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"Bersani: non chiederò a D’Alema di candidarsi", di Simone Collini

«Io non chiederò a D’Alema di candidarsi. Io non chiedo a nessuno di candidarsi. Io non sono quello che nomina i deputati. Io farò applicare la regola: chi ha fatto più di quindici anni per essere candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale». Bersani quasi si sorprende della sorpresa suscitata da queste sue frasi, dall’enfasi data alla notizia, come titolano i siti web in tempo reale mentre parla a Repubblica tv, della sua decisione di “scaricare” D’Alema.
Il leader del Pd, poco dopo mentre sul fronte pro-Renzi già si canta vittoria per il «Bersani rottamatore» (Roberto Reggi dixit), lo spiega allo stesso presidente del Copasir che con quell’uscita voleva sottolineare che non spetta al segretario fare le liste elettorali, che voleva dimostrare che è vero che non è del Pd il modello dell’uomo solo al comando e che contrariamente di quel che avviene a destra le regole da questa parte si fanno rispettare. Un chiarimento che però solo fino a un certo punto cancella l’amarezza di D’Alema nel vedere Renzi esprimere soddisfazione per le presunte conquiste del fronte “rottamatore” e ribadire, come il sindaco di Firenze fa da Carrara, che «è giusto che il gruppo dirigente che ha fallito vada a casa».
Bersani è convinto che via via si renderà chiaro che lui vuole «innovare ma non rottamare» e che questa discussione su chi ha più di 15 anni di permanenza in Parlamento troverà una composizione positiva prima che si tenga la direzione del Pd che dovrà decidere sulle deroghe: «Si può essere protagonisti senza essere parlamentari». Non è però passato inosservato che alla riunione con i parlamentari convocata da Bersani a sera per discutere delle prossime sfide, a cui partecipano oltre duecento tra deputati e senatori (compresi veltroniani come Walter Verini o ex-popolari come Beppe Fioroni) D’Alema non si fa vedere.
Ora però Bersani vuole spostare l’attenzione su altre questioni che non siano le ricandidature in Parlamento (ora si aggiunge Arturo Parisi alla lista di chi fa un passo indietro). Già nel corso del videoforum a Repubblica tv il leader del Pd parla per un’ora di legge elettorale («se rimane il Porcellum faremo le primarie per scegliere i parlamentari»), costi della politica («quanto fatto non è sufficiente»), dell’intenzione di fare un confronto con gli altri candidati alle primarie («alla grande»), dell’opportunità di prevedere norme per la sfida ai gazebo («ora basta vittimismi»). L’uscita su D’Alema viene però enfatizzata e rilanciata dal fronte pro-Renzi, con il coordinatore della sua campagna Reggi che non risparmia bordate. Dice il responsabile Enti locali del Pd Davide Zoggia: «Come si può dedurre da una sua dichiarazione di oggi “Ora non ci resta che aspettarli uno a uno sulla riva del fiume” per Reggi l’obiettivo dell’impegno politico non sembra essere la risoluzione dei problemi che affiggono il Paese ma l’eliminazione dei componenti del suo stesso partito». La battuta sui cadavari portati dal fiume non è piaciuta neanche a Stefano Fassina, che parla di dichiarazioni «squallide e inaccettabili». Dice il coordinatore del comitato Bersani Roberto Speranza che il leader de Pd «assieme a tutto il gruppo dirigente, ha da tempo promosso un ampio rinnovamento in molti punti chiave del partito e delle istituzioni, capisco che siamo in campagna elettorale ma c’è un limite a tutto».
La questione delle ricandidature e delle deroghe per chi ha alle spalle più di 15 anni in Parlamento verrà affrontata dopo le primarie e anche dopo che sarà chiaro quale sia la legge elettorale con cui si andrà a votare. Ovvero, non prima di gennaio o febbraio.
Ma intanto c’è già chi prevede che questi attriti possano influire proprio sulla discussione in corso sul sistema di voto che dovrebbe sostituire il “Porcellum”. Fioroni, conversando alla Camera con i giornalisti, sintetizza la giornata dicendo che Bersani e D’Alema «si son dati due schiaffoni, e Renzi, tramite Reggi, dice che aspetta i cadaveri e porta sfiga». Per l’ex ministro «una cosa è certa: così non vinceremo le elezioni».
Fioroni dice però anche che ci sarebbe un modo per disinnescare gli scontri interni. «Speriamo che passino le preferenze, così eviteremo a Reggi di aspettare. Dovrà aspettare solo se stesso», dice alludendo al fatto che i renziani possono contare su una limitata base di votanti. A favore delle preferenze si è già espresso anche il vicesegretario Enrico Letta.
E anche D’Alema, prima ancora che nell’Aula del Senato approdasse una proposta di legge elettorale che prevede le preferenze, aveva invitato a non demonizzare questo sistema di voto, facendo notare che i rischi di campagne elettorali troppo costose possono essere evitati prevedendo dei collegi piccoli.

L’Unità 17.10.12

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“Rinnovare, non rottamare. Per far vincere le capacità”, di Enrico Rossi e Andrea Manciulli

Rinnovare, rottamare. È giunto il momento di dirsi non solo che c’è differenza tra un termine e l’altro ma che l’idea della rottamazione, in quanto sancisce la secca cesura con la memoria storica e i valori a cui la classe dirigente della sinistra italiana ha affidato la formazione della propria cultura politica, è il contrario del rinnovamento. Rottamare, nell’accezione in cui oggi la parola viene usata nella politica, non implica né battaglia di idee né discussione intorno ai progetti per uscire dalle difficoltà ereditate da vent’anni di berlusconismo; promette un tutto e subito, solleticando propensioni populiste e affidandosi a uno slogan demagogico dove si perde traccia del duro campo dell’azione politica e della maturazione democratica della nuova progettualità politica; le sue parole guida sono oblio e punizione, l’idea non detta ma diffusa è che facendo piazza pulita della nomenclatura si intenda avere mano libera anche rispetto alla storia che l’ha prodotta, lasciando il campo a una presa del potere non accompagnata dal corredo democratico di una trasparente dichiarazione della società che si intende costruire. Rottamare, in breve, è una pseudo risposta politica che sembra derivare strettamente dalla crisi di competenza, politica, etica, gestionale, quale appare oggi il vero lascito berlusconiano. Non a caso è soprattutto un concetto mediatico che non accetta nessuna verifica se non quella del successo in termini di consenso irrazionale, dove non trovano posto progetti e proposte che impegnano il leader davanti ai cittadini chiamati a chiedergli conto.
Rinnovare, come ha scritto su queste colonne Michele Prospero, implica un ricambio che «accompagni il riconoscimento collettivo del merito acquisito nella lotta politica da giovani dirigenti, amministratori, militanti». È un tentativo di definire il criterio del merito all’interno del necessario rinnovamento del Pd a cui ben pochi hanno prestato attenzione. Ma è un passaggio fondamentale. Per questo il vero rinnovamento parte dal valutare chi ha svolto funzioni politiche, tenendo conto di successi ed errori, come dirigente cui far giocare un ruolo importante nei processi formativi di chi prenderà il suo posto. Non serve nessuna rottamazione catartica, ma un ricambio fondato su criteri di competenza e capacità, qualità che non si acquisiscono tutte e subito e che necessitano di un vaglio collettivo.
Per questo noi riteniamo importante indicare due punti. Il primo, è una proposta: creare in Italia una scuola di alti studi politici e amministrativi sull’esempio dell’Ena francese, capace di una forte capacità selettiva e aperta a tutti, senza distinzione di censo e senza essere ostaggio del vizio tutto italiano della raccomandazione, il cui scopo è avviare la formazione di una classe dirigente di livello europeo, di grande qualità e preparazione. Negli ultimi anni la politica ha subito un grave decadimento in termini di qualità e capacità culturali, sono arrivati in parlamento soubrette e avventurieri i cui unici meriti sono stati l’aver frequentato studi televisivi ed essere disponibili a cambiare bandiera. Ma essere telegenici non basta. Al contrario, come ha dimostrato l’arrivo sulla scena di Mario Monti, qualità intellettuali e professionali sono requisiti indispensabili per ridare autorevolezza alla politica, addirittura si sono rivelati l’unico strumento per riacquistare rispetto e considerazione dagli altri partner dell’Unione. Dunque, non si esce dalla crisi della politica con proposte spot che solleticano gli istinti più bassi degli elettori, ma cominciando a ricostruire competenze e qualità della politica.
Il secondo punto è l’urgenza di un rinnovamento morale che recuperi il senso di solidarietà da cui è nata la politica. Questo senso morale ha assunto le sembianze del nuovo stile e del nuovo modo in cui chi fa politica deve stare nelle istituzioni. Ed ha il volto del presidente Napolitano. È uno stile ispirato a sobrietà e grande attenzione al bene pubblico che già fu proprio dei politici che condussero l’Italia dai disastri della guerra agli anni del miracolo economico, alla sua progressiva e sempre più piena democratizzazione. Questo senso etico del bene istituzionale del Paese è la prima via da percorrere oggi per ridare prestigio e autorevolezza all’Italia. Per questo, noi pensiamo che Pier Luigi Bersani sia il leader che garantirà il ricambio della classe dirigente nel rispetto di chi c’era prima e nel recupero di una dimensione morale della politica che non è se non muove dalle sue radici e dalla sua storia.
* Presidente Regione Toscana ** Segretario Pd della Toscana

L’Unità 17.10.12

"Bersani: non chiederò a D’Alema di candidarsi", di Simone Collini

«Io non chiederò a D’Alema di candidarsi. Io non chiedo a nessuno di candidarsi. Io non sono quello che nomina i deputati. Io farò applicare la regola: chi ha fatto più di quindici anni per essere candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale». Bersani quasi si sorprende della sorpresa suscitata da queste sue frasi, dall’enfasi data alla notizia, come titolano i siti web in tempo reale mentre parla a Repubblica tv, della sua decisione di “scaricare” D’Alema.
Il leader del Pd, poco dopo mentre sul fronte pro-Renzi già si canta vittoria per il «Bersani rottamatore» (Roberto Reggi dixit), lo spiega allo stesso presidente del Copasir che con quell’uscita voleva sottolineare che non spetta al segretario fare le liste elettorali, che voleva dimostrare che è vero che non è del Pd il modello dell’uomo solo al comando e che contrariamente di quel che avviene a destra le regole da questa parte si fanno rispettare. Un chiarimento che però solo fino a un certo punto cancella l’amarezza di D’Alema nel vedere Renzi esprimere soddisfazione per le presunte conquiste del fronte “rottamatore” e ribadire, come il sindaco di Firenze fa da Carrara, che «è giusto che il gruppo dirigente che ha fallito vada a casa».
Bersani è convinto che via via si renderà chiaro che lui vuole «innovare ma non rottamare» e che questa discussione su chi ha più di 15 anni di permanenza in Parlamento troverà una composizione positiva prima che si tenga la direzione del Pd che dovrà decidere sulle deroghe: «Si può essere protagonisti senza essere parlamentari». Non è però passato inosservato che alla riunione con i parlamentari convocata da Bersani a sera per discutere delle prossime sfide, a cui partecipano oltre duecento tra deputati e senatori (compresi veltroniani come Walter Verini o ex-popolari come Beppe Fioroni) D’Alema non si fa vedere.
Ora però Bersani vuole spostare l’attenzione su altre questioni che non siano le ricandidature in Parlamento (ora si aggiunge Arturo Parisi alla lista di chi fa un passo indietro). Già nel corso del videoforum a Repubblica tv il leader del Pd parla per un’ora di legge elettorale («se rimane il Porcellum faremo le primarie per scegliere i parlamentari»), costi della politica («quanto fatto non è sufficiente»), dell’intenzione di fare un confronto con gli altri candidati alle primarie («alla grande»), dell’opportunità di prevedere norme per la sfida ai gazebo («ora basta vittimismi»). L’uscita su D’Alema viene però enfatizzata e rilanciata dal fronte pro-Renzi, con il coordinatore della sua campagna Reggi che non risparmia bordate. Dice il responsabile Enti locali del Pd Davide Zoggia: «Come si può dedurre da una sua dichiarazione di oggi “Ora non ci resta che aspettarli uno a uno sulla riva del fiume” per Reggi l’obiettivo dell’impegno politico non sembra essere la risoluzione dei problemi che affiggono il Paese ma l’eliminazione dei componenti del suo stesso partito». La battuta sui cadavari portati dal fiume non è piaciuta neanche a Stefano Fassina, che parla di dichiarazioni «squallide e inaccettabili». Dice il coordinatore del comitato Bersani Roberto Speranza che il leader de Pd «assieme a tutto il gruppo dirigente, ha da tempo promosso un ampio rinnovamento in molti punti chiave del partito e delle istituzioni, capisco che siamo in campagna elettorale ma c’è un limite a tutto».
La questione delle ricandidature e delle deroghe per chi ha alle spalle più di 15 anni in Parlamento verrà affrontata dopo le primarie e anche dopo che sarà chiaro quale sia la legge elettorale con cui si andrà a votare. Ovvero, non prima di gennaio o febbraio.
Ma intanto c’è già chi prevede che questi attriti possano influire proprio sulla discussione in corso sul sistema di voto che dovrebbe sostituire il “Porcellum”. Fioroni, conversando alla Camera con i giornalisti, sintetizza la giornata dicendo che Bersani e D’Alema «si son dati due schiaffoni, e Renzi, tramite Reggi, dice che aspetta i cadaveri e porta sfiga». Per l’ex ministro «una cosa è certa: così non vinceremo le elezioni».
Fioroni dice però anche che ci sarebbe un modo per disinnescare gli scontri interni. «Speriamo che passino le preferenze, così eviteremo a Reggi di aspettare. Dovrà aspettare solo se stesso», dice alludendo al fatto che i renziani possono contare su una limitata base di votanti. A favore delle preferenze si è già espresso anche il vicesegretario Enrico Letta.
E anche D’Alema, prima ancora che nell’Aula del Senato approdasse una proposta di legge elettorale che prevede le preferenze, aveva invitato a non demonizzare questo sistema di voto, facendo notare che i rischi di campagne elettorali troppo costose possono essere evitati prevedendo dei collegi piccoli.
L’Unità 17.10.12
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“Rinnovare, non rottamare. Per far vincere le capacità”, di Enrico Rossi e Andrea Manciulli
Rinnovare, rottamare. È giunto il momento di dirsi non solo che c’è differenza tra un termine e l’altro ma che l’idea della rottamazione, in quanto sancisce la secca cesura con la memoria storica e i valori a cui la classe dirigente della sinistra italiana ha affidato la formazione della propria cultura politica, è il contrario del rinnovamento. Rottamare, nell’accezione in cui oggi la parola viene usata nella politica, non implica né battaglia di idee né discussione intorno ai progetti per uscire dalle difficoltà ereditate da vent’anni di berlusconismo; promette un tutto e subito, solleticando propensioni populiste e affidandosi a uno slogan demagogico dove si perde traccia del duro campo dell’azione politica e della maturazione democratica della nuova progettualità politica; le sue parole guida sono oblio e punizione, l’idea non detta ma diffusa è che facendo piazza pulita della nomenclatura si intenda avere mano libera anche rispetto alla storia che l’ha prodotta, lasciando il campo a una presa del potere non accompagnata dal corredo democratico di una trasparente dichiarazione della società che si intende costruire. Rottamare, in breve, è una pseudo risposta politica che sembra derivare strettamente dalla crisi di competenza, politica, etica, gestionale, quale appare oggi il vero lascito berlusconiano. Non a caso è soprattutto un concetto mediatico che non accetta nessuna verifica se non quella del successo in termini di consenso irrazionale, dove non trovano posto progetti e proposte che impegnano il leader davanti ai cittadini chiamati a chiedergli conto.
Rinnovare, come ha scritto su queste colonne Michele Prospero, implica un ricambio che «accompagni il riconoscimento collettivo del merito acquisito nella lotta politica da giovani dirigenti, amministratori, militanti». È un tentativo di definire il criterio del merito all’interno del necessario rinnovamento del Pd a cui ben pochi hanno prestato attenzione. Ma è un passaggio fondamentale. Per questo il vero rinnovamento parte dal valutare chi ha svolto funzioni politiche, tenendo conto di successi ed errori, come dirigente cui far giocare un ruolo importante nei processi formativi di chi prenderà il suo posto. Non serve nessuna rottamazione catartica, ma un ricambio fondato su criteri di competenza e capacità, qualità che non si acquisiscono tutte e subito e che necessitano di un vaglio collettivo.
Per questo noi riteniamo importante indicare due punti. Il primo, è una proposta: creare in Italia una scuola di alti studi politici e amministrativi sull’esempio dell’Ena francese, capace di una forte capacità selettiva e aperta a tutti, senza distinzione di censo e senza essere ostaggio del vizio tutto italiano della raccomandazione, il cui scopo è avviare la formazione di una classe dirigente di livello europeo, di grande qualità e preparazione. Negli ultimi anni la politica ha subito un grave decadimento in termini di qualità e capacità culturali, sono arrivati in parlamento soubrette e avventurieri i cui unici meriti sono stati l’aver frequentato studi televisivi ed essere disponibili a cambiare bandiera. Ma essere telegenici non basta. Al contrario, come ha dimostrato l’arrivo sulla scena di Mario Monti, qualità intellettuali e professionali sono requisiti indispensabili per ridare autorevolezza alla politica, addirittura si sono rivelati l’unico strumento per riacquistare rispetto e considerazione dagli altri partner dell’Unione. Dunque, non si esce dalla crisi della politica con proposte spot che solleticano gli istinti più bassi degli elettori, ma cominciando a ricostruire competenze e qualità della politica.
Il secondo punto è l’urgenza di un rinnovamento morale che recuperi il senso di solidarietà da cui è nata la politica. Questo senso morale ha assunto le sembianze del nuovo stile e del nuovo modo in cui chi fa politica deve stare nelle istituzioni. Ed ha il volto del presidente Napolitano. È uno stile ispirato a sobrietà e grande attenzione al bene pubblico che già fu proprio dei politici che condussero l’Italia dai disastri della guerra agli anni del miracolo economico, alla sua progressiva e sempre più piena democratizzazione. Questo senso etico del bene istituzionale del Paese è la prima via da percorrere oggi per ridare prestigio e autorevolezza all’Italia. Per questo, noi pensiamo che Pier Luigi Bersani sia il leader che garantirà il ricambio della classe dirigente nel rispetto di chi c’era prima e nel recupero di una dimensione morale della politica che non è se non muove dalle sue radici e dalla sua storia.
* Presidente Regione Toscana ** Segretario Pd della Toscana
L’Unità 17.10.12

"Precari raddoppiati in otto anni e la laurea vale sempre meno", di Agnese Ananasso

Bankitalia: fine recessione nel 2013 ma resta l’emergenza lavoro e salari. Costruire una società non incardinata sul posto fisso e sulle raccomandazioni, ma orientata alla flessibilità e al rinnovamento. Questo è il mondo del lavoro preferito dal premier Mario Monti, come ha spiegato in un’intervista sul blog dell’esperto di politiche giovanili Michele Karaboue. Un mondo del lavoro migliore di quello di oggi, dove flessibile fa rima con precario e non con dinamico. Pieno di lavoratori a termine “involontari”, partite Iva e collaborazioni fittizie, inquadramenti part time (per far risparmiare il datore). In una parola: giovani. Che tentano di inserirsi in un contesto dove si urla «largo ai giovani» ma si sussurra «io il mio posto me lo tengo stretto finché campo». Secondo un’indagine condotta dal centro studi Datagiovani, in esclusiva per Repubblica, che analizza l’andamento del precariato giovanile negli ultimi otto anni, nel 2009 è avvenuto il sorpasso tra percentuale di occupati adulti rispetto ai giovani, con un divario che nel primo trimestre del 2012 si attesta intorno ai 5 punti percentuali. Il segnale di deterioramento del mercato del lavoro giovanile è rappresentato proprio dalla crescita del precariato, la cui incidenza tra gli under 35 è raddoppiata in otto anni, passando dal 20% del 2004 al 39 del 2011 e nel primo trimestre 2012 si sarebbe già sfondato il muro del 40%. Un giovane su due con meno di 24 anni è precario, circa il 23% tra i
25 e i 34 anni, contro percentuali pressoché dimezzate per le classi d’età più mature. Un fenomeno più evidente tra le donne, dove la crescita, negli ultimi otto anni, è quasi doppia rispetto agli uomini. L’indagine fa una distinzione tra le tipologie di precariato: degli oltre 3,5 milioni di precari italiani nel 2011 (il 15,5% degli occupati totali) i lavoratori a termine involontari (che vorrebbero cioè un contratto a tempo indeterminato) sono circa 2,2 milioni; i lavoratori part-time involontari sono oltre 1,1 milioni, quasi l’80% donne; in calo il fenomeno dei dipendenti “mascherati” da collaboratori (162mila) o partite Iva (77mila).
La laurea non è più un lasciapassare per accedere a un’occupazione stabile. Almenoché non si tratti di una laurea “tecnica”: oggi il “saper fare” conta più del semplice “sapere”. Infatti i laureati in ingegneria, architettura o scienze mediche hanno una probabilità di precarizzazione intorno al 10%, pari alla metà dei laureati in discipline umanistiche o dei diplomati in istituti magistrali, licei artistici e linguistici. Per chi si è diplomato in un istituto tecnico la probabilità di precarizzazione è del 12,6%, non distante da quella di un medico o un ingegnere. L’altro scotto da pagare per i precari è la disparità di salario: un precario percepisce dal 20% al 33% in meno nella retribuzione netta mensile rispetto a un collega non precario. Sarà per questo che le aziende italiane sembrano così allergiche ai contratti “definitivi”, agevolate da leggi nate per aumentare la cosiddetta flessibilità. Datagiovani ha rilevato che l’Italia rispetto a tutti i principali Paesi europei partiva nel 2001 da una incidenza di contratti a termine molto più bassa: 9,6% nel complesso, contro il 12,4% della Ue a 27 e della Germania, il 14,9% della Francia e il 32% della Spagna. Nella fascia 15-24 anni eravamo ampiamente sotto la media dell’Unione: il 23,3% contro il 35,9%. Poi nel 2004 il giro di boa. Con l’entrata in vigore della legge Biagi, il numero dei contratti a termine è cresciuto in modo vertiginoso, fino ad arrivare al 50% dei contratti nel 2011. Un aumento di quasi il 27%. Giovani, poveri e senza certezza. Non era questo il mondo del lavoro, flessibile, che aveva in mente Marco Biagi. Né quello che vuole Mario Monti.

La Repubblica 17.10.12

"Precari raddoppiati in otto anni e la laurea vale sempre meno", di Agnese Ananasso

Bankitalia: fine recessione nel 2013 ma resta l’emergenza lavoro e salari. Costruire una società non incardinata sul posto fisso e sulle raccomandazioni, ma orientata alla flessibilità e al rinnovamento. Questo è il mondo del lavoro preferito dal premier Mario Monti, come ha spiegato in un’intervista sul blog dell’esperto di politiche giovanili Michele Karaboue. Un mondo del lavoro migliore di quello di oggi, dove flessibile fa rima con precario e non con dinamico. Pieno di lavoratori a termine “involontari”, partite Iva e collaborazioni fittizie, inquadramenti part time (per far risparmiare il datore). In una parola: giovani. Che tentano di inserirsi in un contesto dove si urla «largo ai giovani» ma si sussurra «io il mio posto me lo tengo stretto finché campo». Secondo un’indagine condotta dal centro studi Datagiovani, in esclusiva per Repubblica, che analizza l’andamento del precariato giovanile negli ultimi otto anni, nel 2009 è avvenuto il sorpasso tra percentuale di occupati adulti rispetto ai giovani, con un divario che nel primo trimestre del 2012 si attesta intorno ai 5 punti percentuali. Il segnale di deterioramento del mercato del lavoro giovanile è rappresentato proprio dalla crescita del precariato, la cui incidenza tra gli under 35 è raddoppiata in otto anni, passando dal 20% del 2004 al 39 del 2011 e nel primo trimestre 2012 si sarebbe già sfondato il muro del 40%. Un giovane su due con meno di 24 anni è precario, circa il 23% tra i
25 e i 34 anni, contro percentuali pressoché dimezzate per le classi d’età più mature. Un fenomeno più evidente tra le donne, dove la crescita, negli ultimi otto anni, è quasi doppia rispetto agli uomini. L’indagine fa una distinzione tra le tipologie di precariato: degli oltre 3,5 milioni di precari italiani nel 2011 (il 15,5% degli occupati totali) i lavoratori a termine involontari (che vorrebbero cioè un contratto a tempo indeterminato) sono circa 2,2 milioni; i lavoratori part-time involontari sono oltre 1,1 milioni, quasi l’80% donne; in calo il fenomeno dei dipendenti “mascherati” da collaboratori (162mila) o partite Iva (77mila).
La laurea non è più un lasciapassare per accedere a un’occupazione stabile. Almenoché non si tratti di una laurea “tecnica”: oggi il “saper fare” conta più del semplice “sapere”. Infatti i laureati in ingegneria, architettura o scienze mediche hanno una probabilità di precarizzazione intorno al 10%, pari alla metà dei laureati in discipline umanistiche o dei diplomati in istituti magistrali, licei artistici e linguistici. Per chi si è diplomato in un istituto tecnico la probabilità di precarizzazione è del 12,6%, non distante da quella di un medico o un ingegnere. L’altro scotto da pagare per i precari è la disparità di salario: un precario percepisce dal 20% al 33% in meno nella retribuzione netta mensile rispetto a un collega non precario. Sarà per questo che le aziende italiane sembrano così allergiche ai contratti “definitivi”, agevolate da leggi nate per aumentare la cosiddetta flessibilità. Datagiovani ha rilevato che l’Italia rispetto a tutti i principali Paesi europei partiva nel 2001 da una incidenza di contratti a termine molto più bassa: 9,6% nel complesso, contro il 12,4% della Ue a 27 e della Germania, il 14,9% della Francia e il 32% della Spagna. Nella fascia 15-24 anni eravamo ampiamente sotto la media dell’Unione: il 23,3% contro il 35,9%. Poi nel 2004 il giro di boa. Con l’entrata in vigore della legge Biagi, il numero dei contratti a termine è cresciuto in modo vertiginoso, fino ad arrivare al 50% dei contratti nel 2011. Un aumento di quasi il 27%. Giovani, poveri e senza certezza. Non era questo il mondo del lavoro, flessibile, che aveva in mente Marco Biagi. Né quello che vuole Mario Monti.
La Repubblica 17.10.12

"Presa di posizione netta del Pd: tagli insostenibili", di P.A. da La Tecnica della Scuola

Bersani: “Sulla scuola norme inaccettabili”. E Francesca Puglisi: “Saremo vicini alla mobilitazione dei lavoratori della scuola”. Determinato Tonino Russo: “Pronto a non votare la fiducia”. Apre la rassegna dell’indignazione il segretario nazionale Pd, Bersani, che boccia le misure sulla scuola previste dalla legge di stabilità. “Mettono gli insegnanti allo sbaraglio e chiudono la strada ai precari”
“Se escono così queste norme sulla scuola per noi non sono accettabili, ma da qui alla fiducia c’è di mezzo il Parlamento e noi intendiamo lavorare su questo. Sono misure prese di punto in bianco, dentro nessun contesto e che oltre ad aggravare senza corrispettivo un impegno di lavoro in un sistema frantumato di prestazioni, chiudono la strada a molti precari, la logica non tiene e la scuola ha bisogno di un attimo di pausa, non è che si può continuare a intervenire con l’accetta per due o tre anni. Cerchiamo di fermarci e impostare il discorso su un quadro strategico”.
Rincara la dose Francesca Puglisi: “Saremo vicini alla mobilitazione dei lavoratori della scuola”. Queste sono misure “insostenibili socialmente. Insostenibili per i ragazzi con disabilità. Saremo vicini a tutte le mobilitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori annunciate nelle prossime settimane dalle parti sociali”. Non si tratta solo di dire ‘no’, ma di passare dalle parole ai fatti, valorizzando il sistema nazionale di istruzione e interrompendo, finalmente, la stagione dei tagli del governo Berlusconi. “Il ministro Profumo continua ad annunciare progetti assolutamente condivisibili per la scuola. Purtroppo restano però solo annunci irrealizzabili se non si torna ad investire risorse e se non si fermano i tagli. Attendiamo fiduciosi che agli annunci seguano i fatti concreti, prima di tutto l’impegno a cancellare l’aberrante norma della legge di stabilità che, facendo lavorare più ore gli insegnanti a parità di stipendio, butta in mezzo alla strada altri 52.000 professori e professoresse. Se non possiamo permetterci le carote, perlomeno si riponga il bastone”.
Il più determinato finora, tra gli esponenti del Pd, e che non lascia nulla alla interpretazione soggettiva, Tonino Russo: “La scelta del Governo di aumentare l’orario di servizio dei docenti da 18 a 24 oltre ad essere indecente è inaccettabile. Su questo tema non ci sarà alcuna mediazione. La norma va semplicemente abrogata perché altrimenti la legge di stabilità non potrà essere votata. Purtroppo, le indiscrezioni che circolavano da qualche giorno si sono rivelate una drammatica e assurda certezza. Il governo incomprensibilmente ha voluto confermare l’impostazione iniziale”.
“Personalmente ho già pronto l’emendamento abrogativo che sottoporrò alla firma di tutti i parlamentari. Ed il governo non pensi alla furbesca scorciatoia della questione di fiducia perché credo saremo in molti a non votarla. Tra il destino del governo da un lato e quello della scuola, dei docenti e dei discenti dall’altro, non si possono avere dubbi da che parte stare. Senza se e senza ma!”
E vivaddio ogni tanto c’è qualcuno che non la manda a dire, né parla con linguaggio pluridisciplinare. Così dovrebbe sempre esprimersi la politica.

La Tecnica della Scuola 17.10.12

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Il Ministro risponde a Bersani

Diffuso un comunicato stampa nel quale il Ministro, rispondendo al segretario del Pd, dichiara che “circa il dibattito sulle misure adottate, sono certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti e insegnanti”. Questo il testo del comunicato del Ministro “Ho letto con attenzione le parole del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a commento delle misure sulla scuola contenute nella legge di stabilità. Condivido appieno l’esigenza, da lui espressa chiaramente, di impostare il confronto all’interno di un quadro strategico complessivo. La scuola italiana ha bisogno di tornare al centro dell’agenda di sviluppo e progresso del Paese, coniugando tradizione e modernità, e agganciandosi alle migliori esperienze sperimentate qui in Italia e nel resto dell’Europa.
Ne va del futuro dei nostri giovani, e il mio impegno in questo senso è massimo. Su questi temi sono da sempre disponibile a dialogare col segretario Bersani e con il Partito Democratico, che sostiene lealmente il governo. Il loro apporto è, e sarà, prezioso. È in quest’ottica che sto lavorando a una conferenza generale sulla scuola, nei primi due mesi del 2013, per la quale voglio coinvolgere tutte le forze professionali e sociali che ogni giorno vivificano le nostre istituzioni scolastiche e le rendono il luogo di confronto e di formazione più importante. Circa il dibattito sulle misure adottate, sono certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti e insegnanti. Per questa ragione, ogni suggerimento ed eventuale modifica, all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto”.

La Tecnica della Scuola 17.10.12

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Caro Ministro, ci dica da che parte sta”, di Alessandro Giuliani

Dopo aver bollato come “gossip” le indiscrezioni sull’inatteso giro di vite sulla scuola, contenuto nella Legge di Stabilità, Profumo si trasforma in ragioniere e dice al leader del Pd Bersani che le modifiche al testo dovranno tenere conto dei “vincoli di bilancio”. Perché però continua ad ignorare centinaia di migliaia di docenti e i sindacati sul piede di guerra? Dov’è finita la politica della trasparenza promessa solo pochi mesi fa?
Sulla Legge di Stabilità, finalmente il ministro Profumo esce allo scoperto. Dopo aver negato la presenza di tagli e misure peggiorative per il personale della scuola, bollate poi come “gossip”, stavolta (con il testoche si appresta ad approdare in Parlamento dopo il sì definitivo del Governo) il responsabile del Miur non si è potuto più nascondere. Braccato dalle proteste dei docenti, degli studenti, delle organizzazioni sindacali, di un nutrito numero di alti esponenti politici, appartenenti a schieramenti trasversali, ha finalmente deciso di rispondere.
Peccato che lo ha abbia fatto rivolgendosi solo al leader del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani.Assicurandogli che “ogni suggerimento ed eventuale modifica, all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto”.
Ma, allora, perché non rivolgersi a tutti gli altri? Perché non placare gli animi di centinaia di migliaia di docenti, gran parte dei quali si dicono angosciati da un provvedimento ritenuto ingiusto e inappropriato, visto il già alto carico di lavoro che devono svolgere quotidianamente tra impegni dietro la cattedra, progetti, formazione, preparazione e correzioni competi, riunioni e quant’altro? Perché non rispondere finalmente alle pressioni dei sindacati, anche quelli più concertativi, che si sono sentiti anche loro traditi. E costretti a indire mobilitazioni e scioperi?
Perché sino ancora oggi il sito del Miur non aveva speso una parola sulla Legge di Stabilità? Perché ci si è ostinati ad alternare il silenzio e la negazione dell’evidenza? Dove è finita la politica della trasparenza, tanto strombazzata, dieci mesi fa, in occasione dell’approdo di Profumo a viale Trastevere?
Sono tanti gli interrogativi che poniamo allo staff del Ministro. Continuare a minimizzare peggioramenti epocali e tagli clamorosi non è più plausibile. Mancano meno di sei mesi alla fine di questa legislatura: il ministro dell’Istruzione fa ancora in tempo a dirci da che parte sta.

da La Tecnica della Scuola 17.10.12

"Presa di posizione netta del Pd: tagli insostenibili", di P.A. da La Tecnica della Scuola

Bersani: “Sulla scuola norme inaccettabili”. E Francesca Puglisi: “Saremo vicini alla mobilitazione dei lavoratori della scuola”. Determinato Tonino Russo: “Pronto a non votare la fiducia”. Apre la rassegna dell’indignazione il segretario nazionale Pd, Bersani, che boccia le misure sulla scuola previste dalla legge di stabilità. “Mettono gli insegnanti allo sbaraglio e chiudono la strada ai precari”
“Se escono così queste norme sulla scuola per noi non sono accettabili, ma da qui alla fiducia c’è di mezzo il Parlamento e noi intendiamo lavorare su questo. Sono misure prese di punto in bianco, dentro nessun contesto e che oltre ad aggravare senza corrispettivo un impegno di lavoro in un sistema frantumato di prestazioni, chiudono la strada a molti precari, la logica non tiene e la scuola ha bisogno di un attimo di pausa, non è che si può continuare a intervenire con l’accetta per due o tre anni. Cerchiamo di fermarci e impostare il discorso su un quadro strategico”.
Rincara la dose Francesca Puglisi: “Saremo vicini alla mobilitazione dei lavoratori della scuola”. Queste sono misure “insostenibili socialmente. Insostenibili per i ragazzi con disabilità. Saremo vicini a tutte le mobilitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori annunciate nelle prossime settimane dalle parti sociali”. Non si tratta solo di dire ‘no’, ma di passare dalle parole ai fatti, valorizzando il sistema nazionale di istruzione e interrompendo, finalmente, la stagione dei tagli del governo Berlusconi. “Il ministro Profumo continua ad annunciare progetti assolutamente condivisibili per la scuola. Purtroppo restano però solo annunci irrealizzabili se non si torna ad investire risorse e se non si fermano i tagli. Attendiamo fiduciosi che agli annunci seguano i fatti concreti, prima di tutto l’impegno a cancellare l’aberrante norma della legge di stabilità che, facendo lavorare più ore gli insegnanti a parità di stipendio, butta in mezzo alla strada altri 52.000 professori e professoresse. Se non possiamo permetterci le carote, perlomeno si riponga il bastone”.
Il più determinato finora, tra gli esponenti del Pd, e che non lascia nulla alla interpretazione soggettiva, Tonino Russo: “La scelta del Governo di aumentare l’orario di servizio dei docenti da 18 a 24 oltre ad essere indecente è inaccettabile. Su questo tema non ci sarà alcuna mediazione. La norma va semplicemente abrogata perché altrimenti la legge di stabilità non potrà essere votata. Purtroppo, le indiscrezioni che circolavano da qualche giorno si sono rivelate una drammatica e assurda certezza. Il governo incomprensibilmente ha voluto confermare l’impostazione iniziale”.
“Personalmente ho già pronto l’emendamento abrogativo che sottoporrò alla firma di tutti i parlamentari. Ed il governo non pensi alla furbesca scorciatoia della questione di fiducia perché credo saremo in molti a non votarla. Tra il destino del governo da un lato e quello della scuola, dei docenti e dei discenti dall’altro, non si possono avere dubbi da che parte stare. Senza se e senza ma!”
E vivaddio ogni tanto c’è qualcuno che non la manda a dire, né parla con linguaggio pluridisciplinare. Così dovrebbe sempre esprimersi la politica.
La Tecnica della Scuola 17.10.12
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Il Ministro risponde a Bersani
Diffuso un comunicato stampa nel quale il Ministro, rispondendo al segretario del Pd, dichiara che “circa il dibattito sulle misure adottate, sono certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti e insegnanti”. Questo il testo del comunicato del Ministro “Ho letto con attenzione le parole del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a commento delle misure sulla scuola contenute nella legge di stabilità. Condivido appieno l’esigenza, da lui espressa chiaramente, di impostare il confronto all’interno di un quadro strategico complessivo. La scuola italiana ha bisogno di tornare al centro dell’agenda di sviluppo e progresso del Paese, coniugando tradizione e modernità, e agganciandosi alle migliori esperienze sperimentate qui in Italia e nel resto dell’Europa.
Ne va del futuro dei nostri giovani, e il mio impegno in questo senso è massimo. Su questi temi sono da sempre disponibile a dialogare col segretario Bersani e con il Partito Democratico, che sostiene lealmente il governo. Il loro apporto è, e sarà, prezioso. È in quest’ottica che sto lavorando a una conferenza generale sulla scuola, nei primi due mesi del 2013, per la quale voglio coinvolgere tutte le forze professionali e sociali che ogni giorno vivificano le nostre istituzioni scolastiche e le rendono il luogo di confronto e di formazione più importante. Circa il dibattito sulle misure adottate, sono certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti e insegnanti. Per questa ragione, ogni suggerimento ed eventuale modifica, all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto”.
La Tecnica della Scuola 17.10.12
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Caro Ministro, ci dica da che parte sta”, di Alessandro Giuliani
Dopo aver bollato come “gossip” le indiscrezioni sull’inatteso giro di vite sulla scuola, contenuto nella Legge di Stabilità, Profumo si trasforma in ragioniere e dice al leader del Pd Bersani che le modifiche al testo dovranno tenere conto dei “vincoli di bilancio”. Perché però continua ad ignorare centinaia di migliaia di docenti e i sindacati sul piede di guerra? Dov’è finita la politica della trasparenza promessa solo pochi mesi fa?
Sulla Legge di Stabilità, finalmente il ministro Profumo esce allo scoperto. Dopo aver negato la presenza di tagli e misure peggiorative per il personale della scuola, bollate poi come “gossip”, stavolta (con il testoche si appresta ad approdare in Parlamento dopo il sì definitivo del Governo) il responsabile del Miur non si è potuto più nascondere. Braccato dalle proteste dei docenti, degli studenti, delle organizzazioni sindacali, di un nutrito numero di alti esponenti politici, appartenenti a schieramenti trasversali, ha finalmente deciso di rispondere.
Peccato che lo ha abbia fatto rivolgendosi solo al leader del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani.Assicurandogli che “ogni suggerimento ed eventuale modifica, all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto”.
Ma, allora, perché non rivolgersi a tutti gli altri? Perché non placare gli animi di centinaia di migliaia di docenti, gran parte dei quali si dicono angosciati da un provvedimento ritenuto ingiusto e inappropriato, visto il già alto carico di lavoro che devono svolgere quotidianamente tra impegni dietro la cattedra, progetti, formazione, preparazione e correzioni competi, riunioni e quant’altro? Perché non rispondere finalmente alle pressioni dei sindacati, anche quelli più concertativi, che si sono sentiti anche loro traditi. E costretti a indire mobilitazioni e scioperi?
Perché sino ancora oggi il sito del Miur non aveva speso una parola sulla Legge di Stabilità? Perché ci si è ostinati ad alternare il silenzio e la negazione dell’evidenza? Dove è finita la politica della trasparenza, tanto strombazzata, dieci mesi fa, in occasione dell’approdo di Profumo a viale Trastevere?
Sono tanti gli interrogativi che poniamo allo staff del Ministro. Continuare a minimizzare peggioramenti epocali e tagli clamorosi non è più plausibile. Mancano meno di sei mesi alla fine di questa legislatura: il ministro dell’Istruzione fa ancora in tempo a dirci da che parte sta.
da La Tecnica della Scuola 17.10.12

"Troppi errori sul lavoro", di Luigi Mariucci

Da anni, anzi da decenni, il diritto del lavoro è stato inquinato da una legislazione confusa, arrembante ed emergenziale. A partire in specie dal libro bianco del governo Berlusconi del 2001 ad ogni cambio di governo e di legislatura si sono succedute miriadi di interventi sovrapposti l’uno all’altro, talora modificativi tal’altra integrativi, tutti naturalmente emanati dichiarando la buona intenzione di «semplificare», «alleggerire», «attivare» il mercato del lavoro. L’esito è sotto gli occhi di tutti. Si è costruita così una normativa pletorica, farraginosa, a tratti incomprensibile, caratterizzata da una serie innumerevole di contratti atipici di tipo precario che hanno avuto un solo esito concreto: diffondere una cattiva cultura d’impresa, dare l’idea che i problemi della competitività potessero tutti scaricarsi sul lavoro, riducendo il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori. I risultati, sul piano macro, sono altrettanto evidenti: il tasso di competitività si è abbassato, la produttività è calata, in termini direttamente proporzionali all’incremento della precarietà del lavoro, l’industria e l’economia complessiva declinano. Il caso del contratto a termine costituisce la rappresentazione più eloquente di questo paradossale caos normativo: prima il contratto a termine è stato totalmente liberalizzato nel 2001 dal governo Berlusconi, poi sono state introdotte alcune limitazioni dal governo Prodi nel 2007, poi si è tornati a una nuova liberalizzazione col governo Berlusconi dal 2008 in poi. Ora il governo Monti con la riforma del mercato del lavoro ha introdotto un ulteriore cambiamento: per un verso il contratto a termine è di nuovo liberalizzato, per le prime assunzioni, con l’abolizione della necessità di motivare le ragioni della assunzione a termine, salvo restringerne poi l’utilizzo con una serie di norme in materia di tempi di rinnovo, du rata del periodo oltre che di costi contributivi. Questa poi è solo una delle tante modifiche, di incerta e complessa interpretazione, introdotte dalla riforma Monti-Fornero: ce ne sono molte altre in tema di Cococo, partite Iva, lavoratori stagionali, mini-Arspi e ammortizzatori sociali in genere che stanno ponendo enormi problemi applicativi. Per tacere delle modifiche introdotte all’articolo 18 dello Statuto in tema di licenziamenti, che sono un vero e proprio rompicapo, specie sul piano processuale. E senza nominare la questione dei cosiddetti «esodati», che prima o poi dovranno chiamarsi disoccupati tout court, privi di ogni sostegno del reddito. È comprensibile quindi che il ministro Fornero, nel forum pubblicato ieri sul Sole 24 ore, faccia su questo ed altro una riflessione autocritica, e annunci misure correttive. La riflessione autocritica dovrebbe tuttavia essere più ampia. È stato un errore mettere mano, nel pieno di una crisi dai caratteri e dalle proporzioni inedite, a una maxi-riforma composta da migliaia di commi, spesso soggetti a dubbie interpretazioni, e comunque destinati per lo più a rimanere sulla carta, solo al fine di dimostrare (a chi? a quella Europa che dobbiamo cambiare, dato che così com’è non funziona più?) che si poteva finalmente esibilre lo scalpo dell’art. 18 dello Statuto. Ora il ministro annuncia che intende promuovere un ennesimo decreto correttivo, sui tempi del rinnovo dei contratti a termine ed altro. Faccia pure. Non sarà questo che risolverà il problema delle tante incertezze applicative della sua riforma. È da sperare invece che dei tanti errori commessi fin qui si faccia tesoro. Dando vita nella prossima legislatura a una correzione di fondo della legislazione del lavoro, ad un mutamento di paradigma, fondato sull’idea che una chiara definizione dei diritti e dei doveri dei lavoratori e la riaffermazione della qualità del lavoro sono la condizione imprescindibile di uno sviluppo compatibile e sensato.

L’Unità 17.10.12