. Il resto del movimento è condannato all’irrilevanza e all’astensione da ogni presenza nella rappresentazione.
Il novello tecno-populismo di Monti non è meno estraneo alle forme classiche della democrazia. A parte la vocazione catenacciara, per così dire, di una lista che non corre per vincere ma per impedire che altri vincano, sono evidenti nella creatura dei ricchi potentati finanziari i connotati culturali del populismo. Alla venatura aziendalista (un esperto valuta la capacità dei candidati, scruta la loro conformità ai requisiti richiesti dal leader: ciò equivale ad una riedizione della ottocentesca rappresentanza della capacità, soppiantata in occidente dalla rappresentanza politica, che è sempre di volontà, di opinioni), Monti affianca la solitudine di un leader che dichiara sepolte le antiche mappe della politica (e intima perciò di “silenziare” il senso critico) per cavalcare una sua legittimazione in nome della competenza rannicchiata al potere.
Per la genesi (da un qualche bonapartismo dei tecnici, che prima occupano il governo senza passare per il voto e poi creano un partito per rimanervi, nel vuoto di ogni controllo e possibile censura parlamentare), per la scenografia (all’esoterico richiamo di un convento di suore, nelle mosse creatrici del movimento si aggiunge il contatto telefonico con il ricco imprenditore in vacanza che impartisce ordini e contratta spazi), l’esperienza di Monti segna una tappa tipica del populismo di un capo ostile alla forma partito e alla partecipazione di energie collettive. Accanto a un Pd assimilabile ad una grande formazione del progressismo europeo, sfilano dunque cinque sigle liquide, contrassegnate dal rischio populista. Con questi simboli che evocano un’anomalia, una devianza, un problema l’Italia rischia di perdere di nuovo il treno della modernizzazione.
l’Unità 05.01.13
"Il costo delle lobby", di Stefano Lepri
Nell’anno in cui a memoria d’uomo i consumi degli italiani si sono più ridotti, il costo della vita è cresciuto più che negli altri Paesi euro. Non è questa una spietatezza del mercato. E’ invece un segno che da noi il mercato funziona meno bene che altrove. Quando la gente fatica ad arrivare alla fine del mese, dovrebbe essere difficile ritoccare all’insù i cartellini dei prezzi. Nel 2012 ha pesato il rincaro del petrolio, che però è uguale per tutti i Paesi. In Italia un certo effetto aggiuntivo va attribuito a incrementi di tariffe pubbliche necessari a riportare i conti in ordine, che nel 2013 non si ripeteranno. Nell’insieme tuttavia la nostra economia appare più rigida delle altre. Uno degli obiettivi dell’austerità è appunto riportare l’andamento dei nostri costi e dei nostri prezzi in linea con quelli degli altri Paesi che condividono la stessa moneta. Restiamo anomali; secondo le previsioni correnti, può darsi che riusciremo ad avvicinarci nell’anno appena iniziato.
Sappiamo bene che i tedeschi hanno in media stipendi più alti dei nostri. Andando in visita a Berlino, ad Amburgo o a Monaco di Baviera possiamo scoprire in aggiunta che la spesa al supermercato può perfino costare meno. C’è qualcosa che proprio non va, specie considerando che i consumi qua calano e là no.
L’inflazione più alta in Italia è un segno di ingiustizia sociale. Quando un prezzo risponde poco o nulla alla diminuzione della domanda, vuol dire che chi lo incassa scarica su altri almeno una parte del peso della crisi. A fronte di chi perde il lavoro e stringe la cinghia, c’è chi riesce a mantenere intatti i guadagni. Negli anni scorsi, nicchie protette dalla concorrenza e rendite di posizione hanno dissipato i vantaggi dell’euro, facendo crescere il costo della vita, e i costi delle imprese, più in fretta che nei Paesi forti dell’area. Ora rallentano il riequilibrio e la ripresa.
Riformare è difficile. Troppo spesso chi gode di privilegi riesce a farsi ascoltare dai Parlamenti: è ben noto alla scienza politica che in tutte le democrazie una lobby piccola e determinata, in possesso di un pacchetto di voti o pronta a finanziare i politici, riesce spesso a negoziare favori a scapito della collettività. Così il recente compromesso di bilancio Usa oltre a decisioni cruciali per il futuro del Paese include anche, tra l’altro, favori per i produttori di rum.
Qualche cosa è stato fatto nell’ultimo anno, moltissimo resta da fare. Probabilmente una larga coalizione consente meglio di sottrarsi ai condizionamenti di interessi particolari; ma nessuno può vantare patenti di riformismo senza macchie. All’interno dello stesso governo Monti si sono talvolta gabellate come misure «per lo sviluppo» alcune che invece distorcevano il mercato a favore di interessi particolari (come due sgravi fiscali ai costruttori, per fortuna poi bocciati entrambi). Anche dove la concorrenza c’è, spesso è difficile per i consumatori ricavarne tutti i benefici. Basti pensare alle intricate formule tariffarie per cui è arduo rendersi conto chi ci offre a miglior prezzo l’elettricità o il telefono. Dove manca, la concorrenza stenta ad arrivare: da tempo l’azione dell’autorità Antitrust si è appannata, e per ora non si intravedono segni di ripresa.
Non basta soltanto indicare buoni propositi. Occorre riuscire a far appello ai cittadini in nome dell’interesse collettivo, ripulendo i canali di trasmissione delle scelte politiche. I gruppi di potere che vogliono tenere tutto com’è non si intrecciano soltanto con le parti più logore della classe politica, ma con una burocrazia abilissima nel restare gattopardescamente a galla nel cambio delle stagioni.
La stampa 05.01.13
"Casini, il Porcellum e il caos al Senato", di Gianluigi Pellegrino
Casini è tornato ad intimare a Bersani di dimenticare Palazzo Chigi se la sua coalizione non avrà anche la maggioranza al Senato. Perché, ha aggiunto, «siamo in un sistema a bicameralismo perfetto». Posizione legittima, ma solo in astratto perché viene da chiedersi se il leader dell’Udc sia consapevole di evocare in questo modo il caos istituzionale.
Atteso che ciò che vale per Bersani non può non valere per gli altri candidati-premier e Monti tra questi, le cui coalizioni sono ben lontane dall’avere la maggioranza, non solo al Senato anche alla Camera. Inutile aggiungere che per Monti è la conseguenza elementare della scelta di salire o scendere in campo, perdendo così, consapevolmente e per sempre, ogni ruolo di super partes che gli era stato assegnato e riconosciuto.
L’uscita di Casini, se zoppica sul versante politico, allo stesso tempo fa leva su uno degli aspetti più assurdi della legge elettorale con la quale stiamo tornando a votare. Al Senato, infatti, il Porcellum si appresta a mostrarci il peggio di sé, perché verrà a sommarsi l’incomprensibilità di un premio di maggioranza su base regionale, con la possibilità di accedervi senza alcuna soglia minima di voti conquistati nella singola regione.
Già il primo punto grida da solo vendetta. I sistemi elettorali si muovono tra Scilla e Cariddi di rappresentanza e governabilità. La rappresentanza è ovviamente l’espressione più pura della democrazia elettiva che si esprime a mezzo del rapporto proporzionale tra voti e seggi. E però il sistema consente correzioni che, se da un lato tradiscono il criterio puramente democratico, dall’altro tendono a garantire la governabilità.
Per questo la correzione è ritenuta costituzionalmente compatibile, pur togliendo seggi a chi li avrebbe dovuti avere (secondo i voti raccolti) e assegnandoli a chi non li avrebbe meritati. Uno “scippo legale” volto ad agevolare la formazione di una maggioranza e un governo possibilmente stabile nell’arco della legislatura.
Ebbene, se questi pacifici princìpi sono chiari, si vede subito quanto assurda e inaccettabile è la previsione del Porcellum che al Senato compie quell’operazione in modo del tutto estemporaneo e su base regionale. Così la coalizione che, per ipotesi, vince alla Camera e anche complessivamente al Senato, si vede in alcune regioni scippati seggi che le spetterebbero sulla base dei voti raccolti in quella stessa regione e che, però, vengono assegnati quale premio di governabilità a chi però non deve governare alcunché, non avendo vinto né alla Camera, né complessivamente al Senato.
Ci saranno quindi molti candidati della coalizione vittoriosa, che si vedranno sottratto il seggio in favore di chi non doveva essere eletto; e ciò in ossequio a un premio di governabilità regalato a una formazione che nessun mandato a governare ha ricevuto perché complessivamente ha perso le elezioni. Così il bizantinismo in teoria maggioritario penalizza proprio la coalizione che ha vinto, indebolendo quella stessa governabilità in favore della quale la correzione dovrebbe operare. Questo è il capolavoro del Porcellum che Casini conosce bene, avendo decisivamente concorso alla sua approvazione.
Ma non basta; perché quest’anno a tale assurdità se ne aggiungerà un’altra dovuta alla iper-frammentazione del quadro politico. E così in regioni decisive come la Lombardia, al singolare premio che, come abbiamo visto, funziona al contrario, si accederà con appena il 28 o il 30% dei voti, per l’incostituzionale assenza nel Porcellum di una soglia, come puntualmente già segnalato dalla Consulta a un Parlamento che non ha voluto sentire. E così l’esito complessivo delle prossime elezioni rischia di dipendere esclusivamente dai decimali di punto tra Pd e Pdl in Lombardia (con entrambi gli schieramenti appena prossimi al 30% di voti in quella regione), dove sono in palio ben 47 seggi senatoriali con un premio di 26. Con l’ulteriore conseguenza che il secondo arrivato dovrà dividersi i resti con una pletora di partiti, partitini.
Ma allora, così come Bersani nelle scelte post elettorali dovrà indubbiamente tener conto se il premio a Montecitorio sarà derivato da un netta affermazione nel corpo elettorale o solo dalle lacune del Porcellum, allo stesso modo al Senato forze responsabili come quelle che Casini dice di rappresentare dovrebbero dare rilievo al dato effettivo dei voti complessivamente raccolti dalle diverse coalizioni, senza troppo speculare su un velenoso colpo di coda della legge-porcata. A meno che non sia proprio il caos ciò a cui si sta lavorando, come allarmante nemesi della stagione di responsabilità nazionale, che pure ogni giorno si rivendica di aver sostenuto. Non resta che augurarsi che la saggezza sia infine nell’elettorato una cui scelta netta e ampiamente maggioritaria, quale essa sia, è forse l’unica in grado di spazzare via i veleni della peggiore legge elettorale che le democrazie occidentali abbiano mai avuto.
La Repubblica 05.01.13
"Inflazione 3%, top dal 2008 E la spesa si fa più cara", da unita.it
L’ennesima conferma che il 2012 è stato un anno complicato per l’economia arriva dal dato sull’inflazione diffuso dall’Istat. La media dei dodici mesi è pari al 3%, due decimi di punto in più rispetto al 2,8% registrato per il 2011. Il risultato più alto dal 2008. Aumentano i prezzi e il ‘carrello della spesa’ si fa più leggero ma più salato: nell’anno che si è appena concluso è arrivato al 4,3% dal 3,5% del 2011. Più contenuta, spiega l’Istituto, è stata invece l’accelerazione della crescita dei prezzi dei prodotti a media frequenza di acquisto che sono aumentati del 2,8%, rispetto al 2,6% dell’anno precedente. Per contro, il tasso di incremento medio annuo dei prezzi dei prodotti a bassa frequenza di acquisto scende all’1,2%, dall’1,5% del 2011.
Secondo il Codacons l’aumento dell’inflazione ha determinato una stangata da 1.048 euro per una famiglia di tre persone e di 1.155 euro per un nucleo di quattro. Secondo l’associazione dei consumatori con un carrello della spesa che sale del 4,3% gli acquisti di tutti i giorni aumentano, per un pensionato che vive da solo, di 362 euro. Una famiglia di tre persone spenderà per acquistare i prodotti necessari 591 euro, mentre una di quattro persone si ritroverà a spendere 651 euro. «Un dato sconcertante, considerato il crollo della domanda e dei consumi che avrebbero dovuto determinare, semmai, un calo dei prezzi e non certo un aumento.
Ci si chiede, quindi, cosa succederà a fine 2013, quando ci sarà l’aumento dell’Iva e alcuni prevedono anche una ripresa del Pil. Per far tornare i conti del bilancio familiare, secondo un’analisi della Coldiretti/Swg, sei italiani su dieci (61%) hanno diminuito la spesa, mentre un 6% non riesce ad arrivare a fine mese. Secondo lo studio il 62% degli italiani cerca offerte speciali più che in passato mentre circa la metà (49%) fa la spola tra diversi negozi per confrontare i prezzi più convenienti.
Dall’analisi emerge peraltro – sottolinea la Coldiretti – che più di una famiglia su tre (35,8%) dichiara di aver diminuito la quantità e/o la qualità dei prodotti alimentari acquistati rispetto all’anno precedente. In Europa la situazione è decisamente migliore. L’inflazione è stabile in dicembre nell’Eurozona: secondo la stima »flash« di Eurostat, il dato annuale è rimasto pari al 2,2% come nel mese precedente. In particolare, secondo la prima stima dell’istituto statistico Ue, l’aumento dei prezzi resta elevato ma si è ridotto nel settore dell’energia (5,2% contro il precedente 5,7%) mentre alimentazione, bevande e tabacco sono aumentati in dicembre del 3,1% (3% in novembre), i servizi dell’1,8% (1,6% in novembre) e i beni industriali esclusa l’energia dell’1,1%, come nel mese precedente.
da www.unita.it
"L'agricoltura torni al centro dell'agenda", di Carlo Petrini
Mancano meno di due mesi alle prossime elezioni, l’attenzione si concentra, come ovvio, sulle candidature e sulle future alleanze; tuttavia si avverte una diffusa sensazione di ripartenza, di possibilità di riscrittura che non si avvertiva da tempo. Complice una crisi di portata storica che coinvolge tutto e tutti: che attraversa l’economia, l’ambiente, la politica, la vita quotidiana delle persone. E quindi tocca pensare. Cosa vogliamo? O meglio: di cosa abbiamo bisogno? E cosa vogliamo fare per ottenerlo?
Chiedere ai candidati di occuparsi di “politiche alimentari”, ovvero di ripensare, ridisegnare, quelle che finora sono state, in modo impreciso, inadeguato e insufficiente, chiamate “politiche agricole”, non è cosa di poco conto per il futuro di questo Paese.
Su questo terreno vale la pena di sottolineare quelle che secondo me dovrebbero essere le priorità del prossimo governo centrale, ma anche dei prossimi governi regionali, dato che anche alcune regioni rinnoveranno i loro amministratori tra poche settimane.
Quattro punti, quattro pensieri, quattro piccoli ma forti pilastri su cui appoggiare un nuovo modo di pensare l’agricoltura di questo paese; una miniagenda, se volete, quasi un foglietto di appunti.
1 — Politiche alimentari significa politiche condivise e interconnesse: ambiente, agricoltura, educazione, salute, economia, giustizia, sviluppo, industria, beni culturali. Dove inizia un settore e finisce l’altro? Non si può dire, non esiste confine. Se si fa politica per il cibo e per l’agricoltura si fa, finalmente, politica per tutti, si tutela il bene comune. Come si fa? Non lo sappiamo fare perché non l’abbiamo mai fatto. Ma un tavolo condiviso, un posto in cui tutti i ministri e tutti gli assessori verificano, prima di vararli, la coerenza dei provvedimenti di cui si fanno portavoce sarebbe un buon inizio.
2 — C’è un disegno di legge già approvato che attende di diventare legge. È stato ribattezzato “Salva suoli”. L’ha presentato il ministro Mario Catania, che l’ha scritto e migliorato con la collaborazione delle Regioni e della rete di associazioni della società civile. Serve a porre, sia pure con imperdonabile ritardo, fine alla dissipazione del suolo agricolo italiano, alla cementificazione ignorante che ha devastato il nostro territorio e di cui paghiamo il prezzo in dissesti e vite umane ad ogni temporale. È un lavoro facile, è quasi tutto fatto. È solo un lavoro da finire, e i candidati che nelle prossime settimane si diranno a favore della protezione del territorio italiano provino a dirlo in modo più chiaro: dicano che si impegneranno perché quel disegno di legge diventi al più presto una legge nazionale.
3 — Le nostre campagne hanno bisogno di ripopolarsi. Perché il made in Italy passa dai campi e dalle mani dei nostri produttori. E le mani dei produttori oggi sono rugose, sono stanche, sono mani anziane. E spesso sono mani che non sanno a chi consegnare tutta la loro esperienza e tutti i loro saperi. E, come si sa, i nostri giovani hanno bisogno di lavorare. E di sentirsi protagonisti di quello che producono e di quello che diventano. L’agricoltura può dare a un giovane tutto questo, a patto che smetta di essere sinonimo di emarginazione sociale e di difficoltà economica. E a patto che accedere al lavoro agricolo smetta di essere una specie di corsa a ostacoli, contro la burocrazia, le normative sproporzionate, l’impossibilità di accedere a crediti ragionevoli. Quindi i candidati che nelle prossime settimane intendono parlare di lavoro giovanile potrebbero intanto impegnarsi a facilitare questa fetta di lavoro giovanile: quello in agricoltura. Perché sono tanti i giovani che ci stanno provando, e, nonostante tutto, ci stanno riuscendo. Ma sono tantissimi i giovani che ci stanno pensando e che rinunciano prima di provare perché le difficoltà sono davvero troppe.
4 — E infine, un compito facile facile. Decidiamo una volta per tutte che agricoltura serve al nostro paese. Un paese fatto di milioni di piccole aziende agricole. Un paese che ha il biologico tra i suoi vanti. Un paese che basa la sua ricchezza sulla biodiversità di razze animali, varietà vegetali domesticate e spontanee, di prodotti tipici e delle tante biodiversità che quelle implicano: la biodiversità delle sementi tradizionali, dei microrganismi del suolo, delle agricolture tradizionali. Ecco, cosa serve a un paese così? Non serve un’agricoltura di brevetti, non serve un’agricoltura di multinazionali, non serve un’agricoltura di contoterzisti. Non servono gli Ogm. Semplicemente non servono. E già questo basterebbe a richiedere un impegno per fare in modo che vengano esclusi dal nostro futuro alimentare. Se a questo si aggiungono i tanti punti non ancora chiariti a proposito delle colture Ogm, la necessità di continuare ad investigare e a fare ricerca per definirne con chiarezza i possibili impatti sull’ambiente, sulla salute e sull’economia risulterà chiaro che appellarsi al principio di precauzione sarà la cosa più ovvia da fare, decidendo che il nostro paese resta Ogm free. Quindi quei candidati che nelle prossime settimane parleranno di green economy, potrebbero partire anche da qui: dal più vasto settore di green economy che abbiamo, da sempre, sotto gli occhi: l’agricoltura sostenibile.
Ecco, una mini agenda, se volete; o meglio, un bigino – si parva licet componere magnis – da portare con sé lungo la prossima legislatura. Perché questo terzo millennio sarebbe proprio ora che iniziasse.
La Repubblica 04.01.13