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"La mappa del rischio sismico di 40mila scuole italiane" di Guido Romeo

I nuovi dati di 10 regioni: la tua scuola è in zona sismica? È stata controllata? Continua la campagna #scuolesicure. GUARDA LA MAPPA


Oggi mettiamo online i dati di oltre 40mila scuole, collocate in zone ad alto rischio sismico e non di dieci regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. La mappa che presentiamo è inedita. Nessuno finora aveva mappato quali scuole italiane sono state verificate per il rischio sismico. Il lavoro che abbiamo cominciato a Wired è però solo agli inizi. Resta ancora molto da fare, sia sul fronte delle verifiche sulla sicurezza sismica delle scuole, sia su quello della trasparenza dei loro esiti, ma sappiamo che, tra le scuole in zone a rischio, appena una su dieci è stata controllata e di moltissime non si conoscono nemmeno gli esiti delle perizie. Solo Lazio e Abruzzo, infatti, hanno finora pubblicato gli esiti delle verifiche sulle scuole, come abbiamo spiegato in quello che ormai è un piccolo dossier sul tema. Nelle prossime settimane pubblicheremo anche i dati relativi ad altre Regioni e ai nuovi dati che stiamo ottenendo dalle amministrazioni.

L’inchiesta di Wired ha finora ricostruito l’ ubicazione e i costi (li presenteremo a breve) delle verifiche fatte su poco più di 1.800 scuole tra le 40mila che pubblichiamo oggi. In tutta Italia ce ne risultano meno di 3mila. Sono una goccia nel mare se pensiamo che, nel complesso, nella nostra penisola ci sono oltre 50mila edifici scolastici e molti, inevitabilmente in aree ad altissimo rischio sismico. Il Ministero dell’Istruzione, infatti, ha indicato nei documenti pubblicati online che almeno 4.479 edifici hanno effettuato verifiche sismiche, ma che sono più di 13mila quelli in zone ad alto rischio (classificate 1 e 2). Stiamo cercando quelli che mancano ancora alla nostra mappa. Intanto, queste condizioni di difficoltà non sono ignorate da chi frequenta le scuole. Il recente rapporto di Cittadinanzattiva sulla percezione del rischio sismico mostra infatti che almeno il 20 per cento degli edifici è percepito come poco sicuro da chi li frequenta.

La mappa di #scuolesicure crescerà ancora nelle prossime settimane, aggiungendo scuole, dati sulle verifiche, storie di singole scuole e approfondimenti sulla spesa pubblica che stiamo raccogliendo. Molti genitori, ma anche insegnanti ed ex-studenti ci hanno contattato con commenti da tutta Italia e li ringraziamo.

Chi vuole aiutarci a migliorare la mappa di #scuolesicure con segnalazioni o correzioni (siamo inevitabilmente in una perenne versione beta) può scrivere a school@wired.it o seguire le indicazioni per inviarci informazioni.

da http://daily.wired.it/news/politica/2012/10/01/mappa-sicurezza-scuole-terremoto-123434.html

"La mappa del rischio sismico di 40mila scuole italiane" di Guido Romeo

I nuovi dati di 10 regioni: la tua scuola è in zona sismica? È stata controllata? Continua la campagna #scuolesicure. GUARDA LA MAPPA

Oggi mettiamo online i dati di oltre 40mila scuole, collocate in zone ad alto rischio sismico e non di dieci regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. La mappa che presentiamo è inedita. Nessuno finora aveva mappato quali scuole italiane sono state verificate per il rischio sismico. Il lavoro che abbiamo cominciato a Wired è però solo agli inizi. Resta ancora molto da fare, sia sul fronte delle verifiche sulla sicurezza sismica delle scuole, sia su quello della trasparenza dei loro esiti, ma sappiamo che, tra le scuole in zone a rischio, appena una su dieci è stata controllata e di moltissime non si conoscono nemmeno gli esiti delle perizie. Solo Lazio e Abruzzo, infatti, hanno finora pubblicato gli esiti delle verifiche sulle scuole, come abbiamo spiegato in quello che ormai è un piccolo dossier sul tema. Nelle prossime settimane pubblicheremo anche i dati relativi ad altre Regioni e ai nuovi dati che stiamo ottenendo dalle amministrazioni.
L’inchiesta di Wired ha finora ricostruito l’ ubicazione e i costi (li presenteremo a breve) delle verifiche fatte su poco più di 1.800 scuole tra le 40mila che pubblichiamo oggi. In tutta Italia ce ne risultano meno di 3mila. Sono una goccia nel mare se pensiamo che, nel complesso, nella nostra penisola ci sono oltre 50mila edifici scolastici e molti, inevitabilmente in aree ad altissimo rischio sismico. Il Ministero dell’Istruzione, infatti, ha indicato nei documenti pubblicati online che almeno 4.479 edifici hanno effettuato verifiche sismiche, ma che sono più di 13mila quelli in zone ad alto rischio (classificate 1 e 2). Stiamo cercando quelli che mancano ancora alla nostra mappa. Intanto, queste condizioni di difficoltà non sono ignorate da chi frequenta le scuole. Il recente rapporto di Cittadinanzattiva sulla percezione del rischio sismico mostra infatti che almeno il 20 per cento degli edifici è percepito come poco sicuro da chi li frequenta.
La mappa di #scuolesicure crescerà ancora nelle prossime settimane, aggiungendo scuole, dati sulle verifiche, storie di singole scuole e approfondimenti sulla spesa pubblica che stiamo raccogliendo. Molti genitori, ma anche insegnanti ed ex-studenti ci hanno contattato con commenti da tutta Italia e li ringraziamo.
Chi vuole aiutarci a migliorare la mappa di #scuolesicure con segnalazioni o correzioni (siamo inevitabilmente in una perenne versione beta) può scrivere a school@wired.it o seguire le indicazioni per inviarci informazioni.
da http://daily.wired.it/news/politica/2012/10/01/mappa-sicurezza-scuole-terremoto-123434.html

"Legge 953, sconfitta la linea aziendalista, arriva l'autogoverno partecipato e democratico", di Giovanni Belfiori

Intervista alla deputata Maria Coscia, capogruppo PD in Commissione Istruzione. Gli emendamenti sono il frutto di un lungo confronto con le associazioni. No alle fondazioni, rappresentanza paritaria genitori studenti, reintrodotto il consiglio di classe

“Abbiamo sconfitto la linea aziendalista che avrebbe voluto il centrodestra, e affermato la linea del PD per una scuola democratica, partecipata e aperta”: così Maria Coscia, da alcuni mesi capogruppo dei parlamentari PD in Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati, parla del lavoro politico che ha segnato un punto importante a favore di chi crede che il sistema nazionale dell’istruzione debba avere nell’autonomia scolastica la sua bussola. L’oggetto della conversazione con Maria Coscia è il disegno di legge n. 953 che detta le nuove “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali”.

Parlare di leggi a volte non è facile, soprattutto quando invece di leggere il testo, si lanciano accuse tutte ideologiche, senza nessun fondamento. Come avviene da qualche tempo per il testo unificato n. 953. Osvaldo Roman aveva già smontato punto per punto la tesi che il ddl 953 avesse accolto le proposte dell’on. Aprea, parlamentare del Pdl e già presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera, dimostrando che il testo si discosta del tutto dalla proposta Aprea del 2008.
“Non solo il testo si discosta -spiega Maria Coscia- ma si tratta proprio di un nuovo testo, completamente diverso dal precedente; un nuovo testo che affronta in profondità uno solo dei temi, quello dell’autogoverno delle scuole”.

Perché l’autogoverno, non ci sono già gli organi collegiali istituiti nel 1974?
Il tema andava affrontato proprio perché occorreva modificare la normativa del 1974, così da adeguarla e renderla coerente con le norme successive sull’autonomia scolastica.

Chi critica il testo di legge, afferma che con la 953 è passata la linea Aprea.
E non è vero, lo ripeto, è una bugia. Le nostre proposte sono sempre state alternative a quelle dell’Aprea, e dopo un lungo confronto la linea della destra è stata sconfitta ed è passata l’idea di costruire una scuola autonoma, punto di forza del sistema nazionale di istruzione, una scuola democratica, partecipata e aperta, quindi contro la linea dell’aziendalizzazione e delle fondazioni che avrebbe voluto Valentina Aprea.

L’IdV accusa il PD di aver scritto questo testo nelle segrete stanze del Palazzo, è così?
Macché! Il lavoro legislativo del Parlamento funziona anche attribuendo alle commissioni la funzione legislativa, fa parte del sistema democratico istituzionale. L’IdV non ha voluto partecipare ai lavori al comitato ristretto della Commissione Istruzione e non ha offerto alcun contributo. Solo in un secondo momento, quando è nato il testo di base, l’IdV ha presentato emendamenti. Molti di essi erano spot elettorali: chiedevano semplicemente l’abrogazione dei vari articoli; in altri casi ciò che proponevano era già stato previsti dal testo, mentre un paio di loro emendamenti è stato accolto.

C’è stato un lavoro di confronto fuori dal Parlamento?
Certo, il testo della 953 è il risultato di confronto con le associazioni durato oltre 3 anni.

Puoi dirci in breve quali risultati hanno portato gli emendamenti nati dal confronto del Pd con le associazioni della scuola?
Ad esempio la rappresentanza paritaria genitori-studenti, lo statuto che dovrà essere approvato da almeno 2/3 dei componenti del consiglio dell’autonomia e preceduto da un ampio confronto, la reintroduzione del consiglio di classe, l’istituzione di una commissione di monitoraggio per verificare la corretta applicazione della legge…

Quali sono i tempi per l’approvazione?
Il testo è ora sottoposta al parere di altre commissione, poi sarà approvato definitivamente per passare all’esame del Senato.

Clicca qui per scaricare il testo della 953 come modificato dagli emendamenti approvati

da http://www.partitodemocratico.it/doc/243982/legge-953-sconfitta-la-linea-aziendalista-arriva-lautogoverno-partecipato-e-democratico.htm

"Legge 953, sconfitta la linea aziendalista, arriva l'autogoverno partecipato e democratico", di Giovanni Belfiori

Intervista alla deputata Maria Coscia, capogruppo PD in Commissione Istruzione. Gli emendamenti sono il frutto di un lungo confronto con le associazioni. No alle fondazioni, rappresentanza paritaria genitori studenti, reintrodotto il consiglio di classe
“Abbiamo sconfitto la linea aziendalista che avrebbe voluto il centrodestra, e affermato la linea del PD per una scuola democratica, partecipata e aperta”: così Maria Coscia, da alcuni mesi capogruppo dei parlamentari PD in Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati, parla del lavoro politico che ha segnato un punto importante a favore di chi crede che il sistema nazionale dell’istruzione debba avere nell’autonomia scolastica la sua bussola. L’oggetto della conversazione con Maria Coscia è il disegno di legge n. 953 che detta le nuove “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali”.
Parlare di leggi a volte non è facile, soprattutto quando invece di leggere il testo, si lanciano accuse tutte ideologiche, senza nessun fondamento. Come avviene da qualche tempo per il testo unificato n. 953. Osvaldo Roman aveva già smontato punto per punto la tesi che il ddl 953 avesse accolto le proposte dell’on. Aprea, parlamentare del Pdl e già presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera, dimostrando che il testo si discosta del tutto dalla proposta Aprea del 2008.
“Non solo il testo si discosta -spiega Maria Coscia- ma si tratta proprio di un nuovo testo, completamente diverso dal precedente; un nuovo testo che affronta in profondità uno solo dei temi, quello dell’autogoverno delle scuole”.
Perché l’autogoverno, non ci sono già gli organi collegiali istituiti nel 1974?
Il tema andava affrontato proprio perché occorreva modificare la normativa del 1974, così da adeguarla e renderla coerente con le norme successive sull’autonomia scolastica.
Chi critica il testo di legge, afferma che con la 953 è passata la linea Aprea.
E non è vero, lo ripeto, è una bugia. Le nostre proposte sono sempre state alternative a quelle dell’Aprea, e dopo un lungo confronto la linea della destra è stata sconfitta ed è passata l’idea di costruire una scuola autonoma, punto di forza del sistema nazionale di istruzione, una scuola democratica, partecipata e aperta, quindi contro la linea dell’aziendalizzazione e delle fondazioni che avrebbe voluto Valentina Aprea.
L’IdV accusa il PD di aver scritto questo testo nelle segrete stanze del Palazzo, è così?
Macché! Il lavoro legislativo del Parlamento funziona anche attribuendo alle commissioni la funzione legislativa, fa parte del sistema democratico istituzionale. L’IdV non ha voluto partecipare ai lavori al comitato ristretto della Commissione Istruzione e non ha offerto alcun contributo. Solo in un secondo momento, quando è nato il testo di base, l’IdV ha presentato emendamenti. Molti di essi erano spot elettorali: chiedevano semplicemente l’abrogazione dei vari articoli; in altri casi ciò che proponevano era già stato previsti dal testo, mentre un paio di loro emendamenti è stato accolto.
C’è stato un lavoro di confronto fuori dal Parlamento?
Certo, il testo della 953 è il risultato di confronto con le associazioni durato oltre 3 anni.
Puoi dirci in breve quali risultati hanno portato gli emendamenti nati dal confronto del Pd con le associazioni della scuola?
Ad esempio la rappresentanza paritaria genitori-studenti, lo statuto che dovrà essere approvato da almeno 2/3 dei componenti del consiglio dell’autonomia e preceduto da un ampio confronto, la reintroduzione del consiglio di classe, l’istituzione di una commissione di monitoraggio per verificare la corretta applicazione della legge…
Quali sono i tempi per l’approvazione?
Il testo è ora sottoposta al parere di altre commissione, poi sarà approvato definitivamente per passare all’esame del Senato.
Clicca qui per scaricare il testo della 953 come modificato dagli emendamenti approvati
da http://www.partitodemocratico.it/doc/243982/legge-953-sconfitta-la-linea-aziendalista-arriva-lautogoverno-partecipato-e-democratico.htm

“Lazio subito alle urne Il voto entro 90 giorni”, di Grazia Longo

No all’election day, meglio elezioni entro Natale. È il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri ad annunciare che «entro 90 giorni» i cittadini laziali dovranno tornare a votare. «Prima si va alle urne e meglio è» afferma il numero uno del Viminale, tanto più che le regioni non possono essere commissariate. Si allontana così la possibilità di un accorpamento delle regionali alle politiche e le comunali nella prossima primavera. E il Lazio si candida a diventare il laboratorio politico nazionale, il banco di prova per future alleanze in previsione o meno del Monti bis. E mentre si scalda la macchina organizzativa delle elezioni regionali, si scatena anche il totocandidati. In un’atmosfera sicuramente non facile all’indomani dello scandalo nel Pdl regionale – con l’accusa di peculato all’ex capogruppo Franco Fiorito e i suoi due capi segreteria che potrebbe sfociare nell’associazione a delinquere – che ha travolto la giunta Polverini.
Si intravedono equilibri precari sia nel centro-destra, sia nel centro-sinistra. Unico punto fermo, l’intenzione in entrambi gli schieramenti di non candidare i consiglieri regionali uscenti. Nel Pd il candidato naturale sembra essere il segretario regionale Enrico Gasparra, che pare tuttavia orientato a preferire un ruolo da «regista». In pole position, almeno per ora, c’è David Sassoli, capogruppo del Pd a Strasburgo e giornalista Rai. Anche i veltroniani stanno valutando di puntare su un proprio uomo di riferimento: l’ex assessore capitolino alla Sicurezza e deputato dem, Jean Leonard Touadi, già ribattezzato «l’Obama della Pisana». Spiccano però anche i nomi di Paolo Gentiloni, dell’ex ministro Giovanna Melandri e dell’eurodeputata Silvia Costa (sostenuta dai parlamentari vicini a Dario Franceschini).
Nel Pdl – dove il segretario nazionale Angelino Alfano ha rimarcato la distanza dall’inquisito Fiorito escludendo la possibilità di candidare i consiglieri uscenti – la situazione è più caotica. Oggi potrebbe addirittura arrivare un commisario per il partito regionale, da anni coordinato da quel Vincenzo Piso, rimasto in sella anche dopo il caso del «panino di Milioni», da cui discende tutta l’instabilità della Regione. C’è anche aria di guerra: da una parte l’asse Tajani-Rampelli, dall’altra quello AlemannoSammarco. Il mini-rimpasto finale della governatrice (che ha defenestrato tajanisti e rampelliani) li ha spezzati. Difficile
I partiti e il toto-candidati trovare un nome di corrente su cui convergere.
I rumors – al di là del sospetto di perdere la competizione elettorale – danno per meno probabili sia la candidatura dell’influente Andrea Augello, sia quella di Giorgia Meloni, rampelliana doc. Meglio, semmai, puntare su un volto come Luisa Todini, imprenditrice nel cda Rai (che nel 2010 fu scavalcata dalla prescelta Polverini) o anche sull’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, Tra gli altri nomi, Beatrice Lorenzin deputata Pdl e l’ex governatore Francesco Storace, segretario de La Destra.
Per quanto riguarda la scadenza elettorale, invece, ecco lo scenario. I tre mesi scadono il 28 dicembre. Ma in base alla legge, la dimissionaria Renata Polverini deve far trascorrere necessariamente almeno 45 giorni tra il decreto e la data del voto. Il tempo, insomma, stringe. Anche perché, per via delle festività, gli ultimi giorni dei tre mesi sono poco praticabili. Se per ipotesi la Polverini (che non ha nascosto di preferire l’accorpamento del ricorso alle urne in un unico giorno) emanasse il decreto oggi, la prima data utile sarebbe il 16 novembre, che però è un venerdì. La domenica immediatamente successiva è il 18 novembre.
Le domeniche successive sono il 25 novembre e il 2 dicembre. Domenica 9 dicembre è in pieno ponte dell’Immacolata, e sembra poco indicata. E infine c’è domenica 16, perché la successiva è il 23 dicembre. Oltre, si supera il limite di 90 giorni voluto dal ministro Cancellieri.

La Stampa 01.10.12

"Il problema grave delle primarie è che le fa solo il Pd", di Carolo Buttaroni

Voterò alle primarie della sinistra dando la mia preferenza a Matteo Renzi (…). Se alla fine Renzi risulterà vincitore, alle prossime elezioni voterò per il Pd; se i vincitori saranno Bersani o Vendola me ne guarderò bene.(…)? È scandaloso tutto ciò? In molti ritengono di sì.(…). Eppure, quel diritto io ritengo di possederlo». Sofia Ventura, giornalista ed editorialista, è l’autrice dell’articolo uscito sul Foglio da cui è tratto il virgolettato. Un articolo che ha fatto discutere, perché la Ventura è un’intellettuale di destra e interpreta un sentimento diffuso tra gli elettori della sua area politica. Un elettorato, per molti versi, orfano di leader e partiti capaci di perimetrare un campo politico, che intende partecipare alle primarie del centrosinistra anche per sopperire alla sensazione d’impotenza che nasce dal non poter compiere una scelta analoga all’interno della loro area.
Non sono pochi, infatti, gli elettori di destra che la pensano come la Ventura, delusi della degenerazione che ha segnato il crepuscolo berlusconiano, e da cui lo stesso Berlusconi sembra prendere ora le distanze. Alcuni di questi si stanno attivando per partecipare, in modo organizzato, alle primarie del centrosinistra. Non per inquinare la competizione, come alcuni temono, ma semplicemente per dire la loro.
La Ventura si chiede se questo comportamento sia scandaloso. E la risposta, sotto questo punto di vista, non può che essere negativa. Non è scandaloso perché questo tipo di scelta non prefigura una categoria morale. Semmai, ciò che occorre chiedersi è se è legittimo. È possibile, cioè, che un partito scelga il proprio leader e la propria politica, con il contributo, magari decisivo, di chi la pensa diversamente, tanto da collocarsi su un campo politico opposto? E se gli elettori di destra contribuiscono a scegliere il leader della sinistra (e viceversa) non c’è il rischio che, alla fine, i leader somiglino sempre meno agli elettori che sono chiamati a rappresentare? Non sarebbe più corretto, invece, che fossero espressione d’idee e valori che interpretano la società nello stesso modo e guardano il futuro con le stesse ottiche, trovando forma compiuta in un progetto politico? Non sarebbe più giusto che un progetto politico ottenga il consenso anche di elettori di destra ma solo dopo la sua nascita, al momento del voto politico, anziché alle primarie? Sono queste le domande che solleva l’intervento di Sofia Ventura. Sarebbe stato del tutto normale se avesse annunciato il suo voto al Pd nel caso di vittoria di Matteo Renzi. Ma annunciare il contrario, cioè di votare alle primarie Renzi e, solo in caso di successo di quest’ultimo, il conseguente voto al Pd, non ha nulla a che fare con la dimensione morale, ma apre la discussione sul funzionamento di un sistema che ambisce a governare i processi politici e che fonda la legittimità delle azioni sulla dialettica democratica e sulle scelte che ne conseguono.
LEADERSHIP E DEMOCRAZIA
Certo è che il ragionamento della Ventura è espressione di una visione individuale della partecipazione, dove tutto è trasferito al leader e dove tutto si risolve nell’esercitare il voto. Mentre nel mezzo c’è l’entropia che si alimenta del nichilismo di un pensiero debole, che ha messo in dissolvenza la forza della partecipazione collettiva e della rappresentanza sociale, che caratterizzavano le organizzazioni politiche di massa del Novecento. Al posto delle visioni totalizzanti, figlie d’ideologie immutabili, si è affermato il loro contrario: un palinsesto simbolico perennemente provvisorio che si è nutrito di politiche fast food, dove sono contati gli aggettivi anziché i sostantivi. Non a caso “nuovo” è stata la parola evocativa della Seconda Repubblica. A prescindere da ciò che doveva qualificare, e senza sottintendere né cosa, né come, sarebbe stato realmente il “nuovo”.
Se le prossime primarie del centrosinistra e del Pd devono rappresentare una svolta anche in questo senso e non limitarsi a offrire l’occasione per scegliere il leader del partito o della coalizione occorre un cambio di prospettiva. Perché la vera cifra del rinnovamento non la restituisce il tasso di ricorso alla società civile (che per sua natura non è né buona né cattiva), o lo stato anagrafico dei leader e degli staff ma la qualità delle idee e dei pensieri. Cioè, la politica e la declinazione delle sue azioni. È sotto questo punto di vista che le parole della Ventura pongono più domande di quante siano le risposte. Perché prima ancora di quali leader, bisogna chiedersi quali politiche. E poi quali partiti. E ancora quale organizzazione interna deve trovare corpo in un processo di selezione delle leadership. Solo così le primarie hanno un senso partecipativo non ambiguo rispetto a un modello di partito, a un’idea di società, a una visione politica più generale.
È qui il punto fondamentale che riguarda le prossime primarie del centrosinistra. Perché in gioco c’è anche la capacità di dar vita a processi di democrazia interna orientati a una logica unitaria, governati da un soggetto politico che vuole mantenere il suo carattere di attore organizzativo. E che nel fare questo assume le primarie come uno strumento consapevole della propria strategia di rapporto con un’area politica che ha pensieri e visioni comuni.
Le primarie finora hanno assolto efficacemente alla funzione di restituire una legittimazione alle leadership che il circuito interno non avrebbe potuto garantire, di sollecitare una mobilitazione che i tradizionali canali non sarebbero stati in grado di attivare. Ma, oggi, questo non è più sufficiente. E ciò che è la forza delle primarie rischia anche di essere il suo limite, nel momento in cui l’arena competitiva deregolata rischia di far degenerare le primarie da strumento democratico di un’area politica (che conserva la propria identità e il proprio profilo), a un campo su cui si scaricano le tensioni interne ed esterne, che riflettono la crisi più generale di sistema. Perché mai, altrimenti, elettori convintamente di destra, dovrebbero scegliere un progetto e un leader dello schieramento opposto?
IL RUOLO DEI PARTITI
Il modo migliore per cercare delle risposte a questa domanda è chiedersi se il ruolo che i partiti hanno storicamente svolto, oggi sia effettivamente esaurito, o se piuttosto non debba, in qualche modo, essere ripreso e reinterpretato. E le risposte non possono che essere in questa seconda opzione. Seppur in forme completamente diverse dal passato, il Paese ha bisogno di partiti dotati di un’ampia base associativa, capaci di riprendere tutte le funzioni che storicamente hanno svolto, come l’aggregazione e l’integrazione degli interessi sociali, il reclutamento del personale politico, l’integrazione sociale, la mobilitazione e la partecipazione, la formazione delle politiche pubbliche. Alcune delle ragioni che hanno portato al deficit attuale di queste funzioni sono storiche, altre contingenti. Ma tra le cause vi è anche il progressivo disgregarsi dei legami organizzativi.
Si può anche ritenere irreversibile un sistema politico, come quello attuale, che guarda con diffidenza al livello di competenza dei cittadini. Ma se si vuole invertire la direzione di marcia che ha condotto i partiti a svolgere un ruolo prevalentemente elettorale, allora anche le primarie devono essere declinate diversamente. Ed è in questa prospettiva che il ragionamento della Ventura non troverebbe spazio. Perché gli elettori del centrodestra dovrebbero aspirare alle loro primarie. Ed è paradossale che ciò non sia ancora avvenuto, perché la Ventura e con lei quanti pensano che la destra in Italia abbia un futuro da incontrare ha tutto il diritto
di scegliere un leader e un progetto politico. Affinché le primarie siano la leva di un rinnovamento effettivo del sistema occorre che tutti i partiti non solo il Pd o il centrosinistra – iscrivano nel proprio dna le regole della partecipazione democratica. E per fare questo è necessario che la politica riprenda il suo ruolo, perché senza politica non ci sono campi su cui investire, ma solo leader da legittimare.

L’Unità 01.10.12

"Il problema grave delle primarie è che le fa solo il Pd", di Carolo Buttaroni

Voterò alle primarie della sinistra dando la mia preferenza a Matteo Renzi (…). Se alla fine Renzi risulterà vincitore, alle prossime elezioni voterò per il Pd; se i vincitori saranno Bersani o Vendola me ne guarderò bene.(…)? È scandaloso tutto ciò? In molti ritengono di sì.(…). Eppure, quel diritto io ritengo di possederlo». Sofia Ventura, giornalista ed editorialista, è l’autrice dell’articolo uscito sul Foglio da cui è tratto il virgolettato. Un articolo che ha fatto discutere, perché la Ventura è un’intellettuale di destra e interpreta un sentimento diffuso tra gli elettori della sua area politica. Un elettorato, per molti versi, orfano di leader e partiti capaci di perimetrare un campo politico, che intende partecipare alle primarie del centrosinistra anche per sopperire alla sensazione d’impotenza che nasce dal non poter compiere una scelta analoga all’interno della loro area.
Non sono pochi, infatti, gli elettori di destra che la pensano come la Ventura, delusi della degenerazione che ha segnato il crepuscolo berlusconiano, e da cui lo stesso Berlusconi sembra prendere ora le distanze. Alcuni di questi si stanno attivando per partecipare, in modo organizzato, alle primarie del centrosinistra. Non per inquinare la competizione, come alcuni temono, ma semplicemente per dire la loro.
La Ventura si chiede se questo comportamento sia scandaloso. E la risposta, sotto questo punto di vista, non può che essere negativa. Non è scandaloso perché questo tipo di scelta non prefigura una categoria morale. Semmai, ciò che occorre chiedersi è se è legittimo. È possibile, cioè, che un partito scelga il proprio leader e la propria politica, con il contributo, magari decisivo, di chi la pensa diversamente, tanto da collocarsi su un campo politico opposto? E se gli elettori di destra contribuiscono a scegliere il leader della sinistra (e viceversa) non c’è il rischio che, alla fine, i leader somiglino sempre meno agli elettori che sono chiamati a rappresentare? Non sarebbe più corretto, invece, che fossero espressione d’idee e valori che interpretano la società nello stesso modo e guardano il futuro con le stesse ottiche, trovando forma compiuta in un progetto politico? Non sarebbe più giusto che un progetto politico ottenga il consenso anche di elettori di destra ma solo dopo la sua nascita, al momento del voto politico, anziché alle primarie? Sono queste le domande che solleva l’intervento di Sofia Ventura. Sarebbe stato del tutto normale se avesse annunciato il suo voto al Pd nel caso di vittoria di Matteo Renzi. Ma annunciare il contrario, cioè di votare alle primarie Renzi e, solo in caso di successo di quest’ultimo, il conseguente voto al Pd, non ha nulla a che fare con la dimensione morale, ma apre la discussione sul funzionamento di un sistema che ambisce a governare i processi politici e che fonda la legittimità delle azioni sulla dialettica democratica e sulle scelte che ne conseguono.
LEADERSHIP E DEMOCRAZIA
Certo è che il ragionamento della Ventura è espressione di una visione individuale della partecipazione, dove tutto è trasferito al leader e dove tutto si risolve nell’esercitare il voto. Mentre nel mezzo c’è l’entropia che si alimenta del nichilismo di un pensiero debole, che ha messo in dissolvenza la forza della partecipazione collettiva e della rappresentanza sociale, che caratterizzavano le organizzazioni politiche di massa del Novecento. Al posto delle visioni totalizzanti, figlie d’ideologie immutabili, si è affermato il loro contrario: un palinsesto simbolico perennemente provvisorio che si è nutrito di politiche fast food, dove sono contati gli aggettivi anziché i sostantivi. Non a caso “nuovo” è stata la parola evocativa della Seconda Repubblica. A prescindere da ciò che doveva qualificare, e senza sottintendere né cosa, né come, sarebbe stato realmente il “nuovo”.
Se le prossime primarie del centrosinistra e del Pd devono rappresentare una svolta anche in questo senso e non limitarsi a offrire l’occasione per scegliere il leader del partito o della coalizione occorre un cambio di prospettiva. Perché la vera cifra del rinnovamento non la restituisce il tasso di ricorso alla società civile (che per sua natura non è né buona né cattiva), o lo stato anagrafico dei leader e degli staff ma la qualità delle idee e dei pensieri. Cioè, la politica e la declinazione delle sue azioni. È sotto questo punto di vista che le parole della Ventura pongono più domande di quante siano le risposte. Perché prima ancora di quali leader, bisogna chiedersi quali politiche. E poi quali partiti. E ancora quale organizzazione interna deve trovare corpo in un processo di selezione delle leadership. Solo così le primarie hanno un senso partecipativo non ambiguo rispetto a un modello di partito, a un’idea di società, a una visione politica più generale.
È qui il punto fondamentale che riguarda le prossime primarie del centrosinistra. Perché in gioco c’è anche la capacità di dar vita a processi di democrazia interna orientati a una logica unitaria, governati da un soggetto politico che vuole mantenere il suo carattere di attore organizzativo. E che nel fare questo assume le primarie come uno strumento consapevole della propria strategia di rapporto con un’area politica che ha pensieri e visioni comuni.
Le primarie finora hanno assolto efficacemente alla funzione di restituire una legittimazione alle leadership che il circuito interno non avrebbe potuto garantire, di sollecitare una mobilitazione che i tradizionali canali non sarebbero stati in grado di attivare. Ma, oggi, questo non è più sufficiente. E ciò che è la forza delle primarie rischia anche di essere il suo limite, nel momento in cui l’arena competitiva deregolata rischia di far degenerare le primarie da strumento democratico di un’area politica (che conserva la propria identità e il proprio profilo), a un campo su cui si scaricano le tensioni interne ed esterne, che riflettono la crisi più generale di sistema. Perché mai, altrimenti, elettori convintamente di destra, dovrebbero scegliere un progetto e un leader dello schieramento opposto?
IL RUOLO DEI PARTITI
Il modo migliore per cercare delle risposte a questa domanda è chiedersi se il ruolo che i partiti hanno storicamente svolto, oggi sia effettivamente esaurito, o se piuttosto non debba, in qualche modo, essere ripreso e reinterpretato. E le risposte non possono che essere in questa seconda opzione. Seppur in forme completamente diverse dal passato, il Paese ha bisogno di partiti dotati di un’ampia base associativa, capaci di riprendere tutte le funzioni che storicamente hanno svolto, come l’aggregazione e l’integrazione degli interessi sociali, il reclutamento del personale politico, l’integrazione sociale, la mobilitazione e la partecipazione, la formazione delle politiche pubbliche. Alcune delle ragioni che hanno portato al deficit attuale di queste funzioni sono storiche, altre contingenti. Ma tra le cause vi è anche il progressivo disgregarsi dei legami organizzativi.
Si può anche ritenere irreversibile un sistema politico, come quello attuale, che guarda con diffidenza al livello di competenza dei cittadini. Ma se si vuole invertire la direzione di marcia che ha condotto i partiti a svolgere un ruolo prevalentemente elettorale, allora anche le primarie devono essere declinate diversamente. Ed è in questa prospettiva che il ragionamento della Ventura non troverebbe spazio. Perché gli elettori del centrodestra dovrebbero aspirare alle loro primarie. Ed è paradossale che ciò non sia ancora avvenuto, perché la Ventura e con lei quanti pensano che la destra in Italia abbia un futuro da incontrare ha tutto il diritto
di scegliere un leader e un progetto politico. Affinché le primarie siano la leva di un rinnovamento effettivo del sistema occorre che tutti i partiti non solo il Pd o il centrosinistra – iscrivano nel proprio dna le regole della partecipazione democratica. E per fare questo è necessario che la politica riprenda il suo ruolo, perché senza politica non ci sono campi su cui investire, ma solo leader da legittimare.
L’Unità 01.10.12