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"L’amore perduto per l’Europa", di Barbara Spinelli

Gli italiani non hanno fiducia nel proprio Stato, nelle proprie istituzioni, ancor meno nei partiti. La cosa era nota da tempo – basta vedere come i partiti governano le regioni, a dispetto di tante promesse di rigenerazione – ma nel frattempo diffidano anche dell’Europa. Nell’articolo pubblicato lunedì su questo giornale, Ilvo Diamanti descrive la progressiva erosione dell’europeismo italiano: la più spettacolare, nell’Unione dei Ventisette. La grande illusione del dopoguerra stinge, vicina a spegnersi. Era una sorta di polizza d’assicurazione («gli italiani preferivano farsi commissariare da Bruxelles piuttosto che farsi governare da Roma ») ma evidentemente non funziona più visto che le istituzioni europee si son fatte arcigne, asservite agli Stati più potenti, abituate a chiamarci, quasi fossimo degenerati in banlieue di traffici illeciti e tumulti, periferia Sud.
Non è euroscetticismo, perché lo scettico è filosofo che interroga, mette in questione i misteri di chiese o ideologie. L’avversione italiana è meno argomentativa, meno incalzante, e come vedremo è bellicosa. Somiglia più all’accartocciarsi di un’illusione che era stata troppo supina, troppo poco politica, pervasa da sotterranea apatia. All’ombra dell’Europa ci si sentiva protetti ma si poteva coltivare il vizio antico del «chi me lo fa fare»: tanto c’era lassù qualcuno che ci amava. L’avversione s’estende e sospetta ormai di ogni istituzione, nazionale o sovranazionale. Aborre il principio stesso della rappresentanza, e in Italia diffida dei politici e specialmente dei partiti, che vorrebbe sostituire con i movimenti. Ma davvero vorrebbe? Un movimento europeista
probabilmente risanerebbe le istituzioni dell’Unione, ma siccome né i partiti né Grillo immaginano che il potere vada oggi preso in Europa, la discriminante non è la forma della politica ma la politica stessa.
Se dunque la stragrande maggioranza degli italiani ha smesso di fare assegnamento su istituzioni e partiti (in Italia, in Europa), in chi ripone la sua fiducia? Se tutti i poteri e corpi intermedi sono esecrati, se ogni delega è truffa:
cosa vogliamo precisamente? Forse una sorta di democrazia diretta, che faccia a meno di corpi intermedi e rappresentanze, come nelle parole di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Ogni persona vale uno, senza delega alcuna, e le grandi e piccole decisioni sono i cittadini a prenderle, tramite la Rete: nuova agorà pubblica dove il popolo – ecco la democrazia – non seleziona i migliori ma governa se stesso.
Non va sottovalutata la potenza educativa del messaggio: se ogni cittadino diventa compos sui, padrone di sé, vuol dire che si sveglia. Non si chiude a riccio, non si china come giunco in attesa che la piena passi, ma s’impegna, scopre che la cosa pubblica lo concerne. Movimenti simili fanno pedagogia: l’Italia era una nazione passiva, non diversamente dalla Germania ovest che dopo il crollo del ’45 era un paese non sovrano, mutilato, smemorato. Passare dalla passività alla partecipazione è una rivoluzione benefica.
Ma anche qui s’annida l’illusione, alimentata da nuovi vizi come il disprezzo delle istituzioni e perfino della Costituzione, giudicata insopportabilmente immobile, non malleabile. S’annida anche la disinformazione. Casaleggio cita spesso l’esempio islandese, i cittadini che sul web «ridiscutono la Costituzione ogni volta che sarà ritenuto necessario»: lo ripropone nel libro che ha scritto con Grillo nel 2011 (Siamo in guerra, Chiarelettere). Ma le cose non stanno così. Non solo l’Islanda è un paese piccolissimo (poco più di 300.000 abitanti), ma quel che è accaduto dopo il 2008, quando il paese sfiorò la bancarotta, è un’innovazione senza precedenti che preserva, tuttavia, l’idea della delega e della rappresentanza.
La costituzione islandese (è copiata dalla Danimarca, da cui l’-I-slanda s’emancipò nel ’44), si è rivelata insufficiente – lo sono quasi tutte, nell’Unione europea – e la revisione in effetti è cominciata online. Ma lo scopo era di eleggere un’assemblea costituente, selezionando 25 cittadini fra 522 candidati. I Venticinque preferiscono dirsi portavoce, non essendo capi di partito, ma per forza diventano un corpo intermedio, una rappresentanza in cui il popolo web decide di avere fiducia. Non solo: il progetto costituzionale è stato presentato in Parlamento, e l’iter si concluderà con un referendum, questo 20 ottobre, che voterà sulla Carta approvata sia dai 25 sia dai parlamentari. Un referendum non vincolante, che «servirà da guida al governo e al Parlamento». Il modello di Grillo non è un’ininterrotta assemblea online, che fa e disfa istituzioni a seconda delle opinioni vincenti. L’idea di istituzioni che durino indipendentemente da maggioranze e governi, permane.
Rivoluzionaria è la discussione preliminare in rete. Ma l’approdo è solo in parte democrazia diretta, e le istituzioni esistenti non sono considerate in Islanda ingombri, zavorra. Se hanno fallito, facilitando il tracollo finanziario del 2008, è perché mancava un efficace sistema di controlli e contrappesi (
checks and balances).
Un sistema che presuppone istituzioni e rappresentanze forti. Altrimenti di chi è il contropotere? Chi frena l’arbitrio di lobby, di chiese, garantendo la laicità dello Stato? Di zavorra si parla molto in questi giorni: troppo. Sono ingombrante zavorra i diritti, le responsabilità delle imprese, le regole, le rappresentanze, le regioni votate per loro stessa natura a sprofondare nella corruzione (Lazio e Lombardia, ma nella lista ci sono anche Calabria, Campania, Molise). L’ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida non ha torto quando mette in guardia contro il desiderio diffuso «di cercare il colpevole di tutto in una o altra istituzione, (…) senza mai domandarsi quali siano le vere cause dei nostri guai: e se non si debba chiedere conto di ciò che ci scandalizza non a questa o a quella istituzione della Repubblica, ma ai nostri concittadini elettori, i quali, col loro voto, hanno mandato in Parlamento e al Governo i famosi «nominati» che hanno approvato e difeso le peggiori leggi ad personam. (…) I «politici» contro cui si inveisce non sono piovuti dal cielo, sono quelli che gli elettori, al centro e in periferia, hanno scelto e premiato. Non c’entra la Costituzione» ( Corriere della sera, 24-9).
Il libro di Casaleggio e Grillo denuncia rappresentanze inconfutabilmente corrotte. È la soluzione che non convince: l’orizzonte di guerra e di zavorra gettata da una superiore intelligenza digitale. Sono zavorra i cittadini che non si connettono (son parecchi, in un Paese che invecchia)? E saranno corretti i difetti dei movimenti online, criticati da Enrico Sassoon che si è appena dimesso dalla Casaleggio Associati? (La Rete è «luogo democratico per eccellenza, al quale chiunque può accedere per dare voce alle proprie opinioni, (ma) può diventare arena di violenza incontenibile, diffamazione incontrastabile, vera e propria delinquenza mediatica», Corriere 23-9). Il film Gaia, concepito da Casaleggio Associati, annuncia una guerra batteriologica fra democrazie dirette a ovest e Russia-Cina-Medio Oriente, che inizierà nel 2020 e finirà nel 2040 con il nostro palingenetico trionfo, facendo circa 6 miliardi di morti. Il miliardo che resta «eliminerà i partiti, la politica, le ideologie, le religioni» (la zavorra), e istituirà un governo mondiale in mano a un’intelligenza
sociale collettiva: Gaia, appunto.
Un parto fobico della mente, Gaia. Fortuna che esiste l’esempio islandese, dove la Rete ha riformato senza liquidare istituzioni, partiti, giornali, religioni. Gaia è una distopia (non un’utopia): indesiderabile sotto tutti i punti di vista. In essa non regnerebbero che corporazioni, lobby, opache sette integraliste. Come nello stato di natura di Hobbes, sarebbe guerra di tutti contro tutti.
La Repubblica 26.09.12

"Papà non paga? E a scuola spunta la mensa separata", di Fabio Poletti

A Cavenago di Brianza, che più Brianza non si può, è scoppiata la guerra del panino. Da una parte ci sono due sorelline di origini siriane di 7 e 9 anni che hanno rischiato di saltare il pasto alla scuola elementare Ada Negri perché i loro genitori non avevano pagato il buono mensa. E come loro rischia di fare la stessa fine un altro centinaio di bambini non in regola con la retta della refezione che costa 4 euro e 20 centesimi a testa al giorno. Dall’altra parte c’è la società che gestisce la mensa, la multinazionale francese Sodexo – che nel 2011 ha fatturato nel mondo 16 miliardi e 47 milioni di euro – che piange per un avanzo da 23 mila euro di rette non pagate, solo in questa scuola prefabbricata a un piano con un giardino spelacchiato attorno, che ospita 600 bambini tra elementari e medie e una palestra.

La Sodexo che vuole i suoi soldi ha minacciato di dare ai bambini con i genitori inadempienti un panino vuoto e un succo di frutta, versione assai moderna del medievale pane e acqua. L’amministrazione comunale di Cavenago di Brianza – 6800 abitanti martellati dalla crisi – ha chiesto che i genitori che non pagano, vengano a prendersi il loro figlio all’una e lo riportino a scuola alle due e mezza, possibilmente già rifocillato. Per quelli che non pagano e non possono venirsi a prendere il figlio – o perché lavorano o perché un lavoro lo stanno cercando – il Comune e la scuola stanno pensando di costruire un locale separato dalla mensa dove gli alunni possano mangiare il cibo cucinato e portato da casa.

A Cavenago di Brianza questo locale l’hanno già battezzato «il ghetto». Oppure il muro «della schiscetta», come si chiama a Milano il «baracchino» con il cibo precotto a casa. I più cinici la chiamano invece la «stanza del buco di bilancio». Uno scandalo, si capisce. Una discriminazione bella e buona a cui il sindaco Sem Galbiati, 43 anni e orecchino casual, al secondo mandato con una giunta di centrosinistra, cerca a fatica di opporre il ragionamento: «Il regolamento delle Asl impone che nei locali della mensa non entri altro cibo se non quello cucinato dalla stessa mensa. In altri Paesi del Nord Europa fanno così. La nostra preoccupazione è che la mensa venga chiusa per tutti, rendendo impossibile il tempo pieno con i conseguenti disagi per tutti quanti».

Il fatto è che il Comune di Cavenago di Brianza versa già 22 mila euro all’anno per aiutare le famiglie in crisi che non riescono a far fronte alla refezione scolastica. Da 4 euro e 20 la retta per il secondo figlio scende di altri 10 centesimi. Per il terzo si arriva a 3 euro e 69. Le due sorelline di origine siriana sfamate quel giorno dalle loro maestre hanno altri due fratelli, ma loro non pagano, i soldi ce li mette il Comune. Giura il sindaco: «È chiaro che ci sarà pure qualche furbetto che si “dimentica” di pagare la refezione. Ma quando 120 bambini su 600 sono inadempienti il problema è molto più grande. Noi possiamo poco. Dovrebbe essere la politica a dirci cosa fare».

Il fatto è che lo sa nessuno. Il direttore scolastico della scuola elementare Ada Negri, il professor Franco Maria Franci, non è in sede. La sua vice, la professoressa Polverini, fa sapere che non vuol parlare. Ma all’una davanti a scuola non c’è mamma che si trattenga dal commentare la guerra del panino. Una signora col maglioncino rosso in attesa del figlio che va alle medie si lamenta mica poco: «Mio figlio a mangiare lo porto a casa. Con 4 euro compero un chilo di pasta e pure il sugo. Ci sono giorni, mi ha detto, che in mensa gli danno solo una fetta di pizza e un frutto. Anche al bar spenderei 4 euro per un pranzo così». Una signora in tuta azzurra in attesa di due figli, uno alle elementari e uno alle medie, ammette di essere una di quelle che è in arretrato con la retta della refezione del figlio: «Io sono disoccupata, mio marito in cassa integrazione. Per sfamare a scuola i miei due figli dovrei spendere quasi 150 euro al mese. Non ce li ho. Chi me li dà? Vogliono fare la stanza per i bambini che si portano il cibo da casa? Facciano pure. Non mi scandalizzo. Il luogo dove mangiano i miei figli è davvero l’ultimo dei nostri problemi».

La Stampa 25.09.12

"Papà non paga? E a scuola spunta la mensa separata", di Fabio Poletti

A Cavenago di Brianza, che più Brianza non si può, è scoppiata la guerra del panino. Da una parte ci sono due sorelline di origini siriane di 7 e 9 anni che hanno rischiato di saltare il pasto alla scuola elementare Ada Negri perché i loro genitori non avevano pagato il buono mensa. E come loro rischia di fare la stessa fine un altro centinaio di bambini non in regola con la retta della refezione che costa 4 euro e 20 centesimi a testa al giorno. Dall’altra parte c’è la società che gestisce la mensa, la multinazionale francese Sodexo – che nel 2011 ha fatturato nel mondo 16 miliardi e 47 milioni di euro – che piange per un avanzo da 23 mila euro di rette non pagate, solo in questa scuola prefabbricata a un piano con un giardino spelacchiato attorno, che ospita 600 bambini tra elementari e medie e una palestra.
La Sodexo che vuole i suoi soldi ha minacciato di dare ai bambini con i genitori inadempienti un panino vuoto e un succo di frutta, versione assai moderna del medievale pane e acqua. L’amministrazione comunale di Cavenago di Brianza – 6800 abitanti martellati dalla crisi – ha chiesto che i genitori che non pagano, vengano a prendersi il loro figlio all’una e lo riportino a scuola alle due e mezza, possibilmente già rifocillato. Per quelli che non pagano e non possono venirsi a prendere il figlio – o perché lavorano o perché un lavoro lo stanno cercando – il Comune e la scuola stanno pensando di costruire un locale separato dalla mensa dove gli alunni possano mangiare il cibo cucinato e portato da casa.
A Cavenago di Brianza questo locale l’hanno già battezzato «il ghetto». Oppure il muro «della schiscetta», come si chiama a Milano il «baracchino» con il cibo precotto a casa. I più cinici la chiamano invece la «stanza del buco di bilancio». Uno scandalo, si capisce. Una discriminazione bella e buona a cui il sindaco Sem Galbiati, 43 anni e orecchino casual, al secondo mandato con una giunta di centrosinistra, cerca a fatica di opporre il ragionamento: «Il regolamento delle Asl impone che nei locali della mensa non entri altro cibo se non quello cucinato dalla stessa mensa. In altri Paesi del Nord Europa fanno così. La nostra preoccupazione è che la mensa venga chiusa per tutti, rendendo impossibile il tempo pieno con i conseguenti disagi per tutti quanti».
Il fatto è che il Comune di Cavenago di Brianza versa già 22 mila euro all’anno per aiutare le famiglie in crisi che non riescono a far fronte alla refezione scolastica. Da 4 euro e 20 la retta per il secondo figlio scende di altri 10 centesimi. Per il terzo si arriva a 3 euro e 69. Le due sorelline di origine siriana sfamate quel giorno dalle loro maestre hanno altri due fratelli, ma loro non pagano, i soldi ce li mette il Comune. Giura il sindaco: «È chiaro che ci sarà pure qualche furbetto che si “dimentica” di pagare la refezione. Ma quando 120 bambini su 600 sono inadempienti il problema è molto più grande. Noi possiamo poco. Dovrebbe essere la politica a dirci cosa fare».
Il fatto è che lo sa nessuno. Il direttore scolastico della scuola elementare Ada Negri, il professor Franco Maria Franci, non è in sede. La sua vice, la professoressa Polverini, fa sapere che non vuol parlare. Ma all’una davanti a scuola non c’è mamma che si trattenga dal commentare la guerra del panino. Una signora col maglioncino rosso in attesa del figlio che va alle medie si lamenta mica poco: «Mio figlio a mangiare lo porto a casa. Con 4 euro compero un chilo di pasta e pure il sugo. Ci sono giorni, mi ha detto, che in mensa gli danno solo una fetta di pizza e un frutto. Anche al bar spenderei 4 euro per un pranzo così». Una signora in tuta azzurra in attesa di due figli, uno alle elementari e uno alle medie, ammette di essere una di quelle che è in arretrato con la retta della refezione del figlio: «Io sono disoccupata, mio marito in cassa integrazione. Per sfamare a scuola i miei due figli dovrei spendere quasi 150 euro al mese. Non ce li ho. Chi me li dà? Vogliono fare la stanza per i bambini che si portano il cibo da casa? Facciano pure. Non mi scandalizzo. Il luogo dove mangiano i miei figli è davvero l’ultimo dei nostri problemi».
La Stampa 25.09.12

"Bersani a Renzi: l’albo non è contro di te", di Laura Matteucci

«La politica deve cambiare. Mi pare che la situazione sia arrivata a un punto insostenibile, credo che la Polverini stessa abbia fatto un gesto che va comunque sottolineato». Per Pier Luigi Bersani, che chiude a Milano la festa democratica, è inevitabile parlare della situazione del Lazio, che definisce «un caso drammatico», e delle dimisioni della presidente. Il segretario dei Democratici ribadisce che lo scandalo della Regione Lazio pone l’urgenza dell’adozione di «nuove regole». «Non a caso noi facciamo le primarie, perché questo tema del rapporto tra politica e società è il problema numero uno. È essenziale che le istituzioni riacquisiscano credibilità nei confronti dei cittadini dice Quello che serve è una terapia d’urto».
Un tema che richiama anche le primarie, per le quali a breve, il 6 ottobre, il Pd fisserà oltre ai tempi le proprie regole. A partire dall’albo non gradito ai renziani, ma che per Bersani è semplicemente «un registro normale di chi va a votare», «una norma anti-Batman, non anti-Renzi». «Renzi aggiunge fa bene ad aver fiducia. Le regole non sono da cambiare ma da fare, perché facciamo le primarie insieme agli altri. E fa bene ad aver fiducia perché l’albo è una norma anti-Batman». Il Patto dei democratici e dei progressisti, ovvero la Carta d’intenti cui aderire per partecipare alla consultazione, verrà firmato il 13 ottobre. Ma, prima di arrivare a quella data, sono già in calendario una serie di incontri di confronto sulla piattaforma, mercoledì prossimo con gli amministratori locali, l’8 ottobre con i movimenti della società civile. E Bersani, dopo lo scandalo dei rimborsi che ha travolto la Regione Lazio, intende riunire già stasera anche i presidenti regionali e i capigruppo del Pd per «discutere di costi, trasparenza e terzietà dei controlli: perché è chiaro dice che bisogna fare un salto di qualità». Serve «una terapia d’urto su un problema generale, come ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna Vasco Errani continua poi perché laddove si consentono deviazioni così macroscopiche dalla trasparenza e persino dal buonsenso, è chiaro che si finisce per mettere tutti nel mucchio». Ancora: «C’è un colpo di reni da dare su tutto il sistema, anche a livello politico e istituzionale». Riguardo la possibilità che lo scandalo si possa estendere ad altre regioni, Bersani replica che in «questa curiosa Italia» si oscilla tra «una spesa per la gestione di un Consiglio regionale, con annessi e connessi, come quello dell’Emilia-Romagna di 8 euro per abitante ai 18 del Lazio. Bisogna superare questa cosa, non è ammissibile, non c’è autonomia regionale che tenga. Bisogna intanto darsi regole pari e controlli terzi. E vedere di fare interventi seri per ridurre i costi». Da qui l’incontro di stasera per fissare regole e paletti.
GOVERNO COMPATTO
Si va delineando intanto il recinto dell’alleanza dei progressisti: dentro Nichi Vendola (Sel) e Riccardo Nencini (Psi), fuori l’Idv di Antonio Di Pietro. «Al prossimo giro ci vuole un governo compatto che non abbia problemi in casa perché ci sono già troppi problemi fuori»: inizia così il segretario del Pd parlando di alleanze e del rapporto con l’Idv. «Credo che la palla sia di là continua Da mesi io mi pongo un problema che rimane quello: le alleanze non si improvvisano, richiedono coerenza. Non intendo andare a dire agli italiani chiarisce che improvvisamente scoppia la pace, dopo che hanno visto mesi di guerra, non fatta da noi: non si può chiedermelo. Io non ho mai detto una frase men che rispettosa nei confronti dell’Idv». Dichiarazioni cui replica a stretto giro Di Pietro: «Noi non abbiamo fatto né una dichiarazione di guerra né una dichiarazione di pace, abbiamo proposto una piattaforma programmatica insieme a Sel e vogliamo sapere se il Pd ci sta oppure no. La ragione per cui i nostri rapporti politici si sono interrotti prosegue è solo perché il Pd ha deciso di appoggiare il governo Monti anche quando ha fatto provvedimenti iniqui come quelli a danno dei lavoratori. Provvedimenti dai quali abbiamo preso in maniera netta le distanze».
E del governo Monti, appunto, parla anche Bersani, a partire dal fatto che l’Udc di Casini ne vorrebbe la replica: Monti è «una persona importante anche per le prospettive del Paese» ma è «meglio lasciarlo fuori dalla contesa elettorale», spiega il segretario Pd. «In questo momento dice poi è un riferimento anche per lo sguardo internazionale che c’è su di noi. E credo che lo si debba preservare dalla contesa politica». In altri termini: «Alle prossime elezioni l’Italia farà quel che fanno altri Paesi normali nelle democrazie occidentali: sceglierà una maggioranza in grado di esprimere un governo. Dopodiché chiude credo che Monti sia un profilo prezioso, una persona importante anche per le prospettive del Paese».
Resta alta l’attenzione del Pd anche sul caso Fiat, «una questione che rimane aperta anche dopo l’incontro tra Marchionne e il governo», ricorda Bersani. Il punto è che Fiat «deve chiarire se è in grado di investire in innovazione dice Se è in condizione di dare una prospettiva agli stabilimenti o se invece bisogna pensare a qualcos’altro». In gioco, tra dipendenti diretti e indotto, c’è il futuro lavorativo di 1 milione di persone. E «immaginare un’altra stagione di ammortizzatori costosi per i lavoratori e per lo Stato, senza una prospettiva produttiva certa diventerebbe un problema molto serio». In altre parole: «Gli ammortizzatori servono nella transizione verso il rilancio. E sono queste settimane il tempo giusto per valutare la situazione. Se si fanno passare i mesi si arriva tardi e male».

L’Unità 25.09.12

"Bersani a Renzi: l’albo non è contro di te", di Laura Matteucci

«La politica deve cambiare. Mi pare che la situazione sia arrivata a un punto insostenibile, credo che la Polverini stessa abbia fatto un gesto che va comunque sottolineato». Per Pier Luigi Bersani, che chiude a Milano la festa democratica, è inevitabile parlare della situazione del Lazio, che definisce «un caso drammatico», e delle dimisioni della presidente. Il segretario dei Democratici ribadisce che lo scandalo della Regione Lazio pone l’urgenza dell’adozione di «nuove regole». «Non a caso noi facciamo le primarie, perché questo tema del rapporto tra politica e società è il problema numero uno. È essenziale che le istituzioni riacquisiscano credibilità nei confronti dei cittadini dice Quello che serve è una terapia d’urto».
Un tema che richiama anche le primarie, per le quali a breve, il 6 ottobre, il Pd fisserà oltre ai tempi le proprie regole. A partire dall’albo non gradito ai renziani, ma che per Bersani è semplicemente «un registro normale di chi va a votare», «una norma anti-Batman, non anti-Renzi». «Renzi aggiunge fa bene ad aver fiducia. Le regole non sono da cambiare ma da fare, perché facciamo le primarie insieme agli altri. E fa bene ad aver fiducia perché l’albo è una norma anti-Batman». Il Patto dei democratici e dei progressisti, ovvero la Carta d’intenti cui aderire per partecipare alla consultazione, verrà firmato il 13 ottobre. Ma, prima di arrivare a quella data, sono già in calendario una serie di incontri di confronto sulla piattaforma, mercoledì prossimo con gli amministratori locali, l’8 ottobre con i movimenti della società civile. E Bersani, dopo lo scandalo dei rimborsi che ha travolto la Regione Lazio, intende riunire già stasera anche i presidenti regionali e i capigruppo del Pd per «discutere di costi, trasparenza e terzietà dei controlli: perché è chiaro dice che bisogna fare un salto di qualità». Serve «una terapia d’urto su un problema generale, come ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna Vasco Errani continua poi perché laddove si consentono deviazioni così macroscopiche dalla trasparenza e persino dal buonsenso, è chiaro che si finisce per mettere tutti nel mucchio». Ancora: «C’è un colpo di reni da dare su tutto il sistema, anche a livello politico e istituzionale». Riguardo la possibilità che lo scandalo si possa estendere ad altre regioni, Bersani replica che in «questa curiosa Italia» si oscilla tra «una spesa per la gestione di un Consiglio regionale, con annessi e connessi, come quello dell’Emilia-Romagna di 8 euro per abitante ai 18 del Lazio. Bisogna superare questa cosa, non è ammissibile, non c’è autonomia regionale che tenga. Bisogna intanto darsi regole pari e controlli terzi. E vedere di fare interventi seri per ridurre i costi». Da qui l’incontro di stasera per fissare regole e paletti.
GOVERNO COMPATTO
Si va delineando intanto il recinto dell’alleanza dei progressisti: dentro Nichi Vendola (Sel) e Riccardo Nencini (Psi), fuori l’Idv di Antonio Di Pietro. «Al prossimo giro ci vuole un governo compatto che non abbia problemi in casa perché ci sono già troppi problemi fuori»: inizia così il segretario del Pd parlando di alleanze e del rapporto con l’Idv. «Credo che la palla sia di là continua Da mesi io mi pongo un problema che rimane quello: le alleanze non si improvvisano, richiedono coerenza. Non intendo andare a dire agli italiani chiarisce che improvvisamente scoppia la pace, dopo che hanno visto mesi di guerra, non fatta da noi: non si può chiedermelo. Io non ho mai detto una frase men che rispettosa nei confronti dell’Idv». Dichiarazioni cui replica a stretto giro Di Pietro: «Noi non abbiamo fatto né una dichiarazione di guerra né una dichiarazione di pace, abbiamo proposto una piattaforma programmatica insieme a Sel e vogliamo sapere se il Pd ci sta oppure no. La ragione per cui i nostri rapporti politici si sono interrotti prosegue è solo perché il Pd ha deciso di appoggiare il governo Monti anche quando ha fatto provvedimenti iniqui come quelli a danno dei lavoratori. Provvedimenti dai quali abbiamo preso in maniera netta le distanze».
E del governo Monti, appunto, parla anche Bersani, a partire dal fatto che l’Udc di Casini ne vorrebbe la replica: Monti è «una persona importante anche per le prospettive del Paese» ma è «meglio lasciarlo fuori dalla contesa elettorale», spiega il segretario Pd. «In questo momento dice poi è un riferimento anche per lo sguardo internazionale che c’è su di noi. E credo che lo si debba preservare dalla contesa politica». In altri termini: «Alle prossime elezioni l’Italia farà quel che fanno altri Paesi normali nelle democrazie occidentali: sceglierà una maggioranza in grado di esprimere un governo. Dopodiché chiude credo che Monti sia un profilo prezioso, una persona importante anche per le prospettive del Paese».
Resta alta l’attenzione del Pd anche sul caso Fiat, «una questione che rimane aperta anche dopo l’incontro tra Marchionne e il governo», ricorda Bersani. Il punto è che Fiat «deve chiarire se è in grado di investire in innovazione dice Se è in condizione di dare una prospettiva agli stabilimenti o se invece bisogna pensare a qualcos’altro». In gioco, tra dipendenti diretti e indotto, c’è il futuro lavorativo di 1 milione di persone. E «immaginare un’altra stagione di ammortizzatori costosi per i lavoratori e per lo Stato, senza una prospettiva produttiva certa diventerebbe un problema molto serio». In altre parole: «Gli ammortizzatori servono nella transizione verso il rilancio. E sono queste settimane il tempo giusto per valutare la situazione. Se si fanno passare i mesi si arriva tardi e male».
L’Unità 25.09.12

"Inidonei con biglietto di ritorno", di Franco Bastianini

L’inquadramento tra il personale amministrativo dei docenti inidonei non sarà irreversibile. Un decreto firmato dal ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, e alla controfirma dei responsabibili dell’economia e della funzione pubblica, data per imminente, elenca tutti gli elementi ritenuti necessari per dare applicazione alle disposizioni contenute nell’art.14, commi 13 e 14 della legge agosto2012 n. 135.
Rispetto ad anticipazioni circolate nelle scorse settimane, il documento contiene diverse novità la più importante delle quali è quella che non esclude la possibilità di un rientro nel ruolo docente anche dopo l’inquadramento nel ruolo Ata. Il provvedimento conferma che tanto i docenti inidonei quanto quelli titolari delle classi C555 e C999 devono transitare nei ruoli del personale Ata con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico di cui al vigente contratto collettivo nazionale scuola, sottoscritto il 29 settembre 2007, con la precisazione che per il personale delle classi C555 e C999 i profili professionali di inquadramento saranno assegnati in base al titolo di studio posseduto. L’inquadramento nell’area contrattuale del personale Ata, con decorrenza 1° settembre 2012, sarà disposto a mezzo di contratto collettivo da emanare a cura del competente direttore generale. Limitatamente ai docenti inidonei si precisano le modalità per l’immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili e quelle per l’attribuzione della sede di servizio anche in caso di concorrenzialità tra più aspiranti. I docenti appartenenti alle classi C555 e C999, già in possesso dell’abilitazione all’insegnamento per classe di concorso diversa rispetto a quella di appartenenza ovvero di titolo di studio valido per altro posto di insegnamento tecnico-pratico potranno essere inquadrati nella nuova classe di concorso con sede provvisoria, a decorrere dal 1° settembre 2012. Potranno partecipare a corsi di riconversione professionale e partecipare nel corso dell’anno scolastico 2012/2013 ai corsi per l’acquisizione del titolo di specializzazione per l’insegnamento su posti di sostegno. Acquisito il titolo, al momento del crearsi delle condizioni per l’immissione in ruolo, cesseranno di appartenere al ruolo Ata e saranno nuovamente inquadrati in quello del personale docente.

Successivamente all’immissione nel ruolo del personale Ata, prevaletemente con compiti amministrativi presso le segreterie, i docenti potranno transitare presso amministrazioni pubbliche in cui possono essere proficuamente utilizzate le professionalità possedute. Il transito sarà consentito nel rispetto delle procedure previste per le amministrazioni di destinazione. Se già in servizio presso gli uffici dell’amministrazione centrale e periferica potranno essere utilizzati, per continuità dell’azione amministrativa ovvero per esigenze di carattere organizzativo e funzionale, nei medesimi uffici fino a nuova disponibilità di posti. Potranno inoltre rientrare nei ruoli del personale docente qualora la commissione medica operante presso le aziende sanitarie locali accerti la intervenuta idoneità all’insegnamento. In tale caso la sede di titolarità sarà attribuita secondo le procedure e le modalità stabilite per la mobilità del personale docente. La visita medico collegiale dovrà essere chiesta dall’interessato.

Il personale dichiarato permanentemente inidoneo all’insegnamento ma idoneo ad altri compiti, se in possesso alla data di pubblicazione del decreto dei requisiti previsti dalla normativa vigente per il diritto al trattamento pensionistico (nel 2012, 66 anni di età o 41 anni di contributi se donna e 42 se uomo), potrà presentare istanza di cessazione dal servizio anche al di fuori dei termini annualmente definiti con decreto ministeriale e cessare dal servizio anche in corso di anno scolastico. Nel nuovo decreto non si fa, invece, alcun riferimento al comma 4.4 del decreto ministeriale n. 79/2011 il quale consentiva agli inidonei di essere dispensati dal servizio per motivi di salute secondo le modalità previste dalla normativa vigente al momento della domanda( almeno 15 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica).

da ItaliaOggi 25.09.12

"Inidonei con biglietto di ritorno", di Franco Bastianini

L’inquadramento tra il personale amministrativo dei docenti inidonei non sarà irreversibile. Un decreto firmato dal ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, e alla controfirma dei responsabibili dell’economia e della funzione pubblica, data per imminente, elenca tutti gli elementi ritenuti necessari per dare applicazione alle disposizioni contenute nell’art.14, commi 13 e 14 della legge agosto2012 n. 135.
Rispetto ad anticipazioni circolate nelle scorse settimane, il documento contiene diverse novità la più importante delle quali è quella che non esclude la possibilità di un rientro nel ruolo docente anche dopo l’inquadramento nel ruolo Ata. Il provvedimento conferma che tanto i docenti inidonei quanto quelli titolari delle classi C555 e C999 devono transitare nei ruoli del personale Ata con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico di cui al vigente contratto collettivo nazionale scuola, sottoscritto il 29 settembre 2007, con la precisazione che per il personale delle classi C555 e C999 i profili professionali di inquadramento saranno assegnati in base al titolo di studio posseduto. L’inquadramento nell’area contrattuale del personale Ata, con decorrenza 1° settembre 2012, sarà disposto a mezzo di contratto collettivo da emanare a cura del competente direttore generale. Limitatamente ai docenti inidonei si precisano le modalità per l’immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili e quelle per l’attribuzione della sede di servizio anche in caso di concorrenzialità tra più aspiranti. I docenti appartenenti alle classi C555 e C999, già in possesso dell’abilitazione all’insegnamento per classe di concorso diversa rispetto a quella di appartenenza ovvero di titolo di studio valido per altro posto di insegnamento tecnico-pratico potranno essere inquadrati nella nuova classe di concorso con sede provvisoria, a decorrere dal 1° settembre 2012. Potranno partecipare a corsi di riconversione professionale e partecipare nel corso dell’anno scolastico 2012/2013 ai corsi per l’acquisizione del titolo di specializzazione per l’insegnamento su posti di sostegno. Acquisito il titolo, al momento del crearsi delle condizioni per l’immissione in ruolo, cesseranno di appartenere al ruolo Ata e saranno nuovamente inquadrati in quello del personale docente.
Successivamente all’immissione nel ruolo del personale Ata, prevaletemente con compiti amministrativi presso le segreterie, i docenti potranno transitare presso amministrazioni pubbliche in cui possono essere proficuamente utilizzate le professionalità possedute. Il transito sarà consentito nel rispetto delle procedure previste per le amministrazioni di destinazione. Se già in servizio presso gli uffici dell’amministrazione centrale e periferica potranno essere utilizzati, per continuità dell’azione amministrativa ovvero per esigenze di carattere organizzativo e funzionale, nei medesimi uffici fino a nuova disponibilità di posti. Potranno inoltre rientrare nei ruoli del personale docente qualora la commissione medica operante presso le aziende sanitarie locali accerti la intervenuta idoneità all’insegnamento. In tale caso la sede di titolarità sarà attribuita secondo le procedure e le modalità stabilite per la mobilità del personale docente. La visita medico collegiale dovrà essere chiesta dall’interessato.
Il personale dichiarato permanentemente inidoneo all’insegnamento ma idoneo ad altri compiti, se in possesso alla data di pubblicazione del decreto dei requisiti previsti dalla normativa vigente per il diritto al trattamento pensionistico (nel 2012, 66 anni di età o 41 anni di contributi se donna e 42 se uomo), potrà presentare istanza di cessazione dal servizio anche al di fuori dei termini annualmente definiti con decreto ministeriale e cessare dal servizio anche in corso di anno scolastico. Nel nuovo decreto non si fa, invece, alcun riferimento al comma 4.4 del decreto ministeriale n. 79/2011 il quale consentiva agli inidonei di essere dispensati dal servizio per motivi di salute secondo le modalità previste dalla normativa vigente al momento della domanda( almeno 15 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica).
da ItaliaOggi 25.09.12