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Imu case agricole, parlamentari Pd “Bene Meloni, ma informati” – comunicato stampa 25.03.15

Imu case agricole, parlamentari Pd “Bene Meloni, ma informati”
I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari rispondono alla deputata di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che su Facebook ha scritto “stanno facendo pagare l’Imu a gente che ha le macerie al posto della casa”, a proposito del tema dell’Imu sulle case danneggiate o resi inagibili dal sisma 2012. Ecco la loro dichiarazione:

“Cara collega Meloni, ci fa piacere sapere che sei pronta a dare battaglia in Parlamento sul tema dell’Imu sulle case rese inagibili dal sisma 2012 nelle nostre terre. Sei la benvenuta, anche se da quel terremoto sono ormai passati quasi tre anni. Arrivi insomma solo ora ad impegnarti su un tema su cui noi, come parlamentari Pd, lavoriamo dai giorni immediatamente successivi alle scosse, ma almeno abbi l’accortezza di arrivare informata. Non è vero, come sostieni su Facebook, che “stanno facendo pagare l’Imu a gente che ha le macerie al posto della casa”. E questo perché, sia l’anno scorso che per il primo semestre di quest’anno, i parlamentari del Pd sono riusciti ad ottenere l’esenzione dal pagamento dell’Imu. Ora, siamo impegnati, insieme alla Regione e ai Comuni, nel monitoraggio delle case effettivamente interessate dal provvedimento in modo da poter contrapporre dati certi alla Ragioneria dello Stato, che ci parla di mancati introiti erariali. Noi, come Pd, puntiamo ad ottenere l’esenzione dal pagamento anche per il secondo semestre 2015. Quindi, collega Meloni, se vuoi unirti al nostro impegno, sei la benvenuta, ma serve gente preparata e che abbia voglia lavorare, non farsi bella con i media sulla pelle dei terremotati”.

 

Accuse M5s, parlamentari Pd “Vaccari ha dimostrato autonomia” – comunicato stampa 23.03.15

 

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini e Matteo Richetti intervengono sulle accuse lanciate da Giulia Gibertoni (M5s) nei confronti del senatore Stefano Vaccari. Eccola loro dichiarazione:

 

«Si leggono i giornali e si dà aria ai denti: chi ha dato alla consigliera regionale del Movimento 5 stelle Giulia Gibertoni la legittimazione morale per affibbiare patenti di dignità al senatore Stefano Vaccari? Almeno li legga per interno i resoconti forniti dai giornali. Stefano Vaccari, in questa vicenda, ha dimostrato proprio il contrario di quanto va sostenendo Giulia Gibertoni, ovvero assoluta autonomia. Burchi si è messo in contatto con il senatore Vaccari proprio perché non gli era piaciuto affatto il contenuto dell’emendamento da lui presentato. Quell’emendamento, nonostante quella telefonata, è stato depositato con la formulazione concordata tra i parlamentari dei diversi schieramenti politici che lo hanno sottoscritto e non certo come avrebbe voluto Burchi.L’unica “colpa” di Vaccari, al pari di tutti noi, è quella di aver operato con determinazione e autonomia, d’intesa unicamente con Regione e Comuni, per la realizzazione certa e più rapida di infrastrutture essenziali per Modena e l’Emilia. Se questa è appunto una colpa ce la assumiamo tutti insieme e ben venga che questo sia il discrimine tra noi e il M5s. Con buona pace degli improvvisati ed improvvidi paladini pentastellati della moralità pubblica».

 

Pd Carpi “Il cordoglio per la morte di Alfredo Bulgarelli” – comunicato stampa 23.03.15

 

«E’ deceduto il carpigiano Alfredo Bulgarelli, 87 anni, resistente, dirigente politico e amministratore. Come gruppo dirigente del Pd di Carpi, insieme ai parlamentari carpigiani Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca, porgiamo le nostre condoglianze alla famiglia. Alfredo Bulgarelli ha speso la propria vita al servizio della propria comunità come partigiano, dirigente politico del Pci, assessore comunale, dirigente cooperativo e, da ultimo, come instancabile animatore dell’Anpi. Siamo vicini al nipote, il sindaco Alberto Bellelli, a cui il nonno, pur in questo momento di dolore, lascia una preziosa eredità: l’esempio di una vita vissuta all’insegna della coerenza di valori e di azioni».

 

“Dalle staminali alle scoperte la ricerca conquista i ragazzi”, di Elena Cattaneo – “La gaia scienza”, di Massimiliano Bucchi – La Repubblica 23.03.15

«Come si diventa scienziato?» La risposta potrebbe sembrare disarmante: non si smette mai di diventarlo. Continue, le domande su come scegliere per il futuro, tanti i cuori colmi di speranza: «Io vorrei studiare per capire l’Alzheimer, mia mamma ce l’ha da tempo ma mi interessa ancora di più aiutare gli altri». Tanta la fantasia: «Magari posso con un microrobot entrare nelle cellule e aggiustare quel gene impazzito».
Queste sono solo alcune delle voci dei ragazzi dell’Unistem Day 2015 del 13 marzo scorso, 20.000 studenti delle scuole superiori che sono stati accolti dai 46 atenei italiani e stranieri partecipanti, per parlare e ascoltare di scienza e rendersi conto che non è vero che farlo è difficile o noioso. Questi giovani hanno discusso di staminali insieme agli scienziati e del perché sembrano, a chi le studia, ogni giorno così affascinanti, e di come può funzionare la medicina rigenerativa, di quello che è stato fatto davvero e di cosa si sta facendo oggi. Ma le staminali sono solo un pretesto (non di minore conto) per raccontare il mestiere dello scienziato, la passione per l’esplorazione e la scoperta. Quando si parla di scienza si parla di un metodo, di un approccio analitico ai problemi, che dovrebbe costituire il naturale fondamento di ogni successivo apprendimento, una preliminare formazione all’uso della ragione. La risposta che arriva dai volti dei ragazzi, dal loro coinvolgimento, da quel silenzio attento e educato, è ogni volta un grande incoraggiamento. All’inizio, durante il collegamento tra più sedi, i colleghi svedesi dell’Università di Lund hanno salutato gli studenti raccolti all’Università di Caso, gliari con alcune frasi in dialetto sardo. Come dire: nessun mare o montagna ci divide. Solo idee, metodi, risultati e la fitta rete di meccanismi per ancorare i propri argomenti ai fatti.
Il tema di quest’anno era “Scienza e diritto”: in tutta Italia si è discusso delle ragioni per cui giudici e scienziati possono arrivare a conclusioni diverse, come nel caso delle prescrizioni degli pseudo-trattamenti Stamina. Ovunque, in Italia, il monito della giornata era lo stesso: l’inconciliabilità tra scienza e pseudoscienza, l’esortazione a stare sempre dalla parte delle prove e dei fatti, non delle convenienze. Sempre, e soprattutto in materia di salute.
Il fatto che la giornata non tratti solo di staminali è molto apprezzato dagli studenti. Gioele, che ha partecipato alle conferenze organizzate alla Sapienza di Roma, era felice che l’argomento principale fossero la scienza e il progresso umano, cioè «come le cose sono migliorate, per esempio nel modo in cui si pratica la medicina». Gli fa eco un altro diciassettenne presente all’evento dell’Università di Firenze: «Abbiamo capito che ci vuole tanta fantasia e creatività per fare ricerca, ma anche la capacità di produrre ipotesi verificabili». E, sempre a Firenze, i diplomandi si dicevano «colpiti dalla chiarezza e onestà con cui i ricercatori hanno presentato fatti e dati difficili ». Gli alunni del Liceo Scientifico Lavinia Mondin di Verona hanno riempito i loro insegnanti (e noi) di commenti. Alcuni riflettevano sul fatto che «la ricerca è frutto di dedizione, passione, curiosità, e che per conoscere si deve avere il coraggio di osare». Valeria si è sentita «immersa nel mondo vero della ricerca». Molto più capaci degli adulti di smascherare il fal- si stupiscono, come nel caso di Lorenzo, di «quante persone nell’era dell’informazione, scelgono l’ignoranza».
L’edizione di quest’anno si è rivelata anche un’occasione per supplire a una delle mancanze della riforma della scuola in discussione, tutta concentrata sull’assunzione dei precari e i poteri dei presidi, mentre nessuno si è preoccupato di spiegare in che modo il piano del governo fornirà agli studenti gli strumenti conoscitivi necessari per essere competitivi e innovare in una società ed economia fondata sulla conoscenza. In più sedi d’Italia, gli insegnanti che hanno accompagnato gli studenti agli incontri hanno evidenziato la «disattenzione della politica per quanto riguarda la formazione dei giovani sul fronte delle conoscenze scientifiche ». Hanno mille ragioni.
L’evento in Statale a Milano si è chiuso con l’intervento di un medico, Salvo di Grazia, il primo ad avere fatto della sfida ai «narratori di bufale» un motivo d’impegno costante. Racconta ai giovani le “bufale” che abbindolano gli adulti. Anche di come a quel «congresso scientifico in Cina», tutt’altro che serio, che qualche mese fa avrebbe rilanciato il cosiddetto «metodo di Bella» (notizia ripresa da alcuni media), egli sia riuscito a piazzare come comunicazione scientifica una ricetta americana per la pasta alla carbonara con tanto di titolo (in inglese), “Il metodo sbudella a base di carbonara cura il buco allo stomaco” e autori, dott. Massimo della Serietà ecc., guadagnandosi persino l’invito a fare da moderatore per la sua “scoperta”.
Il messaggio più forte veniva dalle risate dei ragazzi, increduli davanti a bufale così incredibili, a come si possano montare (false) correlazioni tra autismo e vaccini, con tanto di studi legali o tribunali impegnati per provare ciò che la sperimentazione medica non ha mai trovato, o a come, applicando lo stesso (non) metodo, sia possibile mettere in grafico e stabilire una correlazione tra i nati in un certo paese e la migrazione delle cicogne per affermare che — nuova scoperta! — “i bambini li portano le cicogne”.
Quei giovani ridevano, ma hanno mostrato un’attenzione più che rincuorante, soprattutto promettente. Ora quei ragazzi sono sparsi per l’Italia. Il nostro auspicio è che la giornata UniStem sia servita a vaccinarli ancora di più. Contro ciò che non è vero e dimostrato e che, ogni giorno, minaccia la loro vita e il loro Paese.
( Elena Cattaneo, senatrice a vita, insegna all’Università degli Studi di Milano. La giornata con gli studenti è coordinata da Uni-Stem, Centro di ricerca sulle cellule staminali)
La gaia scienza
Massimiliano Bucchi
Un diffuso stereotipo descrive gli italiani come disinformati, scarsamente interessati e perfino pregiudizialmente ostili alla scienza. È davvero così?
A giudicare dai dati più recenti dell’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società (da oltre dieci anni il più ampio e continuativo studio in questo ambito), si direbbe proprio di no. E se forse è eccessivo vedere nel 2014 un anno di svolta nell’interesse degli italiani per la scienza, non c’è dubbio che molti luoghi comuni debbano essere rivisti, soprattutto per quanto riguarda il pubblico giovanile.
Innanzitutto l’idea che gli italiani siano “analfabeti” sul piano scientifico e scarsamente interessati ai contenuti scientifici. Ciò che i dati rilevano è un livello di competenze in linea con le tendenze europee e in lieve crescita negli ultimi anni; una propensione rilevante e crescente ad informarsi di scienza e tecnologia. Negli ultimi cinque anni gli spettatori assidui di programmi televisivi dedicati a scienza e tecnologia sono aumentati di 20 punti; è cresciuta notevolmente anche la fruizione di contenuti scientifico- tecnologici su internet, soprattutto tra i più giovani (arrivando a coinvolgere, almeno occasionalmente, addirittura il 93% tra i 15-29enni). Tendenze confermate in questi anni dagli ascolti dei programmi dedicati alla scienza in prima serata, dalla notevole affluenza ai festival della scienza, dal grande successo di libri di divulgazione e di film e serie televisive che sempre più spesso hanno come protagonisti figure del mondo scientifico. Fiction che tra l’altro i ragazzi spesso citano anche come elemento di stimolo o motivazione per le proprie scelte formative.
Permangono, indubbiamente, alcune lacune e significative differenze tra le diverse fasce di popolazione, soprattutto in termini di età e livelli di istruzione. Solo il 5% dei giovani tra i 15 e 29 anni e il 2% dei laureati si colloca al livello più basso di alfabetismo scientifico. Tra gli studenti quindicenni quasi sei su dieci ritengono che le ore dedicate alle materie scientifiche abbiano accresciuto la propria curiosità e interesse e considerano queste materie di grande utilità anche per la propria vita quotidiana. La possibilità di “toccare con mano” la scienza attraverso esperimenti di laboratorio a scuola fa addirittura quadruplicare la propensione di ragazze e ragazzi verso studi scientifici universitari (tra chi non ha avuto questo tipo di opportunità, la propensione agli studi scientifici scende sotto il 7%).
I dati dell’Osservatorio registrano anche rilevante fiducia e significative aspettative da parte degli italiani nei confronti degli scienziati (sempre più spesso indicati come l’interlocutore più credibile quando emergono questioni legate a scienza e tecnologia, come nel caso del clima o di emergenze sanitarie, con un aumento di 11 punti percentuali negli ultimi anni) e dei risultati della ricerca. Aspettative, che come tra le nuove generazioni, anche tra gli adulti si concentrano però soprattutto sugli aspetti più pratici e concreti: dalla scienza ci si attendono in particolare nuove applicazioni tecnologiche ed opportunità terapeutiche o possibilità di migliorare il proprio “benessere” in senso lato.
È in questa chiave che possono essere lette anche le tendenze rilevate sulle questioni biomediche più attuali. Le trasformazioni degli orientamenti degli italiani su temi quali la fecondazione assistita o la ricerca su cellule staminali non sembrano il risultato di un’effettiva interiorizzazione culturale di contenuti e metodi scientifici. Tali orientamenti appaiono piuttosto definibili come aperture in senso sostanzialmente pragmatico — o, per certi versi, perfino opportunistico — verso quelle che sono percepite come opportunità offerte da scienza e tecnologia in ambito biomedico. Drammatiche vicende recenti ci hanno fatto toccare con mano, tra l’altro, quali pressioni e urgenza di soluzioni nel breve periodo possano associarsi a simili aspettative. Questi atteggiamenti vanno inoltre inquadrati — come confermano anche gli orientamenti su questioni come il “fine vita” o il testamento biologico — nell’ambito di una più profonda trasformazione delle concezioni di salute e di cura, in cui il controllo e la plasmazione del proprio corpo e del proprio benessere sono ricondotti in misura crescente entro il raggio delle scelte individuali.
Nel complesso, i dati ci dicono che il vero problema non è l’assenza di una cultura scientifica.
Il nodo critico resta la fragilità di una cultura della scienza e della tecnologia nella società : di una cultura che sappia discutere e valutare i diversi sviluppi e le diverse implicazioni, potenzialità e limiti della scienza e della tecnologia evitando le opposte scorciatoie della chiusura pregiudiziale e dell’aspettativa miracolistica. È in questa direzione che forse varrebbe la pena indirizzare discussioni e iniziative, anziché fermarsi alla consueta litania (mai “scientificamente” documentata) degli “italiani antiscientifici”.

“Il laureato emigrante quel capitale umano costato 23 miliardi che l’Italia regala all’estero”, di Federico Fubini – la Repubblica 23.03.15

L’Italia ha costruito centinaia di chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità e ne ha fatto dono alla Gran Bretagna. Ha investito in due enormi reti Internet a fibra ottica, perché siano installate in Germania e in Svizzera. Naturalmente non è vero. Se lo fosse, la tivù mostrerebbe zuffe a Montecitorio, sindacati in piazza e forse il governo dovrebbe dimettersi. Eppure, nell’indifferenza generale, sta succedendo qualcosa del genere. Ogni giorno un’emorragia verso l’estero di risorse (anche) finanziarie di simile entità si consuma sull’infrastruttura di base di ogni Paese: i suoi abitanti.
Alla più cauta della stime, dal 2008 al 2014 è emigrato all’estero un gruppo di italiani la cui istruzione nel complesso è costata allo Stato 23 miliardi di euro. Sono 23 miliardi dei contribuenti regalati ad altre economie. È una cifra pari al doppio di quanto occorre per stendere la rete Internet ad alta velocità che in questo Paese continua a mancare. È una somma pari a un terzo del costo dell’intera rete ferroviaria ad alta velocità italiana, che al chilometro è la più cara al mondo. Ma quando si tratta di laureati, diplomati o anche solo di titolari di una licenza media che se ne vanno portando con sé le proprie competenze e l’investimento che è stato fatto su di loro dagli asili d’infanzia alle aule universitarie, nessuno protesta. Di rado se ne parla. Non è uno scandalo: sembra normale, anche se nella storia dell’Italia unita non era mai successo.
Certo le migrazioni fra fine ‘800 e il secondo dopoguerra erano state più intense nei numeri, ma infinitamente di meno per il capitale versato nelle persone che poi se ne andavano. Molti di quei migranti erano analfabeti, non troppi avevano finito le elementari. Giorni fa invece Alberto Alemanno, 40 anni, laureato all’Università di Torino, docente di Diritto della Haute École Commerciale di Parigi e della New York University, è stato designato come Young Global Leader del World Economic Forum. Nel frattempo Alberto Quaranta (nome modificato su sua richiesta), 43 anni, laureato a Pescara, già architetto in una città pugliese, ha terminato il suo inserimento come impiegato nei magazzini dell’aeroporto di Monaco di Baviera. Il primo è riuscito ad arrivare al posto per il quale aveva studiato, il secondo no. Ma i due hanno lo stesso qualcosa in comune: entrambi sono stati oggetto di un investimento di (almeno) 163 mila euro da parte della collettività italiana per il loro percorso formativo, dall’età di tre anni fino alla laurea. Nel rapporto “Education at a Glance 2014”, l’Ocse di Parigi stima che, solo per la gestione dei luoghi d’insegnamento e gli stipendi degli insegnanti, chi si istruisce in Italia costi 6.000 dollari l’anno quando frequenta una scuola materna pubblica, 8.000 l’anno alle elementari, 9.000 alle medie e alle superiori e 10.000 all’università. Per i contribuenti il costo (di base) di produzione di un laureato in Italia è di centinaia di migliaia di euro. Ogni volta che una di queste persone lascia l’Italia, quell’investimento in sapere se ne va con lui o con lei. Negli ultimi anni le destinazioni preferite sono Gran Bretagna, Germania e Svizzera. Si tratta di un colossale sussidio implicito versato dall’Italia ad altri Paesi ogni volta che un migrante fa le valigie. Ed è ormai un fenomeno macroeconomico. Nel solo 2013 il trasferimento silente di investimenti dall’Italia al Regno Unito attraverso l’istruzione dei migranti è stato, quantomeno, di 1,5 miliardi. Quello versato alla Germania è di 650 milioni e persino un Paese lontano come il Brasile è beneficiario per oltre cento milioni. Nell’ultimo secolo un export su questa scala di investimenti pubblici in “infrastrutture” si è visto solo quando un Paese sconfitto in guerra doveva pagare riparazioni. Questo invece è auto-inflitto.
La novità negli ultimi anni è infatti duplice. La meno nota è che la quota di migranti laureati sta crescendo, e con essa il sussidio implicito dell’Italia ai Paesi dove essi vanno. Secondo l’Istat, i laureati erano il 19% degli italiani trasferitisi all’estero nel 2009, ma sono già saliti al 24% nel 2013. Il peso di coloro che se ne vanno avendo solo una licenza media è invece in calo.
L’altra caratteristica di questi anni è che l’armata degli emigranti è sempre più vasta, ma non c’è accordo fra governi europei sul loro numero. I dati dell’Istat sono probabilmente sottostimati. In base all’anagrafe italiana, come riportato dall’istituto statistico, dal 2008 al 2013 c’è stato un deflusso netto di 150 mila persone: è il saldo fra gli italiani che escono e quelli che rientrano. Il ritmo delle uscite peraltro sta accelerando. Solo due anni fa, al netto dei rientri in patria, sono state 53 mila. Alla cifra pubblica dei 150 mila, la Repubblica aggiunge altre 63 mila uscite nette nel 2014 sulla base dei dati dei primi 9 mesi ed è una stima cauta, perché presuppone una frenata delle tendenze in atto negli ultimi anni. Al valore di 23 miliardi di investimenti in istruzione “esportati” si arriva così. Negli ultimi sei anni il 48% dei migranti aveva terminato le scuole medie, il 30% le superiori e il 22% l’università: i costi sono stimati su questa base.
Il problema è che gli oneri reali sono più alti, perché i dati Istat non colgono tutta la realtà. Molti se ne vanno, ma non lo comunicano all’anagrafe. Gli italiani che nel 2013 hanno preso il “National Insurance Number” (codice fiscale) per lavorare in Gran Bretagna sono quattro volte più di quelli che ufficialmente hanno lasciato l’Italia, secondo l’Istat, per andare Oltremanica. Per il governo tedesco, gli italiani arrivati in Germania solo nella prima metà del 2014 sono più di quelli che, secondo l’Istat, lo hanno fatto in tutto il 2013. Alberto, l’architetto pugliese, non ha mai abbandonato la residenza nel Comune di origine e dunque per l’Italia è ancora qui. Intanto però ha preso domicilio vicino a Monaco per potersi appoggiare al centro per l’impiego locale, che gli ha trovato un posto.
Così l’Italia manda via qualcosa che costa e vale più delle sue autostrade o ferrovie. Lo fa nell’indifferenza dei ministri che raccomandano un figlio, degli universitari che sbarrano la strada ai bravi per favorire i servili. Giorni fa “Pensare Politico”, un’associazione di Rimini, in un incontro con 150 studenti di quarta superiori ha chiesto quanti volessero migrare “dopo la laurea”. Un terzo della sala ha alzato la mano. È un investimento perduto di 8 milioni, è stato detto. Nessuno degli studenti ha fiatato: a loro sembrava perfettamente logico.

Imu case inagibili, parlamentari Pd “Siamo già al lavoro” – comunicato stampa 23.03.15

 

 

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari ribadiscono il proprio impegno a favore delle zone terremotate e per l’ulteriore proroga dell’esenzione del pagamento dell’Imu sulle case rese inagibili o danneggiate dal sisma. Ecco la loro dichiarazione:

 

«Sul tema dell’Imu sulle case rese inagibili dal sisma rivendichiamo con orgoglio che  le uniche misure concrete in aiuto dei proprietari sono state ottenute grazie al lavoro dei parlamentari del Partito democratico. Se il pagamento dell’Imu e della Tasi sono sospese per il primo semestre del 2015 è solo grazie a un emendamento alla Legge di stabilità contenuto nel pacchetto-sisma presentato al Senato dai parlamentari emiliani Claudio Broglia e Stefano Vaccari. Lo stesso era già  avvenuto nel 2014, sempre grazie all’iniziativa dei parlamentari modenesi. Nell’emendamento Broglia-Vaccari era compreso anche un obbligo di monitoraggio del patrimonio immobiliare inagibile o danneggiato, essenziale per il prosieguo del nostro impegno. Stabilire l’esatta platea degli aventi diritto ci consentirà di contrapporre ragioni forti alla Ragioneria dello Stato che si è opposta alla nostra prima richiesta di estendere l’esenzione dal pagamento dell’Imu per tutto il 2015. Al momento è quindi necessario quantificare l’esatto ammontare dei mancati introiti per la quota statale di Imu che andrà compensata. La Regione Emilia-Romagna è al lavoro e a fine mese invierà il risultato del monitoraggio al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questi dati ci servono per poter tornare alla carica, perché come hanno dimostrato questi quasi tre anni dalle scosse di terremoto del maggio 2012, come parlamentari Pd non solo abbiamo sempre avuto presente le esigenze dei cittadini terremotati, ma ce ne siamo occupati con continuità, ottenendo risultati tangibili. Anche su questo tema, insomma, è da tempo che siamo al lavoro!».

 

“Un fantasma nella classe”, di Vittorio Lingiardi – Il Sole 24 Ore 22.03.15

Un fantasma si aggira per le scuole italiane: l’«ideologia del gender», detta anche «propaganda omosessualista». Sentinelle spesso in piedi, cardinali apocalittici («il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti») e genitori allarmati temono che i figli possano ricevere insegnamenti in grado di distorcere le loro menti. Per esempio che i concetti di mascolinità e femminilità sono costruzioni sociali che dipendono dai contesti storici e culturali, che la complessità delle relazioni non si esaurisce nelle dicotomie di sesso (maschio/femmina) e genere (uomo/donna), addirittura che alcuni loro compagni di classe potrebbero essere figli (contenti) di (buoni) genitori (ancorché) omosessuali. Pare che queste pericolose affermazioni abbiano oggi diritto di cittadinanza non solo presso l’American Psychological Associationo l’American Academy of Pediatrics, ma anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e persino l’Onu, l’Unesco e l’Unicef. E che l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a difesa delle differenze (Unar, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le pari opportunità), sostenuto da una raccomandazione del Consiglio d’Europa, abbia in cantiere di proseguire la programmazione di una strategia nazionale per la prevenzione delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Bene ha fatto dunque l’Associazione Italiana di Psicologia (Aip), punto di riferimento nazionale per gli psicologi che lavorano nelle Università e negli Enti di ricerca, presieduta da Fabio Lucidi, a riportare un po’ di razionalità per mezzo di un position statement «Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione nei contesti scolastici italiani». Che inizia così: «Oggi si assiste all’organizzazione di iniziative e mobilitazioni che tendono a etichettare gli interventi di educazione alle differenze di genere e di orientamento sessuale nelle scuole italiane come pretesti per la divulgazione di una cosiddetta “ideologia del gender”».
L’intento del documento Aip è «rasserenare il dibattito nazionale» e «chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di “ideologia del gender”». Esistono, invece, continua il documento, «studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studieshanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari». «Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali». In conclusione: «Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nelle progettualità didattico-formative contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni». Metodologie didattico-educative che, se adeguate, promuovono belle «occasioni di crescita personale e culturale per gli allievi e il personale scolastico». In fondo si tratta di insegnare agli studenti «una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della nonviolenza». Anche a quegli studenti che, qualche giorno fa, su un autobus torinese, hanno picchiato un ragazzo perché era gay. Ma loro, forse, non erano stati educati alla varietà del genere umano.