Bellocchio ce le fa rivedere, e a distanza di tre anni e mezzo, come liberati da un incantesimo, se ne percepiscono tutta la vergogna, il cinismo, l’opportunismo, in certi casi l’orrore: come quando il primo ministro Berlusconi, col suo sorriso da piazzista, in totale impudente crudeltà, informa gli italiani che quel corpo perduto alla vita da tanti anni, ha ancora le mestruazioni e potrebbe quindi fare figli. E poi le sedute in Senato, e gli anatemi del pidiellino Quagliarello, e l’assurdo minuto di silenzio chiesto dal presidente Schifani all’annuncio che la macchina che mimava la vita di Eluana era stata finalmente staccata.
Con grande sapienza, e bravissimi attori, Bellocchio racconta del valore della vita e della morte con la storia di una tossica (Maya Sansa) che vuole a tutti i costi suicidarsi, a cui si oppone un dottore (Pier Giorgio Bellocchio) che vuole impedirglielo, “in nome dell’umanità”, mentre i cinici colleghi scommettono su quando Eluana morirà; con quella di una grande attrice (Isabelle Huppert) che ha una bellissima figlia in coma e che, senza fede, circondata da suore, sgranando il rosario, lavandosi le mani imbrattate da un sangue immaginario come recitasse nel Macbeth, pretende da Dio un miracolo; e quella che si riallaccia al frenetico momento politico di quei giorni, quando frettolosamente Berlusconi decise di far votare una legge che, per compiacere il potere vaticano, avrebbe dovuto cancellare quella che consente la libertà di cura. Il senatore del Pdl Toni Servillo non vuole andare contro la sua coscienza, e annuncia che non solo non voterà a favore, ma esprimerà nell’aula le ragioni del suo dissenso, per poi dimettersi. «Ma perderai la pensione! » gli dice il collega, che fu socialista come lui ricordandogli che fu il grande boss a salvarli dalla galera e non si può quindi disubbidirgli: e infatti, nelle stanze del partito, tutti a chiacchierare col telefonino e ad assicurare il loro sì.
Ci fu davvero, dice Bellocchio, un senatore friulano, amico di Beppino Englaro, che era deciso a dire no, poi come si sa, la nonvita di Eluana cessò prima che si votasse, e tutto finì lì. Il regista sostiene di non avere alcun atteggiamento di disprezzo verso quelle figure di politico che si aggirano nel suo film, ma certo non li esalta nella scena del tutto surreale in cui, come fossero i senatori dell’antica Roma, s’immergono nudi nei vapori del bagno turco, continuando a guardare la tivù del parlamento. Si ride quando il senatore psicanalista Roberto Herlitzka sostiene che «I politici sono tutti malati di mente». E noiosissimi, da curare con pastiglie per toglierseli di torno: «Sono smarriti, depressi, infelici, vagano per il centro senza sapere che fare, sentendosi inutili, terrorizzati dall’idea che la televisione non li chiami più, sempre più convinti di non contare niente».
Il senatore di Servillo non è una macchietta, è una bella figura di uomo ferito dalla malattia della moglie che ha aiutato a non soffrire più, e dall’ostilità della figlia, Alba Rohrwacher, che sta dalla parte di chi prega perché non sia staccata la spina della macchina che fa respirare, ma non vivere, Eluana. Bellocchio ricostruisce con maestria il caos emotivo di quei giorni che avevano trasformato la discussione sull’eutanasia in una tragedia nazionale dai pesantissimi risvolti non solo morali e religiosi ma anche politici. La folla di credenti davanti alla clinica, i canti sacri, le preghiere, i lumini, le messe, le grida «Assassini! », gli ammalati in carrozzella con il cartello «Ammazza anche me», la polizia, i sostenitori del diritto di far cessare le sofferenze di Eluana, i dibattiti in televisione, i cronisti a caccia di dichiarazioni sensazionali. Ma l’Italia si sa, è impaziente: annunciato che il corpo della povera Englaro si era spento, tutto finì in pochi giorni, si passò subito ad altro. Però al momento di girare il film, se ne sono ricordate la Provincia di Udine (il Comune ha favorito le riprese) e la Regione, che hanno cancellato la Friuli Film Commission che aveva già comunque partecipato al finanziamento del film, come appare nei titoli di testa. Bella addormentata entra nella ristretta rosa dei candidati al Leone d’oro.
La Repubblica 06.09.12
******
“La par condicio non si addice a questa vicenda”, di Curzio Maltese
La colpa di Beppe Englaro fu di voler compiere alla luce del sole e nel rispetto della legge quello che ogni giorno si fa in silenzio in molte famiglie. Restituire la dignità della morte alla figlia Eluana, già persa alla vita da 17 anni. Staccare la spina di un accanimento terapeutico senza senso e senza speranza per Eluana, che serviva ad altri per altri scopi. È la scelta compiuta in tempi recenti dai due uomini più amati della chiesa, Karol Wojtyla e Carlo Maria Martini. Ma la chiesa, come tutti i poteri italiani, dei quali rimane l’archetipo, non è interessata tanto al rispetto autentico della legge morale, quanto al pubblico atto di sottomissione. Per averlo rifiutato, papà Englaro ha pagato un prezzo enorme. Gerarchie e associazioni cattoliche non hanno esitato a mettere in campo una propaganda infame, a usare disabili nelle manifestazioni con cartelli appesi al collo («Uccidi anche me! »), al linciaggio quotidiano («boia», «assassino») di un padre provato da un lungo calvario. Non si sono vergognati neppure di sfruttare il potere mediatico e il grottesco magistero morale di un noto organizzatore di festini, incidentalmente presidente del Consiglio. Un abisso di degrado insomma di una chiesa già percorsa da una furibonda lotta di potere, come si rivelò poi dagli scandali.
Con tali premesse, si sarebbe potuto temere dall’autore de I pugni in tasca e L’ora di religione un eccesso di furia indignata. A sorpresa invece Bella addormentata ha il difetto di apparire troppo prudente. Preoccupato di «non offendere nessuno», Bellocchio intreccia storie e personaggi con una strana ansia da par condicio. In termini giuridici, si chiama eccesso colposo di legittima difesa. Non che qualcuno possa sbandierare verità assolute in questi casi. Ma alla fine i personaggi della finzione appaiono al di sotto della tensione del conflitto reale, che esplode nelle immagini di cronaca splendidamente montate. Lo splendore del cinema di Bellocchio riemerge in scene indimenticabili, come il bagno da basso impero dei senatori, oppure in figure laterali, il capo banda berlusconiano interpretato dal grandioso Roberto Herlitzka, che distribuisce psicofarmaci per sedare i rari sussulti etici. A parte la scrittura, tutto è straordinario, regia, fotografia di Ciprì, montaggio di Francesca Calvelli, il portentoso gruppo di attori, tanto più quando i personaggi risultato meno credibili. Per esempio, il politico interpretato, al solito magnificamente, da Toni Servillo. In vent’anni da cronista non mi è mai capitato d’imbattermi in un parlamentare berlusconiano non tanto in preda a una crisi di coscienza, questo è capitato, ma totalmente immerso in un universo morale tanto limpido e coerente, quasi kantiano. Ma il cinema serve anche a inventare mondi paralleli.
La Repubblica 06.09.12
Latest Posts
"Chi vuole bloccare il cambiamento", di Michele Ciliberto
In Italia siamo abituati, se non a tutto, a molte cose. Ma la dichiarazione di Pietro Grasso sulle «menti raffinatissime» che sono all’opera, come nel 1992, per impedire una soluzione positiva della crisi italiana non può passare inosservata. Quale è la situazione dell’Italia in questo momento? Qual è il nostro problema principale? Credo debba essere questo il punto centrale della discussione, né, a mio giudizio, ci sono dubbi sulla risposta. In questione oggi è il destino, e il futuro, dello Stato nazionale italiano, per motivi sia di ordine interno che internazionale. Riguardo a questi ultimi, sono sotto gli occhi di tutti le gravissime difficoltà in cui si trova il nostro Paese, e i problemi che sono oggi aperti intorno ai rapporti tra sovranità nazionale e sovranità europea.
Ma non meno decisivi, e gravi, sono i problemi di ordine interno. Anzi, per molti aspetti, è anzitutto qui che bisogna guardare per capire cosa sta effettivamente accadendo.
In Italia sono oggi in profonda crisi sia il potere esecutivo che quello legislativo e giudiziario. Se si volesse usare una espressione del linguaggio ordinario si potrebbe dire che stanno «saltando» i binari e che viviamo in una situazione eccezionale, in cui tutto è diventato possibile.
L’azione del presidente della Repubblica compreso il conflitto di attribuzione sollevato presso la Corte costituzionale si situa in questo contesto: è un momento importante ma un momento di un’azione che, restando nell’ambito delle proprie prerogative, si sta sforzando da tempo di evitare che il Paese deragli e di ricostituire le fondamenta della legalità e le regole repubblicane. In questo senso è anche, oggettivamente, una iniziativa politica opportuna, a mio giudizio. Ma certo, esposta, proprio per questa sua natura, alla possibilità di critiche di varia natura.
Detto questo, resta però da capire perché la presidenza della Repubblica venga attaccata con questa violenza e perché sia stata individuata da un fronte composito come il nemico principale, l’ostacolo da abbattere con tutti gli strumenti possibili.
Si può cominciare a capirlo se si analizzano gli schieramenti in campo e, quando ci siano, le strategie da essi proposte, sapendo che il governo Monti periodizza anche da questo punto di vista la storia della Repubblica.
Semplificando, le proposte principali di soluzione della crisi sono in sostanza tre: la democratica; la tecnocratica; la neo-giacobina. Esse ed è un punto interessante non sono, peraltro, specifiche di un singolo partito: ad esempio, la soluzione democratica e quella tecnocratica convivono nel Pd.
A conferma della complessità, della vischiosità e anche della novità della situazione, va però subito detto che a queste tre se ne aggiunge una quarta, altrettanto importante: paradossalmente, si potrebbe definire quella della non-soluzione della crisi. In altre parole, è quella che, in una situazione come quella attuale, punta, da un lato, a una sorta di «feudalizzazione» dei poteri economici e politici (con un nuovo ruolo politico e organizzativo affidato ai giornali); dall’altro a un declino del nostro Stato nazionale come realtà autonoma e specifica, con una strategia che non ha nulla a che fare con le vecchie politiche della Lega di Bossi: qui è l’idea di Stato in quanto tale che viene subordinata a una riorganizzazione proprietaria dei poteri, refrattaria ad ogni regola a cominciare da quelle sindacali -, e proiettata in un orizzonte post-statale e post-nazionale. Riprendendo la distinzione schematica ora proposta, sono forze che si oppongono frontalmente alla proposta «democratica»; ma sono distanti anche dalla prospettiva «tecnocratica» o dall’ipotesi di una «grande coalizione».
Né c’è da fare dietrologia. Basta limitarsi alla lettura di alcuni giornali per vedere all’opera forze che tengono in una condizione di tensione permanente il Paese per evitare che la crisi trovi una soluzione politica. Sono forze favorite, e alimentate, da alcuni dati obiettivi: la crisi dei partiti e delle culture politiche tradizionali; la decomposizione dei vecchi legami sociali ed economici; la frantumazione delle strutture associative, a cominciare dal sindacato; e, naturalmente, la crisi della sovranità nazionale…
Dicendo questo non penso solo alla camorra o alla mafia (cosa ben nota); ma a forze economiche ed politiche che puntano alla crisi e alla dissoluzione dei «vincoli» essenziali dello Stato, proprio mentre il problema del rapporto tra sovranità nazionale e sovranità europea si configura in termini, per molti aspetti, drammatici. La violenza e la durezza dell’attacco alla presidenza della Repubblica e al suo ruolo nasce qui: essa è, di fatto, individuata come l’ostacolo politico principale a questo disegno. Quella che si sta svolgendo in questi mesi è una battaglia integralmente politica, condotta con tutte le armi-lecite ed illecite-; ed è strategica per una serie di forze che stanno cercando di ricollocarsi dopo la fine del berlusconismo per fronteggiare e risolvere la crisi internazionale a proprio vantaggio. Questa è la sostanza della cosa. Si tratta di un complesso di forze potenti, ed è, certo, possibile che, alla loro testa, siano «menti raffinatissime»; ma per capire come esse agiscono e cosa vogliono basta Karl Marx. Quelli che sono in campo sono interessi precisi, materiali, che si sono schierati sulla base di quelle che considerano le proprie convenienze.
Credo che sia un altro, invece, il punto principale da sottolineare per capire la situazione in cui ci troviamo: la realtà dei fatti, specie in queste ultime settimane, è stata fortemente annebbiata, e confusa, da uno scontro ideologico di estrema violenza. Non è la prima volta, né sarà l’ultima. Ma in questo caso la nebbia si è particolarmente infittita perché l’ideologia si è «colorata» in buona o in cattiva fede (mi guardo bene dal fare di ogni erba un fascio) di «legalismo» e di «moralismo», diffondendosi e trovando consensi anche a sinistra. E si capisce: il «moralismo», oltre ad essere una cosa in sé rispettabile, è un classico, ed eccezionale strumento ideologico anche se non è mai servito per capire, o per cambiare, la realtà. Ma questa «coloritura» (parola cara a Machiavelli) ha contribuito ad accentuare ulteriormente la confusione sotto il cielo.
A differenza di quanto pensava il presidente Mao, da questa confusione è però necessario uscire, e per farlo bisogna richiamare l’attenzione di tutti sul punto centrale, mettendolo in piena luce: il nostro destino come Stato, come comunità nazionale imperniata sui diritti e sui doveri sanciti dalla Costituzione. Giorno dopo giorno, intorno a noi sale una marea che travolge ogni cosa, anche i principi elementari di un possibile confronto. Per cercare di ristabilire le fondamenta del nostro «vivere civile» a cominciare da quello costituzionale occorre andare alla sostanza delle cose ponendo al centro della discussione, in modo rigoroso e disincantato, le ragioni interne e internazionali della lunga crisi dello Stato italiano, i motivi profondi del conflitto attuale, interrogandosi ed è il punto decisivo su quale possa essere un suo possibile futuro, mentre si esaurisce il paradigma «moderno» della statualità.
L’Unità 06.09.12
"Chi vuole bloccare il cambiamento", di Michele Ciliberto
In Italia siamo abituati, se non a tutto, a molte cose. Ma la dichiarazione di Pietro Grasso sulle «menti raffinatissime» che sono all’opera, come nel 1992, per impedire una soluzione positiva della crisi italiana non può passare inosservata. Quale è la situazione dell’Italia in questo momento? Qual è il nostro problema principale? Credo debba essere questo il punto centrale della discussione, né, a mio giudizio, ci sono dubbi sulla risposta. In questione oggi è il destino, e il futuro, dello Stato nazionale italiano, per motivi sia di ordine interno che internazionale. Riguardo a questi ultimi, sono sotto gli occhi di tutti le gravissime difficoltà in cui si trova il nostro Paese, e i problemi che sono oggi aperti intorno ai rapporti tra sovranità nazionale e sovranità europea.
Ma non meno decisivi, e gravi, sono i problemi di ordine interno. Anzi, per molti aspetti, è anzitutto qui che bisogna guardare per capire cosa sta effettivamente accadendo.
In Italia sono oggi in profonda crisi sia il potere esecutivo che quello legislativo e giudiziario. Se si volesse usare una espressione del linguaggio ordinario si potrebbe dire che stanno «saltando» i binari e che viviamo in una situazione eccezionale, in cui tutto è diventato possibile.
L’azione del presidente della Repubblica compreso il conflitto di attribuzione sollevato presso la Corte costituzionale si situa in questo contesto: è un momento importante ma un momento di un’azione che, restando nell’ambito delle proprie prerogative, si sta sforzando da tempo di evitare che il Paese deragli e di ricostituire le fondamenta della legalità e le regole repubblicane. In questo senso è anche, oggettivamente, una iniziativa politica opportuna, a mio giudizio. Ma certo, esposta, proprio per questa sua natura, alla possibilità di critiche di varia natura.
Detto questo, resta però da capire perché la presidenza della Repubblica venga attaccata con questa violenza e perché sia stata individuata da un fronte composito come il nemico principale, l’ostacolo da abbattere con tutti gli strumenti possibili.
Si può cominciare a capirlo se si analizzano gli schieramenti in campo e, quando ci siano, le strategie da essi proposte, sapendo che il governo Monti periodizza anche da questo punto di vista la storia della Repubblica.
Semplificando, le proposte principali di soluzione della crisi sono in sostanza tre: la democratica; la tecnocratica; la neo-giacobina. Esse ed è un punto interessante non sono, peraltro, specifiche di un singolo partito: ad esempio, la soluzione democratica e quella tecnocratica convivono nel Pd.
A conferma della complessità, della vischiosità e anche della novità della situazione, va però subito detto che a queste tre se ne aggiunge una quarta, altrettanto importante: paradossalmente, si potrebbe definire quella della non-soluzione della crisi. In altre parole, è quella che, in una situazione come quella attuale, punta, da un lato, a una sorta di «feudalizzazione» dei poteri economici e politici (con un nuovo ruolo politico e organizzativo affidato ai giornali); dall’altro a un declino del nostro Stato nazionale come realtà autonoma e specifica, con una strategia che non ha nulla a che fare con le vecchie politiche della Lega di Bossi: qui è l’idea di Stato in quanto tale che viene subordinata a una riorganizzazione proprietaria dei poteri, refrattaria ad ogni regola a cominciare da quelle sindacali -, e proiettata in un orizzonte post-statale e post-nazionale. Riprendendo la distinzione schematica ora proposta, sono forze che si oppongono frontalmente alla proposta «democratica»; ma sono distanti anche dalla prospettiva «tecnocratica» o dall’ipotesi di una «grande coalizione».
Né c’è da fare dietrologia. Basta limitarsi alla lettura di alcuni giornali per vedere all’opera forze che tengono in una condizione di tensione permanente il Paese per evitare che la crisi trovi una soluzione politica. Sono forze favorite, e alimentate, da alcuni dati obiettivi: la crisi dei partiti e delle culture politiche tradizionali; la decomposizione dei vecchi legami sociali ed economici; la frantumazione delle strutture associative, a cominciare dal sindacato; e, naturalmente, la crisi della sovranità nazionale…
Dicendo questo non penso solo alla camorra o alla mafia (cosa ben nota); ma a forze economiche ed politiche che puntano alla crisi e alla dissoluzione dei «vincoli» essenziali dello Stato, proprio mentre il problema del rapporto tra sovranità nazionale e sovranità europea si configura in termini, per molti aspetti, drammatici. La violenza e la durezza dell’attacco alla presidenza della Repubblica e al suo ruolo nasce qui: essa è, di fatto, individuata come l’ostacolo politico principale a questo disegno. Quella che si sta svolgendo in questi mesi è una battaglia integralmente politica, condotta con tutte le armi-lecite ed illecite-; ed è strategica per una serie di forze che stanno cercando di ricollocarsi dopo la fine del berlusconismo per fronteggiare e risolvere la crisi internazionale a proprio vantaggio. Questa è la sostanza della cosa. Si tratta di un complesso di forze potenti, ed è, certo, possibile che, alla loro testa, siano «menti raffinatissime»; ma per capire come esse agiscono e cosa vogliono basta Karl Marx. Quelli che sono in campo sono interessi precisi, materiali, che si sono schierati sulla base di quelle che considerano le proprie convenienze.
Credo che sia un altro, invece, il punto principale da sottolineare per capire la situazione in cui ci troviamo: la realtà dei fatti, specie in queste ultime settimane, è stata fortemente annebbiata, e confusa, da uno scontro ideologico di estrema violenza. Non è la prima volta, né sarà l’ultima. Ma in questo caso la nebbia si è particolarmente infittita perché l’ideologia si è «colorata» in buona o in cattiva fede (mi guardo bene dal fare di ogni erba un fascio) di «legalismo» e di «moralismo», diffondendosi e trovando consensi anche a sinistra. E si capisce: il «moralismo», oltre ad essere una cosa in sé rispettabile, è un classico, ed eccezionale strumento ideologico anche se non è mai servito per capire, o per cambiare, la realtà. Ma questa «coloritura» (parola cara a Machiavelli) ha contribuito ad accentuare ulteriormente la confusione sotto il cielo.
A differenza di quanto pensava il presidente Mao, da questa confusione è però necessario uscire, e per farlo bisogna richiamare l’attenzione di tutti sul punto centrale, mettendolo in piena luce: il nostro destino come Stato, come comunità nazionale imperniata sui diritti e sui doveri sanciti dalla Costituzione. Giorno dopo giorno, intorno a noi sale una marea che travolge ogni cosa, anche i principi elementari di un possibile confronto. Per cercare di ristabilire le fondamenta del nostro «vivere civile» a cominciare da quello costituzionale occorre andare alla sostanza delle cose ponendo al centro della discussione, in modo rigoroso e disincantato, le ragioni interne e internazionali della lunga crisi dello Stato italiano, i motivi profondi del conflitto attuale, interrogandosi ed è il punto decisivo su quale possa essere un suo possibile futuro, mentre si esaurisce il paradigma «moderno» della statualità.
L’Unità 06.09.12
Sisma, Ghizzoni “Dal Governo segnali di attenzione al territorio”
In mattinata il ministro per la cooperazione Riccardi è stato in visita a Novi e Camposanto. In mattinata il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione Riccardi è stato in visita a Camposanto e Novi, due comuni colpiti dal sisma: “Dopo più di 100 giorni dal terremoto – dice Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati – il Governo, anche attraverso il suo ministro, mostra attenzione ed interesse alle esigenze del territorio”.
“Non posso che apprezzare le parole e l’attenzione dimostrate del Ministro Riccardi durante la sua visita nei luoghi terremotati del modenese. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati – La visita del Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione a Novi e Camposanto, città gravemente colpite dal terremoto, è testimonianza della sua sensibilità umana e istituzionale: Riccardi ha espresso parole di sincera vicinanza alla popolazione, sottolineandone la dignità e la capacità di impegnarsi e mettersi in gioco per avviare una ricostruzione che riporti al più presto i nostri territori martoriati alla normalità.
Un impegno che, come ha assicurato Riccardi, non resterà di competenza solo della popolazione locale: dopo più di 100 giorni dall’evento sismico – ha spiegato Ghizzoni – quando le luci della ribalta sono ormai spente, il Governo, anche attraverso il suo ministro, mostra attenzione ed interesse alle esigenze del territorio. Sono segnali di buone pratiche che segnano una netta discontinuità con l’atteggiamento tenuto dall’esecutivo precedente a L’Aquila: il ritorno alla normalità – ha concluso la presidente Ghizzoni – deve passare anche per un impegno costante e continuo delle istituzioni.”
"Esclusi ai test, un business da 120mila euro a ragazzo", di Alessandra Migliozzi
Cepu, società e atenei stranieri offrono un posto “sicuro” ai bocciati ai test d’ingresso a Medicina. Una via parallela a carissimo prezzo. “Per non entrare bisogna essere dei fenomeni al contrario”. La promessa e’ di quelle che accendono qualcosa di piu’ di una speranza nei ragazzi che vogliono a tutti i costi fare Medicina e nei loro familiari, pronti a spendere cifre anche importanti per permettere ai figli di inseguire il un sogno e, va detto, una carriera d’oro. Ed e’ su quella promessa, sulla maggiore facilita’ di accesso ai corsi in alcune universita’ europee, che si basa il business degli esclusi al test italiano di Medicina. L’agenzia Dire ha indagato e ha scoperto che il business degli esclusi vale fra gli 84mila e i 120mila euro a ragazzo per l’intero corso escluse le spese per vitto e alloggio. Un esborso spartito fra gli atenei e i mediatori che indirizzano fuori i nostri ragazzi.
Vieni da noi, paga e il posto e’ praticamente assicurato: e’ questa, in sintesi, l’offerta che alcune universita’ straniere, societa’ private e Centri di preparazione universitaria, in primis il famoso Cepu, stanno sventolando sotto al naso degli aspiranti camici bianchi che in questi giorni sono alle prese con i quiz. Ma quanto costa la via ‘parallela’? Ovvero entrare a Medicina senza fare il test o, al massimo, sostenendo colloqui e prove piu’ semplici rispetto alla selezione che c’e’ da noi?
L’ASSALTO ALLE MATRICOLE – Il numero chiuso mette in crisi gli studenti che sognano Medicina, ma fa fare affari d’oro a chi offre loro la via europea. Una via del tutto legale, va detto, che prevede corsi di laurea regolari. Ma i cui costi esorbitanti dimostrano che c’e’ chi sta facendo una fortuna usando la leva del sogno del camice bianco. Ieri, fuori dalle aule delle facolta’ pubbliche, era tutto un volantinare. Alla Sapienza c’erano gli ‘uomini’ della spagnola Uax, l’Universidad Alfonso X El Sabio, che con circa 14mila euro l’anno offre un corso in Medicina ormai frequentatissimo dagli italiani che occupano buona parte dei posti riservati agli stranieri. L’universita’ ha creato anche una pagina web ad hoc per i nostri studenti interessati ai corsi di Medicina e Odontoriatria. I ragazzi vengono coccolati insieme ai loro genitori, con i quali possono partecipare ad una delle visite guidate al Campus da “un milione di metri quadri”, si legge sul sito e 75 laboratori avanzati a disposizione delle facolta’. All’assalto degli esclusi va anche il Cepu. Ieri, davanti alle facolta’, gli addetti del patron Francesco Polidori, papa’ di Cepu e dell’ateneo telematico e-Campus, facevano proseliti e distribuivano un volantino verde che invitava le matricole: “Scegli l’universita’ europea”. E piu’ sotto: “Puoi ancora iscriverti all’anno accademico 2012/2013 entro il 30/09/2012”. La seduzione: “Ci sono eccellenti universita’ europee che riservano posti agli studenti di altri paesi come l’Italia”. E Cepu International “ti prepara e ti accompagna” grazie ad “accordi” bilaterali con una serie di atenei distribuiti fra Spagna, Portogallo, Ungheria, Bulgaria e Repubblica Ceca. Del resto la direttiva Ue 2005/36, recepita con decreto legislativo 206/2007 “disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali di medico e odontoiatra acquisite in uno Stato membro”. Insomma, i titoli sono equivalenti quindi perche’ fare la trafila del test? Ma per scoprire dove e come si puo’ studiare all’estero e quanto costa bisogna prendere tassativamente un appuntamento perche’ gli operatori del numero verde Cepu non forniscono dati di questo tipo e neppure quelli del centralino romano che fa capo al Cepu e anche a e-Campus, l’ateneo telematico bocciato in passato sulla qualita’ da parte degli osservatori del ministero dell’Universita’.
UN SOGNO DA 120MILA EURO – L’agenzia Dire ha voluto approfondire. Il cronista si e’ finto parente di uno studente che sogna di fare Medicina e teme la bocciatura in un ateneo pubblico. L’appuntamento si ottiene in fretta. Le universita’ che il Cepu ed e-Campus mettono sul piatto sono sei. Due spagnole: la stessa Alfonso X El Sabio – Uax – che si fa pubblicita’ da sola davanti alle facolta’ e l’Eum, l’universita’ europea di Madrid. Poi ci sono la Ferdinando Pessoa di Oporto (Portogallo), ma qui si studia in portoghese, ed e’ poco appetibile per gli italiani, la Debrecen dell’omonima citta’ ungherese, la Charles university di Praga e infine la Medical university di Sofia – Mus – in Bulgaria. Al momento ci sono posti solo in quest’ultima perche’ per le altre bisognava muoversi prima. I colloqui di ammissione sono gia’ stati fatti. Si’, i colloqui, perche’ fuori si entra cosi’, con una chiacchierata e, al massimo, un test psicoattitudinale. La Uax fa anche un piccolo test sulle materie fondanti. Ma al Cepu sono chiari: “Per essere esclusi, con la nostra preparazione, bisognerebbe essere fenomeni al contrario”, spiegano al cronista. Il depliant fornito descrive la Medical university come una delle piu’ antiche in Bulgaria nel ramo della medicina. Qui basta un colloquio per tentare l’ingresso. Il Cepu ha un “accordo” ci sono dei posti riservati agli stranieri e vanno ai ragazzi portati dal Cepu, assicurano dal Centro. C’e’ un colloquio a settembre che si fa a Novedrate, sede di e-Campus in Lombardia. C’e’ anche un secondo giro a ottobre se avanzano posti. E se uno non passa? Domanda il cronista. Scatta il sorriso dell’operatore che dice chiaramente: e’ quasi impossibile. Rientrare in Italia si puo’? “Si’- spiegano dal Cepu- quando si proviene da una universita’ straniera si viene inseriti nel numero chiuso di posti riservati agli stranieri”. Ma si deve rifare il test? No, assicura l’operatore. Si entra al secondo anno con gli esami riconosciuti. E se uno vuole farsi tutto il percorso all’estero quanto costa? Il depliant non descrive i prezzi. Ma l’operatore li spiega al cronista: per il primo anno l’assistenza del Centro di preparazione costa 19.800 euro (preparazione al colloquio, preparazione linguistica, procedure amministrative, preparazione agli esami), poi ci sono gli 8mila euro da corrispondere all’ateneo bulgaro come tassa. L’assistenza scende a 9.800 euro per i successivi 5 anni (preparazione agli esami), ma si puo’ decidere di non usufruirne. Resta invece la tassa universitaria. Nel migliore dei casi, insomma, l’escluso ‘vale’ oltre 67mila euro fra tasse e spese per l’assistenza iniziale. Se quest’ultima viene protratta per tutto il percorso si sale a 117mila euro circa. Sempre esclusi vitto e alloggio. Un sogno costoso, ma che fa gola a molti: al Cepu stanno arrivando centinaia di richieste per appuntamenti di chi cerca canali alternativi, magari per portare avanti in futuro lo studio di papa’. I privati hanno fiutato l’affare, ma molti studenti sembrano pronti a salire sulla giostra. In Spagna i corsi fanno il pieno di italiani. E c’e’ anche chi punta sulla Romania. Diverse societa’ offrono assistenza anche per ‘soli’ 6mila euro per accedere. A Timisoara e’ pieno di italiani. E sui forum si sprecano le richieste di informazione. Ma i ragazzi vogliono solo inseguire un progetto. E inseguirlo all’estero e’ lecito. Che il sogno possa poi costare come un appartamento di piccolo taglio e’ un nodo su cui il ministero competente, forse, dovrebbe interrogarsi chiedendo un po’ di chiarezza in sede Ue ai paesi i cui atenei stringono accordi con societa’ private per ‘blindare’ una parte dei posti destinati agli stranieri usando come intermediari dei privati, che fanno una fortuna con il business degli esclusi.
da Agenzia Dire 06.09.12
******
Scuola, merito in vendita”, di GIUSEPPE CALICETI
La formazione è un business. Più la scuola pubblica è scadente, più per le private si aprono nuoi mercati. All’entrata dell’ateneo di Parma, dove si svolgevano i test di ammissione alle facoltà di Medicina, ragazzi del Cepu distribuivano volantini che invitavano ad aggirare i test iscrivendosi a una università europea. Insomma, pagando. Perché con un anno di studio in altre nazioni europee poi si può rientrare in un’Università italiana al secondo anno di medicina. Così si aggira il test del numero chiuso. Naturalmente solo per chi paga, però. Insomma: fatta la legge, trovato l’inganno; e se non è proprio un inganno, è qualcosa di molto simile. Comunque sia, un messaggio chiaro ai giovani: perché studiare, quando basta pagare? Ecco, dopo averli chiamati bamboccioni e scansafatiche, così si prendono di nuovo in giro gli studenti e le loro famiglie. Parlando falsamente di «merito» e offrendo loro scappatoie per «comprarsi il merito». E mai per «meritarselo» o accettare i suoi verdetti negativi. Si arriva così all’assurdo che, vendendo il sogno di un lavoro che molti giovani mai avranno i giovani vengano derubati: dei soldi e del loro sogno. Potrebbero degli adulti fare di peggio ai propri figli? Eppure è quello che in questi anni sta accadendo nel silenzio generale. Dei giovani e dei loro genitori.
l’Unità 06.09.12
"Esclusi ai test, un business da 120mila euro a ragazzo", di Alessandra Migliozzi
Cepu, società e atenei stranieri offrono un posto “sicuro” ai bocciati ai test d’ingresso a Medicina. Una via parallela a carissimo prezzo. “Per non entrare bisogna essere dei fenomeni al contrario”. La promessa e’ di quelle che accendono qualcosa di piu’ di una speranza nei ragazzi che vogliono a tutti i costi fare Medicina e nei loro familiari, pronti a spendere cifre anche importanti per permettere ai figli di inseguire il un sogno e, va detto, una carriera d’oro. Ed e’ su quella promessa, sulla maggiore facilita’ di accesso ai corsi in alcune universita’ europee, che si basa il business degli esclusi al test italiano di Medicina. L’agenzia Dire ha indagato e ha scoperto che il business degli esclusi vale fra gli 84mila e i 120mila euro a ragazzo per l’intero corso escluse le spese per vitto e alloggio. Un esborso spartito fra gli atenei e i mediatori che indirizzano fuori i nostri ragazzi.
Vieni da noi, paga e il posto e’ praticamente assicurato: e’ questa, in sintesi, l’offerta che alcune universita’ straniere, societa’ private e Centri di preparazione universitaria, in primis il famoso Cepu, stanno sventolando sotto al naso degli aspiranti camici bianchi che in questi giorni sono alle prese con i quiz. Ma quanto costa la via ‘parallela’? Ovvero entrare a Medicina senza fare il test o, al massimo, sostenendo colloqui e prove piu’ semplici rispetto alla selezione che c’e’ da noi?
L’ASSALTO ALLE MATRICOLE – Il numero chiuso mette in crisi gli studenti che sognano Medicina, ma fa fare affari d’oro a chi offre loro la via europea. Una via del tutto legale, va detto, che prevede corsi di laurea regolari. Ma i cui costi esorbitanti dimostrano che c’e’ chi sta facendo una fortuna usando la leva del sogno del camice bianco. Ieri, fuori dalle aule delle facolta’ pubbliche, era tutto un volantinare. Alla Sapienza c’erano gli ‘uomini’ della spagnola Uax, l’Universidad Alfonso X El Sabio, che con circa 14mila euro l’anno offre un corso in Medicina ormai frequentatissimo dagli italiani che occupano buona parte dei posti riservati agli stranieri. L’universita’ ha creato anche una pagina web ad hoc per i nostri studenti interessati ai corsi di Medicina e Odontoriatria. I ragazzi vengono coccolati insieme ai loro genitori, con i quali possono partecipare ad una delle visite guidate al Campus da “un milione di metri quadri”, si legge sul sito e 75 laboratori avanzati a disposizione delle facolta’. All’assalto degli esclusi va anche il Cepu. Ieri, davanti alle facolta’, gli addetti del patron Francesco Polidori, papa’ di Cepu e dell’ateneo telematico e-Campus, facevano proseliti e distribuivano un volantino verde che invitava le matricole: “Scegli l’universita’ europea”. E piu’ sotto: “Puoi ancora iscriverti all’anno accademico 2012/2013 entro il 30/09/2012”. La seduzione: “Ci sono eccellenti universita’ europee che riservano posti agli studenti di altri paesi come l’Italia”. E Cepu International “ti prepara e ti accompagna” grazie ad “accordi” bilaterali con una serie di atenei distribuiti fra Spagna, Portogallo, Ungheria, Bulgaria e Repubblica Ceca. Del resto la direttiva Ue 2005/36, recepita con decreto legislativo 206/2007 “disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali di medico e odontoiatra acquisite in uno Stato membro”. Insomma, i titoli sono equivalenti quindi perche’ fare la trafila del test? Ma per scoprire dove e come si puo’ studiare all’estero e quanto costa bisogna prendere tassativamente un appuntamento perche’ gli operatori del numero verde Cepu non forniscono dati di questo tipo e neppure quelli del centralino romano che fa capo al Cepu e anche a e-Campus, l’ateneo telematico bocciato in passato sulla qualita’ da parte degli osservatori del ministero dell’Universita’.
UN SOGNO DA 120MILA EURO – L’agenzia Dire ha voluto approfondire. Il cronista si e’ finto parente di uno studente che sogna di fare Medicina e teme la bocciatura in un ateneo pubblico. L’appuntamento si ottiene in fretta. Le universita’ che il Cepu ed e-Campus mettono sul piatto sono sei. Due spagnole: la stessa Alfonso X El Sabio – Uax – che si fa pubblicita’ da sola davanti alle facolta’ e l’Eum, l’universita’ europea di Madrid. Poi ci sono la Ferdinando Pessoa di Oporto (Portogallo), ma qui si studia in portoghese, ed e’ poco appetibile per gli italiani, la Debrecen dell’omonima citta’ ungherese, la Charles university di Praga e infine la Medical university di Sofia – Mus – in Bulgaria. Al momento ci sono posti solo in quest’ultima perche’ per le altre bisognava muoversi prima. I colloqui di ammissione sono gia’ stati fatti. Si’, i colloqui, perche’ fuori si entra cosi’, con una chiacchierata e, al massimo, un test psicoattitudinale. La Uax fa anche un piccolo test sulle materie fondanti. Ma al Cepu sono chiari: “Per essere esclusi, con la nostra preparazione, bisognerebbe essere fenomeni al contrario”, spiegano al cronista. Il depliant fornito descrive la Medical university come una delle piu’ antiche in Bulgaria nel ramo della medicina. Qui basta un colloquio per tentare l’ingresso. Il Cepu ha un “accordo” ci sono dei posti riservati agli stranieri e vanno ai ragazzi portati dal Cepu, assicurano dal Centro. C’e’ un colloquio a settembre che si fa a Novedrate, sede di e-Campus in Lombardia. C’e’ anche un secondo giro a ottobre se avanzano posti. E se uno non passa? Domanda il cronista. Scatta il sorriso dell’operatore che dice chiaramente: e’ quasi impossibile. Rientrare in Italia si puo’? “Si’- spiegano dal Cepu- quando si proviene da una universita’ straniera si viene inseriti nel numero chiuso di posti riservati agli stranieri”. Ma si deve rifare il test? No, assicura l’operatore. Si entra al secondo anno con gli esami riconosciuti. E se uno vuole farsi tutto il percorso all’estero quanto costa? Il depliant non descrive i prezzi. Ma l’operatore li spiega al cronista: per il primo anno l’assistenza del Centro di preparazione costa 19.800 euro (preparazione al colloquio, preparazione linguistica, procedure amministrative, preparazione agli esami), poi ci sono gli 8mila euro da corrispondere all’ateneo bulgaro come tassa. L’assistenza scende a 9.800 euro per i successivi 5 anni (preparazione agli esami), ma si puo’ decidere di non usufruirne. Resta invece la tassa universitaria. Nel migliore dei casi, insomma, l’escluso ‘vale’ oltre 67mila euro fra tasse e spese per l’assistenza iniziale. Se quest’ultima viene protratta per tutto il percorso si sale a 117mila euro circa. Sempre esclusi vitto e alloggio. Un sogno costoso, ma che fa gola a molti: al Cepu stanno arrivando centinaia di richieste per appuntamenti di chi cerca canali alternativi, magari per portare avanti in futuro lo studio di papa’. I privati hanno fiutato l’affare, ma molti studenti sembrano pronti a salire sulla giostra. In Spagna i corsi fanno il pieno di italiani. E c’e’ anche chi punta sulla Romania. Diverse societa’ offrono assistenza anche per ‘soli’ 6mila euro per accedere. A Timisoara e’ pieno di italiani. E sui forum si sprecano le richieste di informazione. Ma i ragazzi vogliono solo inseguire un progetto. E inseguirlo all’estero e’ lecito. Che il sogno possa poi costare come un appartamento di piccolo taglio e’ un nodo su cui il ministero competente, forse, dovrebbe interrogarsi chiedendo un po’ di chiarezza in sede Ue ai paesi i cui atenei stringono accordi con societa’ private per ‘blindare’ una parte dei posti destinati agli stranieri usando come intermediari dei privati, che fanno una fortuna con il business degli esclusi.
da Agenzia Dire 06.09.12
******
Scuola, merito in vendita”, di GIUSEPPE CALICETI
La formazione è un business. Più la scuola pubblica è scadente, più per le private si aprono nuoi mercati. All’entrata dell’ateneo di Parma, dove si svolgevano i test di ammissione alle facoltà di Medicina, ragazzi del Cepu distribuivano volantini che invitavano ad aggirare i test iscrivendosi a una università europea. Insomma, pagando. Perché con un anno di studio in altre nazioni europee poi si può rientrare in un’Università italiana al secondo anno di medicina. Così si aggira il test del numero chiuso. Naturalmente solo per chi paga, però. Insomma: fatta la legge, trovato l’inganno; e se non è proprio un inganno, è qualcosa di molto simile. Comunque sia, un messaggio chiaro ai giovani: perché studiare, quando basta pagare? Ecco, dopo averli chiamati bamboccioni e scansafatiche, così si prendono di nuovo in giro gli studenti e le loro famiglie. Parlando falsamente di «merito» e offrendo loro scappatoie per «comprarsi il merito». E mai per «meritarselo» o accettare i suoi verdetti negativi. Si arriva così all’assurdo che, vendendo il sogno di un lavoro che molti giovani mai avranno i giovani vengano derubati: dei soldi e del loro sogno. Potrebbero degli adulti fare di peggio ai propri figli? Eppure è quello che in questi anni sta accadendo nel silenzio generale. Dei giovani e dei loro genitori.
l’Unità 06.09.12
Pd, Bersani frena divisioni e polemiche «Parliamo all’Italia», di Simone Collini
«Stiamo sui contenuti». Pier Luigi Bersani chiede a tutti di darsi una calmata, di evitare polemiche inutili, di non giocare le primarie sulle divisioni interne e di non offrire il fianco agli avversari alla vigilia di una campagna elettorale che sarà molto impegnativa. Il leader del Pd vuole utilizzare i prossimi 90 giorni per parlare dei problemi dell’Italia e delle proposte per risolverli, incontrando forze sociali, movimenti, associazioni e mettendo al centro del confronto la piattaforma politico-programmatica contenuta nella «carta d’intenti». E per questo ha chiesto ai dirigenti del suo partito di fare attenzione al linguaggio e di non alimentare una discussione che rischia di essere controproducente. Pd, idee nuove o pura competizione?
Vedi anche
Primarie: D’Alema contro Renzi Tutti gli articoli della sezione Di Simone Collini 6 settembre 2012 A – A «Stiamo sui contenuti». Pier Luigi Bersani chiede a tutti di darsi una calmata, di evitare polemiche inutili, di non giocare le primarie sulle divisioni interne e di non offrire il fianco agli avversari alla vigilia di una campagna elettorale che sarà molto impegnativa.
Il leader del Pd vuole utilizzare i prossimi 90 giorni per parlare dei problemi dell’Italia e delle proposte per risolverli, incontrando forze sociali, movimenti, associazioni e mettendo al centro del confronto la piattaforma politico-programmatica contenuta nella «carta d’intenti». E per questo ha chiesto ai dirigenti del suo partito di fare attenzione al linguaggio e di non alimentare una discussione che rischia di essere controproducente.
Le primarie Bersani vuole farle, nonostante diversi big del partito ne farebbero volentieri a meno. Il leader del Pd punta ad andare alla sfida del 2013 con una legittimazione forte. E non a caso, nei colloqui che sta facendo in queste ore con i suoi e con gli sfidanti finora scesi in campo, il segretario democratico ha discusso anche dell’eventualità di prevedere il doppio turno, se nessuno dei quattro candidati dovesse superare il 50% dei consensi (in base ai sondaggi finora resi pubblici Bersani starebbe attorno al 40%, Matteo Renzi al 28%, Nichi Vendola al 25% e Bruno Tabacci al 7%).
Altra ipotesi ben vista da Bersani è che a vigilare sul buon andamento della sfida ci sia un «comitato dei garanti», cioè un organismo ad hoc, verosimilmente composto da tre personalità delle quali è riconosciuta autorevolezza e imparzialità, che garantisca il rispetto delle regole. Delle norme, ufficialmente, si inizierà a discutere ai primi di ottobre, quando verrà convocata l’Assemblea nazionale del Pd e si voterà una deroga allo statuto del partito per permette a Renzi di partecipare alle primarie (altrimenti potrebbe essere soltanto il segretario in corsa per la candidatura a premier).
Poi, dopo che a metà ottobre verrà firmata la «carta d’intenti» nella versione definitiva, i candidati discuteranno insieme le norme, a cominciare dall’ipotesi di far registrare chi intende votare ai gazebo in un apposito albo degli elettori.
Bersani però non vuol tenere la discussione su questo. Né vuole che resti il sospetto sul fatto che la sfida ai gazebo sia non vera e che nel Pd già sia stata decisa una spartizione degli incarichi per il 2013. Non esiste alcun «patto dei maggiorenti» dice ai cronisti che incontra davanti alla sede del Pd riferendosi ad articoli di giornale che da inizio agosto e ancora ieri parlano di un accordo tra i big (il “papello”, l’ha definito un mese fa il “Foglio”: Bersani premier, Franceschini segretario Pd, Veltroni presidente della Camera ecc.).
«Sgombriamo il campo da cose che non esistono. Sento, vedo che da agosto in qua su diversi organi di stampa ci sono indiscrezioni su ipotetici patti che io avrei fatto o starei facendo per cariche istituzionali, cariche di partito, cariche di governo. Io ho lavorato e lavoro per un partito unito. Ecco, vorrei dire molto seriamente, ma fermamente, che non ci sono in corso né patti grandi, né patti medi, né patti piccoli e che ho lavorato e lavoro per un partito unito, rinnovato, contendibile e senza padroni perché ho una certa idea del futuro della democrazia italiana».
L’irritazione per vedere sui giornali descritta una spartizione che Marina Sereni definisce «surreale» e che Rosy Bindi in un’intervista a l’Unità già aveva smentito un mese fa (ma ieri è tornata come nulla fosse sulla questione “Repubblica”) è evidente. Ma Bersani è assai poco entusiasta anche della piega che ha preso fin qui la discussione sulle primarie.
«Vorrei che si sgombrasse il campo da cose che non esistono e si parlasse di Italia. Io parlo di questo. Il prossimo appuntamento è per l’Italia. Ad esempio, oggi ho dedicato la giornata ad un incontro sul Mezzogiorno perché a fine settembre avremo un grande appuntamento su questo. Ieri, ho incontrato i rappresentanti dell’Alcoa. Ecco, io lavoro così».
Un’impostazione che intende rispettare anche Tabacci («dobbiamo lavorare sui contenuti») che ieri ha incontrato Bersani nella sede del Pd per parlare di legge elettorale (necessità assoluta di superare il Porcellum) e primarie. L’esponente dell’Api si candiderà ufficilamente il 14, nell’ambito di un’iniziativa sulla green economy organizzata a Maratea, uscirà a fine settembre nelle librerie con un libro intervista in cui esporrà la propria piattaforma politica. Poi anche per l’assessore al Bilancio del Comune di Milano ci sarà un tour nelle principali città italiane.
L’altro sfidante, Vendola, è invece già partito. Dice il governatore della Puglia: «C’è una campagna di santificazione di Renzi su grandi giornali e da parte di alcune grandi lobby politico-editoriali. Questa è la verità. E se qualcuno fa qualche obiezione, allora si parla di campagna di demonizzazione. Il bello della contesa è che deve essere una vera contesa».
L’Unità 06.09.12
******
Bersani: “Non ci sono patti tra big andiamo avanti con primarie aperte”, di Giovanna Casadio
Non si pente di avere voluto le primarie («Le ho chieste io»), ma Pier Luigi Bersani vorrebbe imprimere una inversione di rotta per evitare il caos nel Pd: «Basta con le divisioni e le polemiche. Si parli d’Italia, io parlerò d’Italia e il prossimo appuntamento è per l’Italia. Ho avuto incontri in questi giorni sul Sud e sull’Alcoa, andrò avanti così». E per il resto? «Non ci sono né patti grandi, né medi, né piccoli. Sono cose che non esistono. Lavoro per un partito unito, rinnovato, contendibile e senza padroni». Si accalora il segretario democratico, uscendo dalla sede del Nazareno. Nega, Bersani, le indiscrezioni sull’organigramma già scritto (Veltroni presidente della Camera, D’Alema ministro degli Esteri, Bindi vice premier…) in caso di vittoria elettorale del centrosinistra, che garantirebbe a ciascuno dei big una collocazione nel governo, nelle istituzioni, nel partito. Non c’è alcun accordo – ripeterà chiudendo domenica la Festa democratica di Reggio Emilia – e «il rinnovamento ci sarà». La sfida di Renzi è infatti sulla “rottamazione” dei “vecchi” dirigenti, ma in rivolta sono anche i trentaquarantenni del partito, che chiedono ai leader di lungo corso di farsi da parte «o saremo travolti », perché la gente non vuole più le stesse facce.
Comunque, le primarie ci saranno, saranno aperte, le regole saranno fissate entro ottobre. Ne ha parlato il segretario del Pd con Bruno Tabacci, assessore della giunta Pisapia, deputato e portavoce di Api. Tabacci si candiderà alle primarie del centrosinistra e conta di conquistare i voti dei moderati. Mezz’ora di colloquio
con Bersani ieri, presenti Pino Pisicchio e Maurizio Migliavacca. L’assicurazione che, quasi certamente, le primarie per la premiership del centrosinistra saranno a doppio turno come in Francia, consentendo così una corsa libera e poi la scrematura e la sfida vera e propria. I candidati a questo punto sono quattro: oltre a Bersani e Renzi, Vendola e Tabacci. E altri se ne aggiungeranno. Sandro Gozi, ad esempio, è tentato. Come Pippo Civati. Massimo Cacciari, il filosofo, ex sindaco di Venezia, vorrebbe un altro nome. Non è l’unico; Gozi e Civati avevano provato a convincere Fabrizio Barca, ministro della Coesione del governo Monti, però senza successo. «Bersani lo conosco da quando avevamo i calzoni corti – dice Cacciari – non è un grande leader, non ha carisma, ma ha più competenze e capacità di mediazione di Renzi, che è un oggetto misterioso, non è giudicabile… ha ragione quando dice che il Pd è diretto da una compagine di persone che erano la federazione giovanile comunista di 40 anni fa». Cacciari prevede anche nuove divisioni: «C’è un grande caos… il Pd si spaccherà dopo il voto perché è un esperimento fallito, mi è costato 15 anni di vita». Le primarie hanno innescato per ora un meccanismo tutt’altro che virtuoso. «Sono sgangherate», le giudica Franco Marini. Bersani torna a spiegare: «Ho chiesto primarie aperte anche in deroga allo Statuto, non diventeranno un congresso, quello ci sarà l’anno prossimo e sarà il più aperto che un partito politico
conosca».
Sarà votata dalla prossima Assemblea pd un norma transitoria che annulla quel comma in cui è scritto che il segretario del partito è automaticamente il candidato premier. In questo modo potranno partecipare altri candidati del partito, come Renzi. E dovrebbe essere previsto un albo di iscritti, nel senso che al secondo turno potranno votare i cittadini che sono stati registrati al primo. Il socialista Nencini chiede un albo per le primarie. Su Europa oggi Gozi chiede che Bersani si sospenda da segretario per il periodo (circa un mese) in cui si svolgono le primarie sull’esempio di quanto ha fatto la Aubry in Francia. Beppe Fioroni insiste: «Renzi si dimetta da sindaco e si presenti alle elezioni politiche».
La Repubblica 06.09.12
******
Al governo serve Pierluigi ma nel 2013 arriverà il ricambio sarà un capo giovane, non io”, di ALESSANDRA LONGO
«Uno scenario surreale, ridicolo». Così Dario Franceschini definisce l’evocato «grande patto» tra i big del Pd per spartirsi le poltrone che contano all’indomani della possibile vittoria. Nessun accordo, nessuna trama oscura, giura il capogruppo alla Camera che non mette assolutamente in discussione l’esigenza di rinnovamento dentro il partito: «Nella prossima legislatura ci sarà una nuova generazione di dirigenti». Nuova generazione e – nero su bianco – «un giovane nuovo leader» (va da sé: Bersani dovrebbe stare a Palazzo Chigi).
Franceschini com’è questa storia che gira? Vi siete già prenotati gli incarichi del dopoelezioni?
«Le garantisco che è un’invenzione assoluta. Uno scenario surreale, ridicolo: un presunto accordo su cosa fare dopo le elezioni quando ancora abbiamo molta ma molta strada per riuscire a vincerle! Aggiungo: se anche ci fosse – questo patto – io non lo firmerei mai. Abbiamo molto bisogno di cambiamento».
Sarà uno scenario ridicolo però, viste le tradizionali lotte di potere interne, evidentemente suona verosimile.
«E’ una rappresentazione pericolosissima in un momento delicato come è il percorso per le primarie. Il rischio è di trasformare un confronto virtuoso tra idee e personalità in una lotta tra giovani e vecchi. L’ultima cosa che serve».
Mi spiace insistere ma le voci che lei definisce surreali si basano anche su un’immagine del partito.
«Parliamo di cose serie. I prossimi mesi saranno intensi: dovremo sostenere Monti, correggere e migliorare le scelte del governo, far capire al Paese la profonda diversità di prospettiva tra la destra e la sinistra e le diverse priorità programmatiche tra noi e loro. Non solo: dobbiamo cambiare la legge elettorale e costruire la coalizione per le elezioni e, infine, scegliere il leader. Altro che organigramma da spartirsi…».
Eppure il Pd sembra impantanato. Giovani contro vecchi. Vecchi contro giovani. Non c’è il rischio che l’elettore si stufi e scarichi tutti, giovani e vecchi?
«Appunto, il rischio va evitato.
Vorrei ricordare a tutti, ogni giorno, che abbiamo scelto di fare le primarie per indicare colui che sostituirà Monti. Il nuovo presidente del consiglio dovrà affrontare la crisi economica, tenere rapporti con gli altri capi di governo, reggere la sfida dei mercati e i rischi speculativi, fare le riforme strutturali. Per questo io sostengo Bersani. Questione di buon senso: per questo ruolo conta più l’esperienza che l’essere giovani».
Perché Renzi vi fa così innervosire?
«Io non sono per niente nervoso. Una volta scelto di fare le primarie, più sono competitive meglio è. Non lo voto ma per me la candidatura di Renzi è un arricchimento per il Pd».
Ma si deve dimettere da sindaco per partecipare?
«Non mi sembra un gran problema».
Il rinnovamento può attendere?
«Il rinnovamento dei gruppi dirigenti del Pd ha una sede propria diversa dalle primarie per scegliere il candidato premier di una coalizione. Nel 2013 ci saranno congresso e primarie, secondo statuto, per scegliere il nuovo segretario a prescindere dall’esito delle elezioni. Da qui uscirà una nuova generazione destinata a guidare il partito. E non parlo solo di una squadra ma anche della nuova leadership».
Ne deduco che Franceschini non sarà il segretario del Pd.
«L’ho già fatto quando tutti mi hanno chiesto di salvare il Pd in un momento molto difficile, di grande crisi del partito, con Berlusconi ancora molto forte. Vede, vecchi o giovani, c’è un male dentro il Pd. La sintesi è di un militante: “Ci sono troppi galli che credono che il sole sorga solo quando cantano loro”. Sono già stato segretario. Nella prossima legislatura ci saranno una nuova generazione e un nuovo leader».
La Repubblica 06.09.12