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"I giovani talenti si «richiamano» con politiche mirate e giusti incentivi", di Fabrizio Onida – Il Sole 24 Ore 06.11.14

I giovani talenti si «richiamano» con politiche mirate e giusti incentivi
di Fabrizio Onida
Si parla sempre più dei giovani talenti italiani che per mancanza di prospettive, sfiducia, rassegnazione rinunciano a rientrare in Italia dopo un periodo di studi all’estero, dove spesso si distinguono per ottimi risultati e infatti ricevono offerte interessanti di lavoro. Il Rapporto “Italiani nel mondo” 2014 della Fondazione Migrantes segnala che l’Italia è quarta in Europa come numero di studenti in mobilità e che la forbice tra uscite ed entrate di cittadini italiani con l’estero si è ampliata vistosamente dal 2008 fino a raggiungere un saldo di 50mila unità nel 2013. Sulle 82mila unità in uscita nel 2013 due terzi sono laureati e diplomati, il 40% origina nelle regioni del Nord.
Eppure diverse affiliate italiane di gruppi multinazionali cercano giovani laureati e diplomati di materie tecnico-scientifiche, in particolare ingegneri di cui apprezzano senza riserve le qualità: competenza tecnica combinata con flessibilità e creatività in dosi nettamente superiori a quelle dei loro pari grado tedeschi, francesi, inglesi, americani.
Allora che cosa manca per attrarre una migrazione di ritorno dei nostri giovani talenti, al di là dei noti aspetti negativi percepiti del “sistema paese” (inefficienza e opacità delle regole nella Pa, scarsa meritocrazia, corruzione e simili)? Grandi imprese innovative, che tipicamente cercano manodopera con titoli di studio superiori, in Italia sono ormai una rarità. Il nostro “quarto capitalismo” manifatturiero, che nella fascia da 10 a 249 addetti – come illustra una recente indagine di Nomisma – batte in produttività reale (valore aggiunto per addetto a parità dei poteri d’acquisto) addirittura quella delle sorelle tedesche, non basta ad assorbire la nostra offerta di laureati. Un elemento fondamentale è la grande frammentazione, e conseguente scarsità di “massa critica”, di imprenditorialità innovativa nei settori ad alto dinamismo tecnologico (industria e servizi), sia “high” che “medium tech” (Gianfelice Rocca, “Riaccendere i motori”, 2014) capaci di offrire prospettive occupazionali e retributive attraenti, meno precarie e di modesto profilo tecnologico e organizzativo.
Nel suo libro su “La nuova geografia del lavoro”, l’economista italiano docente a Berkeley Enrico Moretti ha sottolineato, attraverso molti esempi di regioni dinamiche e innovative negli Usa (ma in Europa pensiamo a regioni come Baviera, Baden Württemberg, Rhône-Alpes, la stessa Lombardia) quanto importanti siano gli effetti di agglomerazione geografica dell’occupazione istruita e qualificata intorno a nuclei di aziende e centri di ricerca impegnati sulle frontiere delle medie e alte tecnologie. La presenza di una maggiore percentuale di laureati in una data area si accompagna a un livello medio più elevato delle retribuzioni dei diplomati, e più in generale della forza lavoro in quell’area, secondo un effetto noto nella letteratura economica come “esternalità del capitale umano”. E soprattutto l’agglomerazione territoriale di competenze tecnico-scientifiche richieste si autoalimenta, agendo come motore di sviluppo anche nei settori dei servizi tradizionali (commercio, trasporti, immobiliare ecc.), che sono quasi ovunque complementari delle attività a maggior contenuto di tecnologia e organizzazione manageriale. Saranno benvenute analisi empiriche come quella di Moretti su dati di aree urbane e locali in Italia e in Europa.
Pro memoria per una nostra (buona) politica industriale: i giovani talenti, emigrati per vedersi riconoscere le proprie capacità e aspirazioni, possono essere incentivati a rientrare nella misura in cui i tanto citati esperimenti di Ppp (partnership pubblico-privato) non si disperdono in decine (centinaia) di cosiddetti parchi scientifico-tecnologici e incubatori di start-up quasi sempre di corto respiro, favorendo lo sviluppo di pochi ma robusti “ecosistemi innovativi” innestati sui maggiori vantaggi competitivi già esistenti in Italia e orientati al futuro (meccatronica, trasporti intelligenti, bio-nanotecnologie medicali e farmaceutiche, energie pulite, sicurezza alimentare e tanti altri). Non servono politiche industriali dirigiste, ma solo una migliore strumentazione dei molti incentivi nazionali e regionali allo sviluppo, un coordinamento tra ministeri (es. Mise-Miur) e tra Regioni, una collaborazione non miope delle rappresentanze datoriali di settore e territorio.

"Generosi, semplici, di successo. Ecco gli eroi della normalità", di Elisabetta Rosaspina – Corriere della Sera 05.11.14

Che una buona notizia faccia notizia potrebbe già essere, di per sé, una cattiva notizia. Notizia, in quasi tutte le redazioni del mondo, è qualcosa di notevole perché inatteso, sorprendente o, per enfatizzare un po’, clamoroso. Funziona soprattutto se suscita angoscia, rabbia e magari orrore. Ma siccome sangue, indignazione e paura hanno il difetto di provocare assuefazione, capita che il dosaggio richiesto debba aumentare. E aumenti. 
Le buone notizie, si è creduto finora, perdono la gara con quelle cattive perché rispecchiano una realtà banale: non vendono, non generano traffico online, non scatenano dibattiti, non scaldano Facebook e Twitter. Ma se si scopre che, senza voler molestare De Amicis, scaldano i cuori e addolciscono l’umore quotidiano, ecco che una dose diventa necessaria, come un piccolo spot rinfrescante, durante il film dell’attualità che inizia e finisce con un prevedibile «mal»: malcostume, malgoverno, malfunzionamento, malasanità, malavita, maleducazione, malcontento. Quando proprio non è colpa di nessuno: maltempo.
«Buone notizie», ovvero «Storie di un’Italia controcorrente nelle pagine del Corriere della Sera », il volume curato dal vicedirettore Giangiacomo Schiavi, ne riunisce 79, pubblicate sul giornale e sull’omonimo blog del Corriere.it , del cui eterogeneo equipaggio fanno parte scrittori come Andrea Camilleri ed Erri de Luca, sacerdoti battaglieri, come don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi, attori come Maria Grazia Cucinotta e Giobbe Covatta, e molti giornalisti. Contribuiscono tutti, regolarmente, a rifornire quell’armadietto di pronto soccorso dal quale attingere l’antidoto alla ordinaria malvagità.
«Controcorrente» non è una definizione casuale; e lo si capisce fin dalle prime pagine dedicate «agli eroi della normalità», perché sono proprio le parole del maestro dei bastian contrari del giornalismo italiano, Indro Montanelli, a spiegare l’impari battaglia per la notorietà tra fatti edificanti e ladrocini, pace e guerra, galantuomini e malfattori.
«Prendiamo un argomento qualunque: la scuola — proponeva Montanelli —. Un professore non dovrebbe costituire una notizia, se si presenta regolarmente in classe; se fugge a Las Vegas con la bidella, lo diventa. Se le pagine milanesi del Corriere talvolta ignorano la scuola, vuol dire che quel giorno il provveditorato non si è fatto venire strane idee, i professori hanno compiuto il proprio dovere, le bidelle pure e sui voli per las Vegas ci sono ancora posti disponibili».
Aveva ragione quando si dichiarava pronto ad ammettere che «in Italia i bravi ragazzi sono più numerosi dei delinquenti, ma i quotidiani non possono pubblicare ogni giorno nomi e cognomi di quelli che non hanno rubato in casa, non hanno picchiato i genitori, non hanno ingerito droga e non si sono rotti la testa in automobile». E aveva ragione a non rallegrarsi di fronte al sensazionalismo della normalità: «Vuol dire che essere normali, in questo Paese, è diventato eroico».
Ma che ci fosse un’Italia invisibile e tenace sulla sua retta via, meritevole di più attenzione, l’aveva capito un altro grande direttore, Candido Cannavò, dimostrando un fiuto eccezionale quando si trattava di scovare una ballerina, pittrice e scrittrice senza braccia, Simona Atzori («e la chiamano disabile!»), o «pretacci» capaci di strappare adepti alla ‘ndrangheta e Maddalene al marciapiede. C’è una morale, sì, ma non sono favole.
Non è una favola, la storia di Marco Gasperetti sul clandestino cinese Yan che, per primo, ha osato rompere il muro di omertà attorno alla Chinatown degli sfruttatori di una fabbrica fantasma, a Prato. Una pressa a caldo per etichette gli ha spappolato una mano, ma sono state le minacce dei suoi negrieri, se avesse parlato, a spingerlo ad andare alla polizia. Normale? Mica tanto, se il compenso alla fine è una vita sotto scorta.
Anche laurearsi a 28 anni in Scienze della formazione e del servizio sociale non ha niente di epico, a meno di essere autistico, come nel caso di Andrea Paolucci. Non è una favola, ma chissà che non diventi un esempio la sua tesi da 110 e lode, intitolata «La mia vita nel Pozzo». Soprattutto per come è stata scritta. E discussa: racconta Nico Falco che la seduta di laurea si è svolta tramite la proiezione di tabelle e grafici e Andrea ha risposto alle domande attraverso la messaggistica istantanea. Difficile immaginarne un uso migliore.
Perfino l’economia, di questi tempi, fornisce buone notizie. A Luca Mattiucci, quella di una storica casa editrice risorta a Scampia grazie all’ex scugnizzo Rosario Esposito. A Davide Illarietti, quella di Enzo Muscio che ha impegnato la casa e tutti i suoi risparmi per riaprire l’azienda che lo aveva licenziato prima di fallire: «Ora è lui il titolare e ha ridato il lavoro a una ventina di colleghi». Questa, forse, Montanelli l’avrebbe messa in prima pagina.

"Grandi italiani crescono (soprattutto all'estero)", di Beppe Severgnini – Corriere della Sera 05.11.14

I fatti: l’italiana Fabiola Gianotti sarà il prossimo direttore generale del Cern di Ginevra, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Il commento: bella notizia, ma non sorprendente. 
Ogni volta che gli scienziati italiani vengono messi in condizione di lavorare bene, i risultati arrivano. Lavorare bene vuol dire: disporre di mezzi economici sufficienti e strutture adeguate; operare con procedure ragionevoli; poter scegliere i collaboratori (e allontanarli, quand’è il caso); non dover lottare quotidianamente contro politicanti ubiqui e bradipi burocratici.
Certo, non tutti si trovano a dirigere grandi laboratori o istituti internazionali. Una sola è arrivata al vertice nel centro del superacceleratore Lhc, che ha studiato il bosone di Higgs. Ma la regola è la stessa: i buoni luoghi generano buoni pensieri, e i buoni pensieri conducono a grandi risultati. I nomi degli italiani arrivati ai vertici della scienza mondiale sono molti. Un brevissimo elenco, tra le persone che ho conosciuto: l’immunologo Lanzavecchia in Svizzera, il biologo Vescovi in Canada, il genetista Pandolfi a Harvard, il fisico Coppi al MIT, Ferrari a Houston (nanotecnologie mediche), Cipolla a Cambridge e Soatto a Ucla (robotica). Molti altri hanno successo in Italia, per fortuna. Ma state certi: hanno successo perché, a un certo punto, hanno potuto lavorare con serenità.
Le congratulazioni, e la nostra soddisfazione per carriere come quella di Fabiola Gianotti, rischiano di nascondere una sorpresa che non ha motivo d’esistere. Gli italiani non sono solo intelligenti e intuitivi; quando vogliono, sono precisi e affidabili. Messi nelle giuste condizioni, spesso arrivano all’eccellenza. Non vale solo per gli scienziati: vale per tutti noi.
Esistono i caratteri nazionali, ma non esiste un determinismo etnico. Sono gli ambienti che producono i comportamenti. È il terreno che produce i frutti, o li porta a marcire. Mi è capitato di vederlo più volte: una persona, in un cattivo ambiente di lavoro, si comporta male; spostata in un buon ambiente di lavoro, si comporta bene e arriva al successo. Ecco: facciamo in modo che l’Italia diventi un ambiente buono. Altrimenti, per lavorare bene, gli italiani onesti e capaci dovranno andarsene. Ieri non è arrivata solo la notizia della nomina di Fabiola Gianotti. Ne è arrivata anche un’altra sulla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor: ha patteggiato un milione di euro di sanzione pecuniaria. Altri 9 milioni le saranno confiscati, come provento del reato di corruzione nell’ambito del caso Maugeri di Pavia, per cui è stato rinviato a giudizio l’ex governatore lombardo, oggi senatore ncd, Roberto Formigoni, insieme ad altre 9 persone. Conosco ottimi medici, persone perbene, che lavoravano nella Fondazione: come si sentono, oggi, leggendo queste cose?

"Un anno di lavoro presso le organizzazioni dell’Onu per i laureati under 30", di Federica Micardi – Scuola 24 05.11.14

Un’esperienza di almeno un anno all’estero presso un’organizzazione internazionale nell’orbita Onu. È quanto offre il programma Jpo (Junior Professional Officer Programme), anche noto come Programma esperti associati e giovani funzionari delle organizzazioni internazionali, finanziato dal ministero degli Esteri. L’iniziativa è rivolta a giovani laureati, con meno di 30 anni (33 se la laurea è in medicina) che supereranno le rigorose selezioni.

I requisiti richiesti sono: l’essere nati il 1° gennaio 1984 (1981 per i laureati in medicina) o dopo; la nazionalità italiana; il possesso di una laurea specialistica o magistrale oppure di un master successivo a una laurea triennale; l’ottima conoscenza dell’inglese. La conoscenza di altre lingue ed eventuali esperienze maturate saranno tenute in considerazione.

Il processo di selezione prevede una prima fase curata dall’ufficio Un/Desa (United Nation Department of Economic and Social Affairs) di Roma. Seguirà, probabilmente tra giugno e luglio, un colloquio di selezione finale a Roma con i rappresentanti delle varie organizzazioni di destinazione che saranno le responsabili dei risultati della selezione finale. Chi avrà superato la selezione, prima della candidatura ufficiale, parteciperà a un corso di formazione di due settimane che si svolgerà a Torino.

Si cercano diversi profili: giuridici, economici, esperti in materia di alimentazione, ambiente, economia dello sviluppo, diritti umani. I candidati selezionati possono prestare servizio sia presso gli uffici centrali delle organizzazioni, sia nei loro uffici decentrati, occupandosi della realizzazione di progetti ed iniziative di cooperazione tecnica nei paesi in via di sviluppo e saranno assunti come funzionari ai livelli iniziali della categoria professionale, con contratti di un anno rinnovabili per un secondo anno.
Le domande
Le domande vanno presentate entro il 12 novembre alle ore 15 soloattraverso il sito www.undesa.it utilizzando il form online (il programma non accetta le domande inviate per posta o consegnate personalmente presso l’ufficio Desa/ Nazioni Unite a Roma). I candidati dovranno anche fornire in formato digitale una copia dell’ultimo titolo universitario conseguito alla data di presentazione della domanda (o un modello di autocertificazione). Per informazioni si può consultare il sito appena citato o scrivere a jpoinfo@undesa.it

Alluvionati, parlamentari Pd “L’Inail disponibile a rateizzazioni” – comunicato stampa 04.11.14

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari sono impegnati a cercare soluzioni per gli imprenditori agricoli delle zone alluvionate che dal 17 novembre devono pagare i premi assicurativi sospesi. Dall’Inail una prima risposta positiva: è possibile la rateizzazione fino a 36 mesi. L’Inps ha dato appuntamento ai parlamentari modenesi già per giovedì, mentre si lavora a una soluzione che potrebbe essere imminente con l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ecco la loro dichiarazione:

“Mentre Salvini, in pieno loop elettorale, pensa di accattivarsi qualche voto in più parlando di uno Stato buffone, come sempre, noi parlamentari del Pd stiamo muovendoci per trovare una soluzione fattiva. Facile offendere, molto meno essere efficaci. Venendo incontro alle preoccupazioni espresse dagli imprenditori agricoli delle zone colpite dal sisma e dall’alluvione per i quali, a partire dal 17 novembre, scade la sospensione dei pagamenti dei premi assicurativi, abbiamo contattato l’Inail nazionale e, giovedì, incontreremo i vertici nazionali dell’Inps. Da Inail, intanto, è già arrivata una notizia rassicurante: chi si troverà in difficoltà a pagare i premi assicurativi Inail potrà chiedere la rateizzazione mensile fino a un massimo di 36 rate, ipotesi prevista dal legislatore in caso di “calamità naturali con sospensione dei termini stabiliti da appositi decreti”. La stessa Inail sta inviando presso le sedi decentrate i moduli per chiedere la rateizzazione. Giovedì, invece, abbiamo appuntamento per un incontro con i vertici nazionali dell’Inps: vedremo che tipo di impegni potranno prendere per venire incontro alle esigenze degli imprenditori in difficoltà. Intanto, non molliamo la presa neanche a livello nazionale e ci stiamo già attivati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e presso l’Agenzia delle Entrate, una soluzione anche su questo fronte potrebbe essere imminente”.

Gas Rivara, parlamentari Pd “Il deposito non si farà” – comunicato stampa 04.11.14

 

“Non è vero che lo Sblocca Italia ha riaperto la strada alla realizzazione del deposito interrato di gas a Rivara. E’ il parere della Regione, introdotto nell’art. 38 grazie al lavoro di noi parlamentari in Commissione, il nostro argine più sicuro contro progetti non voluti dai territori”: con queste parole i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari fanno chiarezza sulle voci che si stanno rincorrendo nell’Area Nord, spesso alimentate ad arte da chi difende interessi di parte. Ecco la loro dichiarazione:

«Finché in questa Regione il Partito democratico sarà forza di governo il deposito interrato di gas a Rivara non verrà realizzato. Questa è una delle poche certezze nelle voci che si vanno rincorrendo nella Bassa, in alcuni casi fatte circolare ad arte da chi difende interessi di parte. Ricordiamo, innanzitutto, che per quanto riguarda Regione e Stato, il provvedimento è già archiviato con un no definitivo di entrambi: sono proprio la Regione Emilia Romagna e l’allora ministro dell’Ambiente Orlando ad aver pronunciato il diniego definitivo e nessuna delle ragioni addotte allora è venuta meno (non a caso l’impugnazione dei privati è sul diniego). Non è vero, poi, che lo Sblocca Italia ha riaperto la strada alla realizzazione del deposito. Non lo è perché, grazie al lavoro di noi parlamentari in Commissione, l’art. 38 del provvedimento è stato modificato al fine di aumentare i requisiti di tutela e garanzia ambientale e di riconoscere il ruolo delle Regioni nella valorizzazione delle risorse energetiche nazionali. Tra i vari obblighi introdotti c’è anche quello di intesa tra il Mise, il Ministero dello sviluppo economico, e la Regione territorialmente interessata. E’ il parere della Regione il nostro argine più sicuro contro progetti non voluti dai territori. E’ sempre stato così in passato e, dopo le modifiche in Commissione, sarà ancora così anche in futuro. A discapito di chi ancora sta vaneggiando su possibili risultati del ricorso al presidente Napolitano. Quel ricorso non ha portato alcun risultato se non quello del rinvio al Tar, dove già giacciono i ricorsi degli altri Enti dell’Emilia-Romagna. Il Pd, insieme alle amministrazioni e ai cittadini dei territori interessati, si è sempre opposto a un’opera potenzialmente pericolosa vista l’ormai innegabile sismicità della zona. Anzi, per sgombrare il campo da altre preoccupazioni che, periodicamente, si sono ripresentate nella Bassa, ribadiamo che nello Sblocca Italia è stato altresì introdotto il divieto di ricerca ed estrazione di shale gas e shale oil e ogni tecnica di iniezione in sottosuolo di fluidi liquidi o gassosi finalizzata a produrre o favorire la fatturazione e delle formazioni rocciose (fracking) in cui gli stessi sono intrappolati».

 

Legge stabilità, deputati Pd “Preoccupati per i tagli ai Patronati” – comunicato stampa 03.11.14

«Fiore all’occhiello del sistema sociale italiano, si calcola che annualmente i Patronati si occupino di circa 11 milioni e 400 mila pratiche, con un evidente risparmio di tempo e risorse per la Pubblica Amministrazione. I tagli previsti nella legge di stabilità rischiano di causare un radicale ridimensionamento dei servizi offerti con evidenti ricadute sui cittadini» Questo in estrema sintesi il contenuto della lettera inviata al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia su iniziativa della deputata modenese del Pd eletta nella Circoscrizione Estero Laura Garavini, e firmata da oltre 70 colleghi fra i quali anche i modenesi Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca.

 

È stata sottoscritta da oltre 70 deputati la lettera che chiede al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro dell’Economia Per Carlo Padoan di rivedere i tagli ai Patronati previsti dalla legge di stabilità. “Punto di riferimento per una variegata serie di cittadini – sottolineano i deputati modenesi del Pd Davide Baruffi, Laura Garavini, Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca sottoscrittori della missiva – i Patronati hanno dimostrato negli anni la capacità di rispondere in modo qualificato anche alle nuove esigenze del Paese, offrendo ai cittadini consulenza gratuita su tutta una serie di materie, dalle questioni previdenziali ai sussidi di disoccupazione, cassa integrazione e mobilità, ma anche permessi e congedi di maternità o per assistenza ai disabili, fino alle pratiche connesse a permessi di soggiorno e ricongiungimenti familiari per i cittadini immigrati. Si calcola che annualmente i Patronati si occupino di circa 11 milioni e 400 mila pratiche, con un evidente risparmio di tempo e risorse per la Pubblica Amministrazione: se questi chiudessero infatti a fronte dei 430 milioni di euro spesi attualmente dal Fondo patronati, i costi per il disbrigo dei medesimi servizi dalla P.A. lieviterebbero ad oltre 650 milioni. Tuttavia già i tagli previsti nella legge di stabilità pari ad un terzo delle risorse ad oggi destinate ai Patronati, rischiano di causare un radicale ridimensionamento dei servizi offerti con evidenti ricadute sui cittadini. Senza contare che tale provvedimento pone anche questioni di legittimità, essendo il Fondo patronati alimentato da una ritenuta sui contributi previdenziali dei lavoratori. In caso di diversa utilizzazione di queste risorse, non più per pubblica utilità, si porrebbero vizi di forma, soggetti a eventuali ricorsi di natura giudiziaria. Per questo riteniamo debba essere ripristinato quanto prima l’ammontare del Fondo previsto dal bilancio 2014.”