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“Liberazione” quando l’amore batte la crisi La corsa che resiste”, di Angelo Melone – La Repubblica 30.03.15 –

E’ stata la prima gara della speranza nelle strade della capitale di una Italia liberata da appena un anno. La gara che le Associazioni partigiane e l’Unione Velocipedista vollero proprio il giorno del 25 aprile in una nazione che si muoveva prevalentemente in bicicletta, che ancora non sapeva se sarebbe stata una rinata democrazia repubblicana o monarchica, ma che di sicuro aveva una voglia matta di lasciarsi le macerie alle spalle e tornare a vivere e crescere. Soprattutto i giovani. E per i giovani, i giovani ciclisti dilettanti usciti dalla guerra, fu pensato quel Gran Premio della Liberazione che si corse per la prima volta nel 1946. Per poi diventare negli anni la gara di riferimento per i ciclisti dilettanti di tutto il mondo (e per gli osservatori che da lì hanno pescato grandi campioni).
Una storia che stava per spezzarsi proprio alla sua 70esima edizione, quella del prossimo 25 aprile: annullata per mancanza di fondi. Salvata in volata — è il caso di dirlo — dalla bottega ciclistica più antica della capitale, quei Cicli Lazzaretti che tra qualche mese compiranno cento anni di storia. Lo hanno fatto di slancio — come hanno annunciato con gran sospiro di sollievo gli organizzatori — aprendo anche una raccolta di fondi (un crowdfunding sul loro sito) per chi volesse sostenere lo sforzo. «Poi, per il prossimo anno — dicono — cercheremo di organizzarci meglio».
In fin dei conti quel 25 aprile del ‘46 alla partenza dalle Terme di Caracalla c’erano sicuramente i loro nonni, con le loro biciclette. Le cronache del tempo parlano di una grande folla, nelle foto si vedono molti spettatori con i giornali ripiegati a fare da cappello (ricordate Paolo Conte che aspetta Bartali sul paracarro?), gli stessi giornali su cui poeti e scrittori celebrano la sconfitta del nazifascismo e si scontrano sul destino dei Savoia. I cinema della capitale invitano a vedere Sciuscià. Le squadre romane sono ovviamente in maggioranza: l’Audace, la Velodromo Appio, l’Indomita, la Trionfale, la Lazio, la As Roma. Vince Gustavo Guglielmetti. Ma basta qualche anno e il Liberazione diviene una data di punta, sostenuta anche dal Quirinale (per il valore simbolico) ma sempre più voluta dalle squadre dilettanti di tutto il mondo che sul circuito della città antica trovano una ineguagliabile passerella per i propri aspiranti campioni. Storie di ciclismo d’altri tempi, che hanno ancora un testimone in Eugenio Bomboni. 85 anni e un fiume in piena. Ricorda il passaggio da brivido dell’intero plotone tra i tram che portavano ai Castelli romani («nessuno mollava, un tentativo di suicidio collettivo»); la vigilanza in alcune notti intorno al Campidoglio («i neofascisti bruciavano le balle di paglia messe a protezione »); il salto con la direzione di Mealli (che poi inventerà la Tirreno-Adriatico) e con quella di Lucio Tonelli che la trasforma in grande evento anche mediatico, rilanciato dalla tv. E l’arrivo dei grandi stranieri: «Mormoravano che facessimo vincere i russi. Stupidaggini. La verità è che lo squadrone russo era fortissimo, guidato dal mitico Sergei Sukhoruchenkov, e metteva paura a tutti».
Bomboni, giornalista dell’ Unità, guida la corsa per anni e proprio per questo diverrà anche presidente della associazione mondiale organizzatori. Racconta storie di personaggi, uno in particolare. E’ il 1985, «si presenta questo ragazzo di cui si diceva un gran bene, ma arriva all’ultimo momento, in treno con la suabici perché la sua squadra non voleva spendere i soldi per partecipare. Parte, vince, riprende il treno e se ne va addirittura prima della premiazione». Si chiama Gianni Bugno. Il giorno dopo ha grandi titoli sui giornali. Su l’ Unità un esperto come Gino Sala scrive «sulle vie di Roma forse è nato un campione». Era nato. Pochi mesi dopo diviene professionista per una storia di vittorie. Quella che gli darà il titolo Mondiale la ottiene battendo in volata il russo Dimitri Konyshev, che il Liberazione era andato a vincerlo due anni dopo di lui.
Siamo ai campioni moderni, su un circuito che diviene sempre più veloce. La ricorda Michele Bartoli («un passaporto per aspirare al professionismo»). La raccontano così due protagonisti come Matteo Trentin («Una delle vittorie più belle della mia vita, l’avevo puntata e mi ha cambiato la vita») o Sasha Modolo di cui restano anche le lacrime dopo il traguardo («Non riuscii a trattenerle perché non riuscivo a credere di aver raggiunto quel risultato. La gara ha un fascino incredibile, correre a Roma è sempre una grande emozione »).
L’emozione, per fortuna, si ripeterà anche quest’anno. Non ci sarà il grande Alfredo Martini al traguardo. Né un vecchio ciclista romano come Spartaco Rosati, classe 1923, detto “er cecione”. Perse quella storica prima edizione del ‘46 in volata, ma vinse l’anno dopo. Ricordava di essere stato portato in trionfo e che quella era la cosa che aveva sempre sognato, «da quando ero bambino e mio padre mi regalò la prima bicicletta. Era una Lazzaretti ».

“Il 16 aprile scade il bando per 30mila volontari”, di Paola Springhetti – Il Sole 24 Ore 30.03.15

Scade il 16 aprile alle 14 il bando che permetterà a 29.972 giovani volontari di prestare il loro servizio civile. Anche se gli enti sono rimasti delusi perché avevano contato su fondi per un numero maggiore di posizioni – si sperava 46mila – la cifra è di tutto rispetto, se confrontata con quelle degli anni passati: meno della metà nel 2015, 896 nel 2013 e 19mila l’anno precedente. Quest’anno, il costo per lo Stato sarà di circa 200 milioni. Si aspetta comunque un altro bando, nei prossimi mesi, per altre 16mila posizioni.
I giovani devono prima di tutto scegliere il progetto al quale vogliono partecipare tra i 3mila che hanno vinto i bandi: si può infatti fare una sola domanda, per uno specifico progetto. Saranno quasi 19mila quelli che parteciperanno a progetti di enti iscritti all’albo nazionale (680 dei quali saranno impegnati all’estero), gli altri entreranno in quelli degli enti regionali e delle Provincie autonome. Secondo il sottosegretario Luigi Bobba «il rilevante sforzo organizzativo dell’intero sistema del servizio civile nazionale ha prodotto un apprezzabile innalzamento della qualità dei progetti». Inoltre i buoni risultati gestionali del Dipartimento del servizio civile hanno portato «a una riduzione di circa il 40% delle spese di funzionamento rispetto alla previsione iniziale, a fronte di maggiori iniziative e attività, quali i bandi di Garanzia giovani e il bando per l’Expo».
I progetti sono pubblicati su www.serviziocivile.gov.it, con la modulistica. La domanda va presentata all’ente che ha proposto il progetto, attraverso il sito web, e può essere avanzata da giovani tra i 18 e i 28 anni che presteranno servizio part time per un anno e riceveranno un rimborso spese di 433,80 euro al mese. Quest’anno può partecipare anche chi non è italiano, dopo che il Tribunale di Milano nel 2013 ha dichiarato discriminatoria la clausola che imponeva il requisito della cittadinanza. I candidati devono comunque essere «cittadini della Ue; familiari dei cittadini della Ue non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente; titolari del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo; titolari di permesso di soggiorno per asilo o di permesso per protezione sussidiaria».
La riforma del Terzo settore in arrivo dovrebbe tra l’altro valorizzare il servizio civile, introducendo quello “universale”, di cui da tempo si discute e che è stato sperimentato localmente: dovrebbe coinvolgere 100mila ragazzi a partire dal 2017, cifra che permetterebbe di accogliere tutte le domande. Dovrebbe durare dagli 8 ai 12 mesi e aprire per tutti finestre per esperienze all’estero.

Ghizzoni “Oltre 50 milioni dalla Bei per l’edilizia scolastica in E.R.” – comunicato stampa 30.03.15

Calcolato l’attuale costo del denaro, sono oltre 50 milioni di euro le risorse che, nei prossimi tre anni, arriveranno in Emilia Romagna grazie al prestito Bei destinato all’edilizia scolastica, senza alcun onere per i Comuni. Lo rende noto la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Istruzione della Camera. “Un’occasione importantissima – commenta l’on. Ghizzoni – per rinnovare il patrimonio di edifici scolastici esistente, purtroppo, per la maggior parte, obsoleto e non più adeguato alle nuove esigenze didattiche”

 

“Con l’attuale costo del denaro e tenuto conto degli interessi, in Emilia-Romagna arriveranno oltre 50 milioni di euro di mutui destinati all’edilizia scolastica, da ripartire tra le diverse province”: la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Istruzione della Camera, anticipa le cifre rese note dal Ministero dell’Istruzione in relazione al percorso di avanzamento del  cosiddetto decreto Mutui del 2013, varato dall’allora ministro Carrozza. E’ stato calcolato, infatti, che la Banca europea degli investimenti, e in parte anche la Cassa depositi e prestiti, attiverà un prestito totale da circa 940 milioni di euro da destinare al rinnovamento delle strutture di edilizia scolastica del nostro Paese, cifra che potrebbe finanziare circa 4mila progetti. “Si tratta di fondi – spiega Manuela Ghizzoni – che verranno erogati alle Regioni sulla base di una programmazione triennale. Il primo piano regionale avrebbe dovuto arrivare al Miur entro il 30 aprile, ma visto il ritardo con cui ha viaggiato il provvedimento, è già stato deciso lo spostamento del termine di un mese”. La distribuzione del prestito Bei tra le diverse Regioni italiane avviene tenendo conto del numero di edifici scolastici presenti sul territorio, della popolazione scolastica e dell’affollamento delle strutture esistenti. “Gli interventi finanziabili – elenca Manuela Ghizzoni – coprono una vasta gamma di possibilità. Sono  previsti interventi di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento sismico ed efficientamento energetico degli edifici esistenti, nonché la costruzione di nuovi edifici scolastici  pubblici e nuove palestre. Un’occasione, quindi, importantissima per rinnovare il patrimonio di edifici scolastici esistente, purtroppo, per la maggior parte, obsoleto e non più adeguato alle nuove esigenze didattiche”. Nei piani regionali triennali rientrano anche le opere già segnalate dagli Enti locali che avevano risposto all’appello del Presidente del Consiglio nel maggio scorso, i progetti di edilizia già  approvati ma non finanziati e gli ulteriori progetti esecutivi immediatamente cantierabili. “È ancora presto per conoscere la cifra a disposizione del modenese – conclude Manuela Ghizzoni – ma si tratterà certamente di cifre importanti, milioni di euro direttamente spendibili nei prossimi tre anni – e senza alcun onere per i Comuni – che rappresentano una vera boccata d’ossigeno per la programmazione dei nostri Enti locali”.

“La primavera delle riforme” incontri Circoli Pd di San Possidonio e Concordia – comunicato stampa 30-03.15

 

Doppio appuntamento sui temi del lavoro e delle riforme organizzato dai Circoli Pd di Concordia e di San Possidonio. Questa sera, a San Possidonio, si parlerà di Jobs Act con il deputato Pd Davide Baruffi, componente della Commissione Lavoro, mentre la sera di lunedì 13 aprile si parlerà di riforme costituzionale ed elettorale con la deputata Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura, Scienza ed Istruzione della Camera.

 

 

I Circoli Pd di Concordia e di San Possidonio hanno organizzato per la sera di oggi lunedì 30 marzo un incontro pubblico sul Jobs Act. Relatore è il deputato modenese del Pd Davide Baruffi, componente della Commissione Lavoro della Camera. L’iniziativa si tiene a San Possidonio, presso l’Auditorium Principato di Monaco del nuovo Polo scolastico, a partire dalle ore 21.00.

Sempre nell’ambito del ciclo di incontri dal titolo “La primavera delle riforme: lavoro e istituzioni – Il contributo del Pd al cambiamento” è programmato un altro incontro pubblico per la sera di lunedì 13 aprile. Interverrà la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura, Scienza ed Istruzione della Camera, che parlerà di Riforme costituzionale ed elettorale. L’appuntamento è presso la sede Pd di Concordia, in via per Mirandola 15, dalle ore 21.00.

“Liberiamo i bambini”, di Laura Cinelli – Il Resto del Carlino 29.03.25

Si chiama Il pianeta nel piatto (Mondadori) ed è l’ultimo libro di Anna Sarfatti, scritto in collaborazione con il fratello Paolo. Un libro intelligente e scherzoso, dove si parla di alimentazione e di diritto al cibo attraverso racconti che hanno come protagonisti i bambini del mondo. C’è Ramatou, Pilù, Untina Eletta, Elìa, Catunta, nonno Amaro, Terra Madre, Chindhanai. Ci sono il tè delle farfalle, il sale del mare, i campi di patate, il miglio… E ci sono le storie di villaggi lontani, che parlano di ragazzini che lavorano giorno e notte per aiutare le famiglie, di quaderni che mancano, di richieste di mezzi per raggiungere la scuola, di computer che aiutino a studiare. Poi ci sono le schede, quelle serie, che aiutano a capire come si vive nel mondo e cosa si può fare per salvare il pianeta dagli sprechi. E le illustrazioni di Serena Riglietti, dove i tessuti disegnati degli abiti dei bambini sono gli stessi usati in India o Niger. Il libro sarà presentato alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna, insieme a Tutti a scuola” e Diversi in versi”, firmati dalla Sarfatti per Giunti editore.

Signora Sarfatti, come le è venuta l’idea di parlare di diritto all’alimentazione in maniera così semplice e diretta?

«Dall’esperienza che ho fatto negli anni su questo tipo di testi. Prima ho affrontato il tema della Shoah, ora quello del nutrimento. Io e mio fratello, che si occupa di ecosostenibilità, volevamo trasmettere i quattro pilastri della sicurezza alimentare sanciti dalla Fao: disponilità, accesso, utilizzazione, stabilità. Lo abbiamo fatto con quattro storie, cercando di privilegiare la qualità del racconto e dei temi affrontati».

Quanto è importante educare i bambini alla lettura di tematiche anche così difficili?

«Importantissimo. Perché se affronti questi temi su un piano teorico, i ragazzini condividono, capiscono, ma non riescono a interiorizzare. Invece con questo libro abbiamo fatto l’operazione inversa. I bambini leggono le storie di altri ragazzini indiani, africani, cinesi… entrano nei loro panni e si chiedono perché quella bambina non va a scuola e lavora tutto il giorno? Come è diversa la sua vita rispetto alla nostra? Cioè riflettono, si confrontano. Partire dal basso è l’unico modo per affrontare i problemi».

Il suo libro potrebbe benissimo essere letto nelle scuole primarie.

«Me lo auguro. In fondo lo abbiamo scritto per questo. Ma non è un testo da leggere e mettere via. Va usato un poco alla volta».

E i mini-lettori possono farcela?

«Tutti noi siamo piccoli e adulti. E come a un adulto riesce difficile giocare con la sua parte bambina, ai bambini risulta difficile giocare con la loro parte adulta. Ma dalla mia esperienza di insegnante e scrittrice, le assicuro che quando qualcuno si avvicina ai giovani per proporgli cose difficili ma con un linguaggio accessibile, loro sono pronti».

Ci vorrà pur qualcuno che li indirizza alla lettura.

«Gli insegnanti, quelli che hanno a cuore la loro crescita intellettiva. Se vengono abbandonati a loro stessi, scelgono quello che il mercato dei media sceglie per loro: repliche televisive, film scarsi, contenuti poveri. È questa la grande sfida: aiutarli a scegliere, da persone indipendenti».

E la scuola è il perno.

«La scuola, la biblioteca, le librerie e la famiglia il cui contributo è fondamentale: un genitore che legge e parla di libri rappresenta lo stimolo forse più convincente!».

Lei da scrittrice come vede il rapporto dei giovani di oggi con le tecnologie?

«Sono sempre stata dell’idea che la realtà e il progresso non debbano essere demonizzati. Certo, ci vogliono adulti capaci di accompagnarli in questo percorso di crescita e transizione, fin quando non riescono a camminare da soli. A scegliere, appunto».

Meglio usare computer e tablet o un bel libro di carta?

«Ambedue, purché, ripeto, ci sia un adulto in grado di guidare i ragazzi a non cadere nelle strumentalizzazioni. Anche WhatsApp può essere utile se favorisce lo scambio di immagini. In fondo viviamo in una società che si basa sulle immagini e non possiamo ignorarla. Vivremmo fuori dal mondo».

L’amaca, di Michele Serra – La Repubblica 28.03.15

Sulla controversa vicenda delle intercettazioni telefoniche c’è da prendere atto (mestamente) che il solo criterio che nessuno considera affidabile è l’autodisciplina dei media. Ovvero, il loro autonomo discernimento a proposito della rilevanza pubblica di quelle conversazioni; evitando (ovviamente) di pubblicare quelle che hanno carattere esclusivamente privato, la cui pubblicazione (vedi le varie macchine e macchinette del fango) ha il solo scopo di svergognare, umiliare e intimidire l’intercettato. La categoria dei giornalisti dispone, almeno sulla carta, di organi di autodisciplina interna, custodi della cosiddetta deontologia professionale. Per quanto corporativo, è un meccanismo che potrebbe avere una qualche efficacia: perfino il mondo del calcio, che non citerei come esempio preclaro di etica e autocontrollo, è in grado di comminare autonomamente provvedimenti disciplinari a carico dei suoi tesserati. In quarant’anni di giornalismo mi è capitato almeno cento volte di pensare che l’Ordine avrebbe potuto e dovuto intervenire a carico di conclamate porcherie di suoi iscritti; novantanove volte non lo ha fatto. Esattamente come accade ai politici, che essendo incapaci di darsi un codice di comportamento rispettabile sono poi soggetti, per forza di cose, al vaglio “esterno” della magistratura, così noi giornalisti paghiamo una imbarazzante incapacità di autodisciplina.

“Boldrini: «Come diceva don Diana solo i miti positivi smontano i boss»”, di Simona Brandolini – Corriere del Mezzogiorno 27.03.15

Due efferati episodi di cronaca nera in una sola giornata «e la sensazione di un territorio molto sofferente, messo a dura prova dalla presenza della criminalità organizzata che non fa altro che penalizzare quel territorio. Perché la sua azione violenta allontana qualsiasi possibilità di investimento e soprattutto di futuro». La presidente della Camera, Laura Boldrini, oggi sarà a Napoli per due iniziative. In mattinata sarà alla Federico II e poi alla Nco (Nuova cucina organizzata) di Casal di Principe. E ancora: «Vede, vorrei sfatare un mito che vuole fare della camorra la risposta alternativa alle assenze dello Stato, un falso clamoroso, perché la presenza malavitosa condanna il territorio all’abbandono e al sottosviluppo. Ciò che sta accadendo in Campania ne è la prova più evidente. E se non cresce l’attenzione delle istituzioni e della politica, il Sud sprofonda».

Presidente, ad Ottaviano i rapinatori erano due carabinieri. Secondo lei i cittadini cosa devono pensare?
«Intanto questo episodio va circoscritto. Si tratta di due mele marce e lo ripeto con forza, due mele marce, non i carabinieri. E i corrotti sono ovunque, perché siamo di fronte ad una crisi di sistema. Questi corto circuiti avvengono in tanti settori. In politica, tra i funzionari pubblici, tra i pubblici ufficiali, ma anche nel privato. E’ una crisi sociale profonda che ci deve far riflettere. Quando si punta il dito contro la politica, a volte a ragione, anche in quel caso va fatto un distinguo: non è che entrando a Montecitorio si prenda un virus. Chi all’interno delle istituzioni non dimostra “onore e disciplina” – come esige l’articolo 54 della Costituzione -, vuol dire che non lo aveva neanche prima».

 Secondo lei esiste una questione meridionale che il governo non sta affrontando?
«Il Sud è uscito dal dibattito pubblico in generale, non è più all’attenzione della politica né dei media. Ed è un grande errore. Un Sud che non va di pari passo col Centronord, sbilancia l’economia di tutto il Paese. Non è quindi lungimirante lasciarsi indietro il Mezzogiorno. L’Italia si riprenderà tutta insieme oppure no e allora mi sembrerebbe molto miope continuare a non dare la dovuta attenzione alle regioni meridionali. Ho partecipato due giorni fa alla presentazione del libro di Michele Ainis “La piccola eguaglianza”, in cui lui definisce il Sud lo scantinato d’Italia”.

È d’accordo con questa definizione?
«Sì. Ainis parla di eguaglianza molecolare come risposta all’aumento del divario sociale. In questo discorso i meridionali e le donne pagano il prezzo più alto della crisi e di una politica miope. E allora bisogna ricominciare proprio da loro. Il Meridione ha tutte le risorse, ma vanno valorizzate. Lo stesso vale per le donne, non promuoverle ha un costo altissimo in termini di Pil. Il Fondo monetario internazionale ha fatto uno studio e ha sottolineato che l’esclusione delle donne dal ciclo produttivo costa il 15 per cento del Pil».

Secondo lei quali sono le due o tre misure d’urgenza? 
«La lotta alla povertà sicuramente. La riforma della giustizia, che incide molto e va fatta. E poi la scuola è un settore strategico. Infine un vero piano di sviluppo economico mirato per risollevare i territori nei quali c’è stata più fuga e desertificazione industriale».

Quali sono invece le misure di contrasto alla criminalità organizzata? 
«Una delle priorità è colpire i patrimoni mafiosi, il che vuol dire non solo confiscarli ma anche utilizzarli realmente, altrimenti si rischia di fare un’azione che non crea beneficio al territorio. Quando quei beni sono messi a disposizione della comunità qualcosa di buono accade. Io domani (oggi per chi legge , ndr) vado a Casal di Principe, dove stanno per far partire un ristorante sociale e popolare in grado di creare economia e speranza. Ovviamente serve anche un sistema integrato tra istituzioni e associazioni. Come si fa? Mettendo a sistema le risorse nazionali e locali e agendo a livello culturale. Le leggi sono importanti, ma bisogna lavorare anche a livello culturale. Lo diceva don Puglisi in Sicilia, lo diceva don Peppe Diana in queste terre: solo i miti positivi possono smontare il mito del boss, del denaro facile, della violenza. Bisogna promuovere le figure che hanno lottato contro le mafie e vanno fatte conoscere. Il male deve avere un contraltare, altrimenti rischia di affascinare. Tutto questo, però, non vuol dire non parlare del problema, o oscurarlo. Di fronte a chi va avanti con la violenza c’è chi risponde con il rispetto. Ed è una risposta che va fatta conoscere».