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"Fattore D L’economia salvata dalle donne", di Vera Schiavazzi – La Repubblica 18.11.14

È singolare (ma pensandoci bene forse no) che associazioni e forum nati spontaneamente dalle donne imprenditrici, manager e quadri d’impresa, e ormai accreditati da anni, abbiamo cambiato il proprio linguaggio. E dalla protesta, ben motivata, sulle disparità che mantenevano e mantengono le donne al di fuori dei board siano passati al coraggio: coraggio di investire, di comunicare, di migliorare il welfare aziendale e di studiare da se stessi quali “pratiche invisibili” tendono a rendere molte aziende incapaci di tutelare quel quadro medio, la donna intorno ai 40 anni, e magari con un figlio, che potrebbe rivelarsi così utile per loro.
In effetti, “Il coraggio per crescere” è il titolo del loro terzo Forum nazionale in programma domani 19 novembre alla Luiss di Roma, sottotitolo “L’Italia che ce la fa”. Senza imprese coraggiose, non potranno esserci soffitti di cristallo che crollano, insomma. Lo spiega bene Claudia Parzani, presidente di Valore D, partner dal 2007 nel dipartimento di Capital Markets e fondatrice di Breakfast@Linklaters, network della business community femminile. «Viviamo in un Paese che tende a enfatizzare il lato negativo», esordisce Parzani, «senza riuscire sempre a vedere le opportunità che possono nascere dalle fasi di crisi e dai cambiamenti che determinano. Noi invece pensiamo che siano proprio queste opportunità di business a incontrare il genere, le donne che sono dentro le aziende. Nel prossimo Forum, così come in altri precedenti, insisteremo anche su come trattenere queste dipendenti, discutendo sull’impresa del benessere e il benessere d’impresa, sull’organizzazione invisibile (cioè le pratiche che non sono scritte in nessun manuale né regola organizzativa, ma possono influenzare moltissimo le politiche interne) e le sue dinamiche, sull’investimento sui leader dell’oggi per la crescita di leader di domani». Insomma, un approccio “invitante”, che ha come scopo principale quello di far capire alle aziende, le 115 italiane e multinazionali già associate e le altre che ancora non fanno parte di Valore D, quali vantaggi potrebbero ricevere adottando pratiche diverse. «Le donne giovani e meno giovani alle quali pensiamo hanno un grande talento, che se bene utilizzato porterebbe notevole valore al business della propria azienda», conclude Claudia Parzani. «È questo che diciamo quando usiamo la parola coraggio, coniugata al crescere». Discorsi che, come è evidente, non avrebbe senso fare solo tra donne.
E di fatti molti sono gli uomini invitati al Forum, come Fabio Benasso, presidente e amministratore delegato di Accenture. Che sta pensando al suo intervento proprio a partire dal cambiamento: «Siamo al centro di una rivoluzione tecnologica che ac- celera la trasformazione digitale del lavoro, delle imprese e del vivere quotidiano. Un meccanismo travolgente che genera discontinuità fortissime ma che apre opportunità di crescita anche per le donne, proprio perché la tecnologia – intesa come fattore che abilita il cambiamento e l’innovazione, tende a prescindere dalle questioni di gender così come le intendevamo fino a non molto tempo fa».
Una strada tecnologica, insomma, per uscire da antiche contraddizioni? Benasso pensa di sì: «La tecnologia supera le differenze uomo-donna e punta direttamente alla concretezza dei risultati, alla condivisione, all’emersione del talento. Nelle sfide che questo Paese ha di fronte, dall’agenda digitale a Expo 2015, dalla formazione dei giovani alla internazionalizzazione delle imprese, la maggiore presenza di donne nel business porta nuove competenze e diversità che si traducono in un valore unico per accelerare il cambiamento». Coraggio e crescita, ma pensati invece come strategia di un processo culturale, sono alla base di un altro intervento molto atteso al Forum, quello dell’avvocato (ed ex ministro nel governo di Mario Monti) Paola Severino: «Parlerò di crescita», spiega, «non solo come obiettivo macroeconomico, ma come obiettivo di progresso culturale e sociale del Paese. Credo in una crescita che sia sostenibile, equa, capace di generare giustizia e di garantire più diritti. Si tratta di un percorso lungo, faticoso, che richiede coraggio. Non ci mancano le idee e non partiamo da zero».

"Nasce qui la cella a combustibile che salverà la Cina dallo smog", di di Alessandro Papayannidis – Corriere della Sera 16.11.14

In Russia servono a proteggere le pipeline dal gelo, in Arabia Saudita a estrarre petrolio pulito. In India e Cina, soppianteranno il carbone coi suoi fumi ammorbanti. E negli Stati Uniti scongiureranno i blackout dovuti agli uragani.
Sono moltissime le applicazioni delle celle a combustibile a ossidi solidi; appena sette al mondo, invece, le aziende produttrici. Tre in Europa, una in Italia. Dal piccolo Bic di Mezzolombardo, a nord di Trento, la Sofcpower guarda il pianeta come un medico che ha in borsa la pillola per regolare la febbre del paziente. Sette anni fa era un’idea, ora comincia la produzione in serie delle caldaie a cogenerazione: calore ed elettricità da micro-impianti al servizio di una palazzina, una piscina, un ristorante.
«Abbiamo iniziato nel 2007, prima della crisi. Ma l’abbiamo attraversata continuando ad assumere ogni anno», dice orgoglioso Alberto Ravagni, ceo della società. Dopo la laurea in Ingegneria a Trento, nel 1991, comincia a girare il mondo nel settore automotive: Germania, Usa e Svizzera, dove trova moglie e si ferma. L’incontro che gli cambia la vita professionale, invece, lo fa nel 2006 in un altro Bic trentino, a Pergine.
Qui un imprenditore di Parma, Nelso Antolotti, si è appena trasferito perché produrre turbine non lo appaga: vuole realizzare le turbine del futuro e fonda la Eurocoating, attirato dagli incentivi alla ricerca della Provincia autonoma. Ravagni e Antolotti si consultano con il fisico Fabio Ferrari, ex rettore dell’ateneo di Trento, che li aiuta a disegnare la loro scommessa. Nel 2007 fondano la Sofcpower, si insediano nel Bic di Mezzolombardo e assumono quattro dipendenti dalla Eurocoating per accelerare lo sviluppo delle celle a combustibile a ossidi solidi, acquisendo nel frattempo la tecnologia da uno spin off del Politecnico di Losanna.
E i soldi? «Abbiamo iniziato partecipando a un progetto europeo da otto milioni di euro, di cui la metà cofinanziati dal Trentino — spiega Ravagni — Da allora abbiamo attirato in tutto 60 milioni di investimenti, soprattutto privati dall’estero. In Italia, purtroppo, manca questa cultura». Nel 2008 parte la produzione pilota, con uno sviluppo costoso e lungo: «Oggi — rimarca il ceo — il team tra Italia e Svizzera è di 70 persone».
Le celle a combustibile a ossidi solidi sono generatori di calore ed elettricità. «Caldaie che producono anche corrente — semplifica Ravagni — e hanno un’efficienza del 90%. Sprecano solo il 10% dell’energia immessa, mentre le caldaie attuali ne buttano dal 50 al 65%. Funzionano con carburante tradizionale: metano, biometano, rifiuti gassificati. Ma anche con l’idrogeno. La peculiarità è che non bruciano gas e non hanno parti in movimento».
L’assenza di combustione evita la produzione di ossidi di azoto e di zolfo, che inquinano; la reazione genera solo acqua e anidride carbonica, che può essere stoccata e riutilizzata, oppure emessa in atmosfera. «In tal caso — spiega il ceo — se ne libera fino al 40% in meno rispetto alla caldaia classica, perché l’altissima efficienza consente di usare meno metano e risparmiare sulla bolletta. In India c’è molto interesse: il governo vuole abbassare le emissioni sostituendo l’uso del carbone con la rete a gas; inoltre molti indiani avranno corrente per più delle attuali tre ore al giorno. Anche la Cina intende aumentare l’efficienza per ridurre lo smog».
Ancora più interessante è l’utilizzo in Arabia Saudita: «Una centrale a celle a combustibile vicina ai giacimenti di petrolio consente di produrre corrente e riutilizzare la CO2 iniettandola nei pozzi per mantenerne alta la pressione: si estrae petrolio senza inquinare, perché l’anidride carbonica non va in atmosfera», chiarisce Ravagni. In Russia e Canada, invece, la cogenerazione è applicata alle pipeline del gas: il calore prodotto protegge i tubi dal gelo, la corrente invece attiva le antenne di monitoraggio dei tubi in aree senza elettricità.
«Negli Usa, infine, ci si sta affidando al gas perché la rete elettrica è vulnerabile; in caso di uragani le centrali a cogenerazione evitano il blackout, soprattutto per i data center», spiega.
In Trentino sono già stati consegnati i primi dispositivi. «E stiamo pianificando il secondo impianto di produzione», conclude il ceo.

"Il liceo classico? Assolviamolo ma va riformato", di Vera Schiavazzi – La Repubblica 15.11.14

IL liceo classico è assolto, perché «il fatto non sussiste ». Ma dovrebbe essere riformato al più presto.
Così, al Teatro Carignano, una corte già fortemente influenzata da una serie di opinioni favorevoli al liceo più antico d’Italia, da Luciano Canfora a Ivano Dionigi, ha deciso ieri, dopo un processo organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, dal Miur e da Il Mulino, dove l’economista Andrea Ichino e il semiologo e scrittore Umberto Eco sostenevano l’accusa e la difesa. Un processo guidato da Armando Spataro, procuratore capo a Torino, e accompagnato da testimonianze e “tifo”, nonché grida di dolore e di richiamo al cambiamento di insegnanti e stuenti. Ma anche di argomenti che hanno trionfato, come l’invito di Eco a considerare che la cultura classica è utile e forse indispensabile, a chi deve progettare il software di un computer.
Ecco gli argomenti principali con i quali Eco e Ichino si sono “sfidati”, con ironia il primo, con passione e dovizia di dati il secondo. Ma oltre che di scuola si è parlato moltissimo dei modi italiani, e non solo, di formare una classe dirigente.
Andrea Ichino: In questo processo cercherò di far condannare il classico perché inganna alcuni studenti, che lo scelgono per avere strumenti migliori. E poi perché è inefficiente e perché è figlio della riforma Gentile, la “più fascista delle riforme”, che voleva creare una scuola di élite impedendo alle classi svantaggiate di accedervi.
Umb erto Eco: Sono d’accordo: il classico non prepara meglio dello scientifico, ma prepara in modo uguale. Ed è vero che Gentile non aveva fiducia nelle materie scientifiche. Nel liceo classico che ho fatto io c’era perfino pochissima storia dell’arte, la studiavamo solo su un vecchio manuale, il Pittaluga, con le foto in bianco e nero. E si erano dimenticati di spiegarci che Leonardo era un genio della pittura, ma non sapeva granché di chimica dato che molti suoi affreschi si scoloriscono.
Ichino: Nessuno vuole davvero abolire la cultura umanistica. Ma in Italia le competenze matematiche sono sconosciute al 70 per cento degli adulti contro il 52 medio degli altri paesi: forse è ora di restituire qualcosa. Occorre ripensare un equilibrio. Le ore non sono illimitate. Dobbiamo scegliere: studiare i mitocondri, dove si ritiene ci sia l’origine della vita di tutto il pianeta, o l’aoristo passivo e le origini della nostra cultura?
Eco: Ripensare un equilibrio vuol dire insegnare meglio il latino, dialogando in latino elementare, introdurre per tutti i cinque anni almeno una lingua straniera, e perfino la storia dell’arte. Anche il greco si può cambiare, aumentando le traduzioni del greco della koiné e di quello che anche Cicerone parlava. Propongo l’abolizione del liceo scientifico e la nascita di un’unica scuola, umanistica e scientifica.
Ichino: Su 1700 studenti bolognesi che si sono candidati al test per entrare alla facoltà di Medicina, quelli del classico erano avvantaggiati rispetto a quelli dello scientifico perché il loro voto di maturità era superiore di un punto e più rispetto alla media della scuola. Ciò nonostante, sono andati peggio nei test di chimica e di fisica. E se si paragona l’andamento al test con le medie successive degli esami si vede che a Medicina va meglio chi ha superato meglio la prova.
Eco : Ma chi ci dice che i test di medicina così come sono vadano bene? Che controllino anche la conoscenza memoriale, che pure è utile? E che invece non creino sacche di iperspecializzazione dove chi cura una malattia rara non sa più curare il raffreddore?
Ichino: Quello che sappiamo è che in Italia avere il padre laureato conta 24 volte di più per ottenere, da adulti, un reddito elevato. In America si arriva al massimo a 6 volte e ciò che conviene davvero non è tanto nascere nella famiglia giusta, ma provvedere a laurearsi in proprio. Per tacere del fatto che non solo l’inglese, ma anche l’arabo o il cinese possono essere oggi necessari.
Eco: Ma abolire la cultura classica serve solo a perdere la memoria, a farci vivere in una società orientata sul presente. Con le conseguenze che sappiamo: nessuno sa dire in che anno Mussolini e Hitler stipularono il primo accordo, nessuno dice che era il 1936.
Lo stesso Hitler non doveva aver studiato bene la storia napoleonica, altrimenti avrebbe saputo che non si può invadere la Russia senza dover affrontare almeno un inverno. Quanto a Bush, invadendo l’Afghanistan non si era informato da nessuno su come mai né Inghilterra né Russia l’avevano già fatto nei secoli precedenti: realtà orografica e rivalità tribali rendevano l’impresa difficile.
Ichino: Ma se il liceo classico è così fondamentale, mi sapete spiegare come mai nessuno lo riproduce in altri paesi? O perché anche nazioni come la Francia e la Germania lo hanno abolito e oggi riescono a reagire alla crisi meglio di noi? E perché invece di imporre a un ragazzo di 14 anni un menù fisso non glielo si propone invece à la carte, lasciandogli la possibilità di scegliere un po’ alla volta quali corsi frequentare? Vi suggerisco di guardare alla Boston Latin School.
Eco: È vero, un mio nipote frequenta a Roma un liceo francese e in effetti ha potuto scegliere à la carte, decidendo per greco ed economia. Non è troppo appassionato alla grammatica, ma ama molto il modo in cui il suo professore passa facilmente da quella alla civiltà di Atene antica. E forse così scoprirà un poco anche i misteri dell’aoristo.
Ichino: Ma perché la nostra futura classe dirigente, o presunta tale, studia per anni il greco e il latino, passa il tempo a fare versioni, e alla fine non parla nessuna di queste due lingue mentre l’inglese o il francese sì?
Eco: Perché c’è modo e modo di studiare latino e greco. Adriano Olivetti cercava e assumeva oltre agli ingegneri anche persone con cultura umanistica, educate sulle avventure della creatività. Io stesso del resto appena ho avuto uno dei primi computer di Apple ho imparato a programmare un sistema per riprodurre i sillogismi classici sulla base della mia conoscenza di Aristotele. Non è vero dunque che un informatico sia un semplice esecutore di equazioni, anche se non è necessario che abbia letto i formalisti russi per pensare all’intertestualità.
Ichino: Il liceo classico è iniquo perché non dà strumenti adeguati alla società, e dunque contribuisce a ridurre la mobilità sociale. La storia è certamente utile, ma dopo aver studiato quella e la filologia ci sono molte altre cose che uno studente deve fare. E tra queste utilizzare informazioni qualitative, di tipo scientifico, per risolvere i problemi.
Eco: È in un certo senso la mia proposta di un unico liceo. Si deve studiare il teorema di Pitagora, ma anche la sua teoria sull’armonia delle sfere. E il suo terrore dell’infinito.
Applausi, riunione della corte, sentenza dopo un’ora soltanto.

"La "buona scuola" esiste, gli esempi di Mantova e Fidenza", di Valerio Mammone – Pagina 99 15.11.14

La "buona scuola" esiste, gli esempi di Mantova e Fidenza

Chi ha seguito una lezione come quella raffigurata da Laurentius de Voltolina (la maggior parte di noi) sa quanto sia difficile restare concentrati per cinque, sei, sette ore consecutive. E sa anche che tra i compagni di classe c’è chi non capisce e chiede spiegazioni e chi torna a casa con un sacco di dubbi. Sono gli svantaggi del cosiddetto metodo trasmissivo, in cui la lezione è la stessa per tutti, anche se è chiaro ormai che ogni studente apprende in modi e tempi diversi.

Negli Stati Uniti, questo metodo è stato messo in discussione almeno una ventina di anni fa. E qualcosa comincia a muoversi anche da noi: pagina99 ha visitato una scuola d’eccellenza, l’istituto superiore Enrico Fermi di Mantova (istituto tecnico e liceo scientifico), che ha introdotto un nuovo metodo d’insegnamento basato sulla collaborazione fra studenti, fra studenti e docenti e sull’uso della tecnologia per scopi didattici. All’inizio di novembre, durante il salone dell’educazione di Genova, questa scuola è entrata a far parte delle Avanguardie Educative, un progetto promosso da Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), che mette in collegamento le esperienze migliori e più innovative nel campo dell’istruzione.

Una lezione tipo

Stefania Ferrari insegna Matematica e divide le sue lezioni in blocchi di 20 minuti: “Nel primo blocco – racconta – introduco un problema su un argomento nuovo o su uno vecchio che è il caso di rispolverare. Nel secondo divido gli studenti in gruppi e assegno degli esercizi di difficoltà via via crescente. Nel terzo e ultimo tutti i gruppi spiegano al resto della classe come hanno risolto l’esercizio. Poi intervengo io e do la soluzione”. Ogni studente ha un ruolo all’interno del gruppo: c’è il team leader che guida i lavori, lo “scettico” che mette in discussione le conclusioni del leader e il segretario che stila una specie di “verbale” dei lavori.

“Io ho lavorato sia col vecchio che col nuovo metodo – spiega Stefania Ferrari – e ho notato che lavorando in gruppo i ragazzi si sentono più coinvolti. Rispetto alla lezione tradizionale, si impara di più, ognuno con i propri tempi, e con la possibilità di essere aiutato dal compagno che magari è più preparato”. Mentre gli studenti risolvono gli esercizi l’insegnante non sta con le mani in mano, anzi: interviene, risponde alle loro domande e, se necessario, torna sulla teoria per fugare dubbi o incertezze. La classica spiegazione, quindi, non viene del tutto estromessa, ma diventa parte di un percorso che unisce pratica e teoria. E questo approccio vale per la matematica, come per tutte le altre materie, dal latino, all’inglese, alle lettere (anche se, secondo alcuni, il metodo funziona soprattutto con le discipline logico-matematiche).

Cosa c’entra la tecnologia

Gli studenti del Fermi usano ogni giorno computer, tablet, smartphone, proiettori e lavagne interattive. Insomma, nulla di rivoluzionario. Ma la scuola ha trovato il modo di usare questi strumenti per facilitare l’apprendimento collaborativo. Lo spunto è arrivato dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove il docente di fisica Peter Dorumashkin ha brevettato un nuovo modello d’aula: l’aula Teal (Technology Enabled Active Learning). Il Fermi ne ha costruite tre: la particolarità di quest’aula è che tutti gli studenti sono connessi fra loro grazie a uno strumento, la Apple Tv, che fa da ponte fra i vari device (computer, tablet, smartphone, eccetera). In questo modo, il docente può controllare in tempo reale sul suo pc come procede il lavoro e gli studenti possono aiutarsi fra loro intervenendo gli uni sugli esercizi degli altri.

Quando i gruppi spiegano alla classe come hanno risolto l’esercizio, per esempio, lo fanno proiettando i loro lavori su una grossa lavagna bianca interattiva che si trova al centro dell’aula: così la correzione non è più un affare privato fra docente e studente, ma diventa un’occasione di approfondimento e ripasso per tutta la classe. Sempre a proposito di tecnologie ormai comuni, ma capaci di dare grandi risultati se usate nel modo giusto, il Fermi ha introdotto un’altra novità apprezzabile: tutte le lezioni, sia nelle aule Teal che nelle altre aule, sono registrate e caricate su internet. Così, chi è assente, o si è perso qualche passaggio, non è costretto ad aspettare la lezione successiva, ma può rivedere direttamente cosa è successo in aula da casa sua.

Lo spazio insegna

Pur volendo, gli studenti raffigurati da Laurentius de Voltolina non avrebbero potuto studiare come quelli del Fermi. La struttura dell’aula è troppo rigida, mentre l’apprendimento collaborativo richiede flessibilità. Nelle aule dell’istituto non ci sono cattedre, perché la lezione frontale è quasi del tutto scomparsa. E gli studenti non sono più seduti sui classici banchi, ma su tavoli che possono essere smontati e ricomposti in base al tipo di lezione. Intorno a loro non ci sono più pareti grigie, ma colorate o tappezzate di lavagne bianche (in genere due per ogni gruppo) che possono essere usate come blocco note o come superficie su cui proiettare i loro lavori. Questa attenzione allo spazio ha dato i suoi primi frutti con le aule ed è stata poi estesa a tutto l’edificio. Nei corridoi sono state ricavate delle zone relax, attrezzate con puff, panchine e biliardini e altre zone dedicate allo studio individuale e di gruppo.

La ristrutturazione delle aule e degli spazi comuni è stata affidata allo studio “Normale Architettura” di Milano, che si occupa anche di architettura scolastica. “Nelle nostre scuole – dice Chiara Filios, uno degli architetti – aule, biblioteche e laboratori sono spesso troppo piccoli, mentre gli atri e i corridoi sono troppo grandi. A Mantova abbiamo trasformato questi spazi restituendoli agli studenti: una parte è dedicata al ristoro, un’altra al cosiddetto apprendimento informale”.

Un progetto simile è stato realizzato anche in un altro istituto, il Paciolo-D’Annunzio di Fidenza (Parma). Qui lo studio “Normale Archiettura” ha lavorato gomito a gomito con gli studenti, per ristrutturare gli spazi comuni e renderli più adatti alle loro esigenze: l’atrio principale, per fare un esempio, è stato trasformato in una piccola piazza, con una panchina circolare, che è diventata il punto di ritrovo durante la ricreazione. E lungo i corridoi, invece, sono state costruite delle isole in legno che gli studenti usano come una normale scrivania per lavori individuali o di gruppo.

 

Costi e risultati

Come è possibile che una scuola pubblica abbia realizzato un progetto ampio e ambizioso come questo? Il Fermi ha vinto per due volte consecutive il bando “Generazione Web”, promosso dalla Regione Lombardia: da qui sono arrivati i primi 200 mila euro di fondi, integrati poi da sponsor e privati (tra cui i genitori). Certo, non tutte le scuole hanno la fortuna di poter accedere a un finanziamento così sostanzioso. Ma è pur vero che non tutte le scuole hanno dirigenti volenterosi, competenti e capaci di cogliere le pur poche opportunità che ci sono. I primi a beneficiare di questi progetti innovativi sono stati gli studenti: “Ai test invalsi – racconta la preside Cristina Bonaglia – sia l’istituto tecnico che il liceo scientifico hanno ottenuto risultati mediamente superiori alla media regionale e nazionale nella prova di italiano e decisamente superiori alla media nella prova di matematica. Una bella soddisfazione”.

 

"Ricerca, l’Ue rischia di essere travolta", di Leonard Berberi – Corriere della Sera 15.11.14

rosetta
«La Missione Rosetta è l’esempio di come l’unione delle competenze e delle conoscenze accademiche porti a risultati eccezionali. Se l’Europa fa convergere le sue forze arriva dove nessuno è mai arrivato».
Kurt Deketelaere, docente di Legge all’ateneo belga di Lovanio, usa la spedizione spaziale per far capire le potenzialità della ricerca scientifica del Vecchio Continente. Soprattutto perché oltre a essere un professore è anche, dal luglio 2009, il segretario generale della Leru, la Lega europea delle università di ricerca: un’organizzazione di 21 istituzioni di cui fanno parte Oxford, Cambridge, Zurigo, la Statale di Milano (unica italiana) e che da ieri è riunita per due giorni nel capoluogo lombardo per la sua 27esima assemblea dei rettori membri.
Professore, com’è messa la ricerca scientifica negli atenei e negli istituti europei?
«A livello globale è ancora competitiva. Però vediamo che altre zone — la Cina, il Brasile, l’India — stanno procedendo a forte velocità e questo dovrebbe far suonare un campanello d’allarme per l’Europa e soprattutto per tutti i suoi Stati».
Gli altri vanno più veloci di noi?
«Nell’Ue abbiamo 29 diversi regolamenti e fondi per la ricerca e l’innovazione: 28 nazionali e uno europeo. Se andiamo avanti così rischiamo di essere travolti. Per questo un’“Area europea della ricerca” è ora più che mai cruciale».
Quindi che cosa bisogna fare?
«Le sfide non sono poche. Dobbiamo essere capaci di attrarre e trattenere i migliori cervelli. Dobbiamo offrire loro prospettive di carriera e strutture eccellenti. Ci sono poi alcune novità di cui non possiamo più fare a meno. Dall’accesso libero delle pubblicazioni scientifiche alla gestione dei dati di ricerca, dalla “scienza 2.0” alla libertà accademica».
Qual è la sfida più importante della Leru?
«Quella di convincere la “società” — i politici, le persone, le organizzazioni — dell’enorme valore aggiunto prodotto dalla ricerca. Una ricerca che lavora sul lungo termine ed è costosa, ma che è essenziale per ogni popolo per affrontare e superare le sfide globali».
E questo cosa vuol dire?
«Che i governi devono continuare a investire nella ricerca e nell’innovazione. Un messaggio che noi della Leru comunichiamo ogni giorno, ma anche in massima trasparenza: chi paga le tasse ha il diritto di sapere cosa si sta facendo con i suoi soldi».

Sisma, parlamentari Pd“Impegnati su personale, Imu e Patto stabilità”, comunicato stampa 13.11.14

Il pagamento degli straordinari per i dipendenti dei Comuni impegnati nella ricostruzione, la proroga della sospensione del pagamento dell’Imu sulle case inagibili e l’esclusione dal Patto di stabilità: sono questi i tre grandi temi su cui i parlamentari emiliani del Pd Davide Baruffi, Claudio Broglia, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari stanno lavorando con priorità nel passaggio alla Camera della Legge di stabilità, mentre le restanti questioni verranno affrontate nel successivo passaggio del provvedimento al Senato.  “Quanto alla no tax area – concludono i parlamentari Pd rispondendo ad Alan Fabbri – il Pd l’emendamento l’ha presentato, mentre i parlamentari della Lega ci credono tanto che… se ne sono scordati!”

Il passaggio parlamentare della Legge di stabilità come ulteriore possibilità per ottenere risultati a favore delle zone colpite dal sisma del 2012 e impegnate nella complicata fase della ricostruzione: i parlamentari emiliani del Pd Davide Baruffi, Claudio Broglia, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari, in accordo con i vertici della Regione Emilia-Romagna e le amministrazioni locali e in relazione costante con le associazioni economiche e le organizzazioni sindacali, proseguono nel loro lavoro a Roma a favore del cratere sismico. Nel passaggio alla Camera l’impegno è focalizzato su tre grandi temi: il personale delle Pubbliche amministrazioni, le tasse sugli immobili inagibili e il Patto di stabilità. “Insieme al Governo – confermano i parlamentari Pd – stiamo lavorando perché si definiscano misure che consentano il pagamento degli straordinari effettuati dai dipendenti che sono stati impegnati prima nella fase dell’emergenza e ora in quella della ricostruzione. In questo modo i Comuni potranno continuare a contare sulle risorse umane necessarie a sbloccare le pratiche della ricostruzione. Poi ancora, chiediamo la proroga della sospensione del pagamento dell’Imu sulle case ancora inagibili fino a un massimo di due anni: sarebbe un paradosso se chi non può neppure entrare nella propria abitazione dovesse comunque pagarci sopra le tasse. Infine, l’esclusione dal Patto di stabilità di un pacchetto definito di risorse, in modo che i Comuni possano spendere nei servizi e nelle opere necessarie alla ricostruzione i fondi che hanno a disposizione. Pensiamo – chiariscono i parlamentari Pd – agli indennizzi assicurativi o alle donazioni di privati. Sono cifre che devono essere scomputate dal Patto, se no si rischia che i soldi donati dai privati non possano poi essere effettivamente utilizzati per lo scopo di aiuto e sostegno alle popolazioni terremotate voluto da chi li ha indirizzati ai Comuni”. Altre questioni, di stretta attualità, sempre segnalate dai territori, sono già state portate all’attenzione del Parlamento e del Governo da parte dei parlamentari emiliani del Pd che puntano anche sull’ulteriore passaggio in Senato per ottenere le risposte dovute a quella parte del territorio emiliano travolto dagli eventi calamitosi del 2012 e del 2014.”Il Governo, insomma, o alla Camera o al Senato, – dicono i parlamentari Pd – su tutte queste questioni deve dare delle risposte concrete ed utili. Quanto alla no tax area agitata oggi, come ennesima boutade da campagna elettorale, da Alan Fabbri, ricordiamo al candidato governatore della Lega che il Pd l’emendamento l’ha presentato, mentre i parlamentari della Lega ci credono tanto che…se ne sono scordati!”.