E’ sul sito del Miur dal 4 settembre scorso la bozza del documento del Miur che anticipa le frasi di questi giorni del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo sull’ora di religione nelle scuole. Ecco il link: http://www.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12 Contiene un’apertura alla multiculturalità che si estende all’intero percorso scolastico e non èi limitata all’ora di religione. Le novità dovrebbero essere introdotte nelle scuole a partire già dal prossimo anno se il parere del Consiglio di Stato arriverà in tempo. E’ un documento predisposto nei mesi scorsi – mesi di gestione del ministro Profumo che con correttezza l’ha sottoposto a diversi soggetti, a partire dalla Cei. Si tratta di un documento corposo ma da cui emergono alcuni punti principali.
– La scuola è il luogo dell’esercizio e della garanzia dei diritti costituzionali, ne sono citatI esplicitamente alcuni come: la libertà di religione, il dovere di contribuire concretamente alla qualità di vita della società
– La scuola deve prevedere percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli allievi. Particolare attenzione va rivolta agli alunni con cittadinanza non italiana che richiedono interventi differenziati non solo in italiano ma nella progettazione didattca complessiva della scuola e quindi dei docenti di tutte le discipline
– Gli alunni hanno basi diverse, c’è chi arriva con i dialetti, chi con lingue straniere. L’apprendimento dell’italiano deve avvenire a partire dalle competenze linguistiche maturate nell’idioma nativo e si deve guardare al loro sviluppo in funzione non solo del miglior rendimento scolastico ma come componente essenziale delle abilità per la vita. Vanno tenute in considerazione anche le espressioni ’locali’, di strada e gergali.
– La storia, al contrario di altre materie si dice che occorre aggiornare gli argomenti di studio nell’ottica della nuova società multietnica e multiculturale. Gli snodi del curricolo saranno quindi: il processo di ominizzazione, la rivoluzione neolitica, la rivoluzione industriale e i processi di mondializzazione e globalizzazione.
– La geografia deve diventare anche la costruzione della propria geografia costruendo il proprio senso dello spazio e deve dare spazio alla multiculturalità della società.
Piena rispondenza quindi con le frasi pronunciate dal ministro nei giorni scorsi. Eppure, nonostante il via libera anche della Cei al documento, la parte sulla possibile modifica all’ora di religione ha suscitato molte polemiche nel mondo cattolico dopo l’annuncio. Per rispondere il ministro ha deciso di scrivere una lettera al filosofo Giovanni Reale.
Premettendo che il dibattito che si è avviato sui giornali non corrisponde a ciò che aveva in mente, Francesco Profumo scrive a Reale: “Con Lei vorrei invece discutere, tenendo la sua opinione nella più alta considerazione, di come il mondo sta cambiando e di come lo vede Lei, con la Sua sapienza e la Sua fede, e di come possa la scuola recepire e trasmettere un’idea di questi cambiamenti alle generazioni degli italiani del futuro che si stanno formando oggi nella nostra scuola”.
“Il nostro Paese è al centro di un Mediterraneo in tumultuosa evoluzione politica e spirituale, da sempre crocevia di fedi e popoli, che da qualche tempo cerca un diverso equilibrio tra di esse e tra di essi. Sono dinamiche – afferma il ministro – che ci toccano da vicino, mi sono detto guardando le nuove classi della scuola italiana, dove questo essere crocevia è divenuto infine realtà. Conoscere questo nuovo mondo, e cercare di capirne i processi di trasformazione mi sembra essenziale per i nuovi italiani tanto quanto saper far di conto, saper scrivere nella nostra bellissima lingua, conoscerne una straniera ed avere una cultura civica e costituzionale pronta per la cittadinanza. A questo penso – e non certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura – quando rifletto ad alta voce su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con questa mutata realtà”.
La Stampa 27.09.12
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Religione, Profumo si corregge «Non voglio cambiare le norme»
Assicura: «non penso certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura, quando rifletto ad alta voce» su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con la mutata realtà.
Non se lo aspettava tanto clamore, il ministro Profumo, per le sue dichiarazioni sull’opportunità di rivedere i programmi di religione. La polemica, partita in sordina venerdì, è scoppiata ieri dopo reiterate dichiarazioni sul tema da parte del ministro. E ieri, in una lettera inviata al filosofo cattolico Giovanni Reale pubblicata da Il Messaggero, il titolare di Viale Trastevere smorza i toni parlando di «valutazioni personali», «interpretazioni fantasiose», «cortocircuiti della cronaca più spicciola».
Ma soprattutto assicura: «non penso certo a cambiare norme o patti, tantomeno a fine legislatura, quando rifletto ad alta voce» su come l’Italia e dunque la scuola italiana possa fare i conti con la mutata realtà.
Parole che dovrebbero rassicurare, soprattutto le alte sfere ecclesiastiche. L’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ieri in un articolo, eloquentemente titolato «Il ministro sbaglia tema», parla di «nuovo fuoco sorprendentemente aperto contro l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, cioè statale e paritaria». E rimprovera a Profumo — già al centro di un editoriale per la faccenda del concorso a cattedra — una «sorprendente poca dimestichezza “tecnica” con il tema».
Polemico anche Giuseppe Fioroni, esponente del Pd e cattolico convinto. «Se per evitare di confrontarsi con i danni fatti finora alla scuola italiana dai tagli si butta sempre la palla in tribuna non si risolve nulla» ha ammonito l’ex ministro dell’Istruzione, rivolgendo un invito al suo successore: «Anziché cambiare l’ora di religione, che è materia concordataria, il ministro Profumo deve dare le risorse necessarie a far funzionare l’ora alternativa, che già esiste ma che gli istituti non riescono a rendere operativa». Decisa stroncatura nelle file del Pdl. «Si legga il concordato» suggerisce il senatore Franco Asciutti, capogruppo pdl della commissione Istruzione del Senato, mentre promette barricate Alessandro Bertoldi, presidente nazionale studenti Pdl-Vis studentesca.
Nella lettera a Reale, Profumo chiarisce tuttavia il suo pensiero. Racconta di aver incontrato, visitando tante scuole in tutta Italia, un’Italia multietnica e multiculturale. «Il nostro Paese è al centro di un Mediterraneo in tumultuosa evoluzione politica e spirituale, da sempre crocevia di fedi e popoli, che da qualche tempo cerca un diverso equilibrio tra di esse e tra di essi. Sono dinamiche — scrive il ministro — che ci toccano da vicino, mi sono detto guardando le nuove classi della scuola italiana, dove questo essere crocevia è divenuto infine realtà. Conoscere questo nuovo mondo, e cercare di capirne i processi di trasformazione mi sembra essenziale per i nuovi italiani tanto quanto saper far di conto, saper scrivere nella nostra bellissima lingua, conoscerne una straniera e avere una cultura civica e costituzionale pronta per la cittadinanza».
E questa esigenza — conclude — «non ha nulla a che fare né con un relativismo culturale in spregio alle nostre radici né con la riproposizione di un multiculturalismo così ideologico da essere stato accantonato anche nella civilissima Gran Bretagna dove fu per la prima volta introdotto».
Il Corriere della Sera 27.09.12
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"Atene, la protesta torna in piazza ma negli occhi dei lavoratori c’è un anno in più di sacrifici", di Adriano Sofri
La notizia che ha fatto il giro del mondo è che ad Atene ci sono stati violenti scontri fra dimostranti e agenti antisommossa e devastazioni. Le fotografie che hanno fatto il giro del mondo mostrano per lo più le fiammate delle bottiglie molotov lanciate contro la polizia. Nessuna fotografia è “bella” come quella in cui le fiamme, e sembrano ingoiare le persone. Siccome le fiamme che divampano dallo stoppaccio di una bottiglia si assomigliano come, per così dire, gocce d’acqua, scoprirete facilmente su Google che le fotografie dello sciopero generale greco dell’ottobre dell’anno scorso sono pressoché identiche alle fotografie di ieri. Anche le facce delle persone (e gli striscioni e le parole d’ordine) si assomigliano abbastanza, ma non altrettanto, e le loro fotografie, se sono meno “belle” del fuoco, sanno dire che cosa è passato loro addosso in un anno. Un salario ridotto allora di un terzo che ora è più che dimezzato, un posto di lavoro perduto, un’umiliazione e una volontà di riscatto che hanno avuto il tempo di maturare. Le facce però sono eclissate dalle fotografie del fuoco, e anche il micidiale (e indebito) ricorso ai gas lacrimogeni e al “pepper spray” che ancora ieri sera faceva lacrimare e tossire nel centro di Atene, ma che non si lasciano fotografare.
Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras, che aspetta di ereditare dalla coalizione di vecchi e nuovi conservatori un Paese prostrato dalle imposizioni finanziarie, è sceso in piazza badando a far risaltare la sua presa sindacale, e disponendo, come non era solito avvenire, il controllo della sua parte di manifestazione attraverso un proprio servizio d’ordine. La stessa cosa è avvenuta per gli altri settori dei lunghissimi cortei, per esempio in quello degli insegnanti e dei lavoratori della scuola, che hanno impedito a dimostranti troppo nervosi di mescolarsi alle loro file. Gli scontri con la polizia sono un fine per poche centinaia di militanti, molto giovani per lo più; sono continuati sporadicamente oltre l’orario, finendo nella piazza Exarchia, ormai incrocio misto del movimento e della movida ateniese. La notizia vera è dunque che l’adesione allo sciopero è stata altissima, e che le manifestazioni di strada sono state delle più imponenti e, nella stessa Atene, delle più pacifiche e controllate.
La partecipazione così ampia e davvero bella alla manifestazione che ha riempito per tante ore il centro della città –piena di donne e ragazze e persone di tutte le età- è un serissimo avvertimento al governo greco, che si è appena impegnato a nuovi tagli per 12 miliardi di euro entro due anni. Si può d’altra parte immaginare che il governo greco, che ha un prestigio bassissimo ed è legato a cappio doppio al dettato internazionale, provi a servirsi della forza non rassegnata dell’opposizione sociale nel negoziato con la “troika”. Che non è affatto un vero negoziato, composto com’è dei diktat politici e delle ispezioni “tecniche” di Fmi, Unione e Banca Centrale, in mezzo ai quali governo e parlamento greco galleggiano senza alcuna autonomia. Nei giorni scorsi, mentre dura l’andirivieni degli ispettori della troika, si sono dati i numeri sul punto dei tagli necessari al debito del prossimo biennio, dagli 11,7 miliardi del piano di Samaras ai 17 o 20 (o 30) di Christine Lagarde o dello Spiegel o dell’ennesimo benintenzionato. Intanto si sono pubblicati i dati secondo cui in Grecia i dipendenti statali e i liberi professionisti, in numero sostanzialmente equivalente, 2 milioni e mezzo, contribuiscono al fisco rispettivamente per 80 miliardi e per 3 miliardi. Una ricerca dell’università di Chicago sui debiti privati dei liberi professionisti greci argomenta che solo per rimborsarli dovrebbero pagare il 120 per cento del reddito dichiarato! E che nel solo anno scorso avrebbero fatto mancare all’erario 23 miliardi di euro. Sui quasi 12 miliardi della nuova manovra di governo, pensionati e dipendenti statali sono destinati a versarne otto.
Questi dati spiegano come, nonostante la disoccupazione altissima, i sindacati greci si mostrino forti, compreso il Pame, emanazione ortodossa del Partito comunista, radicato e combattivo fra i lavoratori metallurgici e delle navi: anche ieri ha manifestato per suo conto. Lo sciopero generale nazionale di ieri, indetto dalla confederazione dei lavoratori privati, GSEE, e dal sindacato dei pubblici, Adedy, con l’adesione di pressoché tutte le sigle di categoria, veniva dopo che erano entrati in sciopero i medici e gli infermieri degli ospedali, i magistrati, gli agenti del fisco e i giornalisti –che l’avevano anticipato per poter informare oggi sullo sciopero generale.
Il visitatore autunnale della Grecia sarà indotto a chiedere che cosa significhino le due parole che legge dappertutto: Enoikiazetai, e Poleitai. Significano “Si affitta” e “Si vende”. E’ probabile che l’Europa delle autorità responsabili continui a giocare col fuoco, quello sì, della sofferenza e della insofferenza sociale, in Grecia o in Spagna e altrove. E con un altro fuoco, altrettanto micidiale, quello che sospinge in Grecia una formazione di nazionalismo razzista e fascista come “Alba dorata”. Nei sondaggi successivi alle elezioni il consenso della sinistra di Syriza è ancora molto alto, ma è restato stazionario o è calato, mentre quello dell’estrema destra di Alba dorata, nonostante la virulenza delle sue aggressioni xenofobe (o piuttosto in grazia sua) cresce, vedremo, in modo allarmante. L’allarme dovrebbe arrivare alle orecchie delle autorità europee, almeno quanto quello suscitato dal debito, cui è del resto così strettamente legato. Le strade di Atene erano piene di ragazzi ieri. Ma una insegnante, guardando magliette e bandiere sulle quali resiste la faccia del Che, mi ha detto amaramente: «Sapessi quanti dei nostri ragazzi ora pensano a quelli di Alba Dorata come ai loro eroi!».
La Repubblica 27.09.12
"Atene, la protesta torna in piazza ma negli occhi dei lavoratori c’è un anno in più di sacrifici", di Adriano Sofri
La notizia che ha fatto il giro del mondo è che ad Atene ci sono stati violenti scontri fra dimostranti e agenti antisommossa e devastazioni. Le fotografie che hanno fatto il giro del mondo mostrano per lo più le fiammate delle bottiglie molotov lanciate contro la polizia. Nessuna fotografia è “bella” come quella in cui le fiamme, e sembrano ingoiare le persone. Siccome le fiamme che divampano dallo stoppaccio di una bottiglia si assomigliano come, per così dire, gocce d’acqua, scoprirete facilmente su Google che le fotografie dello sciopero generale greco dell’ottobre dell’anno scorso sono pressoché identiche alle fotografie di ieri. Anche le facce delle persone (e gli striscioni e le parole d’ordine) si assomigliano abbastanza, ma non altrettanto, e le loro fotografie, se sono meno “belle” del fuoco, sanno dire che cosa è passato loro addosso in un anno. Un salario ridotto allora di un terzo che ora è più che dimezzato, un posto di lavoro perduto, un’umiliazione e una volontà di riscatto che hanno avuto il tempo di maturare. Le facce però sono eclissate dalle fotografie del fuoco, e anche il micidiale (e indebito) ricorso ai gas lacrimogeni e al “pepper spray” che ancora ieri sera faceva lacrimare e tossire nel centro di Atene, ma che non si lasciano fotografare.
Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras, che aspetta di ereditare dalla coalizione di vecchi e nuovi conservatori un Paese prostrato dalle imposizioni finanziarie, è sceso in piazza badando a far risaltare la sua presa sindacale, e disponendo, come non era solito avvenire, il controllo della sua parte di manifestazione attraverso un proprio servizio d’ordine. La stessa cosa è avvenuta per gli altri settori dei lunghissimi cortei, per esempio in quello degli insegnanti e dei lavoratori della scuola, che hanno impedito a dimostranti troppo nervosi di mescolarsi alle loro file. Gli scontri con la polizia sono un fine per poche centinaia di militanti, molto giovani per lo più; sono continuati sporadicamente oltre l’orario, finendo nella piazza Exarchia, ormai incrocio misto del movimento e della movida ateniese. La notizia vera è dunque che l’adesione allo sciopero è stata altissima, e che le manifestazioni di strada sono state delle più imponenti e, nella stessa Atene, delle più pacifiche e controllate.
La partecipazione così ampia e davvero bella alla manifestazione che ha riempito per tante ore il centro della città –piena di donne e ragazze e persone di tutte le età- è un serissimo avvertimento al governo greco, che si è appena impegnato a nuovi tagli per 12 miliardi di euro entro due anni. Si può d’altra parte immaginare che il governo greco, che ha un prestigio bassissimo ed è legato a cappio doppio al dettato internazionale, provi a servirsi della forza non rassegnata dell’opposizione sociale nel negoziato con la “troika”. Che non è affatto un vero negoziato, composto com’è dei diktat politici e delle ispezioni “tecniche” di Fmi, Unione e Banca Centrale, in mezzo ai quali governo e parlamento greco galleggiano senza alcuna autonomia. Nei giorni scorsi, mentre dura l’andirivieni degli ispettori della troika, si sono dati i numeri sul punto dei tagli necessari al debito del prossimo biennio, dagli 11,7 miliardi del piano di Samaras ai 17 o 20 (o 30) di Christine Lagarde o dello Spiegel o dell’ennesimo benintenzionato. Intanto si sono pubblicati i dati secondo cui in Grecia i dipendenti statali e i liberi professionisti, in numero sostanzialmente equivalente, 2 milioni e mezzo, contribuiscono al fisco rispettivamente per 80 miliardi e per 3 miliardi. Una ricerca dell’università di Chicago sui debiti privati dei liberi professionisti greci argomenta che solo per rimborsarli dovrebbero pagare il 120 per cento del reddito dichiarato! E che nel solo anno scorso avrebbero fatto mancare all’erario 23 miliardi di euro. Sui quasi 12 miliardi della nuova manovra di governo, pensionati e dipendenti statali sono destinati a versarne otto.
Questi dati spiegano come, nonostante la disoccupazione altissima, i sindacati greci si mostrino forti, compreso il Pame, emanazione ortodossa del Partito comunista, radicato e combattivo fra i lavoratori metallurgici e delle navi: anche ieri ha manifestato per suo conto. Lo sciopero generale nazionale di ieri, indetto dalla confederazione dei lavoratori privati, GSEE, e dal sindacato dei pubblici, Adedy, con l’adesione di pressoché tutte le sigle di categoria, veniva dopo che erano entrati in sciopero i medici e gli infermieri degli ospedali, i magistrati, gli agenti del fisco e i giornalisti –che l’avevano anticipato per poter informare oggi sullo sciopero generale.
Il visitatore autunnale della Grecia sarà indotto a chiedere che cosa significhino le due parole che legge dappertutto: Enoikiazetai, e Poleitai. Significano “Si affitta” e “Si vende”. E’ probabile che l’Europa delle autorità responsabili continui a giocare col fuoco, quello sì, della sofferenza e della insofferenza sociale, in Grecia o in Spagna e altrove. E con un altro fuoco, altrettanto micidiale, quello che sospinge in Grecia una formazione di nazionalismo razzista e fascista come “Alba dorata”. Nei sondaggi successivi alle elezioni il consenso della sinistra di Syriza è ancora molto alto, ma è restato stazionario o è calato, mentre quello dell’estrema destra di Alba dorata, nonostante la virulenza delle sue aggressioni xenofobe (o piuttosto in grazia sua) cresce, vedremo, in modo allarmante. L’allarme dovrebbe arrivare alle orecchie delle autorità europee, almeno quanto quello suscitato dal debito, cui è del resto così strettamente legato. Le strade di Atene erano piene di ragazzi ieri. Ma una insegnante, guardando magliette e bandiere sulle quali resiste la faccia del Che, mi ha detto amaramente: «Sapessi quanti dei nostri ragazzi ora pensano a quelli di Alba Dorata come ai loro eroi!».
La Repubblica 27.09.12
"Accanimento giudiziario", di Giovanni Valentini
Accanimento giudiziario. Non si può definire altrimenti la sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna di Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, a 14 mesi di reclusione per un reato di diffamazione. Un accanimento tanto più scoperto e intimidatorio, dopo che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto invano le attenuanti generiche per una riduzione della pena. Poco importa, a questo punto, se fra un mese Sallusti finirà davvero in cella o piuttosto se verrà assegnato ai servizi sociali. Magari per l’assistenza degli anziani o dei disabili. Resta il fatto, senz’altro preoccupante per un Paese democratico e civile, che un direttore viene condannato al carcere per quello che si configura sostanzialmente come un reato d’opinione. Commesso, per di più, non da lui direttamente ma da un suo redattore. E quindi, in forza di quella mostruosità giuridica che — in contrasto con tutti i sacri principi del Diritto penale — prevede la cosiddetta responsabilità oggettiva. Una diffamazione, insomma, per interposta persona.
Ai fini di una valutazione non accademica del caso, non importa neanche tanto stabilire se il contenuto dell’articolo incriminato fosse falso — come sostiene la Cassazione — o meno. Per rispetto della magistratura, non vogliamo neppure entrare nel merito specifico della questione, rimettendoci al giudizio della Corte. La pubblicazione di una notizia non veritiera, o comunque di un’opinione espressa su questa base, non sempre è necessariamente diffamatoria e quando risulta tale perché lede l’onore o la reputazione altrui va giustamente sanzionata.
Ma il problema in realtà è un altro. Qui c’è un’evidente sproporzione tra il reato e la pena. E soprattutto, fra la legittima pretesa al risarcimento e la condanna al carcere. La privazione ancorché temporanea della libertà personale rappresenta un “vulnus” di un diritto fondamentale che non trova un’equa corrispondenza nella lesione subita.
Prima ancora di ricorrere alla giustizia, chi si sente a torto o a ragione diffamato da un giornalista e vuole ottenere il ripristino della propria onorabilità dovrebbe ottenere questo risultato attraverso una rettifica effettiva e tempestiva, e sappiamo bene che spesso non è così, piuttosto che attraverso la persecuzione del colpevole o peggio ancora in cambio di una somma di denaro. Anche il Diritto civile, del resto, contempla a favore del responsabile di un danno l’alternativa tra il risarcimento in forma specifica e quello in forma pecuniaria: per cui, secondo un esempio di scuola, quando il figlio minorenne del vetraio rompe con una pallonata una finestra o la vetrina di un negozio, il padre ha la facoltà di sostituire il vetro se per lui è più conveniente ovvero di rimborsare il danneggiato.
Nel campo dell’informazione, questo confine tra due diritti entrambi rilevanti e degni di tutela — da una parte, la reputazione; dal-l’altra, la libertà personale — è particolarmente sottile e delicato. Si fa in fretta a passare dalla giustizia alla censura. Vale a dire all’ingiustizia.
Per assolvere correttamente ai suoi compiti nei confronti e al servizio dei cittadini, la stampa è tenuta a rispettare le proprie responsabilità e a risponderne di conseguenza, ma non può essere sottoposta a un regime di intimidazione, a un bavaglio preventivo e permanente. Al limite, in certi casi deve anche poter sbagliare, se lo fa in buona fede o in condizioni particolari di necessità, per poi correggersi e ripristinare adeguatamente la verità. Alla fine, saranno i lettori e i cittadini a giudicare, cioè quel “popolo sovrano” in nome del quale si dovrebbe amministrare la giustizia in tribunale e approvare le leggi in Parlamento.
La Repubblica 27.09.12
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SALLUSTI: GHIZZONI, PARLAMENTO ACCELERI PER SANARE VULNUS LEGISLATIVO
“La sospensione dell’esecuzione della pena per Sallusti è un atto che pone solo parzialmente rimedio ad un vulnus legislativo – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione cultura della Camera – Il problema non sta nella sentenza della Corte di Cassazione, ma nelle norme che prevedono la condanna al carcere per la diffamazione aggravata e l’omesso controllo del direttore. Il Parlamento ha il compito accelerare sui tempi di revisione delle norme e riportare così il nostro Paese ai livelli europei, intervenendo con una modifica che preveda sanzioni amministrative per i reati a mezzo stampa. È necessario trovare il giusto equilibrio e contemperare l’esigenza di tutela dei cittadini con la libertà di informazione, e su questo la Commissione che presiedo aprirà una riflessione. Mi auguro – conclude la Presidente Ghizzoni – che la libertà di stampa e d’opinione non siano mai messe in discussione, neppure quando si parla di intercettazioni.”
"Accanimento giudiziario", di Giovanni Valentini
Accanimento giudiziario. Non si può definire altrimenti la sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna di Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, a 14 mesi di reclusione per un reato di diffamazione. Un accanimento tanto più scoperto e intimidatorio, dopo che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto invano le attenuanti generiche per una riduzione della pena. Poco importa, a questo punto, se fra un mese Sallusti finirà davvero in cella o piuttosto se verrà assegnato ai servizi sociali. Magari per l’assistenza degli anziani o dei disabili. Resta il fatto, senz’altro preoccupante per un Paese democratico e civile, che un direttore viene condannato al carcere per quello che si configura sostanzialmente come un reato d’opinione. Commesso, per di più, non da lui direttamente ma da un suo redattore. E quindi, in forza di quella mostruosità giuridica che — in contrasto con tutti i sacri principi del Diritto penale — prevede la cosiddetta responsabilità oggettiva. Una diffamazione, insomma, per interposta persona.
Ai fini di una valutazione non accademica del caso, non importa neanche tanto stabilire se il contenuto dell’articolo incriminato fosse falso — come sostiene la Cassazione — o meno. Per rispetto della magistratura, non vogliamo neppure entrare nel merito specifico della questione, rimettendoci al giudizio della Corte. La pubblicazione di una notizia non veritiera, o comunque di un’opinione espressa su questa base, non sempre è necessariamente diffamatoria e quando risulta tale perché lede l’onore o la reputazione altrui va giustamente sanzionata.
Ma il problema in realtà è un altro. Qui c’è un’evidente sproporzione tra il reato e la pena. E soprattutto, fra la legittima pretesa al risarcimento e la condanna al carcere. La privazione ancorché temporanea della libertà personale rappresenta un “vulnus” di un diritto fondamentale che non trova un’equa corrispondenza nella lesione subita.
Prima ancora di ricorrere alla giustizia, chi si sente a torto o a ragione diffamato da un giornalista e vuole ottenere il ripristino della propria onorabilità dovrebbe ottenere questo risultato attraverso una rettifica effettiva e tempestiva, e sappiamo bene che spesso non è così, piuttosto che attraverso la persecuzione del colpevole o peggio ancora in cambio di una somma di denaro. Anche il Diritto civile, del resto, contempla a favore del responsabile di un danno l’alternativa tra il risarcimento in forma specifica e quello in forma pecuniaria: per cui, secondo un esempio di scuola, quando il figlio minorenne del vetraio rompe con una pallonata una finestra o la vetrina di un negozio, il padre ha la facoltà di sostituire il vetro se per lui è più conveniente ovvero di rimborsare il danneggiato.
Nel campo dell’informazione, questo confine tra due diritti entrambi rilevanti e degni di tutela — da una parte, la reputazione; dal-l’altra, la libertà personale — è particolarmente sottile e delicato. Si fa in fretta a passare dalla giustizia alla censura. Vale a dire all’ingiustizia.
Per assolvere correttamente ai suoi compiti nei confronti e al servizio dei cittadini, la stampa è tenuta a rispettare le proprie responsabilità e a risponderne di conseguenza, ma non può essere sottoposta a un regime di intimidazione, a un bavaglio preventivo e permanente. Al limite, in certi casi deve anche poter sbagliare, se lo fa in buona fede o in condizioni particolari di necessità, per poi correggersi e ripristinare adeguatamente la verità. Alla fine, saranno i lettori e i cittadini a giudicare, cioè quel “popolo sovrano” in nome del quale si dovrebbe amministrare la giustizia in tribunale e approvare le leggi in Parlamento.
La Repubblica 27.09.12
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SALLUSTI: GHIZZONI, PARLAMENTO ACCELERI PER SANARE VULNUS LEGISLATIVO
“La sospensione dell’esecuzione della pena per Sallusti è un atto che pone solo parzialmente rimedio ad un vulnus legislativo – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione cultura della Camera – Il problema non sta nella sentenza della Corte di Cassazione, ma nelle norme che prevedono la condanna al carcere per la diffamazione aggravata e l’omesso controllo del direttore. Il Parlamento ha il compito accelerare sui tempi di revisione delle norme e riportare così il nostro Paese ai livelli europei, intervenendo con una modifica che preveda sanzioni amministrative per i reati a mezzo stampa. È necessario trovare il giusto equilibrio e contemperare l’esigenza di tutela dei cittadini con la libertà di informazione, e su questo la Commissione che presiedo aprirà una riflessione. Mi auguro – conclude la Presidente Ghizzoni – che la libertà di stampa e d’opinione non siano mai messe in discussione, neppure quando si parla di intercettazioni.”
"Abilitazione, mediane «flessibili»", di Gianni Trovati
Il Governo deve intervenire con un decreto o una circolare per chiarire che il superamento delle mediane sugli indicatori di “produttività scientifica” dei candidati «non è condizione necessaria» per ottenere l’abilitazione nazionale, ma rappresenta solo «uno dei fattori di cui le commissioni giudicatrici dovranno tenere conto». A chiederlo è una mozione tri-partisan presentata ieri alla Camera, che insieme a quelle di Eugenio Mazzarella (Pd) e Paola Binetti (Udc) porta anche la firma dell’ex ministro dell’Università, Mariastella Gelmini (Pdl).
La mozione interviene su uno dei nodi più critici nel varo dell’abilitazione nazionale, la nuova via di accesso alle cattedre universitarie introdotta proprio dalla riforma Gelmini per dare una “patente unica” agli aspiranti professori associati e ordinari che parteciperanno ai concorsi locali.
Le mediane, già elaborate dall’agenzia nazionale di Valutazione (Anvur) per la selezione dei quasi 7.500 ordinari che si sono candidati a commissario, sono al centro di una polemica serrata nel mondo accademico, sulla base di argomenti ripresi puntualmente dalla mozione.
Si citano prima di tutto i rischi di «disparità di trattamento» fra le aree scientifiche (da ingegneria a matematica, da chimica a biologia), dove entrano in campo indicatori “oggettivi” già utilizzati anche nel panorama internazionale, e quelle umanistiche, giuridiche ed economiche, in cui la partita si gioca sul numero di libri, capitoli di libri o articoli prodotti da ciascuno, con un occhio di riguardo agli articoli pubblicati su riviste definite «di eccellenza» dalla stessa agenzia.
Il bollino di qualità alle riviste, frutto, secondo la mozione, di una «aleatoria e affrettata classificazione», è stato già escluso per Scienze giuridiche, dove l’associazione dei costituzionalisti guidata da Valerio Onida ha presentato un ricorso al Tar che si pronuncerà a gennaio.
Questa e altre «incertezze» metodologiche, sostengono i proponenti, rischiano di far inceppare l’abilitazione nazionale proprio al suo debutto, prestando il fianco a rischi di un «contenzioso giudiziario che finirebbe inevitabilmente per allontanare nel tempo» il consolidamento delle procedure ridisegnate dalla riforma; il che, in un mondo accademico che non vede concorsi da 4 anni, rischia di aumentare l’incertezza di una platea crescente di aspiranti alla cattedra, soprattutto fra i giovani ricercatori (le domande vanno presentate entro il 20 novembre).
Sulla possibilità di considerare non vincolanti le mediane nel conferire l’abilitazione nazionale aveva aperto nei giorni scorsi la stessa Anvur ma la mozione alza i toni del dibattito, anche perché non sfugge a nessuno il peso politico dell’adesione da parte dell’ex ministro Mariastella Gelmini, al cui nome è legata la riforma che nell’abilitazione nazionale ha un punto qualificante.
La mozione si occupa espressamente solo dei candidati all’abilitazione ma sono scontate le ripercussioni sul dibattito relativo ai criteri di scelta dei commissari.
Il Sole 24 Ore 26.09.12
"Abilitazione, mediane «flessibili»", di Gianni Trovati
Il Governo deve intervenire con un decreto o una circolare per chiarire che il superamento delle mediane sugli indicatori di “produttività scientifica” dei candidati «non è condizione necessaria» per ottenere l’abilitazione nazionale, ma rappresenta solo «uno dei fattori di cui le commissioni giudicatrici dovranno tenere conto». A chiederlo è una mozione tri-partisan presentata ieri alla Camera, che insieme a quelle di Eugenio Mazzarella (Pd) e Paola Binetti (Udc) porta anche la firma dell’ex ministro dell’Università, Mariastella Gelmini (Pdl).
La mozione interviene su uno dei nodi più critici nel varo dell’abilitazione nazionale, la nuova via di accesso alle cattedre universitarie introdotta proprio dalla riforma Gelmini per dare una “patente unica” agli aspiranti professori associati e ordinari che parteciperanno ai concorsi locali.
Le mediane, già elaborate dall’agenzia nazionale di Valutazione (Anvur) per la selezione dei quasi 7.500 ordinari che si sono candidati a commissario, sono al centro di una polemica serrata nel mondo accademico, sulla base di argomenti ripresi puntualmente dalla mozione.
Si citano prima di tutto i rischi di «disparità di trattamento» fra le aree scientifiche (da ingegneria a matematica, da chimica a biologia), dove entrano in campo indicatori “oggettivi” già utilizzati anche nel panorama internazionale, e quelle umanistiche, giuridiche ed economiche, in cui la partita si gioca sul numero di libri, capitoli di libri o articoli prodotti da ciascuno, con un occhio di riguardo agli articoli pubblicati su riviste definite «di eccellenza» dalla stessa agenzia.
Il bollino di qualità alle riviste, frutto, secondo la mozione, di una «aleatoria e affrettata classificazione», è stato già escluso per Scienze giuridiche, dove l’associazione dei costituzionalisti guidata da Valerio Onida ha presentato un ricorso al Tar che si pronuncerà a gennaio.
Questa e altre «incertezze» metodologiche, sostengono i proponenti, rischiano di far inceppare l’abilitazione nazionale proprio al suo debutto, prestando il fianco a rischi di un «contenzioso giudiziario che finirebbe inevitabilmente per allontanare nel tempo» il consolidamento delle procedure ridisegnate dalla riforma; il che, in un mondo accademico che non vede concorsi da 4 anni, rischia di aumentare l’incertezza di una platea crescente di aspiranti alla cattedra, soprattutto fra i giovani ricercatori (le domande vanno presentate entro il 20 novembre).
Sulla possibilità di considerare non vincolanti le mediane nel conferire l’abilitazione nazionale aveva aperto nei giorni scorsi la stessa Anvur ma la mozione alza i toni del dibattito, anche perché non sfugge a nessuno il peso politico dell’adesione da parte dell’ex ministro Mariastella Gelmini, al cui nome è legata la riforma che nell’abilitazione nazionale ha un punto qualificante.
La mozione si occupa espressamente solo dei candidati all’abilitazione ma sono scontate le ripercussioni sul dibattito relativo ai criteri di scelta dei commissari.
Il Sole 24 Ore 26.09.12
