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"Napolitano: la Ue chiede la legge anti-corrotti. Ma il Pdl resiste", di Liana Milella

Napolitano insiste sull’anti- corruzione. Bersani e Casini danno il pieno via libera al voto di fiducia lasciando il testo così com’è. Per approvarlo subito al Senato e dare un segnale al Paese. Il finiano Granata annuncia uno sciopero della fame a staffetta. Il Pdl si divide. Voci isolate definiscono necessaria la legge, ma i capi, da Cicchitto a Gasparri, insistono comunque sugli emendamenti. Il Guardasigilli Severino è perentoria, alla sua «piramide» delle pene non intende togliere «mattoni preziosi», boccerà proposte di modifica che dovessero suonare come «di sottrazione e di soppressione».
Oggi, alle 18, scade nelle commissioni riunite del Senato Affari costituzionali e Giustizia, il termine per gli emendamenti. Il Pdl li presenterà, «nessuno può impedirmelo » dichiara stizzito il presidente della Giustizia Berselli. Il Pd potrebbe non farlo. Ma tutto lascia presagire che, alla fine, per chiudere un’intesa, qualche modifica ci sarà in modo da incassare il voto sicuro del Pdl. Sul governo pesa il controllo vigile delle magistrature. Ecco il presidente della Corte dei Conti Giampaolino affermare: «Il denaro pubblico va maneggiato con cura, chi lo usa ne deve rendere conto». Dura la chiosa di Rodolfo M. Sabelli, al vertice dell’Anm: «Ci vuole uno scatto d’orgoglio, di coraggio, di dignità. Serve un intervento forte».
Il Pdl ormai si ritrova isolato. Le parole di Napolitano, a fine mattinata,
inchiodano governo e maggioranza alle sue responsabilità. Dice il presidente, giunto ormai al suo quarto richiamo: «È l’Europa a chiederci un grosso impegno di lotta contro la corruzione ». Racconta che il segretario generale dell’Ocse gli «ha messo bene in evidenza» come nella curva statistica del fenomeno «siamo messi molto male», l’Italia «deve superare una condizione di inferiorità rispetto a molti Paesi europei». Numeri ormai tristemente noti. Che scuotono Pd e Udc, ma lasciano indifferente il Pdl. Il segretario Alfano, pur giornalisticamente sollecitato, tace. Il primo ddl è suo, i berlusconiani non fanno che ricordarlo, ma il partito parla di modifiche, non di un voto ad horas. Per di più Cicchitto insiste nel voler mettere le intercettazioni nel calendario della Camera di ottobre. Gasparri conferma gli emendamenti soppressivi sul traffico di influenze. Suonano flebili le voci di chi, come Frattini, Bertolini, Vitali, vogliono comunque un sì alla legge.
La vera svolta matura tra Pd e Udc. Bersani e Casini si rincorrono nel chiedere al governo il voto di fiducia. «Con quella apparirà chiaro chi contrasta la legge» dice il leader centrista. «Altro che articolo 18» esplode Bersani, è sull’anti- corruzione che la fiducia è necessaria perché «è indecoroso e inaccettabile che in una situazione talmente disastrosa nel rapporto tra istituzioni e politica s’impedisca il voto sull’anti-corruzione ». Orlando e Finocchiaro dicono altrettanto. Ma ancora ieri sera una possibile mediazione non era visibile. Un segnale potrebbe arrivare oggi qualora il Pd decida, magari seguito dall’Udc, di non presentare emendamenti.

La Repubblica 27.09.12

"Napolitano: la Ue chiede la legge anti-corrotti. Ma il Pdl resiste", di Liana Milella

Napolitano insiste sull’anti- corruzione. Bersani e Casini danno il pieno via libera al voto di fiducia lasciando il testo così com’è. Per approvarlo subito al Senato e dare un segnale al Paese. Il finiano Granata annuncia uno sciopero della fame a staffetta. Il Pdl si divide. Voci isolate definiscono necessaria la legge, ma i capi, da Cicchitto a Gasparri, insistono comunque sugli emendamenti. Il Guardasigilli Severino è perentoria, alla sua «piramide» delle pene non intende togliere «mattoni preziosi», boccerà proposte di modifica che dovessero suonare come «di sottrazione e di soppressione».
Oggi, alle 18, scade nelle commissioni riunite del Senato Affari costituzionali e Giustizia, il termine per gli emendamenti. Il Pdl li presenterà, «nessuno può impedirmelo » dichiara stizzito il presidente della Giustizia Berselli. Il Pd potrebbe non farlo. Ma tutto lascia presagire che, alla fine, per chiudere un’intesa, qualche modifica ci sarà in modo da incassare il voto sicuro del Pdl. Sul governo pesa il controllo vigile delle magistrature. Ecco il presidente della Corte dei Conti Giampaolino affermare: «Il denaro pubblico va maneggiato con cura, chi lo usa ne deve rendere conto». Dura la chiosa di Rodolfo M. Sabelli, al vertice dell’Anm: «Ci vuole uno scatto d’orgoglio, di coraggio, di dignità. Serve un intervento forte».
Il Pdl ormai si ritrova isolato. Le parole di Napolitano, a fine mattinata,
inchiodano governo e maggioranza alle sue responsabilità. Dice il presidente, giunto ormai al suo quarto richiamo: «È l’Europa a chiederci un grosso impegno di lotta contro la corruzione ». Racconta che il segretario generale dell’Ocse gli «ha messo bene in evidenza» come nella curva statistica del fenomeno «siamo messi molto male», l’Italia «deve superare una condizione di inferiorità rispetto a molti Paesi europei». Numeri ormai tristemente noti. Che scuotono Pd e Udc, ma lasciano indifferente il Pdl. Il segretario Alfano, pur giornalisticamente sollecitato, tace. Il primo ddl è suo, i berlusconiani non fanno che ricordarlo, ma il partito parla di modifiche, non di un voto ad horas. Per di più Cicchitto insiste nel voler mettere le intercettazioni nel calendario della Camera di ottobre. Gasparri conferma gli emendamenti soppressivi sul traffico di influenze. Suonano flebili le voci di chi, come Frattini, Bertolini, Vitali, vogliono comunque un sì alla legge.
La vera svolta matura tra Pd e Udc. Bersani e Casini si rincorrono nel chiedere al governo il voto di fiducia. «Con quella apparirà chiaro chi contrasta la legge» dice il leader centrista. «Altro che articolo 18» esplode Bersani, è sull’anti- corruzione che la fiducia è necessaria perché «è indecoroso e inaccettabile che in una situazione talmente disastrosa nel rapporto tra istituzioni e politica s’impedisca il voto sull’anti-corruzione ». Orlando e Finocchiaro dicono altrettanto. Ma ancora ieri sera una possibile mediazione non era visibile. Un segnale potrebbe arrivare oggi qualora il Pd decida, magari seguito dall’Udc, di non presentare emendamenti.
La Repubblica 27.09.12

"Varate le Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale", da Tuttoscuola

A distanza di cinque anni dalla introduzione delle norme contenute nella legge 40 del 2007 (art. 13), volute al tempo dai ministri Fioroni e Bersani ma rimaste sinora sulla carta, si costituiscono sul territorio i Poli tecnico professionali. Lo Stato, le Regioni e le Autonomie locali hanno raggiunto, dopo pochi mesi dall’entrata in vigore dell’articolo 52 della legge n.35/2012 (ex decreto ‘semplificazioni’) un’importante intesa sulla realizzazione delle misure che collegano le filiere formative con le filiere produttive: con un decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, condiviso con il Ministero del lavoro e politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’economia, sono state definite e approvate le linee guida che tracciano la mappa dei collegamenti tra aree economiche e professionali, filiere produttive, cluster tecnologici, aree tecnologiche, ambiti e figure degli I.T.S., gli indirizzi degli istituti tecnici e degli istituti professionali, i diplomi e le qualifiche professionali.

A distanza di cinque anni dalla introduzione delle norme contenute nella legge 40 del 2007 (art. 13), volute al tempo dai ministri Fioroni e Bersani ma rimaste sinora sulla carta, si costituiscono sul territorio i Poli tecnico professionali, come reti tra istituti tecnici e professionali, centri di formazione professionale accreditati e imprese. L’obiettivo è di favorire lo sviluppo della cultura tecnica e scientifica, l’occupazione dei giovani anche attraverso i percorsi in apprendistato e nuovi modelli organizzativi, come le scuole bottega e le piazze dei mestieri, di cui vi sono già alcune positive esperienze pilota in Lombardia e in Piemonte.

Viene rafforzata l’istruzione tecnica superiore, dando più autonomia e ruolo agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) quali scuole speciali di tecnologia che devono rispondere a rigorosi standard per l’accesso ai contribuiti del Ministero dell’Istruzione e per il riconoscimento del Diploma di Tecnico Superiore.

Nonostante la situazione di crisi, con la spending review è stato dedicato, a partire dal 2013, un fondo specifico di 14 milioni di euro/anno per consolidare e sviluppare gli ITS, a sostegno della competitività delle imprese anche nei mercati internazionali. Nella fase 2009/2011 sono state già costituite 62 Fondazione ITS che hanno attivato 72 corsi. Si farà a tutti un check up per consolidare e sviluppare quelli che hanno già dimostrato di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro e istituirne nuovi. Non ci potrà comunque essere in ciascuna regione più di un istituto tecnico superiore in relazione agli ambiti tecnologici indicati nella mappa.

Con il decreto, oggetto della raggiunta intesa, viene fissata anche la composizione delle commissioni che esamineranno, a partire dal prossimo mese di giugno, gli studenti a conclusione dei percorsi biennali degli istituti tecnici superiori già funzionanti.

Anche il presidente Napolitano, in occasione dell’apertura ufficiale dell’anno scolastico al Quirinale, aveva sottolineato l’importanza delle “misure per collegare l’istruzione agli sbocchi lavorativi, potenziando l’istruzione tecnica e la formazione professionale superiore in relazione alla realtà e potenzialità produttiva del Paese”.

da Tuttoscuola 27.09.12

"Varate le Linee guida per l’istruzione tecnica e professionale", da Tuttoscuola

A distanza di cinque anni dalla introduzione delle norme contenute nella legge 40 del 2007 (art. 13), volute al tempo dai ministri Fioroni e Bersani ma rimaste sinora sulla carta, si costituiscono sul territorio i Poli tecnico professionali. Lo Stato, le Regioni e le Autonomie locali hanno raggiunto, dopo pochi mesi dall’entrata in vigore dell’articolo 52 della legge n.35/2012 (ex decreto ‘semplificazioni’) un’importante intesa sulla realizzazione delle misure che collegano le filiere formative con le filiere produttive: con un decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, condiviso con il Ministero del lavoro e politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’economia, sono state definite e approvate le linee guida che tracciano la mappa dei collegamenti tra aree economiche e professionali, filiere produttive, cluster tecnologici, aree tecnologiche, ambiti e figure degli I.T.S., gli indirizzi degli istituti tecnici e degli istituti professionali, i diplomi e le qualifiche professionali.
A distanza di cinque anni dalla introduzione delle norme contenute nella legge 40 del 2007 (art. 13), volute al tempo dai ministri Fioroni e Bersani ma rimaste sinora sulla carta, si costituiscono sul territorio i Poli tecnico professionali, come reti tra istituti tecnici e professionali, centri di formazione professionale accreditati e imprese. L’obiettivo è di favorire lo sviluppo della cultura tecnica e scientifica, l’occupazione dei giovani anche attraverso i percorsi in apprendistato e nuovi modelli organizzativi, come le scuole bottega e le piazze dei mestieri, di cui vi sono già alcune positive esperienze pilota in Lombardia e in Piemonte.
Viene rafforzata l’istruzione tecnica superiore, dando più autonomia e ruolo agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) quali scuole speciali di tecnologia che devono rispondere a rigorosi standard per l’accesso ai contribuiti del Ministero dell’Istruzione e per il riconoscimento del Diploma di Tecnico Superiore.
Nonostante la situazione di crisi, con la spending review è stato dedicato, a partire dal 2013, un fondo specifico di 14 milioni di euro/anno per consolidare e sviluppare gli ITS, a sostegno della competitività delle imprese anche nei mercati internazionali. Nella fase 2009/2011 sono state già costituite 62 Fondazione ITS che hanno attivato 72 corsi. Si farà a tutti un check up per consolidare e sviluppare quelli che hanno già dimostrato di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro e istituirne nuovi. Non ci potrà comunque essere in ciascuna regione più di un istituto tecnico superiore in relazione agli ambiti tecnologici indicati nella mappa.
Con il decreto, oggetto della raggiunta intesa, viene fissata anche la composizione delle commissioni che esamineranno, a partire dal prossimo mese di giugno, gli studenti a conclusione dei percorsi biennali degli istituti tecnici superiori già funzionanti.
Anche il presidente Napolitano, in occasione dell’apertura ufficiale dell’anno scolastico al Quirinale, aveva sottolineato l’importanza delle “misure per collegare l’istruzione agli sbocchi lavorativi, potenziando l’istruzione tecnica e la formazione professionale superiore in relazione alla realtà e potenzialità produttiva del Paese”.
da Tuttoscuola 27.09.12

"Se l'ora di religione rimane una trincea", di Mariapia Veladiano

Come si fa a non parlar di Dio a scuola? Far finta che non esista un credere che ha scosso la storia, disegnato le nazioni, spostato i confini, costruito cattedrali e pievi, riempito musei di opere d’arte. E poi ha dato speranza e suscitato l’azione di persone, popoli, per generazioni, ovunque, da sempre. Anche adesso. E poi, certo che è capitato, questo credere si è anche rovesciato in conflitti, ordalie atroci, fanatismi devastanti. E bisogna saperlo perché non capiti più, così si dice sempre, tutti d’accordo. Fin qui d’accordo. Poi comincia la guerra. Su come parlare di questa immensità che si declina in infiniti personalissimi modi di far propria una speranza così assoluta da non potersi quasi dire e che pure si deve dire. La via italiana al parlar di Dio a scuola è limpidamente inesemplare. L’attuale status dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) è formalmente ineccepibile.Ha da anni un suo corretto profilo culturale, dei programmi non confessionali che guardano al cristianesimo come fenomeno religioso fondante per la nostra storia e società, ha suoi obiettivi di apprendimento e sta definendo le specifiche competenze in uscita riferite ai diversi ordini di scuola.
Però ha alcuni peccati d’origine che la rendono una disciplina sempre in trincea: nasce da un Concordato (quella del 1984 è stata solo una Revisione del Concordato) internazionale, è disciplina a pieno titolo, ma marginalizzata a livello reale in quanto non entra nell’esame di Stato ed è soggetta a scelta, e marginalizzata anche a livello simbolico, perché la valutazione è fuori dalla pagella.
Poi ci sono i docenti: ora di ruolo per concorso, ma sottoposti all’idoneità dell’ordinario diocesano e però gestiti dallo Stato, privilegiati
per alcuni, ma anche crocifissi da una condizione irrimediabilmente anomala che spesso li costringe a programmi molto dipendenti dai desideri degli studenti. A volte eroi a volte fantasisti della didattica.
Ora, a dire che va bene così, magari perché ancora i numeri “tengono” e gli studenti che si avvalgono sono ancora la maggioranza, ci vuol proprio coraggio. Non va bene così anche solo perché decenni di IRC non ci stanno salvando da un analfabetismo religioso impressionante. Chi insegna lettere conosce la disperazione di dover spiegare tutto, ma proprio tutto, ogni volta che in letteratura si ha bisogno di riferirsi alla cultura religiosa: che sia la cacciata dal paradiso terrestre per il primo capitolo del Candido di Voltaire, o la Pentecoste per gli Inni sacri di Manzoni. Gli studenti non sanno enunciare un dogma quando si parla di principio d’autorità nell’Illuminismo, non sanno dire cosa sia un salmo quando si incontrano i versi struggenti di Quasimodo “
alle fronde dei salici per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento”.
E spesso neppure sanno cosa sia un voto diverso da quello di scuola.
Oggi la scuola è davvero l’ultimo splendido laboratorio della nostra convivenza e l’esperienza religiosa, che per tanti, per la maggior parte di noi, è sì storia, cultura, passato ma anche fondamento e insieme spiraglio di un futuro possibile, deve trovare un posto preservato dalla strumentalizzazione politica, difeso attraverso la sobrietà delle parole e dei toni. Chi crede sa che la fede non ha bisogno dell’IRC, ma del nostro dar ragione della speranza che viviamo, lungo tutto il laico comune costruire insieme i giorni che ci sono dati.
Ai ragazzi a scuola si deve dare la consapevolezza che l’allargarsi dell’umano alla dimensione dello spirito non è un abbaglio, ma una possibilità che moltitudini prima di loro e intorno a loro hanno conosciuto e conoscono. E nella pace possono coltivare.
Un parlar di Dio a scuola che venga dalla vittoria di un malsano accanito combattersi è sempre una sconfitta.

La Repubblica 27.09.12

******

“Scuola, tutti i nomi di Dio”, di MAria Novella De Luca

Bisogna venire qui, in questa ex “scuola ghetto” per stranieri, «da cui le famiglie italiane fuggivano, mentre adesso c’è la fila», ricorda Miriam Iacomini, coordinatrice didattica, per capire come e quanto la polemica sull’ora di religione, la crociata di critiche contro il ministro Profumo che ne ha proposto una (timida) modifica, siano cose e parole lontane dalla vita reale.
Perché l’Italia di Hu, di Massimo, di Pilar, cinesi, filippini, sudamericani,
nordafricani, bangladesi, ma anche romeni, ucraini, albanesi, che giocano e corrono nel cortile della loro scuola, è già “multi” – culture, fedi, colori – e il cattolicesimo, visto dalle volte scrostate di questo antico istituto, è soltanto una tra le tante religioni. Racconta Yusra, 11 anni, accanto alla madre Safia, somala: «Sono musulmana, frequento la moschea, ma qui a scuola fin dalle elementari ho avuto amici di tutte le nazionalità e di tutte le religioni. Ho sempre fatto l’ora di “alternativa”, ma ho partecipato ai laboratori: ognuno raccontava le proprie usanze e anche il proprio modo di pregare». E Safia, con il capo coperto, quietamente precisa: «Nel Corano c’è ogni cosa, anche un po’ della Bibbia, dividersi non serve… ».
Davanti al cancello donne velate e mamme in sari, genitori italiani e la folta, foltissima e sempre più prospera comunità asiatica dell’Esquilino. «Noi siamo buddisti scandisce sicura la bambina cinese, italiano perfetto e lieve accento romano – ma la mia migliore amica ha fatto la prima comunione, e alla sua festa sono andata anch’io». Integrazione senza barriere. Poi i ragazzini crescono, e può accadere che tutto cambi. Ma per ora è così. Semplicemente. «Questa scuola negli ultimi dieci anni ha subito una metamorfosi positiva», dice con orgoglio Rosaria D’Amico, maestra con la passione ancora intatta per il suo lavoro. «Le famiglie italiane del quartiere avevano paura di portare i loro figli in un istituto con una percentuale di immigrati così alta. Poi hanno iniziato a frequentarci, hanno capito la nostra didattica aperta ad ogni tipo di diversità, hanno visto le attività, dallo sport alla ludoteca, e le iscrizioni sono cresciute di anno in anno. Italiani e non. E forse sarebbe ora di smetterla di parlare di “stranieri”, visto che il 90% degli immigrati che frequentano la nostra scuola è in realtà nato in Italia ».
I piccoli cinesi ad esempio. Che alle 16,30, quando tutti gli altri vanno
a giocare, frequentano la loro seconda scuola, in cinese, appunto. «E sono fortissimi, hanno un allenamento formidabile, come quelli che arrivano dal Bangladesh, che parlano tre lingue», aggiunge Rosaria D’Amico. Mescolarsi fa bene. Apre la mente e i cuori. Come pregare, per chi ci crede. Cristo, Allah, Budda: i grandi poster sulle pareti disegnati dai ragazzi ci ricordano che le fedi sono tante, Dio ha più volti e più nomi. «Ognuno nel cuore sa come invocarlo, soprattutto quando sei un bambino», dice Fatiah, musulmana, che però non ha esonerato i suoi figli dall’ora di religione. «Per loro è come una favola, va bene così».
Educazione alla convivenza. Alla “Di Donato” da alcuni anni, l’associazione “Uva”, che vuol dire “Universo L’Altro”, tiene laboratori di storia delle religioni, finanziati attraverso un bando della Tavola Valdese, con i fondi dell’8 per mille. Spiega la presidente Giulia Nardini: «È da questa eterogeneità che nasce la curiosità dei bambini. Ai nostri corsi partecipano tutti, anche chi è esonerato dall’ora di religione cattolica. Noi facciamo un racconto delle varie fedi attraverso i simboli, le feste e le mappe dei luoghi dove queste storie sono nate. E la narrazione li cattura, conquista sia chi in famiglia prega, chi no. La particolarità è che spesso i bambini di questa scuola già sanno a quale religione appartengono i loro compagni. Sono abituati alla diversità». E gli insegnanti di religione? «A volte collaborano, a volte è come se volessero difendere il loro territorio dalla contaminazione».
Invece questa scuola multi-tutto, aperta dal primo mattino alla sera tardi, grazie ad un efficientissimo comitato di genitori, sede di un Ctp, cioè un centro di educazione per adulti, ha fatto della “contaminazione” la propria cifra. Vincente, sembra. Francesca Longo ha due figlie. «Entrambe hanno sempre frequentato l’ora di religione. Per cultura, per curiosità.
Credo sia giusto. Purché, naturalmente, non diventi catechismo ». Aldo è il giovane padre di Paolo, 6 anni, energia incontenibile: «Siamo atei, Paolo non è battezzato e non fa religione. Il ministro Profumo ha ragione: in un mondo globalizzato non si può insegnare ai bambini che esiste soltanto il cattolicesimo. E chi lo critica dovrebbe vedere questa realtà: il miglior amico di mio figlio è di fede islamica, il suo compagno di banco è induista. Il mio sospetto è che la Cei voglia utilizzare l’ora di religione per catechizzare e riportare alla Chiesa i nostri bambini…».
Chissà. Eppure ai più giovani il contatto con il “sacro” piace. Miriam
Iacopini, maestra e coordinatrice didattica: «Poco tempo fa abbiamo fatto un lungo lavoro sulle tre religioni monoteiste, portando i bambini a visitare anche la moschea e la sinagoga. E alle famiglie che avevano esonerati i figli dall’ora di religione abbiamo chiesto un esonero “al contrario”. Un’esperienza entusiasmante. Queste polemiche invece sono inutili. Avete visto la nostra scuola? Cadono i cornicioni, la palestra è inagibile, le finestre sono rotte. Abbiano bisogno di fondi non di dibattiti già vecchi per i bambini di domani…».

La Repubblica 27.09.12

"Se l'ora di religione rimane una trincea", di Mariapia Veladiano

Come si fa a non parlar di Dio a scuola? Far finta che non esista un credere che ha scosso la storia, disegnato le nazioni, spostato i confini, costruito cattedrali e pievi, riempito musei di opere d’arte. E poi ha dato speranza e suscitato l’azione di persone, popoli, per generazioni, ovunque, da sempre. Anche adesso. E poi, certo che è capitato, questo credere si è anche rovesciato in conflitti, ordalie atroci, fanatismi devastanti. E bisogna saperlo perché non capiti più, così si dice sempre, tutti d’accordo. Fin qui d’accordo. Poi comincia la guerra. Su come parlare di questa immensità che si declina in infiniti personalissimi modi di far propria una speranza così assoluta da non potersi quasi dire e che pure si deve dire. La via italiana al parlar di Dio a scuola è limpidamente inesemplare. L’attuale status dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) è formalmente ineccepibile.Ha da anni un suo corretto profilo culturale, dei programmi non confessionali che guardano al cristianesimo come fenomeno religioso fondante per la nostra storia e società, ha suoi obiettivi di apprendimento e sta definendo le specifiche competenze in uscita riferite ai diversi ordini di scuola.
Però ha alcuni peccati d’origine che la rendono una disciplina sempre in trincea: nasce da un Concordato (quella del 1984 è stata solo una Revisione del Concordato) internazionale, è disciplina a pieno titolo, ma marginalizzata a livello reale in quanto non entra nell’esame di Stato ed è soggetta a scelta, e marginalizzata anche a livello simbolico, perché la valutazione è fuori dalla pagella.
Poi ci sono i docenti: ora di ruolo per concorso, ma sottoposti all’idoneità dell’ordinario diocesano e però gestiti dallo Stato, privilegiati
per alcuni, ma anche crocifissi da una condizione irrimediabilmente anomala che spesso li costringe a programmi molto dipendenti dai desideri degli studenti. A volte eroi a volte fantasisti della didattica.
Ora, a dire che va bene così, magari perché ancora i numeri “tengono” e gli studenti che si avvalgono sono ancora la maggioranza, ci vuol proprio coraggio. Non va bene così anche solo perché decenni di IRC non ci stanno salvando da un analfabetismo religioso impressionante. Chi insegna lettere conosce la disperazione di dover spiegare tutto, ma proprio tutto, ogni volta che in letteratura si ha bisogno di riferirsi alla cultura religiosa: che sia la cacciata dal paradiso terrestre per il primo capitolo del Candido di Voltaire, o la Pentecoste per gli Inni sacri di Manzoni. Gli studenti non sanno enunciare un dogma quando si parla di principio d’autorità nell’Illuminismo, non sanno dire cosa sia un salmo quando si incontrano i versi struggenti di Quasimodo “
alle fronde dei salici per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento”.
E spesso neppure sanno cosa sia un voto diverso da quello di scuola.
Oggi la scuola è davvero l’ultimo splendido laboratorio della nostra convivenza e l’esperienza religiosa, che per tanti, per la maggior parte di noi, è sì storia, cultura, passato ma anche fondamento e insieme spiraglio di un futuro possibile, deve trovare un posto preservato dalla strumentalizzazione politica, difeso attraverso la sobrietà delle parole e dei toni. Chi crede sa che la fede non ha bisogno dell’IRC, ma del nostro dar ragione della speranza che viviamo, lungo tutto il laico comune costruire insieme i giorni che ci sono dati.
Ai ragazzi a scuola si deve dare la consapevolezza che l’allargarsi dell’umano alla dimensione dello spirito non è un abbaglio, ma una possibilità che moltitudini prima di loro e intorno a loro hanno conosciuto e conoscono. E nella pace possono coltivare.
Un parlar di Dio a scuola che venga dalla vittoria di un malsano accanito combattersi è sempre una sconfitta.
La Repubblica 27.09.12
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“Scuola, tutti i nomi di Dio”, di MAria Novella De Luca
Bisogna venire qui, in questa ex “scuola ghetto” per stranieri, «da cui le famiglie italiane fuggivano, mentre adesso c’è la fila», ricorda Miriam Iacomini, coordinatrice didattica, per capire come e quanto la polemica sull’ora di religione, la crociata di critiche contro il ministro Profumo che ne ha proposto una (timida) modifica, siano cose e parole lontane dalla vita reale.
Perché l’Italia di Hu, di Massimo, di Pilar, cinesi, filippini, sudamericani,
nordafricani, bangladesi, ma anche romeni, ucraini, albanesi, che giocano e corrono nel cortile della loro scuola, è già “multi” – culture, fedi, colori – e il cattolicesimo, visto dalle volte scrostate di questo antico istituto, è soltanto una tra le tante religioni. Racconta Yusra, 11 anni, accanto alla madre Safia, somala: «Sono musulmana, frequento la moschea, ma qui a scuola fin dalle elementari ho avuto amici di tutte le nazionalità e di tutte le religioni. Ho sempre fatto l’ora di “alternativa”, ma ho partecipato ai laboratori: ognuno raccontava le proprie usanze e anche il proprio modo di pregare». E Safia, con il capo coperto, quietamente precisa: «Nel Corano c’è ogni cosa, anche un po’ della Bibbia, dividersi non serve… ».
Davanti al cancello donne velate e mamme in sari, genitori italiani e la folta, foltissima e sempre più prospera comunità asiatica dell’Esquilino. «Noi siamo buddisti scandisce sicura la bambina cinese, italiano perfetto e lieve accento romano – ma la mia migliore amica ha fatto la prima comunione, e alla sua festa sono andata anch’io». Integrazione senza barriere. Poi i ragazzini crescono, e può accadere che tutto cambi. Ma per ora è così. Semplicemente. «Questa scuola negli ultimi dieci anni ha subito una metamorfosi positiva», dice con orgoglio Rosaria D’Amico, maestra con la passione ancora intatta per il suo lavoro. «Le famiglie italiane del quartiere avevano paura di portare i loro figli in un istituto con una percentuale di immigrati così alta. Poi hanno iniziato a frequentarci, hanno capito la nostra didattica aperta ad ogni tipo di diversità, hanno visto le attività, dallo sport alla ludoteca, e le iscrizioni sono cresciute di anno in anno. Italiani e non. E forse sarebbe ora di smetterla di parlare di “stranieri”, visto che il 90% degli immigrati che frequentano la nostra scuola è in realtà nato in Italia ».
I piccoli cinesi ad esempio. Che alle 16,30, quando tutti gli altri vanno
a giocare, frequentano la loro seconda scuola, in cinese, appunto. «E sono fortissimi, hanno un allenamento formidabile, come quelli che arrivano dal Bangladesh, che parlano tre lingue», aggiunge Rosaria D’Amico. Mescolarsi fa bene. Apre la mente e i cuori. Come pregare, per chi ci crede. Cristo, Allah, Budda: i grandi poster sulle pareti disegnati dai ragazzi ci ricordano che le fedi sono tante, Dio ha più volti e più nomi. «Ognuno nel cuore sa come invocarlo, soprattutto quando sei un bambino», dice Fatiah, musulmana, che però non ha esonerato i suoi figli dall’ora di religione. «Per loro è come una favola, va bene così».
Educazione alla convivenza. Alla “Di Donato” da alcuni anni, l’associazione “Uva”, che vuol dire “Universo L’Altro”, tiene laboratori di storia delle religioni, finanziati attraverso un bando della Tavola Valdese, con i fondi dell’8 per mille. Spiega la presidente Giulia Nardini: «È da questa eterogeneità che nasce la curiosità dei bambini. Ai nostri corsi partecipano tutti, anche chi è esonerato dall’ora di religione cattolica. Noi facciamo un racconto delle varie fedi attraverso i simboli, le feste e le mappe dei luoghi dove queste storie sono nate. E la narrazione li cattura, conquista sia chi in famiglia prega, chi no. La particolarità è che spesso i bambini di questa scuola già sanno a quale religione appartengono i loro compagni. Sono abituati alla diversità». E gli insegnanti di religione? «A volte collaborano, a volte è come se volessero difendere il loro territorio dalla contaminazione».
Invece questa scuola multi-tutto, aperta dal primo mattino alla sera tardi, grazie ad un efficientissimo comitato di genitori, sede di un Ctp, cioè un centro di educazione per adulti, ha fatto della “contaminazione” la propria cifra. Vincente, sembra. Francesca Longo ha due figlie. «Entrambe hanno sempre frequentato l’ora di religione. Per cultura, per curiosità.
Credo sia giusto. Purché, naturalmente, non diventi catechismo ». Aldo è il giovane padre di Paolo, 6 anni, energia incontenibile: «Siamo atei, Paolo non è battezzato e non fa religione. Il ministro Profumo ha ragione: in un mondo globalizzato non si può insegnare ai bambini che esiste soltanto il cattolicesimo. E chi lo critica dovrebbe vedere questa realtà: il miglior amico di mio figlio è di fede islamica, il suo compagno di banco è induista. Il mio sospetto è che la Cei voglia utilizzare l’ora di religione per catechizzare e riportare alla Chiesa i nostri bambini…».
Chissà. Eppure ai più giovani il contatto con il “sacro” piace. Miriam
Iacopini, maestra e coordinatrice didattica: «Poco tempo fa abbiamo fatto un lungo lavoro sulle tre religioni monoteiste, portando i bambini a visitare anche la moschea e la sinagoga. E alle famiglie che avevano esonerati i figli dall’ora di religione abbiamo chiesto un esonero “al contrario”. Un’esperienza entusiasmante. Queste polemiche invece sono inutili. Avete visto la nostra scuola? Cadono i cornicioni, la palestra è inagibile, le finestre sono rotte. Abbiano bisogno di fondi non di dibattiti già vecchi per i bambini di domani…».
La Repubblica 27.09.12

"Ecco il piano del Miur per rendere le scuole più multiculturali", di Flavia Amabile

E’ sul sito del Miur dal 4 settembre scorso la bozza del documento del Miur che anticipa le frasi di questi giorni del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo sull’ora di religione nelle scuole. Ecco il link: http://www.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12 Contiene un’apertura alla multiculturalità che si estende all’intero percorso scolastico e non èi limitata all’ora di religione. Le novità dovrebbero essere introdotte nelle scuole a partire già dal prossimo anno se il parere del Consiglio di Stato arriverà in tempo. E’ un documento predisposto nei mesi scorsi – mesi di gestione del ministro Profumo che con correttezza l’ha sottoposto a diversi soggetti, a partire dalla Cei. Si tratta di un documento corposo ma da cui emergono alcuni punti principali.

– La scuola è il luogo dell’esercizio e della garanzia dei diritti costituzionali, ne sono citatI esplicitamente alcuni come: la libertà di religione, il dovere di contribuire concretamente alla qualità di vita della società

– La scuola deve prevedere percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli allievi. Particolare attenzione va rivolta agli alunni con cittadinanza non italiana che richiedono interventi differenziati non solo in italiano ma nella progettazione didattca complessiva della scuola e quindi dei docenti di tutte le discipline

– Gli alunni hanno basi diverse, c’è chi arriva con i dialetti, chi con lingue straniere. L’apprendimento dell’italiano deve avvenire a partire dalle competenze linguistiche maturate nell’idioma nativo e si deve guardare al loro sviluppo in funzione non solo del miglior rendimento scolastico ma come componente essenziale delle abilità per la vita. Vanno tenute in considerazione anche le espressioni ’locali’, di strada e gergali.

– La storia, al contrario di altre materie si dice che occorre aggiornare gli argomenti di studio nell’ottica della nuova società multietnica e multiculturale. Gli snodi del curricolo saranno quindi: il processo di ominizzazione, la rivoluzione neolitica, la rivoluzione industriale e i processi di mondializzazione e globalizzazione.

– La geografia deve diventare anche la costruzione della propria geografia costruendo il proprio senso dello spazio e deve dare spazio alla multiculturalità della società.

Piena rispondenza quindi con le frasi pronunciate dal ministro nei giorni scorsi. Eppure, nonostante il via libera anche della Cei al documento, la parte sulla possibile modifica all’ora di religione ha suscitato molte polemiche nel mondo cattolico dopo l’annuncio. Per rispondere il ministro ha deciso di scrivere una lettera al filosofo Giovanni Reale.

Premettendo che il dibattito che si è avviato sui giornali non corrisponde a ciò che aveva in mente, Francesco Profumo scrive a Reale: “Con Lei vorrei invece discutere, tenendo la sua opinione nella più alta considerazione, di come il mondo sta cambiando e di come lo vede Lei, con la Sua sapienza e la Sua fede, e di come possa la scuola recepire e trasmettere un’idea di questi cambiamenti alle generazioni degli italiani del futuro che si stanno formando oggi nella nostra scuola”.

“Il nostro Paese è al centro di un Mediterraneo in tumultuosa evoluzione politica e spirituale, da sempre crocevia di fedi e popoli, che da qualche tempo cerca un diverso equilibrio tra di esse e tra di essi. Sono dinamiche – afferma il ministro – che ci toccano da vicino, mi sono detto guardando le nuove classi della scuola italiana, dove questo essere crocevia è divenuto infine realtà. Conoscere questo nuovo mondo, e cercare di capirne i processi di trasformazione mi sembra essenziale per i nuovi italiani tanto quanto saper far di conto, saper scrivere nella nostra bellissima lingua, conoscerne una straniera ed avere una cultura civica e costituzionale pronta per la cittadinanza. A questo penso – e non certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura – quando rifletto ad alta voce su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con questa mutata realtà”.

La Stampa 27.09.12

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Religione, Profumo si corregge «Non voglio cambiare le norme»

Assicura: «non penso certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura, quando rifletto ad alta voce» su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con la mutata realtà.
Non se lo aspettava tanto clamore, il ministro Profumo, per le sue dichiarazioni sull’opportunità di rivedere i programmi di religione. La polemica, partita in sordina venerdì, è scoppiata ieri dopo reiterate dichiarazioni sul tema da parte del ministro. E ieri, in una lettera inviata al filosofo cattolico Giovanni Reale pubblicata da Il Messaggero, il titolare di Viale Trastevere smorza i toni parlando di «valutazioni personali», «interpretazioni fantasiose», «cortocircuiti della cronaca più spicciola».
Ma soprattutto assicura: «non penso certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura, quando rifletto ad alta voce» su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con la mutata realtà.
Parole che dovrebbero rassicurare, soprattutto le alte sfere ecclesiastiche. L’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ieri in un articolo, eloquentemente titolato «Il ministro sbaglia tema», parla di «nuovo fuoco sorprendentemente aperto contro l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, cioè statale e paritaria». E rimprovera a Profumo — già al centro di un editoriale per la faccenda del concorso a cattedra — una «sorprendente poca dimestichezza “tecnica” con il tema».
Polemico anche Giuseppe Fioroni, esponente del Pd e cattolico convinto. «Se per evitare di confrontarsi con i danni fatti finora alla scuola italiana dai tagli si butta sempre la palla in tribuna non si risolve nulla» ha ammonito l’ex ministro dell’Istruzione, rivolgendo un invito al suo successore: «Anziché cambiare l’ora di religione, che è materia concordataria, il ministro Profumo deve dare le risorse necessarie a far funzionare l’ora alternativa, che già esiste ma che gli istituti non riescono a rendere operativa». Decisa stroncatura nelle file del Pdl. «Si legga il concordato» suggerisce il senatore Franco Asciutti, capogruppo pdl della commissione Istruzione del Senato, mentre promette barricate Alessandro Bertoldi, presidente nazionale studenti Pdl-Vis studentesca.
Nella lettera a Reale, Profumo chiarisce tuttavia il suo pensiero. Racconta di aver incontrato, visitando tante scuole in tutta Italia, un’Italia multietnica e multiculturale. «Il nostro Paese è al centro di un Mediterraneo in tumultuosa evoluzione politica e spirituale, da sempre crocevia di fedi e popoli, che da qualche tempo cerca un diverso equilibrio tra di esse e tra di essi. Sono dinamiche — scrive il ministro — che ci toccano da vicino, mi sono detto guardando le nuove classi della scuola italiana, dove questo essere crocevia è divenuto infine realtà. Conoscere questo nuovo mondo, e cercare di capirne i processi di trasformazione mi sembra essenziale per i nuovi italiani tanto quanto saper far di conto, saper scrivere nella nostra bellissima lingua, conoscerne una straniera e avere una cultura civica e costituzionale pronta per la cittadinanza».
E questa esigenza — conclude — «non ha nulla a che fare né con un relativismo culturale in spregio alle nostre radici né con la riproposizione di un multiculturalismo così ideologico da essere stato accantonato anche nella civilissima Gran Bretagna dove fu per la prima volta introdotto».

Il Corriere della Sera 27.09.12