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“Il Cav non fermerà il cambiamento”, di Claudio Sardo

Le primarie del centrosinistra hanno posto al centro del dibattito pubblico il tema del cambiamento – politico, di classi dirigenti, di indirizzo economico e sociale. Tanti italiani si sono appassionati al confronto, hanno apprezzato il coraggio della sfida aperta e i suoi contenuti, hanno premiato Bersani nel voto e il Pd nei sondaggi, hanno incoraggiato Renzi soprattutto per la radicalità della sua domanda di innovazione. Sembrava l’inizio di una nuova stagione: nulla sarebbe rimasto come prima e la spinta al rinnovamento avrebbe presto contagiato tutti gli attori politici. Pochi giorni dopo, però, è tornato Berlusconi. Non è più il Berlusconi del ’94, né quello del 2001, né quello del Predellino. Oggi pare uno spettro. Lo spettro dell’Italia imprigionata nella Seconda Repubblica, del declino economico, del populismo anti-europeo. Non poteva esserci contrapposizione più netta tra il tentativo di rispondere alla necessità del cambiamento – che scaturisce proprio dalla profondità della crisi, dallo «smottamento» del ceto medio, dall’impoverimento delle famiglie, dall’impotenza dei governi di fronte ai poteri finanziari – e la blindatura del Cavaliere sconfitto. Anche perché la chiusura «padronale» colpisce gli stessi propositi di evoluzione democratica della destra.
Checché ne dica Berlusconi il suo obiettivo non è più vincere, ma bloccare. Non è lanciare un nuovo progetto, ma impedire che gli sfugga la proprietà del partito. Berlusconi scommette sulla sconfitta dell’Italia, sul fallimento futuro e per questo vuole presentarsi nel prossimo Parlamento con un drappello di fedelissimi. Poco importa quanti sono, purché il circuito di selezione sia bloccato. Poco importa il danno che verrà prodotto all’Italia da una campagna elettorale regressiva, che si spingerà fino a ipotizzare l’uscita dall’euro. Il proposito berlusconiano è colpire Monti e il suo possibile successore, scaricando su di essi le colpe gravissime che invece sono a carico dei suoi governi, i peggiori dell’Italia repubblicana.
Ma Berlusconi non può fermare il cambiamento. Anche se cerca sponde in quella borghesia che diffida della sinistra perché detesta i partiti e la politica, anche se cerca alleati nelle corporazioni, anche se confida nel sovversivismo di certe oligarchie che presidiano l’immutabilità degli equilibri di potere. Il cambiamento non si fermerà. Perché lo impone il tempo nuovo. Perché dalla crisi non si uscirà ripristinando il vecchio modello sociale. Perché gli squilibri e le disuguaglianze attuali non garantiscono più la coesione civile. Perché l’Europa, o è capace di un rilancio unitario oppure è destinata all’emarginazione politica, culturale, e quindi economica. Perché c’è bisogno di uno sviluppo nuovo, di un nuovo compromesso fondato sul lavoro, di una democrazia capace di riscattare la servitù nei confronti dei mercati.
La responsabilità del centrosinistra è grande. Come la nostra speranza. Berlusconi non fermerà il tempo ma la direzione del cambiamento non è scontata. Siamo a un cambio d’epoca e dobbiamo decidere quale strada imboccare, con quale lingua parlare, quale ragione dare alla nostra vita di comunità. Il destino è nelle nostre mani. Nelle ormai imminenti elezioni. Ma non solo. Il coraggio mostrato dal Pd nelle primarie ha bisogno di repliche. A partire dalla scelta dei candidati per il Parlamento: nella sciagurata, ma purtroppo probabile, ipotesi che il Porcellum resti immutato, si dovranno riaprire le porte dei circoli per condividere la selezione con il più ampio numero di elettori. Se Berlusconi si blinda, se Grillo fa primarie-farsa, se nessun partito ha il coraggio di chiamarsi partito, tanto più il Pd deve mettere il proprio circuito democratico a servizio di una nuova idea di politica.
Non è la presunzione di fare da soli, di bastare a se stessi. Al contrario, è una prova di umiltà dopo che la rappresentazione della politica e l’incapacità di autoriforma hanno meritato il discredito. Non si governerà il cambiamento con il settarismo e l’autosufficienza. La ricostruzione di un tessuto istituzionale condiviso, oltre che di un tessuto sociale ed economico in grado di far ripartire la crescita, è la missione di un partito con un forte senso della nazione. Un partito aperto. Innovatore ma capace di includere. Le alleanze in Parlamento verranno dopo. Ma il nuovo centrosinistra dovrà cominciare dall’alleanza per il lavoro, con i giovani che lo cercano e con gli imprenditori che scommettono sullo sviluppo delle loro imprese. Il nuovo centrosinistra dovrà allearsi con i progressisti e i democratici che intendono cambiare la politica economica dell’Europa: la svolta a sinistra possibile ha una dimensione europea. Il nuovo centrosinistra dovrà allearsi inoltre con tutte quelle forze sociali che nel trentennio liberista sono state penalizzate, indebolite, scoraggiate, e che invece vogliono battere l’individualismo in nome della solidarietà e dell’integrità della persona. Il cittadino solo è più debole e lo Stato è più povero, se non riconosce il valore dei corpi intermedi, il civismo di chi lotta per diritti universali, le ragioni profonde, anche spirituali, di chi si dedica agli altri con gratuità.
Speriamo che andremo alle elezioni senza ulteriori, inutili strappi. I cittadini italiani sceglieranno. Destra e sinistra non sono uguali. La speranza di un cambiamento europeo non è la stessa cosa del populismo anti-europeo. Speriamo che il professor Monti venga risparmiato dalla convulsione berlusconiana. Ha preso l’Italia che era sull’orlo del baratro e gli ha restituito dignità internazionale, anche se non abbiamo condiviso alcune scelte sociali. Non merita Monti di finire nel tritacarne di una confusa guerriglia parlamentare, organizzata dal Pdl a scopi meramente propagandistici. Il centrosinistra dovrà andare oltre Monti. Ma non può accettare che Monti venga ridotto a una parentesi da un Berlusconi ormai privo di bussola. Il cambiamento è diventato possibile proprio quando il Cavaliere ha lasciato, finalmente, Palazzo Chigi. Ora è il momento di fare un salto in avanti.
L’Unità 09.12.12

“Schock e timori nell’Eurozona: si riaffaccia lo spettro Italia”, di Andrea Tarquini

Shock e timori per l´eurozona e per l´euro chiaramente percepibili a Berlino, silenzi cauti quanto inquietanti a Londra, nervosismo celato con stile elegante in altre capitali europeiste ma rigoriste come per esempio Helsinki: uno spettro s´aggira per l´Europa, lo spettro del ritorno di Berlusconi, suggeriscono qui fonti vicinissime all´establishment dietro la condizione del totale anonimato. Lo spettro malvagio riemerge in Italia, dice e scrive per tutti la Sueddeutsche Zeitung. Cioè il grande, autorevole quotidiano liberal di Monaco vicino ai poteri forti di economia e finanza chiamati Bmw, Siemens o Allianz.
Lo spettro malvagio sembrava infine fugato, scrive la collega Andrea Bachstein, corrispondente e columnist della Sueddeutsche. E invece no. E la prospettiva migliore per l´Italia a questo punto (con il ritiro di Monti, si sottintende) secondo la Berlino dell´establishment, o dal suo punto di vista il male minore, è una vittoria elettorale del Pd definito “i socialdemocratici proeuropei di Bersani”. Con cui si possono negoziare correzioni di linea o nuovi compromessi. Ma i pericoli del ritorno dello “spirito malvagio” possono pesare sull´Italia e su tutta l´Europa, ti sussurrano qui persone che contano. Lo si può vedere a breve nei miliardi che cambi nello spread suscitati dal rientro in scena del “settantaseienne alla sua ultima battaglia” causeranno. A medio termine, ma non lontano, lo possono avvertire tutti nelle sorti più difficili dell´eurozona, del salvataggio della moneta unica, delle speranze di rilancio della ripresa della casa comune europea. “E con populisti in campo, gente seria come noi centro europei o nordeuropei o il vostro Draghi come dovranno reagire? Non abbiamo imparato la Storia?”, mi diceva giorni fa un banchiere centrale europeo.
“Mi dica, secondo lei nel Pdl chi vincerà? Alfano con le primarie, immagino e voglio sperare”, ha detto pochi giorni fa al corrispondente di Repubblica una fonte vicinissima alla ‘donna più potente del mondo´. Quando chi qui scrive gli ha risposto che un simile normale sviluppo alla tedesca o all´inglese, centrosinistra contro centrodestra, non era affatto sicuro viste le possibili intenzioni di rientro in scena di Berlusconi, il suo volto è cambiato, impallidito pur con diplomatico pudore. Ecco come è la nostra immagine davanti a Europa e mondo in queste ore.
“No ai diktat della Merkel, no a Monti a lei succube”. Quelle parole recenti di Berlusconi, fanno notare nella Berlino del potere, qui pesano, vengono registrate con memoria da elefante e allarme da agenzie di rating. Lo stesso clima, tra paure e speranze, lo registri a Londra, a Parigi, o in capitali piccole ma che contano per rigorismo in Europa. Come Helsinki dove giorni fa l´uomo-chiave della politica locale, Alexander Stubb, conservatore alleato con i socialisti per emarginare l´ultradestra, mi ha detto “non agitiamoci, i due Supermario cioè Draghi e Monti sono una fortuna per l´Europa”. Non pesavano solo i ricordi di battute volgarissime di Berlusconi sulle ministre finniche, contava la paura per il futuro della moneta unica e dell´area economica comune. Speriamo solo, dicono voci diplomatiche di tutta l´Europa centrale raccolte qui in corsa, che l´ultimo gioco di Berlusconi disturbi e danneggi l´Europa solo provvisoriamente.
La Repubblica 09.12.12

“Il gesto limpido del Premier”, di Mario Calabresi

Mario Monti si è preso un giorno per riflettere, poi ha fatto un gesto, l’unico, che fosse in linea con la sua persona, la sua vita e il suo modo di governare: assicurare la legge di stabilità e poi dimettersi. Non solo non poteva accettare di farsi mettere sotto accusa da chi gli aveva consegnato un Paese allo sfascio, non solo non ha intenzione di elemosinare per settimane la fiducia su ogni provvedimento, ma nemmeno di condividere un metro di strada con chi adesso ha deciso che tutte le colpe stanno nella moneta unica. «Io non vado in Europa a coprire quelli che fanno proclami anti-europei, io non voglio averci niente a che fare», ha detto con estrema chiarezza Monti al presidente della Repubblica mentre, ieri sera, gli annunciava il suo passo indietro.
Un gesto chiaro e limpido che costringe ognuno ad assumersi le proprie responsabilità e lascia Berlusconi solo con le sue convulsioni e i suoi voltafaccia. Non è in discussione il diritto del Cavaliere di ricandidarsi (anche se per un anno aveva assicurato il contrario), ma non è tollerabile che l’azionista di maggioranza del governo tecnico, che per inciso è anche il premier che aveva lasciato l’Italia sull’orlo del baratro, una mattina si svegli e se ne chiami fuori.
Non è tollerabile che indichi l’azione di Monti come responsabile di ogni problema italiano, senza riconoscere tutto il lavoro fatto in un anno.
L’esecutivo tecnico era nato di fronte all’incapacità di governare e alla profonda sfiducia degli italiani nel sistema dei partiti, doveva servire a mettere in sicurezza i conti e a traghettarci verso nuove elezioni. Il patto era che ognuno si assumesse la sua parte di responsabilità (e di impopolarità) per provare a evitare il crac del Paese, senza cavalcare il populismo e il malessere sociale.
Stando così le cose, come poteva pensare Alfano che il premier potesse andare avanti dopo che lui lo aveva sfiduciato ufficialmente nell’Aula di Montecitorio? E dopo che oggi il centrodestra aveva minacciato di bocciare provvedimenti e proposte di legge, a partire da quella sul taglio delle Province? Solo un politico navigato e rotto a ogni compromesso avrebbe fatto finta di niente, Monti invece ne ha preso atto e ha deciso di restituire le chiavi.
Così andremo a votare, per la prima volta nella nostra storia repubblicana, con il cappotto, forse addirittura nella prima metà di febbraio, se si anticiperà l’approvazione della legge di stabilità e si scioglieranno le Camere alla vigilia di Natale.
Dopo aver provato a fare le cose con ordine per dodici mesi, siamo tornati nell’emergenza e in preda agli spasmi della peggiore politica. Con tutti gli sforzi e i sacrifici fatti non ce lo meritavamo.
Sarebbe tempo che anche l’Italia diventasse un Paese normale, prevedibile e magari anche noioso. Un Paese di cui non ci si deve vergognare, che può sedere in Europa e riuscire a farsi ascoltare. Per un anno ci siamo andati vicino.
La Stampa 09.12.12

“Un gesto che mette a nudo i ricatti del cavaliere”, di Eugenio Scalfari

Le dimissioni di Monti sono arrivate come un fulmine. Non certo un fulmine a ciel sereno perché sereno non è affatto ed anzi è rigonfio di nubi nere e cariche di tempesta.
Il redivivo Berlusconi ancora ieri aveva lanciato una serie di accuse contro il governo e contro gli altri due partiti della maggioranza che finora l´ha sostenuto e aveva preannunciato una serie di bombe a orologeria per intralciare e paralizzare Monti fino allo scioglimento delle Camere.
Tre mesi di continui agguati e trabocchetti che avrebbero impedito al governo di governare e costretto gli altri due partiti a sostenere Monti mentre il Pdl (o comunque si chiamerà) si sarebbe interamente dedicato ad una campagna elettorale con l´insegna del “tanto peggio tanto meglio”, con i mercati in agguato e la finanza pubblica a rischio di grave pericolo. I decreti ancora in attesa di essere convertiti in legge sarebbero stati bloccati a cominciare da quello sulle Province e quello sullo sviluppo che infatti hanno già avuto il voto contrario del Pdl.
In questo condizioni Monti è salito al Quirinale ed ha preannunciato le dimissioni irrevocabili sue e del governo, condizionate soltanto all´approvazione della legge di stabilità finanziaria e all´approvazione del bilancio che potrebbero avvenire al più tardi entro Natale. Dopo di che le dimissioni di Monti, fin d´ora sostanzialmente date a Napolitano, saranno formalizzate dopo apposito Consiglio dei ministri e il governo resterà in carica – come d´uso – soltanto per l´ordinaria amministrazione.
Il Capo dello Stato ha dichiarato la sua piena comprensione delle decisioni di Monti e si voterà entro la seconda metà di febbraio anziché il 10 marzo come fino a ieri era previsto. Dunque: campagna elettorale ristretta al minimo previsto dalla legge e insediamento del nuovo Parlamento entro la fine di febbraio. Di fatto si tratta di un anticipo di 15 giorni su quanto era stato previsto, ma il fatto ha un rilievo politico molto più forte. Il governo cade perché sfiduciato da Berlusconi e dal partito di sua proprietà. La responsabilità è dunque del Cavaliere di fronte agli italiani e di fronte all´Europa.
Voleva rappresentare i moderati, ma quali moderati? I voti dei quali va in cerca non hanno nulla di moderato. La sua posizione si affianca a quella di Grillo: anti-Monti, anti – Europa, anti-tasse, anti-euro, anti-riforme. Ed anche anti-Napolitano che, pur restando rigorosamente “super partes”, aveva garantito all´Europa il mantenimento degli impegni presi, affiancandoli con quell´equità sociale e quel rilancio degli investimenti e dell´occupazione che ora sono le stesse Autorità europee a chiederci, a cominciare dagli stimoli quasi giornalieri di Mario Draghi.
Ho detto che il neo-berlusconismo ha assunto gli stessi contorni del grillismo, ma debbo aggiungere che è peggio di Grillo che non ha clientele da difendere, bonifici da distribuire, ricatti da pagare, aziende proprie da sostenere, processi dai quali sottrarsi.
Grillo cerca di intercettare quella rabbia sociale che si sta diffondendo nel Paese a causa dei sacrifici che hanno colpito soprattutto i ceti medio-bassi. Il rapporto del Censis uscito l´altro giorno documenta quel disagio e lo quantifica: il ceto medio-basso rappresenta il 30 per cento della popolazione; un altro 30 per cento teme di precipitare anch´esso in una sorta di proletarizzazione.
Ma, scrive il Censis, questo diffuso disagio diminuirà gradualmente nei prossimi mesi, quando l´economia reale comincerà a registrare qualche consistente miglioramento.Chi gioca però al «tanto peggio tanto meglio» rischia di alimentare gli aspetti eversivi e violenti di quel disagio, anzi se lo propone appoggiando al tempo stesso l´aumento delle diseguaglianze sociali. Ecciterà i poveri alla protesta proteggendo contemporaneamente le posizione dei ricchi, purché amici e sodali.
Non saranno certo i Briatore a rimetterci. Ecco perché il nichilismo berlusconiano è assai più insidioso e velenoso di quello grillino. Monti con la sua decisione di ieri ha strappato i veli che lo nascondevano. Ora appare in tutta la sua evidenza.
A questo punto saranno i cittadini elettori a chiudere la partita. Molti dicono che il popolo sovrano è dotato di un deposito di saggezza che vede più lontano e più lucidamente di quanto non accada alla classe dirigente. Lo spero anch´io, ma non lo darei per scontato. Una parte importante di cittadini ragiona con la propria testa e tiene a bada quella parte emozionale che c´è in ciascuno di noi e che si regola sull´immediato presente. Ma un´altra parte vive di emozioni e dà retta a false promesse e ad illusioni prive di qualunque riscontro con la realtà.
In ogni Paese esiste una massa di elettori che cade in preda a demagoghi e a venditori di paradisi artificiali, ma da noi purtroppo questa massa ha più consistenza che altrove. Chi pratica il gioco delle tre carte e chi vende San Pietro o il Colosseo ha sempre trovato compratori.
Berlusconi è un venditore formidabile, in questo non ha rivali ed è la ragione per cui è già stato votato per cinque volte di seguito da milioni di italiani che hanno creduto in lui anche quando il Paese stava precipitando.
E´ possibile che gli credano ancora? Il popolo sovrano chiamato tra poco alle urne darà la risposta. La previsione è che questa volta scelga responsabilmente i partiti della democrazia, del cambiamento, del realismo. Non si tratta soltanto di uscire dall´emergenza completando i compiti che l´Europa ci ha assegnato. Si tratta di molto di più. Si tratta di ricostruire lo Stato, di modernizzare il «welfare», di accrescere la produttività, di combattere le mafie e le clientele parassitarie, di distribuire equamente il reddito, di snellire la burocrazia, di ridare ai giovani e alle famiglie speranza e fiducia.
Problemi antichi, sempre discussi e mai risolti. Ora sono anch´essi diventati emergenza e con questo spirito vano affrontati senza dimenticarne un altro che tutti li condiziona: la costruzione dell´Europa come vera patria di tutti gli europei. Fuori da questo quadro saremo tutti condannati all´irrilevanza economica, politica, culturale.
Non dimenticatelo mai nei prossimi anni e non dimenticate che l´Italia non può far nulla senza l´Europa e l´Europa può fare ben poco senza l´Italia.
Cavour l´aveva capito e per fortuna anche la Francia, l´Inghilterra e la Prussia lo capirono. Solo così il movimento risorgimentale trovò il suo sbocco nella nascita dello Stato unitario. Talvolta la storia è maestra di vita e questo è l´obiettivo che ci sta dinanzi.
La Repubblica 09.12.12

Bersani: «Il Pdl non può pensare di caricare tutto», di Simone Collini

«Siamo leali ma non ingenui», dice la mattina nell’aula di Montecitorio rivolgendosi verso i banchi del Pdl. «Siamo responsabili ma non rischieremo un effetto logoramento», dice il pomeriggio incontrando al Quirinale Giorgio Napolitano. Ma c’è anche un’altra cosa che Pier Luigi Bersani fa presente al Capo dello Stato durante il colloquio di oltre un’ora al Colle: va bene andare al voto il 10 marzo, ma non è indifferente il modo in cui ci si arriva perché un Silvio Berlusconi già in campagna elettorale e libero di sparare sul governo non conviene a nessuno, né al Paese né allo stesso Mario Monti. Per questo il leader del Pd, accompagnato al Quirinale dai capigruppo di Senato e Camera Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, dice al Presidente della Repubblica che per evitare un finale di legislatura che rischia di «logorare» il governo e il Paese, per salvaguardare l’attuale premier come personalità super partes e risorsa per il futuro, è meglio non mettere troppa carne al fuoco. Ovvero è meglio puntare all’approvazione delle sole misure chiave e su cui c’è già un accordo, come la legge di stabilità, i provvedimenti sull’Ilva, sullo sviluppo, sul pareggio di bilancio. Meglio invece non insistere sulla delega fiscale, sul decreto sulle province e sulle altre misure su cui si rischia il fuoco di fila del Pdl arrivando poi comunque a un nulla di fatto. «Il Pdl non può pensare di caricare tutto sulle nostre spalle e logorare la situazione, mentre Berlusconi sarebbe invece libero di fare quattro mesi di campagna elettorale».
Se mai ce ne fosse stata, la fiducia nell’ex premier è a questo punto pari a zero. Per questo anche quando si tratta di discutere il capitolo legge elettorale, Bersani spiega a Napolitano che il Pd è determinato a superare il “Porcellum”, ma il Pdl si è dimostrato fin qui totalmente inaffidabile. «Non sappiamo neanche più chi siano gli interlocutori con cui confrontarci», è lo sfogo facendo riferimento al fatto che nei gironi scorsi un accordo era stato trovato quando poi Berlusconi ha fatto saltare il tavolo attraverso l’emendamento Quagliariello. Il segretario del Pd assicura che il suo partito non si sottrarrà al confronto, ma viste le mosse dell’ex premier c’è anche chi si dimostra più pessimista. Come il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, che si dice convinto che «si voterà con il Porcellum»: «Non ci sono le condizioni per realizzare una nuova legge elettorale. È un fatto grave. I cittadini valuteranno la responsabilità».
LEALI MA NON INGENUI
Ed è tutto sulle «responsabilità» del centrodestra che Bersani insiste intervenendo in aula a Montecitorio. «È evidente che se non avete da riflettere sui vostri errori passati per voi il governo Monti non è un momento di transizione ma una parentesi che si apre e si chiude e tutto torna come prima. Berlusconi ha deciso di scendere in campo con il suo armamentario, dicendo che Monti è un affamatore del popolo. Ma l’Imu non è la tassa di Monti, è la tassa di Berlusconi e Tremonti». Il leader sa che è partita la campagna elettorale del Pdl, e il messaggio da Montecitorio è propedeutico a quello che dirà poi al Colle. «Saremo leali e siamo pronti ad esserlo fino alla fine della legislatura, leali al governo e alle indicazioni al Capo dello Stato. Leali sì ma ingenui no». E poi, rivolgendosi direttamente ai banchi del centrodestra: «Non potete pensare che oltre il peso della transizione ci mettiamo sulle spalle il peso della vostra propaganda». E ancora: «Ci avete detto che la crisi era psicologica, siete stati degli irresponsabili. La medicina per la crisi non può venire da Berlusconi, Tremonti, Calderoli e da quelli che ci hanno portato fin qua. Ora se voi proporrete favole, noi diremo la verità. Lasceremo a voi i cieli azzurri, noi diremo solo due parole, moralità e lavoro. Se per voi è ancora il tempo dell’uomo solo al comando per noi è il tempo del cambiamento e della riscossa civica e abbiamo l’ambizione di metterci alla testa di questo cambiamento».
GIOCHI IRRESPONSABILI
Gli applausi arrivano dai banchi del Pd e non solo. Anche per l’Udc quello che sta conducendo Berlusconi è un gioco sporco. «L’atteggiamento del Pdl che in queste ore ha tolto la fiducia al governo è frutto o di un calcolo elettorale o di motivi connessi a provvedimenti che questo governo sta varando», dice Pier Ferdinando Casini domandando retoricamente come si possa «essere ostili a provvedimenti come quello dell’incandidabilità dei condannati». Anche per il leader centrista, che ha avuto un confronto con Bersani non appena il Pdl è venuto allo scoperto, sarebbe dannoso per tutti «se cedendo a una evidente strategia di logoramento il governo si rassegnasse a tirare a campare». Un concetto che Casini ribadisce anche a Napolitano (è salito al Colle dopo Bersani) dopo averlo già detto in aula: «Il governo non può diventare il parafulmine di giochi irresponsabili fatti sulla pelle degli italiani». E ora la mossa di Berlusconi apre una nuova fase nell’operazione di Bersani tesa a siglare un patto di legislatura tra progressisti e moderati.
l’Unità 8.12.12
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Chi si oppone al cambiamento
di Guglielmo Epifani
È EVIDENTE IL CALCOLO CHE SPINGE SILVIO BERLUSCONI A DICHIARARE FINITA L’ESPERIENZA DEL GOVERNO GUIDATO DA MARIO MONTI, SENZA APRIRE FORMALMENTE LA CRISI: premere affinché le elezioni politiche siano più ravvicinate possibili, aprire da subito nei fatti la propria campagna elettorale, scegliere come terreno del confronto la presa di distanza dagli atti dell’esecutivo, che pure si sono votati, addebitandogli il peggioramento della condizione economica e sociale, la salita del debito, l’inasprimento della pressione fiscale.
Il corollario inevitabile è il tentativo di aprire un confronto elettorale tutto giocato sulla demagogia, l’antieuropeismo, il populismo dei toni e degli argomenti, unitamente ad una dose di vittimismo e di attacco vecchio stile nei confronti degli avversari. In questo modo la legislatura si avvia a concludersi esattamente come era iniziata, con una dose di irresponsabilità e di fuga dalla realtà francamente intollerabile, e riproponendo un profilo della destra berlusconiana lontana e contrapposta a tutte le esperienze dei partiti moderati e conservatori europei, e perciò causa della fragilità del sistema politico italiano, tutto particolare rispetto ai modelli delle democrazie esistenti.
Sarebbe stato possibile e necessario un altro esito, in grado di rasserenare la competizione elettorale e farle assumere l’aspetto di un tradizionale confronto tra programmi e proposte concorrenti, solo che il centrodestra avesse avuto la forza e la convinzione di fuoriuscire in avanti dalle proprie contraddizioni, aprendosi a meccanismi di contendibilità democratica e al rinnovamento della propria classe dirigente secondo principi e criteri di selezione legati alle competenze, alle esperienze, a un’etica del servizio verso il bene pubblico. Con un simile calcolo il Pdl e Berlusconi sono destinati a perdere, ma possono comunque fare danni al Paese e alla sua permanente ricerca di un assetto politico più europeo, tanto più in presenza di una crisi pesantissima, che farà sentire i suoi effetti sull’occupazione, i redditi e i consumi per almeno altri due anni.
L’opinione pubblica sa bene quale responsabilità ha avuto il governo guidato da Berlusconi di fronte alla crisi, sottovalutandola prima, negandola poi, giudicandola superata già dopo qualche mese, attribuendola a oscuri complotti internazionali, e nel frattempo non facendo nulla ma proprio nulla per contrastarla con le leve anticicliche possibili. Fino ad arrivare a una irrilevanza nelle sedi internazionali mai avuta nel passato dall’Italia, e favorendo indirettamente chi aveva interesse ad attaccare la moneta comune. Con quel governo l’Italia si sarebbe avvitata in una spirale infernale e la condizione degli italiani sarebbe oggi peggiore di quella pure difficile che abbiamo. Se questo è vero, ed è in fondo la ragione per la quale la scommessa di Berlusconi questa volta naufragherà senza appello, i guasti che ne possono derivare non vanno sottovalutati, né sul terreno dei contenuti e della misura del confronto elettorale, né su quello di una generale e necessaria responsabilità verso il bene comune.
La rottura del patto di solidarietà tra le forze che hanno sostenuto il governo Monti può diventare la via per negare tutto quello che si è fatto e votato insieme, scaricando sull’altra parte tutta la responsabilità di quello che si è prodotto, nel bene e nel male, perché non si può non vedere che il risanamento è avvenuto con costi sociali crescenti e senza accompagnare al rigore del bilancio una piena equità nei sacrifici chiesti e una più incisiva politica di stimolo alla crescita. Quando Alfano parla dei condizionamenti esercitati dalla Cgil nei confronti delle scelte sul mercato del lavoro non dice solo una cosa non corrispondente al vero, ma prepara una campagna elettorale tutta basata sulla strumentalità e l’ennesima fuga dalla realtà, che ricadranno su una condizione di larga esasperazione e difficoltà sociale.
Tutto questo carica di una particolare responsabilità il Pd, il partito che si è opposto al governo di Berlusconi e poi ha consentito, contro il suo particolare interesse, la formazione del governo guidato da Mario Monti. I sondaggi oggi premiano questa coerenza e lo svolgimento delle primarie ne hanno fatto crescere attendibilità e percezione di affidabilità. La stessa cosa però bisogna chiederla al mosaico delle forze di centro, in permanente e oscillante pencolamento tra una ipotesi e l’altra, e con una spinta al proprio rinnovamento onestamente troppo vaga. E insieme a quella parte di classi dirigenti che oggi prendono le distanze da Berlusconi dopo averlo appoggiato per anni in maniera spesso acritica.
Il cambiamento del giudizio è una scelta di indubbio significato, ma andrebbe accompagnata da due atti: riconoscere che il Berlusconi di oggi non è un altro rispetto a ieri, e che il rinnovamento di cui il Paese ha disperato bisogno non ha nulla a che fare con le suggestioni del gattopardismo, e che una volta tanto bisogna provare a ripartire da quelli che stanno peggio, e non sempre da quelli che per talento o possibilità possono farcela da soli.
L’Unità 08.12.12

“Tra risparmio e rinuncia ecco l’Italia del Censis”, di Guido Crainz

COS’È accaduto al Paese in un anno, come quello che si va a concludere, dominato dal “problema della sopravvivenza”? Come ha reagito a una crisi “perfida”, alimentata da “fenomeni enormi” (dalla speculazione internazionale alle difficoltà dell’Europa)?
Ma anche da “eventi estremi” (le dinamiche dello spread e il pericolo di
default) e da una progressiva crisi della sovranità, non solo in Italia? Queste
domande scandiscono fin dall’inizio il rapporto annuale del Censis, e vi è sullo sfondo la consapevolezza delle drammatiche condizioni di partenza: occorre “guardarci dentro con severità”, aveva annotato il rapporto del 2011, per porre fine al “disastro antropologico” degli ultimi anni, ad una lunga confusione ed impotenza di governo, e ad un deperire che ha riguardato sia la nostra realtà che la nostra immagine internazionale. Aveva poi aggiunto, evocando l’insediamento appena avvenuto del governo Monti: sul piano politico e istituzionale qualcosa si è mosso, occorre ora prestare attenzione alle dinamiche sociali di un Paese che appare stanco, quasi incapace di “desiderio”.
Oggi il Censis pone al centro non tanto l’assenza di reazioni istituzionali e sociali di fronte ai “tempi cattivi” quanto la divaricazione fra questi due livelli. La distanza cioè fra la strategia di rigore del governo – non puramente “tecnica” ma anche “politicamente straordinaria” – e le “affannose
strategie di sopravvivenza” dei cittadini, non coinvolti sino in fondo dall’operare delle istituzioni. L’agire politico, in altri termini, “non ha avuto lo spessore per generare forza psichica collettiva”, e “non è scattata la magia dello sviluppo fatto da governo e popolo”: ma senza questa “magia” è difficile immaginare una vera ripresa. Ed è difficile scongiurare gli opposti e speculari rischi del “maturare di poteri oligarchici” e di un populismo gonfio di rancore.
A confermare la necessità di un’inversione di tendenza concorrono i dati sulla percezione della crisi e delle sue cause: con la corruzione politica al primissimo posto, seguita a distanza sia dal debito e dagli sprechi pubblici sia dall’evasione fiscale (e meno diffuse sembrano poi essere le pulsioni anti-europee). Né lo “slittamento etico” coinvolge solo i partiti, ma sembra progressivamente allargarsi a parti crescenti del corpo sociale. Di fronte alla crisi, infine – e alla crisi della politica – la rabbia sembra il sentimento prevalente, mentre paura e senso di frustrazione appaiono più diffusi della volontà di reagire (pur nel crescere di forme di protesta, soprattutto fra i giovani).
Si passi poi dalla percezione della crisi ai dati reali, e si scorrano quindi le cifre relative alle divaricazioni sociali e all’impoverimento complessivo, con un reddito medio della famiglie sceso negli ultimi anni sino ai livelli del 1993. Con pesanti segnali di “smottamento” dei ceti medi, particolarmente accentuati nelle fasce più giovani. Con preoccupanti indicatori generali, relativi alle dinamiche e alla qualità dei consumi, e con alcuni squarci più specifici (negli ultimi due anni, ad esempio, quasi due milioni e mezzo di famiglie hanno venduto oro e altri oggetti preziosi).
Eppure la crisi ha segnato in profondità il Paese ma non lo ha piegato. Qui – secondo tradizione e vocazione – lo sguardo del Censis si rivolge più decisamente alla società e tenta di scandagliarne più da presso i comportamenti, le pulsioni, le opzioni. E registra così le “tre R”, risparmio, rinuncia, rinvio, ma non anche la quarta, e cioè rassegnazione. Nel sobbollire di elementi negativi, osserva infatti il rapporto, “i tempi cattivi avrebbero potuto diventare pessimi” se non fossero intervenute dinamiche sociali significative, “spinte di sopravvivenza” articolate e differenziate: esse rinviano da un lato a tratti precedenti della nostra storia (dal ruolo della famiglia alle solidarietà sociali e territoriali), e dall’altro alla capacità di sperimentare in modo flessibile e intelligente vie nuove, di trovare posizioni e collocazioni inedite. Con una crescente propensione alla dimensione internazionale sia sul terreno degli studi che su quello del lavoro. E con il modificarsi dei percorsi formativi – in rapporto stretto con le dinamiche dell’occupazione – o delle strategie micro-economiche ed economiche messe in atto.
Su questo terreno il Censis sembra talora intrecciare gli auspici e le speranze alle analisi disincantate, ma appare però convincente l’asse generale del rapporto. Risulta fondata, in altri termini, la preoccupata sottolineatura della divaricazione fra l’agire delle istituzioni e un Paese seriamente provato ma ancora capace di reagire. Ed è fondatissima l’esigenza di tenere insieme “il rigore istituzionale e la popolare voglia di sopravvivenza”. La riflessione sulle politiche messe in atto e su quelle da mettere in cantiere non può che partire da qui.
da La Repubblica

“I populisti giocano l’ultima carta ma gli italiani non ci cascheranno”, di Goffredo De Marchis

Fassina, responsabile economia del Pd: il premier costretto a misure dure dall’eredità di Berlusconi
«Se Berlusconi pensa di lucrare qualcosa mettendosi di traverso a Monti,sbaglia calcolo. I cittadini sanno chi ha causato i problemi del Paese, di chi sono le responsabilità degli interventi fatti dal governo Monti». Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, fissa alcuni paletti per le ultime settimane della legislatura. E dice di non essere preoccupato per il prezzo che il Pd potrebbe pagare nel sostegno all’esecutivo mentre Berlusconi è già in campagna elettorale.
E se il Cavaliere riuscisse a sganciare il suo destino dal governo che ha sostenuto fino a ieri?
«Io credo che ci sia la consapevolezza delle colpe. È stato il governo Berlusconi a impegnarsi al pareggio di bilancio nel 2013, unico caso in Europa. Perché lo fece? Perché ormai era impresentabile e non credibile. Monti, arrivato un anno fa, non poteva che onorare gli impegni irresponsabilmente assunti dalla destra. Lo ha fatto con scelte pesanti ma per certi versi obbligate per via dell’eredità berlusconiana».
Quali provvedimenti è indispensabile approvare?
«La legge di stabilità, il decreto sviluppo e il decreto Ilva, con qualche modifica rilevante».
E la legge elettorale?
«Esiste un problema di tempi, forse. E un’altra questione ancora più importante: l’irresponsabilità dell’interlocutore che ha come fine unico quello di provare a salvare se stesso senza alcuna intenzione di pensare agli interessi del Paese. Il Pdl non è in grado di assicurare un miglioramento dell’orrenda legge attuale ».
Riuscirete a fare le primarie per i parlamentari?
«Dobbiamo provarci, serve un impegno straordinario dell’esercito dei volontari e dell’organizzazione del Pd per rimobilitare i 3 milioni e 200 mila elettori delle primarie per il candidato premier».
L’anti-Monti Fassina è diventato un po’ montiano?
«Davanti al ritorno di Berlusconi mi sento di attribuire le responsabilità, in modo nettissimo, a chi ce l’ha sul piano politico ed economico. Gli interventi brutali, a cominciare dall’aumento delle tasse, compiuti sulla pelle degli italiani nascono dagli obiettivi capestro messi dal governo precedente per la sua totale mancanza di credibilità. Detto questo, sbaglierebbero il Pd e il centrosinistra a disconoscere l’insostenibilità della linea mercantilista vigente nell’euro-zona. Dobbiamo evitare di contribuire a fare delle prossime elezioni un referendum tra l’insostenibile europeismo conservatore e tecnocratico e le posizioni populiste anti-euro del Pdl e della Lega. Dobbiamo rendere chiara l’unica alternativa possibile alle regressioni nazionalistiche: l’europeismo progressista per lo sviluppo e il lavoro».
da www.repubblica.it