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"Nasce qui la cella a combustibile che salverà la Cina dallo smog", di di Alessandro Papayannidis – Corriere della Sera 16.11.14
«Abbiamo iniziato nel 2007, prima della crisi. Ma l’abbiamo attraversata continuando ad assumere ogni anno», dice orgoglioso Alberto Ravagni, ceo della società. Dopo la laurea in Ingegneria a Trento, nel 1991, comincia a girare il mondo nel settore automotive: Germania, Usa e Svizzera, dove trova moglie e si ferma. L’incontro che gli cambia la vita professionale, invece, lo fa nel 2006 in un altro Bic trentino, a Pergine.
Qui un imprenditore di Parma, Nelso Antolotti, si è appena trasferito perché produrre turbine non lo appaga: vuole realizzare le turbine del futuro e fonda la Eurocoating, attirato dagli incentivi alla ricerca della Provincia autonoma. Ravagni e Antolotti si consultano con il fisico Fabio Ferrari, ex rettore dell’ateneo di Trento, che li aiuta a disegnare la loro scommessa. Nel 2007 fondano la Sofcpower, si insediano nel Bic di Mezzolombardo e assumono quattro dipendenti dalla Eurocoating per accelerare lo sviluppo delle celle a combustibile a ossidi solidi, acquisendo nel frattempo la tecnologia da uno spin off del Politecnico di Losanna.
E i soldi? «Abbiamo iniziato partecipando a un progetto europeo da otto milioni di euro, di cui la metà cofinanziati dal Trentino — spiega Ravagni — Da allora abbiamo attirato in tutto 60 milioni di investimenti, soprattutto privati dall’estero. In Italia, purtroppo, manca questa cultura». Nel 2008 parte la produzione pilota, con uno sviluppo costoso e lungo: «Oggi — rimarca il ceo — il team tra Italia e Svizzera è di 70 persone».
Le celle a combustibile a ossidi solidi sono generatori di calore ed elettricità. «Caldaie che producono anche corrente — semplifica Ravagni — e hanno un’efficienza del 90%. Sprecano solo il 10% dell’energia immessa, mentre le caldaie attuali ne buttano dal 50 al 65%. Funzionano con carburante tradizionale: metano, biometano, rifiuti gassificati. Ma anche con l’idrogeno. La peculiarità è che non bruciano gas e non hanno parti in movimento».
L’assenza di combustione evita la produzione di ossidi di azoto e di zolfo, che inquinano; la reazione genera solo acqua e anidride carbonica, che può essere stoccata e riutilizzata, oppure emessa in atmosfera. «In tal caso — spiega il ceo — se ne libera fino al 40% in meno rispetto alla caldaia classica, perché l’altissima efficienza consente di usare meno metano e risparmiare sulla bolletta. In India c’è molto interesse: il governo vuole abbassare le emissioni sostituendo l’uso del carbone con la rete a gas; inoltre molti indiani avranno corrente per più delle attuali tre ore al giorno. Anche la Cina intende aumentare l’efficienza per ridurre lo smog».
Ancora più interessante è l’utilizzo in Arabia Saudita: «Una centrale a celle a combustibile vicina ai giacimenti di petrolio consente di produrre corrente e riutilizzare la CO2 iniettandola nei pozzi per mantenerne alta la pressione: si estrae petrolio senza inquinare, perché l’anidride carbonica non va in atmosfera», chiarisce Ravagni. In Russia e Canada, invece, la cogenerazione è applicata alle pipeline del gas: il calore prodotto protegge i tubi dal gelo, la corrente invece attiva le antenne di monitoraggio dei tubi in aree senza elettricità.
«Negli Usa, infine, ci si sta affidando al gas perché la rete elettrica è vulnerabile; in caso di uragani le centrali a cogenerazione evitano il blackout, soprattutto per i data center», spiega.
In Trentino sono già stati consegnati i primi dispositivi. «E stiamo pianificando il secondo impianto di produzione», conclude il ceo.
"Il liceo classico? Assolviamolo ma va riformato", di Vera Schiavazzi – La Repubblica 15.11.14
"La "buona scuola" esiste, gli esempi di Mantova e Fidenza", di Valerio Mammone – Pagina 99 15.11.14
Chi ha seguito una lezione come quella raffigurata da Laurentius de Voltolina (la maggior parte di noi) sa quanto sia difficile restare concentrati per cinque, sei, sette ore consecutive. E sa anche che tra i compagni di classe c’è chi non capisce e chiede spiegazioni e chi torna a casa con un sacco di dubbi. Sono gli svantaggi del cosiddetto metodo trasmissivo, in cui la lezione è la stessa per tutti, anche se è chiaro ormai che ogni studente apprende in modi e tempi diversi.
Negli Stati Uniti, questo metodo è stato messo in discussione almeno una ventina di anni fa. E qualcosa comincia a muoversi anche da noi: pagina99 ha visitato una scuola d’eccellenza, l’istituto superiore Enrico Fermi di Mantova (istituto tecnico e liceo scientifico), che ha introdotto un nuovo metodo d’insegnamento basato sulla collaborazione fra studenti, fra studenti e docenti e sull’uso della tecnologia per scopi didattici. All’inizio di novembre, durante il salone dell’educazione di Genova, questa scuola è entrata a far parte delle Avanguardie Educative, un progetto promosso da Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), che mette in collegamento le esperienze migliori e più innovative nel campo dell’istruzione.
Una lezione tipo
Stefania Ferrari insegna Matematica e divide le sue lezioni in blocchi di 20 minuti: “Nel primo blocco – racconta – introduco un problema su un argomento nuovo o su uno vecchio che è il caso di rispolverare. Nel secondo divido gli studenti in gruppi e assegno degli esercizi di difficoltà via via crescente. Nel terzo e ultimo tutti i gruppi spiegano al resto della classe come hanno risolto l’esercizio. Poi intervengo io e do la soluzione”. Ogni studente ha un ruolo all’interno del gruppo: c’è il team leader che guida i lavori, lo “scettico” che mette in discussione le conclusioni del leader e il segretario che stila una specie di “verbale” dei lavori.
“Io ho lavorato sia col vecchio che col nuovo metodo – spiega Stefania Ferrari – e ho notato che lavorando in gruppo i ragazzi si sentono più coinvolti. Rispetto alla lezione tradizionale, si impara di più, ognuno con i propri tempi, e con la possibilità di essere aiutato dal compagno che magari è più preparato”. Mentre gli studenti risolvono gli esercizi l’insegnante non sta con le mani in mano, anzi: interviene, risponde alle loro domande e, se necessario, torna sulla teoria per fugare dubbi o incertezze. La classica spiegazione, quindi, non viene del tutto estromessa, ma diventa parte di un percorso che unisce pratica e teoria. E questo approccio vale per la matematica, come per tutte le altre materie, dal latino, all’inglese, alle lettere (anche se, secondo alcuni, il metodo funziona soprattutto con le discipline logico-matematiche).
Cosa c’entra la tecnologia
Gli studenti del Fermi usano ogni giorno computer, tablet, smartphone, proiettori e lavagne interattive. Insomma, nulla di rivoluzionario. Ma la scuola ha trovato il modo di usare questi strumenti per facilitare l’apprendimento collaborativo. Lo spunto è arrivato dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove il docente di fisica Peter Dorumashkin ha brevettato un nuovo modello d’aula: l’aula Teal (Technology Enabled Active Learning). Il Fermi ne ha costruite tre: la particolarità di quest’aula è che tutti gli studenti sono connessi fra loro grazie a uno strumento, la Apple Tv, che fa da ponte fra i vari device (computer, tablet, smartphone, eccetera). In questo modo, il docente può controllare in tempo reale sul suo pc come procede il lavoro e gli studenti possono aiutarsi fra loro intervenendo gli uni sugli esercizi degli altri.
Quando i gruppi spiegano alla classe come hanno risolto l’esercizio, per esempio, lo fanno proiettando i loro lavori su una grossa lavagna bianca interattiva che si trova al centro dell’aula: così la correzione non è più un affare privato fra docente e studente, ma diventa un’occasione di approfondimento e ripasso per tutta la classe. Sempre a proposito di tecnologie ormai comuni, ma capaci di dare grandi risultati se usate nel modo giusto, il Fermi ha introdotto un’altra novità apprezzabile: tutte le lezioni, sia nelle aule Teal che nelle altre aule, sono registrate e caricate su internet. Così, chi è assente, o si è perso qualche passaggio, non è costretto ad aspettare la lezione successiva, ma può rivedere direttamente cosa è successo in aula da casa sua.
Lo spazio insegna
Pur volendo, gli studenti raffigurati da Laurentius de Voltolina non avrebbero potuto studiare come quelli del Fermi. La struttura dell’aula è troppo rigida, mentre l’apprendimento collaborativo richiede flessibilità. Nelle aule dell’istituto non ci sono cattedre, perché la lezione frontale è quasi del tutto scomparsa. E gli studenti non sono più seduti sui classici banchi, ma su tavoli che possono essere smontati e ricomposti in base al tipo di lezione. Intorno a loro non ci sono più pareti grigie, ma colorate o tappezzate di lavagne bianche (in genere due per ogni gruppo) che possono essere usate come blocco note o come superficie su cui proiettare i loro lavori. Questa attenzione allo spazio ha dato i suoi primi frutti con le aule ed è stata poi estesa a tutto l’edificio. Nei corridoi sono state ricavate delle zone relax, attrezzate con puff, panchine e biliardini e altre zone dedicate allo studio individuale e di gruppo.
La ristrutturazione delle aule e degli spazi comuni è stata affidata allo studio “Normale Architettura” di Milano, che si occupa anche di architettura scolastica. “Nelle nostre scuole – dice Chiara Filios, uno degli architetti – aule, biblioteche e laboratori sono spesso troppo piccoli, mentre gli atri e i corridoi sono troppo grandi. A Mantova abbiamo trasformato questi spazi restituendoli agli studenti: una parte è dedicata al ristoro, un’altra al cosiddetto apprendimento informale”.
Un progetto simile è stato realizzato anche in un altro istituto, il Paciolo-D’Annunzio di Fidenza (Parma). Qui lo studio “Normale Archiettura” ha lavorato gomito a gomito con gli studenti, per ristrutturare gli spazi comuni e renderli più adatti alle loro esigenze: l’atrio principale, per fare un esempio, è stato trasformato in una piccola piazza, con una panchina circolare, che è diventata il punto di ritrovo durante la ricreazione. E lungo i corridoi, invece, sono state costruite delle isole in legno che gli studenti usano come una normale scrivania per lavori individuali o di gruppo.
Costi e risultati
Come è possibile che una scuola pubblica abbia realizzato un progetto ampio e ambizioso come questo? Il Fermi ha vinto per due volte consecutive il bando “Generazione Web”, promosso dalla Regione Lombardia: da qui sono arrivati i primi 200 mila euro di fondi, integrati poi da sponsor e privati (tra cui i genitori). Certo, non tutte le scuole hanno la fortuna di poter accedere a un finanziamento così sostanzioso. Ma è pur vero che non tutte le scuole hanno dirigenti volenterosi, competenti e capaci di cogliere le pur poche opportunità che ci sono. I primi a beneficiare di questi progetti innovativi sono stati gli studenti: “Ai test invalsi – racconta la preside Cristina Bonaglia – sia l’istituto tecnico che il liceo scientifico hanno ottenuto risultati mediamente superiori alla media regionale e nazionale nella prova di italiano e decisamente superiori alla media nella prova di matematica. Una bella soddisfazione”.
"Ricerca, l’Ue rischia di essere travolta", di Leonard Berberi – Corriere della Sera 15.11.14
Kurt Deketelaere, docente di Legge all’ateneo belga di Lovanio, usa la spedizione spaziale per far capire le potenzialità della ricerca scientifica del Vecchio Continente. Soprattutto perché oltre a essere un professore è anche, dal luglio 2009, il segretario generale della Leru, la Lega europea delle università di ricerca: un’organizzazione di 21 istituzioni di cui fanno parte Oxford, Cambridge, Zurigo, la Statale di Milano (unica italiana) e che da ieri è riunita per due giorni nel capoluogo lombardo per la sua 27esima assemblea dei rettori membri.
Professore, com’è messa la ricerca scientifica negli atenei e negli istituti europei?
«A livello globale è ancora competitiva. Però vediamo che altre zone — la Cina, il Brasile, l’India — stanno procedendo a forte velocità e questo dovrebbe far suonare un campanello d’allarme per l’Europa e soprattutto per tutti i suoi Stati».
Gli altri vanno più veloci di noi?
«Nell’Ue abbiamo 29 diversi regolamenti e fondi per la ricerca e l’innovazione: 28 nazionali e uno europeo. Se andiamo avanti così rischiamo di essere travolti. Per questo un’“Area europea della ricerca” è ora più che mai cruciale».
Quindi che cosa bisogna fare?
«Le sfide non sono poche. Dobbiamo essere capaci di attrarre e trattenere i migliori cervelli. Dobbiamo offrire loro prospettive di carriera e strutture eccellenti. Ci sono poi alcune novità di cui non possiamo più fare a meno. Dall’accesso libero delle pubblicazioni scientifiche alla gestione dei dati di ricerca, dalla “scienza 2.0” alla libertà accademica».
Qual è la sfida più importante della Leru?
«Quella di convincere la “società” — i politici, le persone, le organizzazioni — dell’enorme valore aggiunto prodotto dalla ricerca. Una ricerca che lavora sul lungo termine ed è costosa, ma che è essenziale per ogni popolo per affrontare e superare le sfide globali».
E questo cosa vuol dire?
«Che i governi devono continuare a investire nella ricerca e nell’innovazione. Un messaggio che noi della Leru comunichiamo ogni giorno, ma anche in massima trasparenza: chi paga le tasse ha il diritto di sapere cosa si sta facendo con i suoi soldi».
Sisma, parlamentari Pd“Impegnati su personale, Imu e Patto stabilità”, comunicato stampa 13.11.14
Il pagamento degli straordinari per i dipendenti dei Comuni impegnati nella ricostruzione, la proroga della sospensione del pagamento dell’Imu sulle case inagibili e l’esclusione dal Patto di stabilità: sono questi i tre grandi temi su cui i parlamentari emiliani del Pd Davide Baruffi, Claudio Broglia, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari stanno lavorando con priorità nel passaggio alla Camera della Legge di stabilità, mentre le restanti questioni verranno affrontate nel successivo passaggio del provvedimento al Senato. “Quanto alla no tax area – concludono i parlamentari Pd rispondendo ad Alan Fabbri – il Pd l’emendamento l’ha presentato, mentre i parlamentari della Lega ci credono tanto che… se ne sono scordati!”
Il passaggio parlamentare della Legge di stabilità come ulteriore possibilità per ottenere risultati a favore delle zone colpite dal sisma del 2012 e impegnate nella complicata fase della ricostruzione: i parlamentari emiliani del Pd Davide Baruffi, Claudio Broglia, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari, in accordo con i vertici della Regione Emilia-Romagna e le amministrazioni locali e in relazione costante con le associazioni economiche e le organizzazioni sindacali, proseguono nel loro lavoro a Roma a favore del cratere sismico. Nel passaggio alla Camera l’impegno è focalizzato su tre grandi temi: il personale delle Pubbliche amministrazioni, le tasse sugli immobili inagibili e il Patto di stabilità. “Insieme al Governo – confermano i parlamentari Pd – stiamo lavorando perché si definiscano misure che consentano il pagamento degli straordinari effettuati dai dipendenti che sono stati impegnati prima nella fase dell’emergenza e ora in quella della ricostruzione. In questo modo i Comuni potranno continuare a contare sulle risorse umane necessarie a sbloccare le pratiche della ricostruzione. Poi ancora, chiediamo la proroga della sospensione del pagamento dell’Imu sulle case ancora inagibili fino a un massimo di due anni: sarebbe un paradosso se chi non può neppure entrare nella propria abitazione dovesse comunque pagarci sopra le tasse. Infine, l’esclusione dal Patto di stabilità di un pacchetto definito di risorse, in modo che i Comuni possano spendere nei servizi e nelle opere necessarie alla ricostruzione i fondi che hanno a disposizione. Pensiamo – chiariscono i parlamentari Pd – agli indennizzi assicurativi o alle donazioni di privati. Sono cifre che devono essere scomputate dal Patto, se no si rischia che i soldi donati dai privati non possano poi essere effettivamente utilizzati per lo scopo di aiuto e sostegno alle popolazioni terremotate voluto da chi li ha indirizzati ai Comuni”. Altre questioni, di stretta attualità, sempre segnalate dai territori, sono già state portate all’attenzione del Parlamento e del Governo da parte dei parlamentari emiliani del Pd che puntano anche sull’ulteriore passaggio in Senato per ottenere le risposte dovute a quella parte del territorio emiliano travolto dagli eventi calamitosi del 2012 e del 2014.”Il Governo, insomma, o alla Camera o al Senato, – dicono i parlamentari Pd – su tutte queste questioni deve dare delle risposte concrete ed utili. Quanto alla no tax area agitata oggi, come ennesima boutade da campagna elettorale, da Alan Fabbri, ricordiamo al candidato governatore della Lega che il Pd l’emendamento l’ha presentato, mentre i parlamentari della Lega ci credono tanto che…se ne sono scordati!”.