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Bersani: «Il Pdl non può pensare di caricare tutto», di Simone Collini

«Siamo leali ma non ingenui», dice la mattina nell’aula di Montecitorio rivolgendosi verso i banchi del Pdl. «Siamo responsabili ma non rischieremo un effetto logoramento», dice il pomeriggio incontrando al Quirinale Giorgio Napolitano. Ma c’è anche un’altra cosa che Pier Luigi Bersani fa presente al Capo dello Stato durante il colloquio di oltre un’ora al Colle: va bene andare al voto il 10 marzo, ma non è indifferente il modo in cui ci si arriva perché un Silvio Berlusconi già in campagna elettorale e libero di sparare sul governo non conviene a nessuno, né al Paese né allo stesso Mario Monti. Per questo il leader del Pd, accompagnato al Quirinale dai capigruppo di Senato e Camera Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, dice al Presidente della Repubblica che per evitare un finale di legislatura che rischia di «logorare» il governo e il Paese, per salvaguardare l’attuale premier come personalità super partes e risorsa per il futuro, è meglio non mettere troppa carne al fuoco. Ovvero è meglio puntare all’approvazione delle sole misure chiave e su cui c’è già un accordo, come la legge di stabilità, i provvedimenti sull’Ilva, sullo sviluppo, sul pareggio di bilancio. Meglio invece non insistere sulla delega fiscale, sul decreto sulle province e sulle altre misure su cui si rischia il fuoco di fila del Pdl arrivando poi comunque a un nulla di fatto. «Il Pdl non può pensare di caricare tutto sulle nostre spalle e logorare la situazione, mentre Berlusconi sarebbe invece libero di fare quattro mesi di campagna elettorale».
Se mai ce ne fosse stata, la fiducia nell’ex premier è a questo punto pari a zero. Per questo anche quando si tratta di discutere il capitolo legge elettorale, Bersani spiega a Napolitano che il Pd è determinato a superare il “Porcellum”, ma il Pdl si è dimostrato fin qui totalmente inaffidabile. «Non sappiamo neanche più chi siano gli interlocutori con cui confrontarci», è lo sfogo facendo riferimento al fatto che nei gironi scorsi un accordo era stato trovato quando poi Berlusconi ha fatto saltare il tavolo attraverso l’emendamento Quagliariello. Il segretario del Pd assicura che il suo partito non si sottrarrà al confronto, ma viste le mosse dell’ex premier c’è anche chi si dimostra più pessimista. Come il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, che si dice convinto che «si voterà con il Porcellum»: «Non ci sono le condizioni per realizzare una nuova legge elettorale. È un fatto grave. I cittadini valuteranno la responsabilità».
LEALI MA NON INGENUI
Ed è tutto sulle «responsabilità» del centrodestra che Bersani insiste intervenendo in aula a Montecitorio. «È evidente che se non avete da riflettere sui vostri errori passati per voi il governo Monti non è un momento di transizione ma una parentesi che si apre e si chiude e tutto torna come prima. Berlusconi ha deciso di scendere in campo con il suo armamentario, dicendo che Monti è un affamatore del popolo. Ma l’Imu non è la tassa di Monti, è la tassa di Berlusconi e Tremonti». Il leader sa che è partita la campagna elettorale del Pdl, e il messaggio da Montecitorio è propedeutico a quello che dirà poi al Colle. «Saremo leali e siamo pronti ad esserlo fino alla fine della legislatura, leali al governo e alle indicazioni al Capo dello Stato. Leali sì ma ingenui no». E poi, rivolgendosi direttamente ai banchi del centrodestra: «Non potete pensare che oltre il peso della transizione ci mettiamo sulle spalle il peso della vostra propaganda». E ancora: «Ci avete detto che la crisi era psicologica, siete stati degli irresponsabili. La medicina per la crisi non può venire da Berlusconi, Tremonti, Calderoli e da quelli che ci hanno portato fin qua. Ora se voi proporrete favole, noi diremo la verità. Lasceremo a voi i cieli azzurri, noi diremo solo due parole, moralità e lavoro. Se per voi è ancora il tempo dell’uomo solo al comando per noi è il tempo del cambiamento e della riscossa civica e abbiamo l’ambizione di metterci alla testa di questo cambiamento».
GIOCHI IRRESPONSABILI
Gli applausi arrivano dai banchi del Pd e non solo. Anche per l’Udc quello che sta conducendo Berlusconi è un gioco sporco. «L’atteggiamento del Pdl che in queste ore ha tolto la fiducia al governo è frutto o di un calcolo elettorale o di motivi connessi a provvedimenti che questo governo sta varando», dice Pier Ferdinando Casini domandando retoricamente come si possa «essere ostili a provvedimenti come quello dell’incandidabilità dei condannati». Anche per il leader centrista, che ha avuto un confronto con Bersani non appena il Pdl è venuto allo scoperto, sarebbe dannoso per tutti «se cedendo a una evidente strategia di logoramento il governo si rassegnasse a tirare a campare». Un concetto che Casini ribadisce anche a Napolitano (è salito al Colle dopo Bersani) dopo averlo già detto in aula: «Il governo non può diventare il parafulmine di giochi irresponsabili fatti sulla pelle degli italiani». E ora la mossa di Berlusconi apre una nuova fase nell’operazione di Bersani tesa a siglare un patto di legislatura tra progressisti e moderati.
l’Unità 8.12.12
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Chi si oppone al cambiamento
di Guglielmo Epifani
È EVIDENTE IL CALCOLO CHE SPINGE SILVIO BERLUSCONI A DICHIARARE FINITA L’ESPERIENZA DEL GOVERNO GUIDATO DA MARIO MONTI, SENZA APRIRE FORMALMENTE LA CRISI: premere affinché le elezioni politiche siano più ravvicinate possibili, aprire da subito nei fatti la propria campagna elettorale, scegliere come terreno del confronto la presa di distanza dagli atti dell’esecutivo, che pure si sono votati, addebitandogli il peggioramento della condizione economica e sociale, la salita del debito, l’inasprimento della pressione fiscale.
Il corollario inevitabile è il tentativo di aprire un confronto elettorale tutto giocato sulla demagogia, l’antieuropeismo, il populismo dei toni e degli argomenti, unitamente ad una dose di vittimismo e di attacco vecchio stile nei confronti degli avversari. In questo modo la legislatura si avvia a concludersi esattamente come era iniziata, con una dose di irresponsabilità e di fuga dalla realtà francamente intollerabile, e riproponendo un profilo della destra berlusconiana lontana e contrapposta a tutte le esperienze dei partiti moderati e conservatori europei, e perciò causa della fragilità del sistema politico italiano, tutto particolare rispetto ai modelli delle democrazie esistenti.
Sarebbe stato possibile e necessario un altro esito, in grado di rasserenare la competizione elettorale e farle assumere l’aspetto di un tradizionale confronto tra programmi e proposte concorrenti, solo che il centrodestra avesse avuto la forza e la convinzione di fuoriuscire in avanti dalle proprie contraddizioni, aprendosi a meccanismi di contendibilità democratica e al rinnovamento della propria classe dirigente secondo principi e criteri di selezione legati alle competenze, alle esperienze, a un’etica del servizio verso il bene pubblico. Con un simile calcolo il Pdl e Berlusconi sono destinati a perdere, ma possono comunque fare danni al Paese e alla sua permanente ricerca di un assetto politico più europeo, tanto più in presenza di una crisi pesantissima, che farà sentire i suoi effetti sull’occupazione, i redditi e i consumi per almeno altri due anni.
L’opinione pubblica sa bene quale responsabilità ha avuto il governo guidato da Berlusconi di fronte alla crisi, sottovalutandola prima, negandola poi, giudicandola superata già dopo qualche mese, attribuendola a oscuri complotti internazionali, e nel frattempo non facendo nulla ma proprio nulla per contrastarla con le leve anticicliche possibili. Fino ad arrivare a una irrilevanza nelle sedi internazionali mai avuta nel passato dall’Italia, e favorendo indirettamente chi aveva interesse ad attaccare la moneta comune. Con quel governo l’Italia si sarebbe avvitata in una spirale infernale e la condizione degli italiani sarebbe oggi peggiore di quella pure difficile che abbiamo. Se questo è vero, ed è in fondo la ragione per la quale la scommessa di Berlusconi questa volta naufragherà senza appello, i guasti che ne possono derivare non vanno sottovalutati, né sul terreno dei contenuti e della misura del confronto elettorale, né su quello di una generale e necessaria responsabilità verso il bene comune.
La rottura del patto di solidarietà tra le forze che hanno sostenuto il governo Monti può diventare la via per negare tutto quello che si è fatto e votato insieme, scaricando sull’altra parte tutta la responsabilità di quello che si è prodotto, nel bene e nel male, perché non si può non vedere che il risanamento è avvenuto con costi sociali crescenti e senza accompagnare al rigore del bilancio una piena equità nei sacrifici chiesti e una più incisiva politica di stimolo alla crescita. Quando Alfano parla dei condizionamenti esercitati dalla Cgil nei confronti delle scelte sul mercato del lavoro non dice solo una cosa non corrispondente al vero, ma prepara una campagna elettorale tutta basata sulla strumentalità e l’ennesima fuga dalla realtà, che ricadranno su una condizione di larga esasperazione e difficoltà sociale.
Tutto questo carica di una particolare responsabilità il Pd, il partito che si è opposto al governo di Berlusconi e poi ha consentito, contro il suo particolare interesse, la formazione del governo guidato da Mario Monti. I sondaggi oggi premiano questa coerenza e lo svolgimento delle primarie ne hanno fatto crescere attendibilità e percezione di affidabilità. La stessa cosa però bisogna chiederla al mosaico delle forze di centro, in permanente e oscillante pencolamento tra una ipotesi e l’altra, e con una spinta al proprio rinnovamento onestamente troppo vaga. E insieme a quella parte di classi dirigenti che oggi prendono le distanze da Berlusconi dopo averlo appoggiato per anni in maniera spesso acritica.
Il cambiamento del giudizio è una scelta di indubbio significato, ma andrebbe accompagnata da due atti: riconoscere che il Berlusconi di oggi non è un altro rispetto a ieri, e che il rinnovamento di cui il Paese ha disperato bisogno non ha nulla a che fare con le suggestioni del gattopardismo, e che una volta tanto bisogna provare a ripartire da quelli che stanno peggio, e non sempre da quelli che per talento o possibilità possono farcela da soli.
L’Unità 08.12.12