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"Primarie, così si calpestano i diritti dei progressisti", di Michele Prospero

A destra ora c’è chi reclama il diritto (sic!) di votare alle primarie con l’avvertenza che però, se Renzi non dovesse spuntarla nei gazebo, alle urne del 2013 tornerà all’ovile e quindi non sosterrà mai Bersani. Parrebbe uno stralunato episodio della commedia all’italiana e invece è una tragedia che rivela la corruzione ideale di oggi. Davvero può configurarsi il diritto di ciascuno di entrare nel campo avverso per alterarne gli equilibri e portare scompiglio? Tanti nemici del Pd pensano di approfittare delle primarie per tentare il colpo grosso. Ai padroni dei media stuzzica l’idea di sospendere i rifornimenti che finora hanno concesso al comico genovese per dirottarli verso il «Grillo interno» (la definizione è di Pietro Ichino) che può far saltare il gioco con un repertorio anch’esso ispirato all’antipolitica.

Spaventano molto i partiti con una cultura autonoma perché sono liberi dai pesanti condizionamenti di media e denaro. Un foglio che sostiene i referendum sull’articolo 18, e sogna una coalizione dei non allineati con Grillo e Landini dentro, ha scelto il cavallo su cui puntare per travolgere il quartier generale del Pd. Poco importa che il ronzino abbia dato ragione a Marchionne senza se e senza ma.

Anche il Sole 24 Ore sollecita un’azione risoluta per svelare tutto «l’anacronismo del Pd». Il piano che conduce all’annientamento del Pd è così auspicato da Stefano Folli: «Renzi può essere il sasso che rotolando provoca la valanga». Ogni soggetto politico, dinanzi a manovre di sabotaggio, deve aggrapparsi all’istinto di sopravvivenza, perché questa è la sfida.

Con l’adozione di regole incisive (albo degli elettori di sinistra), il Pd può scongiurare i palesi tentativi di farlo deflagrare. Presentare le più normali regole, di stampo americano peraltro, come un restringimento del sacro diritto (della destra) di stabilire il condottiero che i poteri forti preferiscono alla guida della sinistra è un sopruso intollerabile.

Le regole sono una necessità ineludibile per garantire a ciascuna parte politica l’opportunità di decidere con il metodo democratico la leadership, il programma, le alleanze. Le procedure, che definiscono il confine di un’area politica, sono una difesa dell’intangibile diritto di una parte di società di tracciare la propria strada, i propri codici, i propri valori.

Non esiste un diritto di tutti i cittadini senza distinzioni ideali che li autorizzi ad espropriare il vitale bisogno di una parte della società di organizzare le peculiari identità e di mobilitarsi per vincere le elezioni sventolando le proprie bandiere. In nome del presunto diritto degli elettori di destra di recarsi alle primarie viene calpestato il diritto reale della parte di popolo che si orienta a sinistra e rivendica la libertà di scegliere da solo chi meglio ne rappresenta le idee, gli interessi, la storia.

L’essenza della democrazia liberale risiede nella competizione tra poli alternativi. Ogni campo ha cioè il diritto a organizzare i confini identitari senza incursioni corsare. Pretendere che con le primarie aperte ogni demarcazione crolli, predispone una deriva illiberale che soffoca il diritto della parte a rendersi visibile e induce la totalità ad invadere ogni spazio della differenza.

La regola che prevede albi pubblici di elettori per le primarie tutela la situazione più debole. E nei partiti, a soffrire di più sono gli iscritti, i militanti, i simpatizzanti che verrebbero soggiogati dai nemici di destra che afferrano il (fasullo) diritto di decidere per loro conto e quindi di stabilire a chi tocca sfidare Berlusconi marciando sotto i simboli della sinistra.

L’Unità 27.09.12

"Primarie, così si calpestano i diritti dei progressisti", di Michele Prospero

A destra ora c’è chi reclama il diritto (sic!) di votare alle primarie con l’avvertenza che però, se Renzi non dovesse spuntarla nei gazebo, alle urne del 2013 tornerà all’ovile e quindi non sosterrà mai Bersani. Parrebbe uno stralunato episodio della commedia all’italiana e invece è una tragedia che rivela la corruzione ideale di oggi. Davvero può configurarsi il diritto di ciascuno di entrare nel campo avverso per alterarne gli equilibri e portare scompiglio? Tanti nemici del Pd pensano di approfittare delle primarie per tentare il colpo grosso. Ai padroni dei media stuzzica l’idea di sospendere i rifornimenti che finora hanno concesso al comico genovese per dirottarli verso il «Grillo interno» (la definizione è di Pietro Ichino) che può far saltare il gioco con un repertorio anch’esso ispirato all’antipolitica.
Spaventano molto i partiti con una cultura autonoma perché sono liberi dai pesanti condizionamenti di media e denaro. Un foglio che sostiene i referendum sull’articolo 18, e sogna una coalizione dei non allineati con Grillo e Landini dentro, ha scelto il cavallo su cui puntare per travolgere il quartier generale del Pd. Poco importa che il ronzino abbia dato ragione a Marchionne senza se e senza ma.
Anche il Sole 24 Ore sollecita un’azione risoluta per svelare tutto «l’anacronismo del Pd». Il piano che conduce all’annientamento del Pd è così auspicato da Stefano Folli: «Renzi può essere il sasso che rotolando provoca la valanga». Ogni soggetto politico, dinanzi a manovre di sabotaggio, deve aggrapparsi all’istinto di sopravvivenza, perché questa è la sfida.
Con l’adozione di regole incisive (albo degli elettori di sinistra), il Pd può scongiurare i palesi tentativi di farlo deflagrare. Presentare le più normali regole, di stampo americano peraltro, come un restringimento del sacro diritto (della destra) di stabilire il condottiero che i poteri forti preferiscono alla guida della sinistra è un sopruso intollerabile.
Le regole sono una necessità ineludibile per garantire a ciascuna parte politica l’opportunità di decidere con il metodo democratico la leadership, il programma, le alleanze. Le procedure, che definiscono il confine di un’area politica, sono una difesa dell’intangibile diritto di una parte di società di tracciare la propria strada, i propri codici, i propri valori.
Non esiste un diritto di tutti i cittadini senza distinzioni ideali che li autorizzi ad espropriare il vitale bisogno di una parte della società di organizzare le peculiari identità e di mobilitarsi per vincere le elezioni sventolando le proprie bandiere. In nome del presunto diritto degli elettori di destra di recarsi alle primarie viene calpestato il diritto reale della parte di popolo che si orienta a sinistra e rivendica la libertà di scegliere da solo chi meglio ne rappresenta le idee, gli interessi, la storia.
L’essenza della democrazia liberale risiede nella competizione tra poli alternativi. Ogni campo ha cioè il diritto a organizzare i confini identitari senza incursioni corsare. Pretendere che con le primarie aperte ogni demarcazione crolli, predispone una deriva illiberale che soffoca il diritto della parte a rendersi visibile e induce la totalità ad invadere ogni spazio della differenza.
La regola che prevede albi pubblici di elettori per le primarie tutela la situazione più debole. E nei partiti, a soffrire di più sono gli iscritti, i militanti, i simpatizzanti che verrebbero soggiogati dai nemici di destra che afferrano il (fasullo) diritto di decidere per loro conto e quindi di stabilire a chi tocca sfidare Berlusconi marciando sotto i simboli della sinistra.
L’Unità 27.09.12

Bersani: "La ripresa è lontana Governo algido con i Comuni",di Simone Collini

Caro governo, non ci siamo. Con i sindaci del Pd la mattina, con i sindacati nel pomeriggio, e il messaggio che esce da entrambi gli incontri è il medesimo. I due appuntamenti sono stati organizzati da Pier Luigi Bersani per discutere la «carta d’intenti», per raccogliere suggerimenti, obiezioni, contributi in vista della stesura definitiva del documento che disegnerà i confini della coalizione dei progressisti (e se Matteo Renzi dice che chi vince ai gazebo «impone il suo programma», il leader del Pd replica che «queste sono le primarie dei progressisti e una cornice che delimita il campo dei valori da cui non ci sradichiamo va accettata da chiunque partecipa»). Ma è inevitabile in una giornata come questa, caratterizzata dal forte calo delle Borse, dall’allarme Istat sul crollo delle vendite al dettaglio e da un rapporto Svimez che dà il tasso di disoccupazione al Sud al 25%, discutere anche dell’attuale situazione economica. «La situazione è molto complicata», dice Bersani confessando di pensarla in modo totalmente diverso da chi parla di ripresa in atto. «Il meccanismo rigore-recessione si sta avvitando, passiamo di manovra in manovra, purtroppo quel famoso spiraglio non c’è ancora, stanno accelerando gli elementi di recessione, disoccupazione, calo dei consumi e quindi credo che dobbiamo partire da questa verità, dire parole di verità».

LASCIATO SOLO CHI È SUL FRONTE
Per oltre due ore il leader del Pd ascolta i sindaci raccontare le difficoltà a cui devono far fronte per chiudere i bilanci, per non tagliare i servizi, per pagare le imprese, annuisce, e poi chiude l’incontro dicendo che «il governo è troppo algido» sul sociale e sul ruolo dei Comuni. «Come facciamo a rispondere al tema sociale, se il fondo sociale non c’è più?», si chiede denunciando il fatto che «viene lasciato troppo solo chi è sul fronte». Gli enti locali possono essere uno strumento utile alla ripresa, ma questo non sembrano averlo capito a Palazzo Chigi: «Tagliare ai Comuni è la cosa più semplice, ma c’è anche un tema culturale, non è che possiamo aspettarci dei terremoti per riprendere il rapporto tra amministrazione centrale ed enti locali».

Non è questa l’unica critica che muove al governo, perché al di là del monito che lancia a pochi giorni dal varo della legge di stabilità («se stanno pensando a qualche altra “botta” sulla scuola non possiamo essere d’accordo, si è già pagato il pagabile»), e al di là del giudizio critico sulla riforma delle Province (parla di una visione dell’autonomia locale che è un «abborracciamento confuso»), nel corso dell’incontro con i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl Bersani riconosce che grazie a Monti «ci siamo allontanati dal baratro», aggiungendo però che «la ripresa ancora non c’è». È soprattutto la situazione occupazionale a destare «preoccupazione».

Con i sindacati discute della Fiat, dell’Ilva, di Piombino, di Finmeccanica e, dice Bersani, il tema è come affrontare una fase che sarà ancora impostata sulla «difensiva»: «Bisogna mettere crescita, lavoro e uguaglianza nelle prossime riforme. Se fin qui ci siamo allontanati dal baratro la dinamica è ancora difficile, la ripresa ancora non c’è». E comunque sia, dal 2013 spetterà al centrosinistra aggiungere al «rigore» di Monti «più lavoro e più equità».

FIDUCIA SULL’ANTI-CORRUZIONE
Ma in queste ore caratterizzate dal caso Lazio è inevitabile, anche, discutere del tema della legalità, che per Bersani, nell’ottica di «un rinnovamento morale», è cruciale per costruire un futuro meno a tinte fosche di quel che si vede oggi: «L’economia non può riprendere se non c’è l’idea che ci può essere una riscossa civica», dice rispedendo al mittente la tesi propagandata in questi giorni da Berlusconi del “sono tutti uguali”, o la sfida lanciata da Alfano di non ricandidare nessuno dei consiglieri del Lazio uscenti. «Noi il rinnovamento lo facciamo, ma non è che voi che sguazzate nel fango lo mettete nel ventilatore e siamo tutti uguali, noi di Batman non ne abbiamo». Il riferimento è a Fiorito, anche se Bersani non fa finta di niente di fronte al fatto che l’aumento spropositato dei fondi ai gruppi è stato votato anche dai consiglieri democratici: «Noi avremo dovuto ribaltare il tavolo ma i soldi li abbiamo spesi per iniziative e manifesti e non per le ostriche». Bersani rivendica al Pd il merito per aver «proposto e testardamente portato avanti» i disegni di legge che hanno portato all’abolizione dei vitalizi a livello parlamentare e alla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti.

«Mentre le cose che non siamo riusciti a fare, come il dimezzamento dei parlamentari, sono state bloccate da loro. E lo stesso sul disegno di legge anti-corruzione».

Un provvedimento, quest’ultimo, su cui il Pd chiede al governo un atteggiamento più risoluto, ricorrendo anche alla fiducia: «È indecoroso e inaccettabile che in una situazione talmente disastrosa nel rapporto tra istituzioni e politica, se ne impedisca l’approvazione. Il governo ha gli strumenti in mano per fare approvare questa legge che il mondo si aspetta – dice uscendo dall’incontro con i sindacati – altro che articolo 18».

L’Unità 27.09.12

Bersani: "La ripresa è lontana Governo algido con i Comuni",di Simone Collini

Caro governo, non ci siamo. Con i sindaci del Pd la mattina, con i sindacati nel pomeriggio, e il messaggio che esce da entrambi gli incontri è il medesimo. I due appuntamenti sono stati organizzati da Pier Luigi Bersani per discutere la «carta d’intenti», per raccogliere suggerimenti, obiezioni, contributi in vista della stesura definitiva del documento che disegnerà i confini della coalizione dei progressisti (e se Matteo Renzi dice che chi vince ai gazebo «impone il suo programma», il leader del Pd replica che «queste sono le primarie dei progressisti e una cornice che delimita il campo dei valori da cui non ci sradichiamo va accettata da chiunque partecipa»). Ma è inevitabile in una giornata come questa, caratterizzata dal forte calo delle Borse, dall’allarme Istat sul crollo delle vendite al dettaglio e da un rapporto Svimez che dà il tasso di disoccupazione al Sud al 25%, discutere anche dell’attuale situazione economica. «La situazione è molto complicata», dice Bersani confessando di pensarla in modo totalmente diverso da chi parla di ripresa in atto. «Il meccanismo rigore-recessione si sta avvitando, passiamo di manovra in manovra, purtroppo quel famoso spiraglio non c’è ancora, stanno accelerando gli elementi di recessione, disoccupazione, calo dei consumi e quindi credo che dobbiamo partire da questa verità, dire parole di verità».
LASCIATO SOLO CHI È SUL FRONTE
Per oltre due ore il leader del Pd ascolta i sindaci raccontare le difficoltà a cui devono far fronte per chiudere i bilanci, per non tagliare i servizi, per pagare le imprese, annuisce, e poi chiude l’incontro dicendo che «il governo è troppo algido» sul sociale e sul ruolo dei Comuni. «Come facciamo a rispondere al tema sociale, se il fondo sociale non c’è più?», si chiede denunciando il fatto che «viene lasciato troppo solo chi è sul fronte». Gli enti locali possono essere uno strumento utile alla ripresa, ma questo non sembrano averlo capito a Palazzo Chigi: «Tagliare ai Comuni è la cosa più semplice, ma c’è anche un tema culturale, non è che possiamo aspettarci dei terremoti per riprendere il rapporto tra amministrazione centrale ed enti locali».
Non è questa l’unica critica che muove al governo, perché al di là del monito che lancia a pochi giorni dal varo della legge di stabilità («se stanno pensando a qualche altra “botta” sulla scuola non possiamo essere d’accordo, si è già pagato il pagabile»), e al di là del giudizio critico sulla riforma delle Province (parla di una visione dell’autonomia locale che è un «abborracciamento confuso»), nel corso dell’incontro con i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl Bersani riconosce che grazie a Monti «ci siamo allontanati dal baratro», aggiungendo però che «la ripresa ancora non c’è». È soprattutto la situazione occupazionale a destare «preoccupazione».
Con i sindacati discute della Fiat, dell’Ilva, di Piombino, di Finmeccanica e, dice Bersani, il tema è come affrontare una fase che sarà ancora impostata sulla «difensiva»: «Bisogna mettere crescita, lavoro e uguaglianza nelle prossime riforme. Se fin qui ci siamo allontanati dal baratro la dinamica è ancora difficile, la ripresa ancora non c’è». E comunque sia, dal 2013 spetterà al centrosinistra aggiungere al «rigore» di Monti «più lavoro e più equità».
FIDUCIA SULL’ANTI-CORRUZIONE
Ma in queste ore caratterizzate dal caso Lazio è inevitabile, anche, discutere del tema della legalità, che per Bersani, nell’ottica di «un rinnovamento morale», è cruciale per costruire un futuro meno a tinte fosche di quel che si vede oggi: «L’economia non può riprendere se non c’è l’idea che ci può essere una riscossa civica», dice rispedendo al mittente la tesi propagandata in questi giorni da Berlusconi del “sono tutti uguali”, o la sfida lanciata da Alfano di non ricandidare nessuno dei consiglieri del Lazio uscenti. «Noi il rinnovamento lo facciamo, ma non è che voi che sguazzate nel fango lo mettete nel ventilatore e siamo tutti uguali, noi di Batman non ne abbiamo». Il riferimento è a Fiorito, anche se Bersani non fa finta di niente di fronte al fatto che l’aumento spropositato dei fondi ai gruppi è stato votato anche dai consiglieri democratici: «Noi avremo dovuto ribaltare il tavolo ma i soldi li abbiamo spesi per iniziative e manifesti e non per le ostriche». Bersani rivendica al Pd il merito per aver «proposto e testardamente portato avanti» i disegni di legge che hanno portato all’abolizione dei vitalizi a livello parlamentare e alla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti.
«Mentre le cose che non siamo riusciti a fare, come il dimezzamento dei parlamentari, sono state bloccate da loro. E lo stesso sul disegno di legge anti-corruzione».
Un provvedimento, quest’ultimo, su cui il Pd chiede al governo un atteggiamento più risoluto, ricorrendo anche alla fiducia: «È indecoroso e inaccettabile che in una situazione talmente disastrosa nel rapporto tra istituzioni e politica, se ne impedisca l’approvazione. Il governo ha gli strumenti in mano per fare approvare questa legge che il mondo si aspetta – dice uscendo dall’incontro con i sindacati – altro che articolo 18».
L’Unità 27.09.12

Scuola, Miur: legge di bilancio conterrà fondi per sezioni primavera

Pd: ottima notizia, chiederemo certezza risorse ed estensione sperimentazione. “La prossima legge di bilancio conterrà i fondi necessari per mantenere in vita le attuali sezioni primavera, le classi per le bambine e i bambini da 24 a 36 mesi di età”. Lo ha reso noto il sottosegretario al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Marco Rossi Doria rispondendo oggi, in commissione Cultura della Camera, ad una interrogazione promossa dalle democratiche Rosa De Pasquale e Manuela Ghizzoni. “Il ministero – proseguono – ci ha assicurato che contributo per le sezioni primavera nel triennio 2013/2015 sarà di 12 milioni di euro per ciascun anno. Si tratta di una somma che permetterà di mantenere in vita le attuali 1.604 classi in tutta Italia, non certo di aumentare questo importante servizio molto richiesto dalle famiglie. E’ in ogni caso di una ottima notizia. Il Pd nel corso dell’esame parlamentare della prossima legge di bilancio concludono – si impegnerà affinchè vi sia piena certezza nella disponibilità di queste risorse a favore delle scuole, delle associazioni e degli enti che le gestiscono e perché questa utile sperimentazione, ormai consolidata su tutto il territorio nazionale, possa incrementare notevolmente”.

"Lombardia, la locomotiva arranca", di Giuseppe Vespo

Al Pirellone c’è un dossier riservato sulle più grosse crisi industriali in Lombardia. Ci sono i nomi di una quarantina di grandi aziende e la situazione occupazionale di migliaia di lavoratori. Indesit, Ideal Standard, Nokia, Alcatel, Brasilia, Riello, solo per citare i marchi più conosciuti a livello nazionale. Ma si tratta della punta dell’iceberg. A luglio il 33esimo Rapporto della Fim-Cisl lombarda contava solo nel settore metalmeccanico 2.466 aziende in difficoltà per via della crisi economica, 2.356 lavoratori licenziati nei primi sei mesi del 2012 e 58.737 sospesi nel limbo della cassa integrazione, cresciuta in un anno del 67 per cento. Cifre che si aggiornano quotidianamente al rialzo e che rendono obsoleto lo stesso documento della Regione Lombardia, che non ha fatto in tempo a considerare la situazione della Franco Tosi, azienda legnanese, altro nome importante dell’industria italiana finito in brutte acque per via del grosso indebitamento. «I dati tracciano un quadro assolutamente drammatico», avvertiva prima della pausa estiva il segretario generale della Fim-Cisl regionale, Nicola Alberta. «Occorre tenere alta l’attenzione sui problemi dell’industria manifatturiera e del settore metalmeccanico: vanno affrontati in modo consapevole i nodi della debolezza industriale, senza attendere improbabili miglioramenti spontanei». E infatti nell’attendismo della politica, o forse perché al Pirellone c’è altro a cui pensare, la situazione sembra peggiorata: «Si sta modificando il tessuto industriale della Lombardia», sostiene oggi Mirco Rota, segretario regionale della Fiom-Cgil, che teme non più la semplice – si fa per dire – sparizione di singole aziende, ma addirittura la scomparsa «di interi settori industriali». La famosa locomotiva che perde i suoi vagoni. E anche i migliori, si potrebbe dire. Il sindacalista cita per esempio l’industria dell’elettrodomestico, che qui dava lavoro a migliaia di persone e adesso è a rischio estinzione. E in effetti la prima azienda nel dossier del Pirellone è la Indesit di Brembate, Bergamo. Qui è scomparsa anche la speranza: «Lavoratori coinvolti 416», l’intero organico finito in cassa integrazione straordinaria per cessazione totale. E poi c’è la Bessel del gruppo Candy, a Santa Maria Hoè, in provincia di Lecco. In questo caso la cessazione dell’attività è parziale ma i lavoratori coinvolti dal piano sono tutti: 204 persone. mobilitazione E poi il settore delle telecomunicazioni e dell’informatica, con Italtel, Nokia Network Alcatel Lucent, e le avanguardie in difficoltà come la Thales Alenia Space, che a Vimodrone si occupa di progettazione e produzione di sitemi aerospaziali (296 lavoratori). Come nel resto d’Italia soffre l’auto insieme al gruppo Fiat, che qui conta quattro grandi stabilimenti tra Milano, Brescia, Legnano e Mantova. La crisi degli stabilimenti del Lingotto in Lombardia «sta mettendo a dura prova tutto l’indotto – riprende Rota – che tra fonderie e accessori rappresenta una grossa realtà per la regione». Nel novembre scorso la Fiom ha scioperato per chiedere al Pirellone di occuparsi di crisi industriale e di creare tavoli di settore e di sviluppo. «La Regione non ha mai accolto le nostre richieste. Non escludiamo una nuova mobilitazione nei prossimi mesi – annuncia il segretario delle tute blu Cgil – In Lombardia non ci sono solo gli appalti e la sanità».

L’Unità 27.09.12

"Lombardia, la locomotiva arranca", di Giuseppe Vespo

Al Pirellone c’è un dossier riservato sulle più grosse crisi industriali in Lombardia. Ci sono i nomi di una quarantina di grandi aziende e la situazione occupazionale di migliaia di lavoratori. Indesit, Ideal Standard, Nokia, Alcatel, Brasilia, Riello, solo per citare i marchi più conosciuti a livello nazionale. Ma si tratta della punta dell’iceberg. A luglio il 33esimo Rapporto della Fim-Cisl lombarda contava solo nel settore metalmeccanico 2.466 aziende in difficoltà per via della crisi economica, 2.356 lavoratori licenziati nei primi sei mesi del 2012 e 58.737 sospesi nel limbo della cassa integrazione, cresciuta in un anno del 67 per cento. Cifre che si aggiornano quotidianamente al rialzo e che rendono obsoleto lo stesso documento della Regione Lombardia, che non ha fatto in tempo a considerare la situazione della Franco Tosi, azienda legnanese, altro nome importante dell’industria italiana finito in brutte acque per via del grosso indebitamento. «I dati tracciano un quadro assolutamente drammatico», avvertiva prima della pausa estiva il segretario generale della Fim-Cisl regionale, Nicola Alberta. «Occorre tenere alta l’attenzione sui problemi dell’industria manifatturiera e del settore metalmeccanico: vanno affrontati in modo consapevole i nodi della debolezza industriale, senza attendere improbabili miglioramenti spontanei». E infatti nell’attendismo della politica, o forse perché al Pirellone c’è altro a cui pensare, la situazione sembra peggiorata: «Si sta modificando il tessuto industriale della Lombardia», sostiene oggi Mirco Rota, segretario regionale della Fiom-Cgil, che teme non più la semplice – si fa per dire – sparizione di singole aziende, ma addirittura la scomparsa «di interi settori industriali». La famosa locomotiva che perde i suoi vagoni. E anche i migliori, si potrebbe dire. Il sindacalista cita per esempio l’industria dell’elettrodomestico, che qui dava lavoro a migliaia di persone e adesso è a rischio estinzione. E in effetti la prima azienda nel dossier del Pirellone è la Indesit di Brembate, Bergamo. Qui è scomparsa anche la speranza: «Lavoratori coinvolti 416», l’intero organico finito in cassa integrazione straordinaria per cessazione totale. E poi c’è la Bessel del gruppo Candy, a Santa Maria Hoè, in provincia di Lecco. In questo caso la cessazione dell’attività è parziale ma i lavoratori coinvolti dal piano sono tutti: 204 persone. mobilitazione E poi il settore delle telecomunicazioni e dell’informatica, con Italtel, Nokia Network Alcatel Lucent, e le avanguardie in difficoltà come la Thales Alenia Space, che a Vimodrone si occupa di progettazione e produzione di sitemi aerospaziali (296 lavoratori). Come nel resto d’Italia soffre l’auto insieme al gruppo Fiat, che qui conta quattro grandi stabilimenti tra Milano, Brescia, Legnano e Mantova. La crisi degli stabilimenti del Lingotto in Lombardia «sta mettendo a dura prova tutto l’indotto – riprende Rota – che tra fonderie e accessori rappresenta una grossa realtà per la regione». Nel novembre scorso la Fiom ha scioperato per chiedere al Pirellone di occuparsi di crisi industriale e di creare tavoli di settore e di sviluppo. «La Regione non ha mai accolto le nostre richieste. Non escludiamo una nuova mobilitazione nei prossimi mesi – annuncia il segretario delle tute blu Cgil – In Lombardia non ci sono solo gli appalti e la sanità».
L’Unità 27.09.12