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"Il gotha delle riviste scientifiche italiane? 'Barche', 'Suinicoltura', 'Etruria Oggi'…", di Corrado Zunino

La lista pazza delle riviste scientifiche è l’ultimo B-movie girato al ministero dell’Istruzione (e dell’Università e della Ricerca, più appropriatamente nel caso). Dopo i test casuali per il concorso per presidi, i quiz scandalo sui tirocini formativi, il ponderoso dibattito sulla bontà delle mediane dei titoli necessari per accedere al ruolo di commissario universitario, i bandi pecorecci dell’Università di Firenze, ecco le “riviste scientifiche patinate”. Un nuovo cult, un inedito nel mondo. Le riviste scientifiche danno punteggio a chi riesce a pubblicarvi sopra articoli (scientifici), concorrono a far ottenere una cattedra, aiutano a inclinare i finanziamenti verso i singoli atenei.
Dopo anni di mucchio selvaggio in cui ci si affidava – di fatto – alle “autocertificazioni” dei ricercatori e dei professori che inserivano nel grande archivio Cineca i loro lavori e alle singole valutazioni delle singole commissioni d’esame, l’Anvur, che è l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ha provato a fare il primo censimento delle riviste. Si è affidata a una commissione esterna (28 membri, un centinaio di esperti coinvolti) e sotto la pressione del mondo accademico ha lavorato in velocità. Troppa. Dei 42 mila testi inseriti nel Cineca, lo scorso 20 settembre l’Agenzia di valutazione ha reso pubbliche le 16 mila riviste scelte (alcune replicate in diverse aree tematiche). E i risultati, subito sottolineati dalla controinformazione online (Roars), sono apparsi esilaranti.
Già, uno sente “rivista scientifica” e pensa a Science, a Nature, al Journal of medicine dove da anni futuri premi Nobel appoggiano i loro lavori per farli conoscere ad addetti ai lavori, studenti, curiosi consapevoli. Aprendo il gigantesco file prodotto dal nostro Anvur, invece, si scopre che fra quelle riviste c’è Yacht Capital, che nell’ultima copertina offre un sorridente Flavio Briatore in camicia nera e occhialini fumè per fargli raccontare “la mia estate in pole position”. Yacht Capital è inserita nell’area 8, “Ingegneria civile e architettura”, come d’altronde la rivista consanguinea Barche. Nell’area 10, “Scienze dell’antichità filologico-letterarie e storico-artistiche”, c’è Airone, un tempo settimanale turistico-ambientale che oggi si è evoluto offrendo in copertina una gnocca svestita: serve a illustrare il titolo “I misteri della sessualità femminile (orgasmo, tradimento, fantasie, coppia”). Difficile comprendere l’accostamento di Airone con le scienze dell’antichità e con le riviste scientifiche.
Nell’elenco c’è il Touring club italiano e pure Etruria oggi. Dovrebbe parlare di arte e filologia, ma stavolta dedica la copertina alle Olimpiadi di Federica Pellegrini. Ecco un settimanale che ha cessato di esistere, Diario, peraltro pluripremiato da giurie internazionali, e poi una teoria di riviste politiche. L’online Libertiamo diretto da Benedetto Della Vedova, Fli, è inserita nel ramo Scienze giuridiche. Il bimestrale Alternative per il socialismo, diretto da Fausto Bertinotti, è inserito in Scienze delle antichità. Anche qui, in area politica, alcuni periodici presi in considerazione dall’Anvur in verità sono stati chiusi.
Facile l’ironia sull’impatto culturale di Suinicoltura, “punto di riferimento imprescindibile per gli allevatori di suini, per i tecnici e per le imprese impegnate nell’indotto della filiera suinicola nazionale”. Difficile spiegare la quantità di riviste confessionali presenti nel file: Evangelizzare del clero italiano, la Vita cattolica dell’arcidiocesi di Udine, Insegnare religione per docenti del ciclo scolastico, Animazione sociale del Gruppo Abele, L’aldilà (dedicata a Santa Zita). Poi ci sono alcuni quotidiani, e qui il mistero si fa fitto: Il Sole 24 ore, Il Mattino di Padova. C’è, ed è considerata scienza, la rivista dei presidi, Autonomia e dirigenza, così il trimestrale del municipio di Livorno, Comune notizie. Nell’area filosofica è stata inserita Ingegneria sismica mentre riconosciute riviste di filosofia sono state considerate scientifiche in tutti i campi universitari fuorché in quello filosofico.
Professori e ricercatori, indignati dal florilegio ministeriale, attaccano: “Svergogniamo gli accademici da quattro soldi che si nascondono dietro le segnalazioni di queste riviste”. Uno degli accademici, Andrea Graziosi, tra gli esperti chiamati dall’Anvur (per 3 mila euro lordi) a definire che cosa è rivista di ricerca e cosa no, si è difeso così: “Sono orgoglioso di questo lavoro, siamo partiti dagli inferi. Da anni troppi professori pubblicano qualsiasi cosa e lo mettono nell’archivio Cineca, li abbiamo fermati. Abbiamo scartato riviste spazzatura, l’Anvur andrebbe premiata per aver portato questo enorme scandalo alla luce”.
Il ministro Francesco Profumo ha la questione “riviste pazze” in bella vista sulla scrivania e ha già chiesto al presidente dell’Anvur un rapido cambio di rotta: “Ci vogliono regole precise per far sì che il sistema diventi virtuoso, pubblicare su riviste di nessuna rilevanza e nessuna attinenza deve dare all’autore un punteggio uguale a zero”, è il concetto passato a Stefano Fantoni. Sì, Fantoni, il presidente dell’Anvur, un fisico. È in difficoltà: “Stiamo lavorando sulla questione proprio in queste ore”, dice. “Gli errori materiali in realtà sono pochi. Abbiamo tolto dalla lista i quotidiani, per il resto le riviste indicate resteranno tutte, le hanno volute mettere i nostri esperti”. Yacht capital? “Per gli architetti che si occupano di barche è un riferimento. Su alcuni titoli anch’io sono perplesso, ma la nostra commissione è fatta di personalità insigni”. D’altro canto, dice, “è il primo lavoro del genere in Italia, le pubblicazioni sono un diluvio e i docenti e i ricercatori universitari dovrebbero smetterla di pubblicare i loro scritti su riviste fuori misura e fuori standard. Assicuro, non abbiamo ceduto ad alcuna pressione editoriale, né politica né ecclesiastica”.
La Repubblica 27.09.12

"Ricostruire la scuola a partire dal sud", di Fabrizio Dacrema

Con l’abituale disattenzione riservata alle azioni positive, prende avvio in questi giorni in quattro regioni del mezzogiorno (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) un importante piano di investimenti in grado non solo di rilanciare la scuola del sud, ma di mettere a punto modelli di intervento generalizzabili e utili per ricostruire il sistema formativo pubblico italiano dopo l’azione demolitiva del ciclone Tremonti/Gelmini.

Si tratta dell’intelligente operazione del Ministro Barca che ha riprogrammato i fondi europei, non spesi e a rischio di essere perduti, e li ha finalizzati a obiettivi strategici per la crescita del paese. Il Piano di Azione e Coesione in materia di Istruzione mette ora in campo circa un miliardo di euro, una cifra del tutto considerevole se si considera che è concentrato in quattro regioni, ed è finalizzato a realizzare azioni di miglioramento del sistema formativo del mezzogiorno: raccordo scuola-lavoro, miglioramento degli ambienti scolastici, dotazione di nuove tecnologie, promozione dello studio all’estero, contrasto della dispersione scolastica, innalzamento delle competenze chiave, orientamento e valutazione.

Il piano contiene scelte in controtendenza con la politica economica esclusivamente rigorista del governo, i cui effetti di avvitamento recessivo sono ormai evidenti, perché utilizza risorse pubbliche, non solo in funzione anticiclica, ma per realizzare investimenti finalizzati a rimuovere limiti strutturali del paese. Anche il metodo è innovativo: sono definiti risultati obiettivo attesi in esito agli interventi e sono descritti come concreti effetti di miglioramento rispetto ai punti di partenza territoriali; si attiva la partecipazione delle forze sociali e della società civile; si mira a realizzare prototipi, modelli da generalizzare perché validi per l’intero paese, con i necessari adattamenti alle situazioni locali.

In particolare il progetto contro la dispersione intende ottenere finalmente risultati concreti dopo anni di risorse europee spese senza risultati: in Italia i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi senza conseguire un diploma di istruzione o una qualifica professionale sono ancora i 18,8% contro una media europea del 14,1% e con l’obiettivo del programma Europa 2020 di non superare il 10%. Nelle regioni del sud la situazione è ancora più grave (26% in Sicilia, 23% in Campania e Puglia, 16% in Calabria), ecco perché occorre partire da queste aree di più grave esclusione sociale e culturale per realizzare prototipi di azione educativa capaci di ottenere risultati concretamente misurabili nei loro effetti di riduzione del fenomeno della dispersione scolastica.

I progetti si dispiegheranno in un arco temporale biennale e, se gli esiti attesi saranno raggiunti, potranno essere generalizzati su tutto il territorio nazionale.

Entro il 15 ottobre le scuole appartenenti alle aree territoriali individuate dal Ministero e interessate a diventare capofila dei progetti potranno candidarsi ma saranno selezionate a condizione di dimostrare di essere in grado di possedere capacità e competenze per elaborare e sperimentare prototipi di azione educativa di contrasto della dispersione. Innanzi tutto dovranno saper aggregare una rete di soggetti del territorio, pubblici e privati, che permettano alle scuole impegnate di superare l’isolamento e le tendenze autoreferenziali: la scuola da sola non potrà mai battere un fenomeno complesso come la dispersione, occorre un impegno corale e convergente di scuole, enti locali, privato sociale, associazioni del volontariato, forze sociali e culturali. I finanziamenti andranno alle scuole che meglio sapranno aggregare partnership ampie e significative capaci di porre gli obiettivi della lotta alla dispersione nell’ambito di piani territoriali di sviluppo civile ed economico. Solo in questo modo sarà possibile infatti coordinare l’insieme degli interventi previsti dal Piano d’azione e Coesione e coniugare l’azione di contrasto alla dispersione con gli altri dispositivi. Un altra condizione essenziale per l’approvazione dei progetti è rappresentata dalla dimensione verticale della rete scolastica, l’intervento dovrà dispiegarsi dalla scuola dell’infanzia alla secondaria superiore, anche coordinandosi con il piano nidi (altro aspetto rilevante di piano Barca): una scelta decisiva per realizzare prototipi in grado di superare segmentazioni, fratture e discontinuità negative, spesso tra le cause principali degli insuccessi scolastici e della dispersione. Il bando per la selezione delle scuole capofila e l’affidamento dei progetti sottolinea poi il sostegno e il coinvolgimento delle famiglie, la sensibilizzazione dei genitori per accrescere le loro aspettative nei confronti della scuola e dei risultati scolastici dei figli. Anche per questa ragione è importante il consistente investimento negli ambienti scolastici e nelle tecnologie educative (oltre 570 milioni di euro), certamente per le connessione positiva tra qualità degli ambienti scolastici e livelli di apprendimento, ma anche per la possibilità di aprire le scuole tutto il giorno facendole diventare veri e propri centri civici nei quali si possono svolgere anche attività educative per la popolazione adulta. Le azioni di apprendimento permanente sono decisive per il successo della lotta alla dispersione scolastica perché i livelli di istruzione dei genitori e l’accesso degli adulti di riferimento a percorsi di formazione permanente rappresentano fattori determinanti per il successo scolastico dei giovani.

Ci sono insomma tutte le condizioni per evitare quella logica dell’intervento straordinario e aggiuntivo che è stata fino a oggi alla base degli interventi fallimentari realizzati con i fondi europei, occorre invece cambiare in modo permanente le modalità ordinarie di funzionamento delle scuole, far diventare stabili e poi diffondere gli strumenti e le condizioni che hanno determinato concreti miglioramenti nei livelli di successo scolastico e nella riduzione dei tassi di dispersione.

Da questa esperienza verranno, quindi, utilissime indicazioni per un’azione di governo tesa a ricostruire nella prossima legislatura un efficace modello inclusivo di scuola pubblica: pratiche di innovazione didattica alternative alle lezioni frontali, forme di organizzazione educativa e standard conseguenti per la costruzione di organici funzionali mirati, anagrafi degli studenti capaci di intercettare gli studenti che abbandonano la scuola, tracciare i loro percorsi e di incrociarli con i dati relativi ai contesti socio-culturali di provenienza al fine di individuare indici di rischio dei singoli soggetti per interventi di prevenzione della dispersione.

Il Piano d’Azione e Coesione rappresenta quindi un modello alternativo di politica scolastica anche rispetto ad alcuni interventi annunciati dal Ministro Profumo. Ci riferiamo in particolare alla vuota logica meritocratica di provvedimenti annunciati per premiare gli studenti migliori senza alcun riferimento al contesto di provenienza. Il Piano d’Azione e Coesione pone invece come obiettivi prioritari il contrasto dell’esclusione dei soggetti svantaggiati, la riduzione delle diseguaglianze di partenza e l’innalzamento dei livelli medi di istruzione nella consapevolezza che quest’ultimo rappresenta la migliore condizione anche per lo sviluppo delle eccellenze, come attestato dagli Stati europei più virtuosi in cui bassi livelli di dispersione si accoppiano sempre ad alti livelli di apprendimento.

da ScuolaOggi 28.09.12

"Ricostruire la scuola a partire dal sud", di Fabrizio Dacrema

Con l’abituale disattenzione riservata alle azioni positive, prende avvio in questi giorni in quattro regioni del mezzogiorno (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) un importante piano di investimenti in grado non solo di rilanciare la scuola del sud, ma di mettere a punto modelli di intervento generalizzabili e utili per ricostruire il sistema formativo pubblico italiano dopo l’azione demolitiva del ciclone Tremonti/Gelmini.
Si tratta dell’intelligente operazione del Ministro Barca che ha riprogrammato i fondi europei, non spesi e a rischio di essere perduti, e li ha finalizzati a obiettivi strategici per la crescita del paese. Il Piano di Azione e Coesione in materia di Istruzione mette ora in campo circa un miliardo di euro, una cifra del tutto considerevole se si considera che è concentrato in quattro regioni, ed è finalizzato a realizzare azioni di miglioramento del sistema formativo del mezzogiorno: raccordo scuola-lavoro, miglioramento degli ambienti scolastici, dotazione di nuove tecnologie, promozione dello studio all’estero, contrasto della dispersione scolastica, innalzamento delle competenze chiave, orientamento e valutazione.
Il piano contiene scelte in controtendenza con la politica economica esclusivamente rigorista del governo, i cui effetti di avvitamento recessivo sono ormai evidenti, perché utilizza risorse pubbliche, non solo in funzione anticiclica, ma per realizzare investimenti finalizzati a rimuovere limiti strutturali del paese. Anche il metodo è innovativo: sono definiti risultati obiettivo attesi in esito agli interventi e sono descritti come concreti effetti di miglioramento rispetto ai punti di partenza territoriali; si attiva la partecipazione delle forze sociali e della società civile; si mira a realizzare prototipi, modelli da generalizzare perché validi per l’intero paese, con i necessari adattamenti alle situazioni locali.
In particolare il progetto contro la dispersione intende ottenere finalmente risultati concreti dopo anni di risorse europee spese senza risultati: in Italia i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi senza conseguire un diploma di istruzione o una qualifica professionale sono ancora i 18,8% contro una media europea del 14,1% e con l’obiettivo del programma Europa 2020 di non superare il 10%. Nelle regioni del sud la situazione è ancora più grave (26% in Sicilia, 23% in Campania e Puglia, 16% in Calabria), ecco perché occorre partire da queste aree di più grave esclusione sociale e culturale per realizzare prototipi di azione educativa capaci di ottenere risultati concretamente misurabili nei loro effetti di riduzione del fenomeno della dispersione scolastica.
I progetti si dispiegheranno in un arco temporale biennale e, se gli esiti attesi saranno raggiunti, potranno essere generalizzati su tutto il territorio nazionale.
Entro il 15 ottobre le scuole appartenenti alle aree territoriali individuate dal Ministero e interessate a diventare capofila dei progetti potranno candidarsi ma saranno selezionate a condizione di dimostrare di essere in grado di possedere capacità e competenze per elaborare e sperimentare prototipi di azione educativa di contrasto della dispersione. Innanzi tutto dovranno saper aggregare una rete di soggetti del territorio, pubblici e privati, che permettano alle scuole impegnate di superare l’isolamento e le tendenze autoreferenziali: la scuola da sola non potrà mai battere un fenomeno complesso come la dispersione, occorre un impegno corale e convergente di scuole, enti locali, privato sociale, associazioni del volontariato, forze sociali e culturali. I finanziamenti andranno alle scuole che meglio sapranno aggregare partnership ampie e significative capaci di porre gli obiettivi della lotta alla dispersione nell’ambito di piani territoriali di sviluppo civile ed economico. Solo in questo modo sarà possibile infatti coordinare l’insieme degli interventi previsti dal Piano d’azione e Coesione e coniugare l’azione di contrasto alla dispersione con gli altri dispositivi. Un altra condizione essenziale per l’approvazione dei progetti è rappresentata dalla dimensione verticale della rete scolastica, l’intervento dovrà dispiegarsi dalla scuola dell’infanzia alla secondaria superiore, anche coordinandosi con il piano nidi (altro aspetto rilevante di piano Barca): una scelta decisiva per realizzare prototipi in grado di superare segmentazioni, fratture e discontinuità negative, spesso tra le cause principali degli insuccessi scolastici e della dispersione. Il bando per la selezione delle scuole capofila e l’affidamento dei progetti sottolinea poi il sostegno e il coinvolgimento delle famiglie, la sensibilizzazione dei genitori per accrescere le loro aspettative nei confronti della scuola e dei risultati scolastici dei figli. Anche per questa ragione è importante il consistente investimento negli ambienti scolastici e nelle tecnologie educative (oltre 570 milioni di euro), certamente per le connessione positiva tra qualità degli ambienti scolastici e livelli di apprendimento, ma anche per la possibilità di aprire le scuole tutto il giorno facendole diventare veri e propri centri civici nei quali si possono svolgere anche attività educative per la popolazione adulta. Le azioni di apprendimento permanente sono decisive per il successo della lotta alla dispersione scolastica perché i livelli di istruzione dei genitori e l’accesso degli adulti di riferimento a percorsi di formazione permanente rappresentano fattori determinanti per il successo scolastico dei giovani.
Ci sono insomma tutte le condizioni per evitare quella logica dell’intervento straordinario e aggiuntivo che è stata fino a oggi alla base degli interventi fallimentari realizzati con i fondi europei, occorre invece cambiare in modo permanente le modalità ordinarie di funzionamento delle scuole, far diventare stabili e poi diffondere gli strumenti e le condizioni che hanno determinato concreti miglioramenti nei livelli di successo scolastico e nella riduzione dei tassi di dispersione.
Da questa esperienza verranno, quindi, utilissime indicazioni per un’azione di governo tesa a ricostruire nella prossima legislatura un efficace modello inclusivo di scuola pubblica: pratiche di innovazione didattica alternative alle lezioni frontali, forme di organizzazione educativa e standard conseguenti per la costruzione di organici funzionali mirati, anagrafi degli studenti capaci di intercettare gli studenti che abbandonano la scuola, tracciare i loro percorsi e di incrociarli con i dati relativi ai contesti socio-culturali di provenienza al fine di individuare indici di rischio dei singoli soggetti per interventi di prevenzione della dispersione.
Il Piano d’Azione e Coesione rappresenta quindi un modello alternativo di politica scolastica anche rispetto ad alcuni interventi annunciati dal Ministro Profumo. Ci riferiamo in particolare alla vuota logica meritocratica di provvedimenti annunciati per premiare gli studenti migliori senza alcun riferimento al contesto di provenienza. Il Piano d’Azione e Coesione pone invece come obiettivi prioritari il contrasto dell’esclusione dei soggetti svantaggiati, la riduzione delle diseguaglianze di partenza e l’innalzamento dei livelli medi di istruzione nella consapevolezza che quest’ultimo rappresenta la migliore condizione anche per lo sviluppo delle eccellenze, come attestato dagli Stati europei più virtuosi in cui bassi livelli di dispersione si accoppiano sempre ad alti livelli di apprendimento.
da ScuolaOggi 28.09.12

"L’era dei tecnici finisce in archivio", di Claudio Tito

Sono bastate poche parole, e una fase politica si è chiusa. La stagione dei tecnici – per come l’abbiamo conosciuta in questi dieci mesi – è destinata a cambiare, probabilmente a scolorire la sua “tecnicità”. Per assumere la tinta della politica. Il discorso pronunciato a New York da Mario Monti muterà il segno della prossima campagna elettorale e contestualmente modificherà il volto del governo in carica. L’esecutivo dovrà fare i conti con una situazione diversa. Con le elezioni, certo. Ma anche con un rapporto nuovo che inevitabilmente si instaurerà con l’opinione pubblica. Fortunatamente, infatti, il perno fondamentale di una democrazia resta il voto dei cittadini. L’Italia tra pochi mesi sarà chiamata alle urne. E nessuno — nemmeno la comunità internazionale — può dolersene. Al termine di una legislatura, si vota. Il nostro Paese non è regolato da uno Statuto speciale che permette di non interpellare gli elettori in base alle richieste più o meno strampalate degli investitori stranieri o in virtù di un andamento più o meno positivo dello spread tra i btp e i bund tedeschi. Gli italiani devono scegliere i propri rappresentanti e in particolare hanno il compito di imprimere il loro segno al prossimo governo. Nella speranza
che dal voto esca una maggioranza politica chiara e netta. Dopo i venti anni di berlusconismo che hanno modificato geneticamente la cultura di un Paese spingendolo sull’orlo del precipizio, non possiamo più permetterci il lusso di assistere ad un’altra fase di incompiutezza o irrisolutezza.
Le larghe intese, la “strana” maggioranza Pdl-Pd-Udc non possono che rappresentare una contingenza. Un soluzione transitoria inevitabile per affrontare l’emergenza e salvare un Paese destinato solo un anno fa a precipitare nel baratro del fallimento tecnico o nella perversa spirale che ha già messo in ginocchio la Grecia. Ma la “Grande coalizione” — come è accaduto anche in Germania — deve essere a tempo. E il suo tempo scade in primavera.
Altro discorso è quel che farà la maggioranza politica che gli italiani indicheranno. L’agenda Monti — quell’insieme di impegni e mission sottoscritti dal governo tecnico e che ci hanno permesso di riconquistare credibilità — non può però rappresentare uno scarto da gettare nella spazzatura dello scontro elettorale. Chiunque vincerà, non potrà comunque fare a meno di quella bussola. La potrà completare, integrare, magari correggere. Ma non cancellarla. E non perché Bruxelles o la Casa Bianca ce lo chiede, ma semplicemente perché costituisce — una volta scongiurato il default — la base indispensabile per tirare fuori l’Italia dalle secche di una crisi economica che durerà ancora. Perché lo chiede il tessuto produttivo e più vivo di questa comunità. Chi prevarrà nel voto, allora, potrà interpretare quell’agenda nel segno di una maggiore equità sociale o — speriamo di no — in quello di un crescente e irrazionale antieuropeismo. Potrà coniugarla nel rispetto delle emergenze che assillano i ceti più deboli della nostra collettività o al contrario inseguendo le ricette di un anacronistico neoliberismo. In ogni caso non si tratterà di una mortificazione del ruolo dei partiti, di tutti i partiti. Senza i quali una democrazia non può certo definirsi tale. Si tratterà bensì di prendere atto del contesto nel quale ci muoviamo. Nella consapevolezza che gli assetti socio-economici dell’intero pianeta stanno subendo le trasformazioni più profonde degli ultimi 60 anni. E proprio per questo, chiunque otterrà il consenso necessario per formare il nuovo governo, dovrà porsi in coscienza un interrogativo: si può fare a meno di un negoziatore, di un garante come Mario Monti? Il premier da novembre scorso ad oggi ha in primo luogo dimostrato di sapere trattare in Europa senza complessi di inferiorità e soprattutto senza la chiassosa imperizia del suo predecessore. Si è confrontato con la arcigna Cancelliera Merkel mettendo in campo una credibilità che l’Italia aveva sperperato nel giro di un decennio. Ha ricomposto un rapporto con gli Stati Uniti drammaticamente incrinato dall’esecutivo di centrodestra e dalle battute sull’abbronzatura del presidente americano. Ecco, l’Italia forse non può rinunciare a queste capacità. Almeno in questa fase. Nella consapevolezza che il ruolo e le caratteristiche del Professore sembrano più adatte alle funzioni esecutive che non a quelle della presidenza della Repubblica. A gestire la richiesta o meno di accedere al Fondo salva-Stati. E se la maggioranza politica che risulterà vittoriosa nelle cabine elettorali ne prenderà atto, allora dimostrerà la sua forza. Per i partiti sarebbe un segno di potenza e non di debolezza. Riportare l’agenda Monti nell’alveo della politica significa connotare l’azione di governo, darle un colore e non abbandonarla alla neutrale esegesi dei “tecnici”. Significa finalmente ricondurre le forze elette in Parlamento al centro delle decisioni. Come accade in tutte le democrazie occidentali.

La Repubblica 28.09.12

"L’era dei tecnici finisce in archivio", di Claudio Tito

Sono bastate poche parole, e una fase politica si è chiusa. La stagione dei tecnici – per come l’abbiamo conosciuta in questi dieci mesi – è destinata a cambiare, probabilmente a scolorire la sua “tecnicità”. Per assumere la tinta della politica. Il discorso pronunciato a New York da Mario Monti muterà il segno della prossima campagna elettorale e contestualmente modificherà il volto del governo in carica. L’esecutivo dovrà fare i conti con una situazione diversa. Con le elezioni, certo. Ma anche con un rapporto nuovo che inevitabilmente si instaurerà con l’opinione pubblica. Fortunatamente, infatti, il perno fondamentale di una democrazia resta il voto dei cittadini. L’Italia tra pochi mesi sarà chiamata alle urne. E nessuno — nemmeno la comunità internazionale — può dolersene. Al termine di una legislatura, si vota. Il nostro Paese non è regolato da uno Statuto speciale che permette di non interpellare gli elettori in base alle richieste più o meno strampalate degli investitori stranieri o in virtù di un andamento più o meno positivo dello spread tra i btp e i bund tedeschi. Gli italiani devono scegliere i propri rappresentanti e in particolare hanno il compito di imprimere il loro segno al prossimo governo. Nella speranza
che dal voto esca una maggioranza politica chiara e netta. Dopo i venti anni di berlusconismo che hanno modificato geneticamente la cultura di un Paese spingendolo sull’orlo del precipizio, non possiamo più permetterci il lusso di assistere ad un’altra fase di incompiutezza o irrisolutezza.
Le larghe intese, la “strana” maggioranza Pdl-Pd-Udc non possono che rappresentare una contingenza. Un soluzione transitoria inevitabile per affrontare l’emergenza e salvare un Paese destinato solo un anno fa a precipitare nel baratro del fallimento tecnico o nella perversa spirale che ha già messo in ginocchio la Grecia. Ma la “Grande coalizione” — come è accaduto anche in Germania — deve essere a tempo. E il suo tempo scade in primavera.
Altro discorso è quel che farà la maggioranza politica che gli italiani indicheranno. L’agenda Monti — quell’insieme di impegni e mission sottoscritti dal governo tecnico e che ci hanno permesso di riconquistare credibilità — non può però rappresentare uno scarto da gettare nella spazzatura dello scontro elettorale. Chiunque vincerà, non potrà comunque fare a meno di quella bussola. La potrà completare, integrare, magari correggere. Ma non cancellarla. E non perché Bruxelles o la Casa Bianca ce lo chiede, ma semplicemente perché costituisce — una volta scongiurato il default — la base indispensabile per tirare fuori l’Italia dalle secche di una crisi economica che durerà ancora. Perché lo chiede il tessuto produttivo e più vivo di questa comunità. Chi prevarrà nel voto, allora, potrà interpretare quell’agenda nel segno di una maggiore equità sociale o — speriamo di no — in quello di un crescente e irrazionale antieuropeismo. Potrà coniugarla nel rispetto delle emergenze che assillano i ceti più deboli della nostra collettività o al contrario inseguendo le ricette di un anacronistico neoliberismo. In ogni caso non si tratterà di una mortificazione del ruolo dei partiti, di tutti i partiti. Senza i quali una democrazia non può certo definirsi tale. Si tratterà bensì di prendere atto del contesto nel quale ci muoviamo. Nella consapevolezza che gli assetti socio-economici dell’intero pianeta stanno subendo le trasformazioni più profonde degli ultimi 60 anni. E proprio per questo, chiunque otterrà il consenso necessario per formare il nuovo governo, dovrà porsi in coscienza un interrogativo: si può fare a meno di un negoziatore, di un garante come Mario Monti? Il premier da novembre scorso ad oggi ha in primo luogo dimostrato di sapere trattare in Europa senza complessi di inferiorità e soprattutto senza la chiassosa imperizia del suo predecessore. Si è confrontato con la arcigna Cancelliera Merkel mettendo in campo una credibilità che l’Italia aveva sperperato nel giro di un decennio. Ha ricomposto un rapporto con gli Stati Uniti drammaticamente incrinato dall’esecutivo di centrodestra e dalle battute sull’abbronzatura del presidente americano. Ecco, l’Italia forse non può rinunciare a queste capacità. Almeno in questa fase. Nella consapevolezza che il ruolo e le caratteristiche del Professore sembrano più adatte alle funzioni esecutive che non a quelle della presidenza della Repubblica. A gestire la richiesta o meno di accedere al Fondo salva-Stati. E se la maggioranza politica che risulterà vittoriosa nelle cabine elettorali ne prenderà atto, allora dimostrerà la sua forza. Per i partiti sarebbe un segno di potenza e non di debolezza. Riportare l’agenda Monti nell’alveo della politica significa connotare l’azione di governo, darle un colore e non abbandonarla alla neutrale esegesi dei “tecnici”. Significa finalmente ricondurre le forze elette in Parlamento al centro delle decisioni. Come accade in tutte le democrazie occidentali.
La Repubblica 28.09.12

"Corruzione, il Pdl ripresenta la norma salva-Ruby", di Dino Martirano

Quando è sera il ministro della Giustizia Paola Severino s’infila nell’ascensore del Senato che porta dritto al piano nobile dove si affacciano gli uffici della presidenza: il colloquio con Renato Schifani è dedicato prevalentemente ai tempi parlamentari del ddl anticorruzione che potrebbe arrivare in aula il 15 ottobre, con piccole modifiche, e dopo pochi giorni tornare alla Camera per l’approvazione definitiva. Il Guardasigilli, infatti, è già informato sul centinaio di emendamenti presentati (54 del Pdl, una ventina del Pd che verrebbero ritirati se c’è l’ok al testo della Camera, nessuno dell’Udc) ma il via libera del governo alle modifiche — «ammesse solo quelle migliorative e non quelle soppressive», ripete il ministro — ci sarà dopo che i partiti della maggioranza firmeranno un patto d’onore: l’impegno chiesto dalla Severino è quello di varare definitivamente la legge in tempi più che rapidi, magari a novembre, perché sulla lotta alla corruzione il presidente Monti, spalleggiato dal capo dello Stato, non intende retrocedere di un passo.
Gli emendamenti presentati riservano un paio di sorprese e molte conferme. Per iniziativa della senatrice Gallone e del collega Compagna (tutti e due del Pdl) rispunta la norma «salva Ruby» che permetterebbe a Berlusconi di cavarsela in ogni caso al processo di Milano: perché il Cavaliere, accusato di concussione per induzione, quella telefonata in questura la fece non per ottenere un’«utilità patrimoniale» ma per far rilasciare la minorenne marocchina. Alla Camera tutto questo si chiamava emendamento Sisto e non ebbe fortuna.
Il Pdl, però, spariglia perché, con le firme di Gasparri e Quagliariello, propone una norma anti-Batman (Francesco Fiorito del Pdl) e anti-Lusi (l’ex senatore della Margherita): «Reclusione da 2 a 6 anni per il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio che si appropria o usa indebitamente per finalità diverse contributi pubblici…».
«Buona idea, se si tratta di estendere la fattispecie di malversazione relativa al cattivo uso del denaro pubblico anche alle Regioni, sarebbe una norma accettabile», chiosa il ministro Severino. Il Pd ha risposto con 2 emendamenti di Della Monica: ineleggibilità dei condannati per corruzione, operativa prima delle elezioni del 2013; mantenere a 12 anni la pena massima per la concussione per induzione (reato di cui è accusato, tra gli altri, Penati del Pd) che la Camera aveva portato a 8 anni.
Tutto ruota intorno al Pdl che vorrebbe cancellare i nuovi reati di traffico di influenze e correggere la corruzione tra privati (reintroducendo la procedibilità a querela). Il ministro è stato chiaro tanto da indurre il Pdl a proporre, oltre agli emendamenti soppressivi anche quelli di mediazione. Ecco, ha reagito il Guardasigilli, «non so se servirà la fiducia, io lavoro giorno per giorno e alla fine anche il governo potrà presentare i suoi emendamenti». Il 15 ottobre si vedrà, ma lo scenario è quello già visto alla Camera: maxiemendamento e fiducia.
Anche perché molti senatori devono dividere il poco tempo a disposizione tra anticorruzione e legge elettorale che ieri ha registrato l’ennesimo nulla di fatto se non fosse per un guizzo di Roberto Calderoli (Lega) che sta pensando ad un «Porcellum» riveduto e corretto: né collegi (chiesti da Pd) né preferenze (invocate dal Pdl) ma listini bloccati di due o tre candidati nelle micro circoscrizioni (232 per la Camera e 116 per il Senato). È un modello simil-spagnolo: premio di coalizione del 10%, ma solo se si ottiene il 45% altrimenti il primo partito si deve accontentare del 5%. Insomma, un «fritto misto» che però avrebbe il pregio di interrompere il braccio di ferro in atto.

Il Corriere della Sera 28.09.12

"Corruzione, il Pdl ripresenta la norma salva-Ruby", di Dino Martirano

Quando è sera il ministro della Giustizia Paola Severino s’infila nell’ascensore del Senato che porta dritto al piano nobile dove si affacciano gli uffici della presidenza: il colloquio con Renato Schifani è dedicato prevalentemente ai tempi parlamentari del ddl anticorruzione che potrebbe arrivare in aula il 15 ottobre, con piccole modifiche, e dopo pochi giorni tornare alla Camera per l’approvazione definitiva. Il Guardasigilli, infatti, è già informato sul centinaio di emendamenti presentati (54 del Pdl, una ventina del Pd che verrebbero ritirati se c’è l’ok al testo della Camera, nessuno dell’Udc) ma il via libera del governo alle modifiche — «ammesse solo quelle migliorative e non quelle soppressive», ripete il ministro — ci sarà dopo che i partiti della maggioranza firmeranno un patto d’onore: l’impegno chiesto dalla Severino è quello di varare definitivamente la legge in tempi più che rapidi, magari a novembre, perché sulla lotta alla corruzione il presidente Monti, spalleggiato dal capo dello Stato, non intende retrocedere di un passo.
Gli emendamenti presentati riservano un paio di sorprese e molte conferme. Per iniziativa della senatrice Gallone e del collega Compagna (tutti e due del Pdl) rispunta la norma «salva Ruby» che permetterebbe a Berlusconi di cavarsela in ogni caso al processo di Milano: perché il Cavaliere, accusato di concussione per induzione, quella telefonata in questura la fece non per ottenere un’«utilità patrimoniale» ma per far rilasciare la minorenne marocchina. Alla Camera tutto questo si chiamava emendamento Sisto e non ebbe fortuna.
Il Pdl, però, spariglia perché, con le firme di Gasparri e Quagliariello, propone una norma anti-Batman (Francesco Fiorito del Pdl) e anti-Lusi (l’ex senatore della Margherita): «Reclusione da 2 a 6 anni per il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio che si appropria o usa indebitamente per finalità diverse contributi pubblici…».
«Buona idea, se si tratta di estendere la fattispecie di malversazione relativa al cattivo uso del denaro pubblico anche alle Regioni, sarebbe una norma accettabile», chiosa il ministro Severino. Il Pd ha risposto con 2 emendamenti di Della Monica: ineleggibilità dei condannati per corruzione, operativa prima delle elezioni del 2013; mantenere a 12 anni la pena massima per la concussione per induzione (reato di cui è accusato, tra gli altri, Penati del Pd) che la Camera aveva portato a 8 anni.
Tutto ruota intorno al Pdl che vorrebbe cancellare i nuovi reati di traffico di influenze e correggere la corruzione tra privati (reintroducendo la procedibilità a querela). Il ministro è stato chiaro tanto da indurre il Pdl a proporre, oltre agli emendamenti soppressivi anche quelli di mediazione. Ecco, ha reagito il Guardasigilli, «non so se servirà la fiducia, io lavoro giorno per giorno e alla fine anche il governo potrà presentare i suoi emendamenti». Il 15 ottobre si vedrà, ma lo scenario è quello già visto alla Camera: maxiemendamento e fiducia.
Anche perché molti senatori devono dividere il poco tempo a disposizione tra anticorruzione e legge elettorale che ieri ha registrato l’ennesimo nulla di fatto se non fosse per un guizzo di Roberto Calderoli (Lega) che sta pensando ad un «Porcellum» riveduto e corretto: né collegi (chiesti da Pd) né preferenze (invocate dal Pdl) ma listini bloccati di due o tre candidati nelle micro circoscrizioni (232 per la Camera e 116 per il Senato). È un modello simil-spagnolo: premio di coalizione del 10%, ma solo se si ottiene il 45% altrimenti il primo partito si deve accontentare del 5%. Insomma, un «fritto misto» che però avrebbe il pregio di interrompere il braccio di ferro in atto.
Il Corriere della Sera 28.09.12