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"Un nuovo anno scolastico", di Dario Missaglia

È proprio vero che questa crisi sta cambiando in profondità il Paese. Ogni anno, la fine di settembre ha rappresentato l’appuntamento obbligato, di stampa e tv, per tornare a discutere di scuola. A fare da richiamo i classici temi: l’aumento del costo dei libri, la carenza di aule e locali dignitosi, l’attesa per le nomine che non si concluderanno prima di novembre, l’annuncio di riforme a futura memoria e via dicendo. Per almeno una settimana, il tema scuola tornava di attualità in qualche modo favorendo una ripresa di discussione.

Quest’anno la notizia si è bruciata in un giorno e non perché la situazione nella scuola sia migliore degli anni precedenti. Anche l’annuncio del Ministro Profumo di un concorso per nuove assunzioni di insegnanti, non è riuscito più di tanto a guadagnare la prima pagina.

Il dato vero, dunque, è la progressiva marginalità della scuola; marginalità non solo politica, giacchè il tema non compare mai negli appuntamenti e negli interventi che contano ma anche sociale. Con questa crisi, questo è il messaggio implicito, ci sono ben altri problemi: il caro vita, le tasse, l’occupazione, la fame di lavoro, le tutele per chi il lavoro lo vede in discussione.

E allora se qualche migliaio di giovani decide di non andare più a scuola, se altri ripiegano sul primo corso tecnico/professionale con la speranza di poterlo spendere al più presto, se altri , di fronte al primo insuccesso si ritirano dalla scuola, tutto ciò non “fa notizia”.

E davvero se al 17 settembre i bambini delle zone terremotate non ci avessero comunicato le loro emozioni per un anno così speciale, vissuto tra tendoni e aule improvvisate, ben pochi avrebbero colto questo inizio d’anno.

Ovviamente lo scenario cambia se si osservano i siti “specializzati” o quelli delle organizzazioni sindacali. Qui ribolle lo scontento, la frustrazione e la sensazione di abbandono. Restano appese nel vuoto le “ innovazioni “ del precedente Governo: dalla scuola di base al riordino dei cicli. Carte, documenti e testi che avrebbero dovuto essere implementati con azioni significative di formazione che nessuno ha visto. E resta sullo sfondo la politica del Ministro Profumo. Perché si colgono alcuni segni quali il progetto contro la dispersione nel Sud o il piano per la scuola digitale ma la sensazione è quella di frammenti che non fanno una strategia. Forse dietro questa realtà c’è un dato vero: il tempo a disposizione di questo Governo è troppo breve per impostare un programma di qualche respiro e la durezza della situazione economica rilancia continuamente altre priorità.

E allora il Ministro ha fatto la scelta del “ concorso” come timbro anche a futura memoria della sua azione. Francamente non so se abbia avuto chiaro sin dall’inizio il ginepraio di contraddizioni in cui stava per cacciarsi. Il concorso infatti riapre una delle contraddizioni del sistema più spinose. Non è facile infatti trovare un sensato equilibrio tra le aspettative maturate da quanti per anni, anche avendo vinto un concorso precedente, restano in graduatoria in attesa della fatidica chiamata ; oppure i più giovani che hanno anche investito economicamente per il nuovo percorso abilitante (TFA) e ora si vedranno proporre un concorso che comunque drenerà posti disponibili ma ben difficilmente potrà “ringiovanire” la categoria dei docenti..

Un complicato conflitto di interessi che diventerà, ne siamo sicuri, conflitto giuridico a tutto campo con ricorsi di ogni genere che ancora una volta affideranno alla magistratura amministrativa i destini finali delle scelte sul campo.Sul piano politico c’è da registrare la netta contrarietà al concorso dell’On. Aprea (Pdl); lei ha sempre sostenuto la necessità dell’assunzione diretta dei docenti da parte delle scuole. E forse, su questa contrarietà, bisognerebbe riflettere con calma.

Di fronte a tutto ciò le scuole ricominciano l’anno e i milioni di studenti che tornano ad affollare le aule , non lasciano scampo; a loro non puoi dire “ ripassate più tardi” o “aspettiamo un nuovo governo”. E allora le scuole raccolgono le loro forze, la qualità delle esperienze realizzate e provano a fare dell’autonomia una risorsa anche per sopravvivere in tempi così incerti. Ma anche dietro questo sforzo, così apprezzabile, emerge una domanda di politica che per ora non trova risposte significative. Nell’agenda-Monti,il tema della scuola ( ed anche formazione e ricerca) ha un ruolo decisamente marginale; nessuno dovrebbe dimenticarlo, compresi coloro che anche dal versante progressista hanno apprezzato il Governo per alcune scelte. Ma la politica è in grado di esprimere una proposta per la scuola? Nelle sue ultime esperienze il centro sinistra ha puntato sull’autonomia come leva per un cambiamento complessivo dell’istruzione/formazione. Quel generoso tentativo meriterebbe una riflessione approfondita ma certo ha rappresentato una proposta strategica di lungo periodo. E ora? Che cosa è in grado di proporre il variegato mondo della sinistra e dintorni? Sarebbe importante che i partiti cogliessero questa esigenza di “politica” che proviene anche dallo scenario sociale della scuola e della formazione..

L’unica parola forte pronunciata in occasione dell’inizio dell’anno scolastico , l’ha pronunciata ancora una volta il Presidente Napolitano. Non era certo la prima volta che il Presidente cogliesse l’occasione al Vittoriano per richiamare una cultura della legalità quale base etica per il futuro del Paese. Ma in questa circostanza, l’ultima, dal punto di vista istituzionale, il Presidente ha usato una parola nuova :“ vergogna”, riferita ai noti fatti di spreco delle risorse pubbliche. “Vergogna” è un termine inusuale in politica perché essa si produce non solo in relazione a una possibile sanzione esterna; è innanzitutto un giudizio su se stessi prima ancora che il timore di un giudizio degli altri. Vergogna esprime quindi un sentimento profondo e doloroso perché solo chi prova vergogna può aprire le porte al suo contrario: la riconquista della stima , della dignità.

Il fatto che pochissimi del mondo politico abbiano notato questa dolorosa manifestazione, ci lascia capire fino in fondo la profondità della caduta della politica. Non resta che sperare che il sussulto del Presidente sia foriero di un nuovo scatto per il futuro del Paese.

da ScuolaOggi 02.10.12

"Un nuovo anno scolastico", di Dario Missaglia

È proprio vero che questa crisi sta cambiando in profondità il Paese. Ogni anno, la fine di settembre ha rappresentato l’appuntamento obbligato, di stampa e tv, per tornare a discutere di scuola. A fare da richiamo i classici temi: l’aumento del costo dei libri, la carenza di aule e locali dignitosi, l’attesa per le nomine che non si concluderanno prima di novembre, l’annuncio di riforme a futura memoria e via dicendo. Per almeno una settimana, il tema scuola tornava di attualità in qualche modo favorendo una ripresa di discussione.
Quest’anno la notizia si è bruciata in un giorno e non perché la situazione nella scuola sia migliore degli anni precedenti. Anche l’annuncio del Ministro Profumo di un concorso per nuove assunzioni di insegnanti, non è riuscito più di tanto a guadagnare la prima pagina.
Il dato vero, dunque, è la progressiva marginalità della scuola; marginalità non solo politica, giacchè il tema non compare mai negli appuntamenti e negli interventi che contano ma anche sociale. Con questa crisi, questo è il messaggio implicito, ci sono ben altri problemi: il caro vita, le tasse, l’occupazione, la fame di lavoro, le tutele per chi il lavoro lo vede in discussione.
E allora se qualche migliaio di giovani decide di non andare più a scuola, se altri ripiegano sul primo corso tecnico/professionale con la speranza di poterlo spendere al più presto, se altri , di fronte al primo insuccesso si ritirano dalla scuola, tutto ciò non “fa notizia”.
E davvero se al 17 settembre i bambini delle zone terremotate non ci avessero comunicato le loro emozioni per un anno così speciale, vissuto tra tendoni e aule improvvisate, ben pochi avrebbero colto questo inizio d’anno.
Ovviamente lo scenario cambia se si osservano i siti “specializzati” o quelli delle organizzazioni sindacali. Qui ribolle lo scontento, la frustrazione e la sensazione di abbandono. Restano appese nel vuoto le “ innovazioni “ del precedente Governo: dalla scuola di base al riordino dei cicli. Carte, documenti e testi che avrebbero dovuto essere implementati con azioni significative di formazione che nessuno ha visto. E resta sullo sfondo la politica del Ministro Profumo. Perché si colgono alcuni segni quali il progetto contro la dispersione nel Sud o il piano per la scuola digitale ma la sensazione è quella di frammenti che non fanno una strategia. Forse dietro questa realtà c’è un dato vero: il tempo a disposizione di questo Governo è troppo breve per impostare un programma di qualche respiro e la durezza della situazione economica rilancia continuamente altre priorità.
E allora il Ministro ha fatto la scelta del “ concorso” come timbro anche a futura memoria della sua azione. Francamente non so se abbia avuto chiaro sin dall’inizio il ginepraio di contraddizioni in cui stava per cacciarsi. Il concorso infatti riapre una delle contraddizioni del sistema più spinose. Non è facile infatti trovare un sensato equilibrio tra le aspettative maturate da quanti per anni, anche avendo vinto un concorso precedente, restano in graduatoria in attesa della fatidica chiamata ; oppure i più giovani che hanno anche investito economicamente per il nuovo percorso abilitante (TFA) e ora si vedranno proporre un concorso che comunque drenerà posti disponibili ma ben difficilmente potrà “ringiovanire” la categoria dei docenti..
Un complicato conflitto di interessi che diventerà, ne siamo sicuri, conflitto giuridico a tutto campo con ricorsi di ogni genere che ancora una volta affideranno alla magistratura amministrativa i destini finali delle scelte sul campo.Sul piano politico c’è da registrare la netta contrarietà al concorso dell’On. Aprea (Pdl); lei ha sempre sostenuto la necessità dell’assunzione diretta dei docenti da parte delle scuole. E forse, su questa contrarietà, bisognerebbe riflettere con calma.
Di fronte a tutto ciò le scuole ricominciano l’anno e i milioni di studenti che tornano ad affollare le aule , non lasciano scampo; a loro non puoi dire “ ripassate più tardi” o “aspettiamo un nuovo governo”. E allora le scuole raccolgono le loro forze, la qualità delle esperienze realizzate e provano a fare dell’autonomia una risorsa anche per sopravvivere in tempi così incerti. Ma anche dietro questo sforzo, così apprezzabile, emerge una domanda di politica che per ora non trova risposte significative. Nell’agenda-Monti,il tema della scuola ( ed anche formazione e ricerca) ha un ruolo decisamente marginale; nessuno dovrebbe dimenticarlo, compresi coloro che anche dal versante progressista hanno apprezzato il Governo per alcune scelte. Ma la politica è in grado di esprimere una proposta per la scuola? Nelle sue ultime esperienze il centro sinistra ha puntato sull’autonomia come leva per un cambiamento complessivo dell’istruzione/formazione. Quel generoso tentativo meriterebbe una riflessione approfondita ma certo ha rappresentato una proposta strategica di lungo periodo. E ora? Che cosa è in grado di proporre il variegato mondo della sinistra e dintorni? Sarebbe importante che i partiti cogliessero questa esigenza di “politica” che proviene anche dallo scenario sociale della scuola e della formazione..
L’unica parola forte pronunciata in occasione dell’inizio dell’anno scolastico , l’ha pronunciata ancora una volta il Presidente Napolitano. Non era certo la prima volta che il Presidente cogliesse l’occasione al Vittoriano per richiamare una cultura della legalità quale base etica per il futuro del Paese. Ma in questa circostanza, l’ultima, dal punto di vista istituzionale, il Presidente ha usato una parola nuova :“ vergogna”, riferita ai noti fatti di spreco delle risorse pubbliche. “Vergogna” è un termine inusuale in politica perché essa si produce non solo in relazione a una possibile sanzione esterna; è innanzitutto un giudizio su se stessi prima ancora che il timore di un giudizio degli altri. Vergogna esprime quindi un sentimento profondo e doloroso perché solo chi prova vergogna può aprire le porte al suo contrario: la riconquista della stima , della dignità.
Il fatto che pochissimi del mondo politico abbiano notato questa dolorosa manifestazione, ci lascia capire fino in fondo la profondità della caduta della politica. Non resta che sperare che il sussulto del Presidente sia foriero di un nuovo scatto per il futuro del Paese.
da ScuolaOggi 02.10.12

"Disoccupazione record al 10,7%. Crescono gli inattivi", di Luigina Venturelli

Finché l’Italia resta arenata nella recessione, il mercato del lavoro non può che rimanere stagnante. Il tasso di disoccupazione registrato dall’Istat ad agosto, infatti, si è mantenuto sui livelli di luglio e giugno al 10,7%, dunque su livelli record, i più pesanti mai registrati da che hanno avuto inizio le rilevazioni mensili dell’istituto di statistica, e da che la crisi finanziaria si è abbattuta sull’economia reale nazionale. In un simile quadro, anche l’assenza di variazioni negative potrebbe essere considerata una buona notizia. In realtà, però, un’analisi più attenta dei dati rivela un ulterior e deterioramento della situazione perché, se il numero dei disoccupati è rimasto stabile, è aumentato quello degli inattivi, che hanno rinunciato persino a cercare una nuova occupazione. DISOCCUPAZIONE E INATTIVITÀ Nel dettaglio, il numero dei disoccupati ad agosto era pari a 2 milioni e 744mila unità, con un incremento rispetto allo stesso mese del 2011 del 2,3%, pari a 640mila persone in più che, nel giro di un anno, hanno perso il proprio posto di lavoro. Particolarmente drammatico il quadro relativo alla disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 24 anni), che ad agosto era al 34,5%, in diminuzione dello 0,5% rispetto a luglio, ma in aumento del 5,6% su base annua. Tra le nuove generazioni, dunque, quelle che dovrebbero rappresentare il futuro del sistema economico nazionale, sono ben 593mila le persone in cerca di lavoro. Gli inattivi, invece, coloro che non hanno e nemmeno cercano un’occupazione, sono tornati ad aumentare su base mensile. Era da settembre 2011 che non si registrava un rialzo congiunturale, mentre ad agosto l’aumento è stato dello 0,6%, pari a 92mila unità, quasi esclusivamente di donne: il tasso di inattività è così salito al 36,3%. Preoccupante anche la situazione a livello europeo. Si è registrato, infatti, l’ennesimo picco della disoccupazione nell’Eurozona, che ad agosto ha raggiunto il nuovo record dell’11,4%, il più alto dalla creazione della moneta unica. Ai massimi livelli anche il tasso nell’Unione europea a 27 paesi, al 10,5%, mentre un anno fa la disoccupazione era al 9,7%. Complessivamente, Eurostat stima in 25 milioni e 466mila unità i disoccupati in Europa, di cui oltre 18 milioni nell’Eurozona, segnando un ulteriore aumento rispetto a luglio di 49mila unità nei 27. Grecia e Spagna si confermano i paesi con il livello di senza lavoro più elevato (rispettivamente 25,1% e 24,4%). Dati «inaccettabili» per la Commissione Ue che ha invitato gli Stati membri ad agire e a «mettere in atto urgentemente» le raccomandazioni Ue. RESTRIZIONE STRUTTURALE Numeri che non stupiscono ma che non smettono di allarmare i sindacati, da mesi concordi nel chiedere al governo interventi straordinari per sostenere e stimolare l’occupazione. Di fronte alla fotografia scattata dall’Istat, infatti, la Cgil parla senza mezzi termini di «una restrizione strutturale della base occupazione» di fronte alla quale è più che mai necessario un Piano del Lavoro che abbia come priorità il tema dell’occupazione delle donne e dei giovani. «L’Italia ha una vocazione industriale che non ha alternative e che ha bisogno di un serio rilancio a livello nazionale per creare nuovo lavoro» ha detto la segretaria generale Susanna Camusso. Un rilancio che non può passare «solo per i tagli», che «non danno risposte se non incertezze», ma che richiede «la capacità di cambiare modello industriale». Un invito, quello della leader Cgil, ad un veloce e radicale cambiamento di politica, visto che «una politica di tagli e di rigore mette solo in difficoltà il mercato interno e così facendo blocca la produzione e le imprese chiudono i battenti. Per non parlare del welfare sociale che, non vedendo contributi, nel chiudere abbandona le persone in difficoltà». Sugli stessi toni anche il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, secondo cui «mostrano tutti i limiti le politiche basate sul solo, pur necessario, risanamento dei conti pubblici», quando servirebbero anche «investimenti in settori cruciali, quali la ricerca, l’energia, l’edilizia, così come è necessaria la redistribuzione del carico fiscale a favore di famiglie, lavoratori e pensionati». E il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy: «Occorre rimediare a questa ondata regressiva con politiche di crescita, a partire da un fisco più equo e meno oneroso per dipendenti e pensionati».

L’Unità 02.10.12

"Disoccupazione record al 10,7%. Crescono gli inattivi", di Luigina Venturelli

Finché l’Italia resta arenata nella recessione, il mercato del lavoro non può che rimanere stagnante. Il tasso di disoccupazione registrato dall’Istat ad agosto, infatti, si è mantenuto sui livelli di luglio e giugno al 10,7%, dunque su livelli record, i più pesanti mai registrati da che hanno avuto inizio le rilevazioni mensili dell’istituto di statistica, e da che la crisi finanziaria si è abbattuta sull’economia reale nazionale. In un simile quadro, anche l’assenza di variazioni negative potrebbe essere considerata una buona notizia. In realtà, però, un’analisi più attenta dei dati rivela un ulterior e deterioramento della situazione perché, se il numero dei disoccupati è rimasto stabile, è aumentato quello degli inattivi, che hanno rinunciato persino a cercare una nuova occupazione. DISOCCUPAZIONE E INATTIVITÀ Nel dettaglio, il numero dei disoccupati ad agosto era pari a 2 milioni e 744mila unità, con un incremento rispetto allo stesso mese del 2011 del 2,3%, pari a 640mila persone in più che, nel giro di un anno, hanno perso il proprio posto di lavoro. Particolarmente drammatico il quadro relativo alla disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 24 anni), che ad agosto era al 34,5%, in diminuzione dello 0,5% rispetto a luglio, ma in aumento del 5,6% su base annua. Tra le nuove generazioni, dunque, quelle che dovrebbero rappresentare il futuro del sistema economico nazionale, sono ben 593mila le persone in cerca di lavoro. Gli inattivi, invece, coloro che non hanno e nemmeno cercano un’occupazione, sono tornati ad aumentare su base mensile. Era da settembre 2011 che non si registrava un rialzo congiunturale, mentre ad agosto l’aumento è stato dello 0,6%, pari a 92mila unità, quasi esclusivamente di donne: il tasso di inattività è così salito al 36,3%. Preoccupante anche la situazione a livello europeo. Si è registrato, infatti, l’ennesimo picco della disoccupazione nell’Eurozona, che ad agosto ha raggiunto il nuovo record dell’11,4%, il più alto dalla creazione della moneta unica. Ai massimi livelli anche il tasso nell’Unione europea a 27 paesi, al 10,5%, mentre un anno fa la disoccupazione era al 9,7%. Complessivamente, Eurostat stima in 25 milioni e 466mila unità i disoccupati in Europa, di cui oltre 18 milioni nell’Eurozona, segnando un ulteriore aumento rispetto a luglio di 49mila unità nei 27. Grecia e Spagna si confermano i paesi con il livello di senza lavoro più elevato (rispettivamente 25,1% e 24,4%). Dati «inaccettabili» per la Commissione Ue che ha invitato gli Stati membri ad agire e a «mettere in atto urgentemente» le raccomandazioni Ue. RESTRIZIONE STRUTTURALE Numeri che non stupiscono ma che non smettono di allarmare i sindacati, da mesi concordi nel chiedere al governo interventi straordinari per sostenere e stimolare l’occupazione. Di fronte alla fotografia scattata dall’Istat, infatti, la Cgil parla senza mezzi termini di «una restrizione strutturale della base occupazione» di fronte alla quale è più che mai necessario un Piano del Lavoro che abbia come priorità il tema dell’occupazione delle donne e dei giovani. «L’Italia ha una vocazione industriale che non ha alternative e che ha bisogno di un serio rilancio a livello nazionale per creare nuovo lavoro» ha detto la segretaria generale Susanna Camusso. Un rilancio che non può passare «solo per i tagli», che «non danno risposte se non incertezze», ma che richiede «la capacità di cambiare modello industriale». Un invito, quello della leader Cgil, ad un veloce e radicale cambiamento di politica, visto che «una politica di tagli e di rigore mette solo in difficoltà il mercato interno e così facendo blocca la produzione e le imprese chiudono i battenti. Per non parlare del welfare sociale che, non vedendo contributi, nel chiudere abbandona le persone in difficoltà». Sugli stessi toni anche il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini, secondo cui «mostrano tutti i limiti le politiche basate sul solo, pur necessario, risanamento dei conti pubblici», quando servirebbero anche «investimenti in settori cruciali, quali la ricerca, l’energia, l’edilizia, così come è necessaria la redistribuzione del carico fiscale a favore di famiglie, lavoratori e pensionati». E il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy: «Occorre rimediare a questa ondata regressiva con politiche di crescita, a partire da un fisco più equo e meno oneroso per dipendenti e pensionati».
L’Unità 02.10.12

"La Germania non punirà i criminali nazisti della strage di Stazzema", di Gianpaolo Cadalanu

Non dovranno rispondere di quei bambini e quei vecchi chiusi nelle stalle e uccisi con le bombe a mano, né di quelli radunati davanti alla chiesa e falciati a colpi di mitra. Gli uomini che la magistratura italiana ha giudicato responsabili della strage di Sant’Anna di Stazzema non dovranno sedere davanti a un giudice per raccontare com’è andata, per rievocare l’orrore, nemmeno per argomentare come hanno soltanto obbedito agli ordini. E non perché siano troppo anziani, incapaci ormai di ricordare e intendere che cosa è successo nelle tre ore che hanno segnato l’inferno nella campagna toscana. Ma perché, dice la procura di Stoccarda che ne ha firmato il proscioglimento, «non ci sono prove sufficienti » per dimostrare la partecipazione degli accusati all’eccidio.
Ci sono voluti dieci anni di indagini per arrivare alla decisione di ieri della procura tedesca: l’inchiesta deve essere archiviata. Non solo non si può dimostrare che ciascuno degli otto imputati ancora vivi (su 17 all’origine) abbia partecipato personalmente all’eccidio di quel 12 agosto 1944, e come si sia comportato individualmente. Ma nemmeno è possibile avere la certezza che la strage dei civili sia stata un’azione preordinata e pianificata.
Non conta più niente che il tribunale militare italiano abbia già condannato all’ergastolo in contumacia Werner Bruss, Alfred Concina, Ludwig Goring, Karl Gropler, Georg Rauch, Horst Richter, Heinrich Schendel e Gerhard Sommer. Non conta la richiesta d’arresto, né la domanda di estradizione. Non conta nemmeno il ricordo della scia di sangue lasciata nell’Italia centrale dagli assassini della sedicesima divisione Panzergrenadier delle Shutzstaffeln, agli ordini del generale Max Simon. I procuratori militari avevano inoltrato al ministero della Giustizia italiano una richiesta di esecuzione della pena in Germania, ma anche di quella domanda si sono perse le tracce.
Non si è perso, invece, il ricordo delle atrocità commesse il mattino del 12 agosto: secondo la sentenza italiana «verosimilmente » tra le 457 e le 560 persone furono massacrate senza ragione. I ragazzi e bambini furono 116, il più piccolo aveva solo 20 giorni. Non si è perduta neanche la certezza che proprio la fiducia nell’umanità dei soldati tedeschi ha portato al macello donne, vecchi e bambini: gli uomini si erano dati alla macchia, temendo di incappare nella rete delle Ss e di finire deportati in qualche campo di concentramento.
Ma i più deboli erano rimasti nel villaggio, sicuri che a loro non potesse capitare niente, perché l’onore impedisce ai militari di prendersela con civili indifesi. E invece l’onore delle Ss, come recitava il loro motto, era solo nella fedeltà: in questo caso, fedeltà agli ordini, per quanto feroci e slegati da ogni logica bellica.
Forse era un modo bestiale per spezzare ogni collegamento fra la gente dei paesini e i gruppi partigiani della zona. Ma nella sentenza del tribunale militare della Spezia, la definizione è senza appello: la strage è stata solo «un atto terroristico, una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio».
La scelta della corte di Stoccarda ha suscitato rabbia e dolore in Italia fra i sopravvissuti e i familiari delle vittime. «Stupore » sottolinea anche il procuratore militare Marco De Paolis, che istruì il processo ai dieci militari poi condannati all’ergastolo: non solo l’impianto accusatorio era solido, ma «ci sono stati alcuni imputati rei confessi ».

La Repubblica 02.10.12

"La Germania non punirà i criminali nazisti della strage di Stazzema", di Gianpaolo Cadalanu

Non dovranno rispondere di quei bambini e quei vecchi chiusi nelle stalle e uccisi con le bombe a mano, né di quelli radunati davanti alla chiesa e falciati a colpi di mitra. Gli uomini che la magistratura italiana ha giudicato responsabili della strage di Sant’Anna di Stazzema non dovranno sedere davanti a un giudice per raccontare com’è andata, per rievocare l’orrore, nemmeno per argomentare come hanno soltanto obbedito agli ordini. E non perché siano troppo anziani, incapaci ormai di ricordare e intendere che cosa è successo nelle tre ore che hanno segnato l’inferno nella campagna toscana. Ma perché, dice la procura di Stoccarda che ne ha firmato il proscioglimento, «non ci sono prove sufficienti » per dimostrare la partecipazione degli accusati all’eccidio.
Ci sono voluti dieci anni di indagini per arrivare alla decisione di ieri della procura tedesca: l’inchiesta deve essere archiviata. Non solo non si può dimostrare che ciascuno degli otto imputati ancora vivi (su 17 all’origine) abbia partecipato personalmente all’eccidio di quel 12 agosto 1944, e come si sia comportato individualmente. Ma nemmeno è possibile avere la certezza che la strage dei civili sia stata un’azione preordinata e pianificata.
Non conta più niente che il tribunale militare italiano abbia già condannato all’ergastolo in contumacia Werner Bruss, Alfred Concina, Ludwig Goring, Karl Gropler, Georg Rauch, Horst Richter, Heinrich Schendel e Gerhard Sommer. Non conta la richiesta d’arresto, né la domanda di estradizione. Non conta nemmeno il ricordo della scia di sangue lasciata nell’Italia centrale dagli assassini della sedicesima divisione Panzergrenadier delle Shutzstaffeln, agli ordini del generale Max Simon. I procuratori militari avevano inoltrato al ministero della Giustizia italiano una richiesta di esecuzione della pena in Germania, ma anche di quella domanda si sono perse le tracce.
Non si è perso, invece, il ricordo delle atrocità commesse il mattino del 12 agosto: secondo la sentenza italiana «verosimilmente » tra le 457 e le 560 persone furono massacrate senza ragione. I ragazzi e bambini furono 116, il più piccolo aveva solo 20 giorni. Non si è perduta neanche la certezza che proprio la fiducia nell’umanità dei soldati tedeschi ha portato al macello donne, vecchi e bambini: gli uomini si erano dati alla macchia, temendo di incappare nella rete delle Ss e di finire deportati in qualche campo di concentramento.
Ma i più deboli erano rimasti nel villaggio, sicuri che a loro non potesse capitare niente, perché l’onore impedisce ai militari di prendersela con civili indifesi. E invece l’onore delle Ss, come recitava il loro motto, era solo nella fedeltà: in questo caso, fedeltà agli ordini, per quanto feroci e slegati da ogni logica bellica.
Forse era un modo bestiale per spezzare ogni collegamento fra la gente dei paesini e i gruppi partigiani della zona. Ma nella sentenza del tribunale militare della Spezia, la definizione è senza appello: la strage è stata solo «un atto terroristico, una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio».
La scelta della corte di Stoccarda ha suscitato rabbia e dolore in Italia fra i sopravvissuti e i familiari delle vittime. «Stupore » sottolinea anche il procuratore militare Marco De Paolis, che istruì il processo ai dieci militari poi condannati all’ergastolo: non solo l’impianto accusatorio era solido, ma «ci sono stati alcuni imputati rei confessi ».
La Repubblica 02.10.12

Ci costa 60 miliardi l'anno. Basta corruzione: approviamo subito la legge

Dieci miliardi di Pil in meno all’anno, meno 6% di produttività. Questo significa che ogni anno la corruzione sottrae alle tasche di ogni italiano 170 euro annui di reddito non prodotto, secondo una proiezione sulla stime della Banca Mondiale. Anche se la corruzione è un fenomeno sfuggente, ci sono molte stime e dati di fatto che rendono conto di un fenomeno che crea danni pesantissimi. Libera, Avviso Pubblico e Legambiente hanno raccolto nel dossier ‘Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce e inquina il Paese’ numeri inquietanti.

Sono diverse le variabili economiche su cui si può calcolare l’incidenza del fenomeno. La Corte dei Conti stima l’onere sui bilanci pubblici: 50-60 miliardi l’anno, come dire mille euro a testa per ogni italiano. Tra il 2007 e il 2010 il costo sostenuto per 33 grandi opere è passato da 574 a 834 milioni di euro, con un ricarico del 45% sul prezzo di aggiudicazione.

Ci sono poi le inchieste delle Procure: dal primo gennaio 2010 al oggi sono state 78 quelle relative alla ‘corruzione ambientale’ che avvelena il Paese; 1.109 gli arresti con al primo posto la Calabria (224 persone arrestate). Nonostante questo il numero delle condanne e’ pero’ in forte calo: si è passati da oltre 1.700 nel 1996 a 295 nel 2008.

*****

“La corruzione costa all’Italia dieci miliardi di euro di Pil all’anno, secondo i dati presentati oggi da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico. È un’emergenza economica e sociale. Non si può più temporeggiare, la legge contro la corruzione deve essere approvata subito. Ce lo chiede l’Europa e se lo aspettano gli italiani. Il testo uscito dalla Camera è una mediazione accettabile. Non è il momento di proposte di modifiche che allungherebbero solo i tempi di approvazione. Per questo motivo chiediamo al governo di porre la fiducia sul ddl anticorruzione e ciascun partito si assumerà le proprie responsabilità davanti all’Italia e all’Europa”. Così Andrea Orlando, responsabile Giustizia del PD.

“I dati sui costi della corruzione presentati oggi da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico rappresentano un ulteriore forte spinta ad approvare quanto prima, e comunque entro la legislatura, il ddl anticorruzione. E’ necessario che il governo ponga la fiducia, dato che questo provvedimento e’ piu’ importante per la crescita del Paese della modifica dell’art. 18”, lo ha dichiarato Ermete Realacci, responsabile Green economy del Pd.

da www.partitodemocratico.it