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"Stanno giocando con il fuoco", di Claudio Sardo

Una buona notizia: Mario Draghi ha schierato la Bce in una difesa dell’Euro «senza riserve» e ha trascinato dalla sua, pur con qualche resistenza, il governo tedesco. Ovviamente l’azione di Draghi ha un limite nel mandato assegnatogli, e in questo drammatico contesto la sua scelta appare persino una carta estrema, l’ultima a disposizione: tuttavia è riuscita a raffreddare la tensione su Borse e spread e a dare all’Europa un po’ di tempo in più per prendere quelle decisioni politiche, che sole possono salvare la moneta unica e ciò che resta della pace sociale del continente.
Ma gli ultimi giorni hanno portato anche una pessima notizia: il Pdl, dopo un lungo torpore, è rientrato in campo con l’obiettivo di sabotare la ricostruzione del sistema politico.
Era uno degli impegni concordati della transizione post-berlusconiana: mentre Monti doveva fronteggiare da Palazzo Chigi l’emergenza economico-finanziaria e risalire la ripida china della credibilità persa all’estero, il Parlamento avrebbe dovuto ripristinare uno standard democratico europeo, attraverso il cambio della legge elettorale e alcune mirate riforme istituzionali. Il Pdl invece ha deciso di far saltare ogni compromesso sulle modifiche costituzionali, e ora minaccia di impedire il cambio del Porcellum (o di condizionarlo a proprio esclusivo vantaggio). Non solo. Il Pdl ha riesumato per l’occasione il tandem con la Lega: quell’alleanza fallita al governo si è ricostituita in chiave negativa, per una mera difesa egoistica e, appunto, per l’azione di sabotaggio.
Non interessa al partito di Berlusconi approdare davvero al presidenzialismo che oggi sbandiera: gli è bastato impedire la riforma del sistema parlamentare che avrebbe consentito, con la sfiducia costruttiva, una maggiore stabilizzazione del governo futuro. Così come gli basta, in tema di legge elettorale, ostacolare la vittoria del Pd, alzare l’asticella fino a rendere improbabile un governo politico di centrosinistra dopo le elezioni (questo il senso della proposta di conservare la struttura del Porcellum, facendo scattare il premio di maggioranza solo alla lista o alla coalizione che supera il 45% dei voti). Il Pdl ha in questo momento anche un altro obiettivo tattico: impedire il ricorso alle elezioni in novembre. Spera di logorare, al tempo stesso, Monti e il Pd. Di far dimenticare il proprio fallimento, di annacquarlo in una responsabilità indistinta della «classe politica»: per questo i giornali di destra alimentato volentieri il qualunquismo dei Grillo e dei Di Pietro. Berlusconi vuole ricandidarsi, ma non punta alla vittoria: lo scopo da raggiungere è che nessuno vinca, che il sistema italiano non riesca a recuperare credibilità, che il Pd venga ingabbiato in una grande coalizione permanente, come un esecutore delle tecnocrazie europee, al più come un mediatore sociale in un sistema politico incapace di progettare un futuro.
Invece abbiamo bisogno vitale di una democrazia competitiva. Abbiamo bisogno che, alle elezioni, i cittadini siano messi di fronte a due alternative politiche. La stessa transizione di Monti fallirà se l’approdo sarà quello di una politica ancora bloccata.
Il governo dei tecnici ha lavorato e sta lavorando per fronteggiare l’emergenza. Ha fatto cose utili e importanti. Soprattutto in Europa. Ha preso decisioni impopolari, talvolta non condivisibili e socialmente inique, alcune delle quali sono state poi corrette dal Parlamento. Ma il governo, dopo questa estate, avrà sostanzialmente concluso il suo compito. Mentre invece non sappiamo, anche perché non dipende da noi, se l’attacco contro l’euro riprenderà con più forza e se l’Europa farà in tempo a dotarsi degli strumenti necessari per compiere l’attesa svolta politica e istituzionale.
Potremmo andare incontro ad un autunno caldissimo. E saggezza vorrebbe che si offrisse al Capo dello Stato anche la carta dello scioglimento delle Camere. Perché potrebbe aiutarci a difendere non l’interesse di parte, ma l’interesse del Paese. Che senso avrebbe affrontare così una nuova tempesta, quando non sono possibili (né socialmente sopportabili) altre manovre, con una maggioranza sempre più in conflitto e una lunghissima campagna elettorale già lanciata? Meglio allora una nuova legittimazione popolare e un programma di governo di più ampio respiro. Meglio per l’Italia.
Ma ovviamente a una condizione. Che le alternative politiche siano chiare e la scelta degli elettori impegnativa. Per questo bisogna uscire dall’incubo del Porcellum. Che prometteva un bipolarismo rafforzato e ci ha condannato invece al trasformismo e all’instabilità. Non è difficile definire un sistema elettorale di tipo europeo. La scelta è ampia: e non ha senso opporre veti. Occorre però favorire, pur senza forzature, la formazione di governi omogenei. Nessun sistema può escludere, in via di principio, una grande coalizione: ma non può diventare l’esito quasi scontato. Altrimenti si condannerà l’Italia ad un esito molto simile a quello greco, dove le forze populiste e anti-europee sono diventate la vera alternativa ad un esito obbligato e oggi ipotecano il futuro politico del Paese.
È questo che si vuole? È questo a cui punta Berlusconi, sostenuto dal tifo dei populisti di tutte le sponde? La ricostruzione del Paese passa oggi per la sconfitta del Pdl, della Lega e di Grillo. L’Italia e l’Europa – lo dicono gli operai di Taranto e i tanti altri che tornano in piazza, lo dicono i giovani ricercatori precari, le famiglie impoverite e impaurite, lo dicono le Regioni e i Comuni che rischiano la distruzione del loro welfare e con esso della tutela di diritti universali – hanno bisogno di una svolta a sinistra. Saranno gli elettori a decidere. Se il Pd e il centrosinistra non formuleranno una proposta convincente, probabilmente avremo ancora una grande coalizione (e stavolta sarà una sconfitta). Ma la riforma elettorale deve dare ai cittadini la possibilità di scegliere e di insediare un governo di alternativa.

l’Unità 29.07.12

"L'intervento di Draghi può salvare l'Europa", di Eugenio Scalfari

Domenica scorsa scandivamo le tappe e il calendario necessari per costruire quell’Europa di cui furono poste le premesse con i Trattati di Roma del 1957 e con la nascita della Comunità del carbone e dell’acciaio; poi con il libero mercato dei capitali e delle merci; infine col trattato di Maastricht dell’87 e col sistema monetario che sboccò nel ’98 nella moneta comune e nella Banca centrale europea.
Un percorso molto lungo, più di mezzo secolo, del quale oggi si analizzano le carenze, gli errori, i passi del gambero che ne hanno accompagnato la nascita e la crescita. Molti indicano e denunciano che l’Europa è nata male, è un’entità sbilanciata da tutti i lati, zoppa, gobba, deforme, con istituzioni-fantasma scritte sulla carta ma prive di autorità sostanziale, detenuta dai governi nazionali e affidata ad una tecnostruttura priva di autorevolezza e di visione politica.
L’Europa insomma consiste in un patto tra i governi che hanno mantenuto integra la propria sovranità, decidono all’unanimità o non decidono, conservano piena autonomia nella politica estera, nella difesa, nel fisco, nell’immigrazione, nell’educazione, nella politica industriale e nell’assistenza. Insomma in tutto. Erano 5 Stati all’inizio; adesso sono diventati 27, dei quali 17 hanno la moneta comune. E questa è l’Europa i cui confini ormai coincidono con quelli tradizionali del continente, ma la cui sostanza è appunto giudicata zoppa, gobba, deforme e comunque incapace di progredire verso quello che fu il sogno dei suoi fondatori.
Ovvero uno Stato federale che unisca il continente in un’epoca globale che non lascia posto a entità statali di piccole
dimensioni.
Io non sono di questo parere. Non penso che il mezzo secolo trascorso sia un periodo eccessivamente lungo: i grandi Stati nazionali, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, gli Stati Uniti d’America, impiegarono secoli prima di imporsi al potere sovrano dei loro vassalli e agli Stati confederati con uno Stato federale. Mezzo secolo non è molto ed ha comunque realizzato un periodo di pace e di amicizia tra Entità che erano vissute in guerra tra loro per oltre un millennio. La pace fu soltanto un breve intermezzo, la guerra fu la condizione permanente.
L’Europa – è vero – vive e opera nel quadro di un assetto intergovernativo e nell’economia globale quell’abito risultata sempre più stretto e sdrucito per contenere la realtà circostante. Il vero problema dunque è quello di passare gradualmente da un sistema di Stati confederati ad uno Stato federale. La crisi che sta scuotendo tutto l’Occidente e addirittura tutto il pianeta da cinque anni e in particolare negli ultimi due, ha questo di salutare: gli scossoni hanno dimostrato la fragilità del sistema confederato.
O salta tutto e gli staterelli europei precipiteranno nell’irrilevanza, o la costruzione federale acquisterà slancio ed energia propulsiva.
E chi può guidare quest’evoluzione che non ha alternative se non la sola istituzione europea indipendente dai governi che si disputano una sovranità sempre meno significante?
Chi, se non la Banca centrale europea? Questa verità l’abbiamo enunciata molte volte su queste pagine e da ultimo domenica scorsa, motivando anche con il calendario. Si prevedono da cinque a dieci anni per la nascita graduale dello Stato federale. Si prevede a dir poco un anno per l’unione bancaria. Ma nel frattempo la mazza ferrata della speculazione batte quotidianamente sulla fragilissima incudine della finanza, dei tassi di interesse, dell’economia reale.
E ancora una volta, chi può e deve intervenire
da subito per frenare il martello
e rafforzare l’incudine?
Chi, se non la Bce? E se non ora, quando? Così terminava l’articolo sopracitato. La risposta è venuta, non certo al nostro appello ma per l’incalzare dei fatti. Per la tremenda energia
distruttiva e paradossalmente salvifica della crisi. Se non ora, quando? Ora. Questa è stata la risposta di Mario Draghi adombrata nell’intervista a “Le Monde” ed enunciata esplicitamente nella riunione di quattro giorni fa a Londra di fronte ad una platea di banchieri internazionali.
Ora. Le Borse sono risalite, lo “spread” italiano è sceso da 520 a 450 solo per l’annuncio di una nuova politica della Bce. I falchi della Bundesbank protestano ma la cancelliera e il suo ministro delle Finanze incoraggiano Draghi anche sotto la spinta dell’ Spd tedesca.
Ora. Ma come?
* * * La Bce non può intervenire alle aste dei titoli con le quali i vari governi finanziano il loro debito e il loro fabbisogno, le è esplicitamente vietato dal suo statuto; ma ha almeno altri quattro modi di intervento. Il primo, già usato da Draghi nell’inverno 2012, consiste nel finanziamento del sistema bancario europeo. Tra il dicembre e il gennaio scorsi la Bce prestò alle banche europee 1.000 miliardi di euro per 3 anni al tasso dell’1 per cento. Fu un respiro di sollievo anche se le banche di quei prestiti (in larga misura utilizzati dal-l’Italia e dalla Spagna) se ne servirono soprattutto per riacquistare le proprie obbligazioni in circolazione sul mercato a prezzi molto ridotti e, in modesta misura, nell’aiutare il Tesoro alle aste di emissione. Poco o nulla alla clientela. Il grosso di questi prestiti restò depositato presso la stessa Bce ad un tasso “overnight” dello 0,25 per cento.
Il secondo modo di intervenire della Banca centrale è la fissazione del tasso di sconto. Un anno fa era all’1,50, poi è sceso all’1 e pochi giorni fa allo 0,75. Ulteriori diminuzioni sono probabili.
Il terzo modo, già usato da Trichet nella primavera del 2011 e poi da Draghi nell’autunno di quello stesso anno fu l’acquisto di titoli di debiti sovrani sul mercato secondario. Fu praticato su vasta scala per calmierare gli spread soprattutto italiani e spagnoli e in cifre molto più modeste, francesi.
Infine il quarto modo per il quale tuttavia è necessaria l’autorizzazione dell’Ecofin dell’eurozona e della Commissione consiste in una sorta di licenza a finanziare il fondo “Salva Stati” affinché intervenga sul mercato primario assorbendo parte delle nuove emissioni di titoli a tassi cedenti, per poi ricollocarle presso le banche e gli investitori privati.
Le intenzioni di Draghi, per quanto se ne sa, sono di intervenire nella seconda, terza e quarta delle operazioni sopra indicate. La potenza di fuoco di cui dispone è enorme. Il terzo intervento, l’acquisto di titoli sul mercato secondario, è sicuro e avrà probabilmente inizio il 3 agosto subito dopo la riunione del giorno prima del consiglio direttivo della Bce. Il ribasso ulteriore del tasso di sconto avverrà subito dopo. La richiesta della licenza al fondo “Salva Stati” probabilmente in settembre.
Questo è il piano. Il suo solo preannuncio ha fatto scendere gli spread italiano e spagnolo d’un centinaio di punti in quarantott’ore e nello stesso breve tempo ha fatto guadagnare il 6 per cento a Piazza degli Affari e a tutte le Borse europee anche nella City e a Wall Street. La speculazione, quella della schiera dei fondi d’assalto e delle banche multinazionali, ha abbassato la testa anche se la Bce finora non ha compiuto alcun intervento e li ha soltanto preannunciati.
Personalmente ho sempre dichiarato il mio ottimismo sulla tenuta dell’euro.
Ho anche scritto che un euro che non salga oltre 1,25 di cambio rispetto al dollaro e magari scenda anche sotto l’1,20, se non è spinto al ribasso da ondate di panico rappresenta uno stimolo positivo per le esportazioni europee verso l’area del dollaro.
Naturalmente gli interventi della Bce sul mercato sono soltanto la precondizione d’un riassetto generale del sistema Europa. I passi successivi – già in programma – sono l’unione bancaria, necessaria per svincolare il sistema delle banche dai debiti degli Stati, e poi la nascita d’un vero Stato federale europeo, prevedibile tra il 2018 e il 2022. Molte tappe e alcuni ostacoli procedurali debbono essere ancora superati e la classe politica europea (cioè dei singoli paesi membri) dovrà essere all’altezza della situazione. Soprattutto dovrà crearsi una cittadinanza e un’opinione pubblica europea che incalzi e selezioni una classe dirigente capace di portare a termine quel compito che richiede grandissimo impegno e altrettanto grande visione politica e competenza.
Quest’aspetto è fondamentale. Tra le zoppie vere e presunte dell’Europa odierna la maggiore e la più decisiva anche se assai poco denunciata, è per l’appunto la carenza di un sentimento diffuso di cittadinanza europea e la latitanza di una classe dirigente adeguata: i politici, ma non soltanto, anche
imprenditori, associazioni sindacali, giornalisti, scrittori civilmente impegnati, giuristi, scienziati. E studenti.
La creazione dello Stato europeo è una rivoluzione e le rivoluzioni non sono mai avvenute senza la partecipazione dei giovani. Fu così per il Risorgimento, e fu così per la rivoluzione europea del 1848. Ed è stato così per la Resistenza europea contro il fascismo e il nazismo. Fu così nelle rivoluzioni di Budapest del ’56, di Praga nel ’68 e soprattutto della Polonia di Solidarnosc. Ed è stato ancora così per le rivoluzioni arabe tuttora in corso.
Non sempre l’entusiasmo dei giovani di cambiare l’esistente ha chiari gli obbiettivi da perseguire. Nel ’68 l’entusiasmo era forte ma gli obiettivi erano molto confusi. La conseguenza fu che quella stagione si impantanò e alcune sue schegge impazzirono nel terrorismo e nel sangue. Questo è il rischio, a fronte del quale tuttavia c’è la necessità che i giovani siano la forza che aiuta a muovere la ruota della storia perché il futuro saranno loro a viverlo e sarà anche loro la responsabilità d’averlo fatto normale oppure zoppo gobbo e deforme.
* * * Qualche parola che l’attualità mi impone perché proprio mentre scrivo queste righe si sta celebrando il funerale di Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale.
Che sia stato aggredito da una campagna di insinuazioni per le sue telefonate con Nicola Mancino non c’è dubbio alcuno. Che sia attribuibile a quella campagna l’infarto che l’ha fulminato è un’ipotesi ma è certo che quelle insinuazioni e quelle vere e proprie accuse lo avevano profondamente ferito. Gli autori sono noti: in particolare alcuni giornali e giornalisti e uomini politici che non si sono limitati ad insinuare e ad accusare il consigliere giuridico del Quirinale ma sono andati molto più in su, accusando il Capo dello Stato di ostacolare l’accertamento della verità sulla trattativa Stato-Mafia che si sarebbe svolta tra il 1992 e il ’94.
I nomi di questi giornali, giornalisti e uomini politici sono già stati fatti. Anch’io li ho fatti poiché la completezza dell’informazione fa parte della nostra deontologia e viene prima di eventuali rapporti di amicizia privata.
I procuratori di Palermo non possono essere tacciati d’aver fatto campagna contro D’Ambrosio. L’hanno interrogato, ma questo entrava nei loro diritti-doveri di titolari dell’azione penale. I loro uffici tuttavia hanno provvisto
di munizioni alcuni dei giornali che si sono distinti in questa campagna. Dico i loro uffici. Può esser stato un addetto alla polizia giudiziaria, un cancelliere, un usciere dedito a frugar nei cassetti e nelle casseforti.
Oppure uno di quei procuratori che comunque avrebbero avuto il dovere di aprire immediatamente un’inchiesta sulla fuga di notizie secretate. Ricordo che la notizia dell’intercettazione indiretta del presidente della Repubblica è stata data addirittura da uno di quei quattro procuratori in un’intervista al nostro giornale.
C’è altro da aggiungere? Sì, c’è altro. Il procuratore aggiunto di Palermo sostiene – nell’intervista che troverete su queste stesse pagine – che se l’intercettazione indiretta al Presidente della Repubblica risulterà coperta dalla ragione di Stato, la Procura rispetterà quella ragione e farà un passo indietro. Bene. Ma fa un grave errore se parla di ragione di Stato. Nessuno, e Giorgio Napolitano che ha invocato l’accertamento della verità meno che mai, ha parlato di ragione di Stato. Si parla invece del divieto di intercettazione del Presidente, sia diretta che indiretta.
Questo è il contenuto del conflitto di attribuzione e non la ragione di Stato.
Gianluigi Pellegrino, in un articolo da noi pubblicato ieri, ha sostenuto che la legislazione attuale, all’articolo 271 del Codice di procedura penale, connesso con l’articolo 90 della Costituzione, contiene già la norma che stabilisce la distruzione immediata delle intercettazione vietate per legge e per Costituzione. In realtà invocare la ragione di Stato è una via di fuga.
C’è stato in questo caso un’infrazione estremamente grave da parte di una Procura della Repubblica per ignoranza delle norme. Escludo la malafede, ma l’ignoranza delle norme per chi maneggia professionalmente argomenti di estrema delicatezza non è cosa trascurabile.
Resta in piedi e mi addolora che alcune persone alle quali sono legato da profonda amicizia e stima abbiano sempre taciuto su questo aspetto della questione mentre sono larghi di incoraggiamenti a proseguire nell’accertamento della verità. L’incoraggiamento è anche il mio ma dopo venti anni dall’inizio di quell’inchiesta e dopo otto anni dal madornale errore di aver mandato all’ergastolo un innocente francamente dubito molto sulle capacità professionali di arrivare al desiderato accertamento della verità.

La Repubblica 29.07.12

"Londra ci indica la ricetta per ripartire", di Mario Calabresi

Può una nazione in crisi permettersi ancora di sognare? Può, guardando al proprio passato e alle difficoltà che ha superato, provare a pensare di avere un futuro?
Può concedersi il lusso di prendersi in giro, di ironizzare sui suoi simboli, e nonostante questo sentire forte l’orgoglio di appartenere ad una comunità?
La serata che ha aperto le Olimpiadi ci ha risposto di sì: è possibile e il Paese che ci riesce ha trovato la strada per uscire dal buio. Perché la Gran Bretagna è una nazione in crisi, che vive la peggiore recessione da 50 anni, costretta a tagli drastici a causa di un mondo che sta cambiando drammaticamente scenari e certezze.

Ma nello spettacolo inaugurale il regista premio Oscar Danny Boyle ci ha ricordato che non è la prima volta che il mondo rivoluziona vite, professioni e sicurezze, che cambia completamente il panorama di fronte agli occhi, ha giocato con le nostre paure, gonfiandole per poi lasciarle volare in cielo, tranquillizzandoci con le favole che si leggono ai bambini. Quei bambini che saltano su un letto di ospedale siamo noi, impauriti, convalescenti, ma che dovremmo ritrovare il coraggio di fare una capriola, di vedere il mondo da un altro punto di vista.

Nel quartiere dove è nato lo stadio olimpico il 40 per cento dei giovani è disoccupato, la rabbia e il malcontento li abbiamo visti sfogati nelle strade. Potrebbe sembrare un affronto costruire un gigantesco evento sportivo da quasi dieci miliardi di euro proprio lì, proprio di questi tempi, ma uscendo dalla metropolitana di fronte al Parco olimpico ci si rende conto di cosa significhi investire, scommettere, costruire opportunità. Un quartiere in stato di abbandono è stato completamente rivitalizzato e cinque aree tra le più depresse di Londra hanno cambiato faccia, sono state rifatte infrastrutture, stazioni, strade e canali.
Ma ci sono almeno tre cose, che vanno ben al di là delle ricette economiche o degli investimenti, che mi porto a casa da Londra, che dovremmo tenere a mente se vogliamo provare a rialzarci.

La prima è l’orgoglio per la propria storia, alta o bassa che sia, si possono mescolare Shakespeare e Harry Potter, i Pink Floyd e Mr. Bean, la rivoluzione industriale e Mary Poppins senza avere paura di perdersi. Se si ha un’identità forte allora si può tenere tutto insieme, la cultura alta e quella pop, senza bisogno di mostrarsi tronfi, seriosi, retorici o pesanti. Che bella lezione di leggerezza, come la intendeva Italo Calvino, quella capacità di essere liberi senza scadere nella superficialità.

La seconda è l’ironia o, ancora meglio, l’autoironia, vero antidoto al cinismo che si mangia ogni passione, ogni possibilità di riscatto. Se poi a prestarsi al gioco è una vecchia regina, che ha appena festeggiato i suoi sessant’anni sul trono, allora l’effetto è contagioso. Noi italiani sembriamo non conoscere questo registro, o siamo comici o tragici, per sdrammatizzare le cose pensiamo che sia possibile solo rivolgersi al grottesco o nel peggiore dei casi fare i buffoni. Si può invece scherzare anche sui propri simboli senza per questo scadere nel dileggio e nell’insulto.

La terza è la capacità di sentirsi parte della stessa storia, sapersi emozionare nel ricordare le sfide vinte, le sofferenze e le prove superate. Si può votare a destra o a sinistra, essere nobili o proletari ma riuscire alla fine a giocare nella stessa squadra, per gli stessi colori, perché, come diceva un uomo che non era inglese ma americano e si chiamava Abramo Lincoln, una casa divisa non potrà mai stare in piedi.

La Stampa 29.07.12

Fiuggi Terme – Assemblea Nazionale Uil Scuola

Presso il Teatro delle Fonti, dalle 9 alle 13, tavola rotonda “Una buona scuola è una chance per l’Italia e per l’Europa”
Intervengono:
Una buona scuola è una chance
Luigi Angeletti — segretario generale UIL
Giorgia Bucchioni — vice presidente Giovani Imprenditori Confindustria con delega all’Education
Massimo Di Menna— segretario generale Uil Scuola
Manuela Ghizzoni — presidente Commissione Cultura – Camera dei Deputati
Stella Targetti — coordinatrice IX Commissione Conferenza delle Regioni
Coordina : Luigi Nardo — giornalista Rai

Emergenza Terremoto:“Altri 6 miliardi per cittadini e imprese”

I senatori Giuliano Barbolini e Mariangela Bastico: “Ottenute nuove risorse per la ricostruzione”. L’emendamento inserito nel testo della spending review licenziato nella notte di ieri in Commissione Bilancio .

Nella notte di ieri la Commissione Bilancio del Senato ha concluso i lavori licenziando il testo della “spending review” che sarà lunedì all’esame dell’Aula. “Tra le modifiche approvate – annunciano i Senatori PD Barbolini e Bastico – è stato inserito l’emendamento che il Presidente e Commissario Errani aveva giudicato, e convenuto col Governo, indispensabile per sostenere la rinascita dei territori colpiti dal sisma”. L’emendamento prevede una disponibilità di 6 miliardi che i cittadini potranno utilizzare attraverso erogazioni delle banche, a loro volta garantite dallo Stato. Per le somme così ottenute, comprensive di interessi, matura un credito d’imposta che cittadini e imprese potranno far valere in sede fiscale.
Questa misura, prevista a partire dal 2013 ma che già per l’anno corrente può utilizzare quota parte delle risorse stanziate, consente di mettere tempestivamente a disposizione dei cittadini e delle attività produttive che hanno subito danni una dimensione di risorse sicuramente significativa. Nell’emendamento sono inoltre previste deroghe per assunzioni straordinarie e temporanee di personale ( attraverso le unioni dei Comuni ) suddivise in 170 unità per accompagnare le pratiche di competenza delle amministrazioni locali, e oltre 50 unità per le necessità del Commissariato e coordinamento regionale.
“Esprimiamo la nostra soddisfazione – concludono i senatori PD – per il risultato raggiunto e ne sosterremo una celere adozione in via definitiva dalle Camere”.

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“ Un passo avanti fondamentale per la ricostruzione”

Il segretario provinciale del PD Davide Baruffi e i coordinatori di zona delle aree terremotate Massimo Michelini(bassa modenese), Alberto Bellelli (terre d’argine) e Christian Mattioli Bertacchini (cintura di Modena), intervengono sull’emendamento approvato in Commissione Bilancio al Senato con cui vengono destinati ulteriori 6 miliardi di euro per la ricostruzione nel dopo terremoto
“L’approvazione dell’emendamento con cui vengono destinati 6 miliardi di euro alla ricostruzione delle case e delle imprese dell’Emilia colpite dal sisma e’ una notizia auspicata e positiva. L’abbiamo attesa ieri notte proprio col Presidente Errani alla festa di Carpi e alla fine e’ arrivata. Si tratta di una risposta importantissima richiesta e ottenuta da questo territorio, dal commissario Errani e dai sindaci, per dare certezza della ricostruzione e procedure semplificate per fare presto e bene. Questa proposta, avanzata solo ad inizio settimana, ma sulla quale gli amministratori stavano lavorando da tempo, rappresenta quindi un fondamentale passo avanti nella ricostruzione: una risposta concreta e praticabile, accolta oggi dal Parlamento, che raccoglie perfettamente alcune delle proposte da noi avanzate. Naturalmente l’iter parlamentare non e’ concluso e andrà monitorato con grande attenzione e trasparenza nei prossimi giorni, ma non c’e’ dubbio che siamo davanti ad un salto di qualità essenziale. Abbiamo sempre sostenuto che l’Emilia non chiederà un solo euro in più di quanto necessario, ma quel che ci spetta per dare risposte alla nostra gente lo pretendiamo fino all’ultimo centesimo”.

"Il populismo double face", di Michele Prospero

L’ennesima sparata di Antonio Di Pietro, che colpisce alla cieca nell’intento di mettersi alla testa di un listone dei «non allineati», ha fatto già cilecca. Un alleato di peso reclutato per dare corpo ai suoi desideri espansionistici, Nichi Vendola, l’ha subito liquidato.
Ha subito troncato con sprezzo il sogno di grandezza dell’improbabile «Tito molisano». L’ex Pm è ormai isolato e provoca tensioni persino tra le le sue sbigottite truppe. Può andare dove vuole con i suoi mezzi strategici un po’ ammaccati, tanto il destino del suo antipartito personale sembra ormai bello e segnato. Persino i grillini desiderano starne alla larga e fuggono infastiditi dal colonialismo dipietrista. Dopo il declino del Cavaliere, che scappa come può dalle Procure dopo averne combinate di tutti i colori, non ha più senso l’immagine sbiadita del magistrato ruspante che lo insegue e gli sbatte addosso il tintinnio delle manette. Appartengono alla stessa cronaca di un gioco a guardia e ladro, che ha sostituito per anni la politica e per fortuna ora non c’è più. Scaraventati via dalla storia, che con un insopportabile ritardo arriva comunque a chiedere il conto anche alle facce più toste, Berlusconi e Di Pietro conducono ora la stessa battaglia. Quella di retrovia, inscenata alla disperata per sopravvivere, seppure acciaccati, ad un tempo che sentono come non più loro.
Sono due logori eroi legati alla stessa narrazione, Di Pietro e Berlusconi. Questa poco nobile coppia di apparenti poli opposti meglio di ogni altra figura incarna il senso della defunta seconda Repubblica, da nessuno rimpianta. Il discolo miliardario che pretende di farla franca e il feroce castigatore del malcostume, che sorveglia e punisce in nome dell’Italia dei valori, recitano ruoli diversi, ma nella stessa commedia. Proprio come al medesimo e sempre più prevedibile spartito attingono Travaglio, con le ispirazioni da oracolo nel grembo che condiscono i suoi maniacali tormenti, e Sallusti con le agitazioni a comando per fare da obbediente scudo agli incubi padronali.
Ora che, dopo essere scomparso tra le rovine e infilzato dalle ingiurie, il defenestrato Berlusconi riappare, Di Pietro non sta a guardare. Queste creature gemelle che ricorrono agli stessi toni per aggredire il capo dello Stato, la Corte costituzionale, sono fatti della stessa pasta stantia. Coltivano una metafisica dell’intrigo che scorgono in ogni cosa. Il mondo è per loro solo un infinito complotto, un condensato di furbizia e di intrallazzo. Con la loro mente deviata, che si barcamena tra le ombre di fantasmi minacciosi e le allucinazioni di una privata potenza, urlano contro le macchinazioni da sventare e si esibiscono in continue vanterie. Alla testa di moribondi antipartiti personali, entrambi rivendicano un assoluto comando e non resistono al vezzo dell’autocitazione, che dovrebbe conferire un che di epocale ai loro detti, invero poco memorabili.
Amano così tanto la menzogna politica che spesso lasciano l’impressione di darla da bere anche a loro stessi, e finiscono così per restare impigliati nella rete infinita delle loro oceaniche bugie. Prediligono delle semplificazioni devianti e sbandierano delle proposte assurde, gettate in mischia tanto per sparala grossa. Nessun senso della vergogna, quella che risparmia al politico la sensazione di essere ridicolo, li accompagna e perciò rimangono ingabbiati nelle raffiche delle loro eterne precisazioni e delle rituali smentite. E proprio questa smisurata mancanza di sobrietà che li induce a straparlare è anche la ragione della loro obsolescenza.
Con un’Italia così malridotta, sarebbe una sciagura se al voto si andasse per contare gli orfani di un imbarazzante Cavaliere che tenta il colpo gobbo (sperando che le macerie diventino le sue amiche mortali) e una pattuglia di «non allineati» che insultano ogni istituzione della Repubblica e anche dove regna trasparenza gridano al tradimento. Questi due spavaldi oracoli patentati, che avvertono la concorrenza sleale del comico che impazza senza scrupoli semantici, e si adeguano con facilità al lessico del populismo, continuano a nuocere con le loro oscene bambinate.
Se ancora esiste un esiguo margine per la salvezza di questo malcapitato Paese, esso passa, come sempre, tra le mani della sinistra. Ritrovando l’unità, e aprendo anche il dialogo con i partiti moderati, quelli non infetti dal letale virus del plebiscitarismo, alla sinistra tocca domare una cupa emergenza economica, seppellire i populismi triviali e tentare una rinascita della società all’insegna di un nuovo patriottismo della Costituzione.

L’Unità 28.07.12

"Pagamento delle ferie: un incredibile paradosso", di R.P., da La Tecnica della Scuola

Secondo il Ministero e secondo gli uffici di Ragioneria, la norma inserita nel decreto sulla spending review entrato in vigore il 7 luglio sarebbe già operativa da subito. Bloccati i pagamenti per i supplenti annuali, ma i docenti nominati dai dirigenti hanno già riscosso mese per mese. Le recenti disposizioni emanate dal Ministero in materia di pagamento delle ferie del personale supplente stanno creando non poche perplessità in moltissime scuole.
La disposizione riguarda l’applicazione immediata di quanto previsto dall’ottavo comma dell’articolo 5 del decreto sulla spending review secondo cui le ferie non fruite non sono in alcun modo monetizzabili.
Gli uffici delle ragionerie territoriali dello Stato hanno già informato le scuole che per i supplenti nominati per l’anno intero dagli Uffici scolastici provinciali il pagamento delle ferie maturate e non fruite è per il momento sospeso in attesa che la situazione si chiarisca.
Ma questa soluzione crea una curiosa contraddizione.
Infatti ai supplenti temporanei nominati dal dirigente scolastico le ferie maturate vengono liquidate mese dopo mese: in pratica un supplente che quest’anno abbia svolto ogni mese supplenze di 15-20 giorni ha ricevuto mensilmente il compenso per le ferie maturate e non godute nella misura di due giorni e mezzo al mese circa (il numero varia al variare degli anni di servizio già prestati).
A questo punto si verifica un evidente paradosso: chi ha svolto un incarico continuativo dal 1° settembre al 30 giugno potrebbe vedersi negato il diritto al pagamento delle ferie, mentre chi ha svolto supplenze saltuarie ha già ricevuto il pagamento mese per mese.
La disparità di trattamento è talmente evidente che non c’è neppure bisogno di insistere più di tanto sulla questione.
Ma i problemi si presenteranno il prossimo anno, soprattutto per le supplenze temporanee di pochi giorni.
Facciamo un esempio semplice: il docente nominato dal dirigente scolastico per una supplenza di 15 giorni potrà usufruire di un giorno di ferie durante il periodo di nomina, ma da chi verrà sostituito quando si assenterà per usufruire del giorno di ferie ?
Già ora, per mille ragioni, le assenze brevi dei docenti titolari comportano disfunzioni di vario genere, d’ora innanzi bisognerà mettere nel conto un problema in più da affrontare.
Sembra davvero che chi ha introdotto nel decreto n. 95 questa disposizioni non abbia la più pallida idea di come funzioni una scuola. Il dato curioso è che la relazione tecnica allegata al provvedimento chiarisce che gli effetti in termini di risparmio di spesa non sono quantificati in quanto stimabili solo a consuntivo. In altre parole il disservizio è certo, ma il risparmio è del tutto aleatorio.

La Tecnica della Scuola 28.07.12