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"CresciItalia, studia e poi..Vai via?", di Mila Spiccola

Italia ha 12 anni ed è la più brava della sua classe. Ma di molto più brava. Da grande vuole fare il Presidente della Repubblica e studia come una matta. Persino nei momenti di massima popolarità del “velinapensiero” lei niente: “Da grande farò il Primo Presidente della Repubblica Donna, del resto mi chiamo Italia, e studio”. Glielo abbiamo ripetuto fino alla nausea: se non studi non vai da nessuna parte. Le mento spesso quando la rassicuro e le nascondo la verità. Ma è furba, la verità la conosce perfettamente. Perché, anche se studi, non vai mica chissà dove, contano le conoscenze più deicurricula. Se poi sei donna oltre un certo punto non puoi andare. O no? A meno che non ti accontenti di fare il vicesindaco a Salemi. In quel caso devi essere “anche” carina. Italia è normale. Una bimba normale a vederla che è anormalmente brava. Basterà?

Quelli che fanno finta di sconoscerla la realtà sono proprio coloro che dovrebbero mutarla. Donne e posizioni apicali. Di questo sto parlando.

Nel nostro Paese le donne costituiscono:

solo il 27 % dei dirigenti;

solo il 21% dei parlamentari;

solo il 21% dei prefetti;

solo il 19% degli imprenditori;

solo il 18% dei professori ordinari;

solo il 12% dei direttori di ricerca;

solo il 6,8% dei consiglieri nei CdA di aziende quotate;

solo il 5% dei direttori d’orchestra;

solo il 10% dei primari in ospedale;

solo l’8% dei sindaci;

solo il 4% degli ambasciatori

0% Presidente della Repubblica

0% Presidente del Consiglio dei Ministri.

….

Le donne sono il 51% della nostra popolazione ma rappresentano il 60% del totale dei laureati italiani.

In questo dato l’Italia precede Stati Uniti e Regno Unito (!!lo sapevate? Io lo vedo tra i banchi che sono le migliori)

però:

il 22% delle laureate non lavora, contro il 9% degli uomini e sono pagate meno dei loro colleghi maschi.

Il differenziale salariale di genere è in Italia più alto tra laureati (34%) che tra le persone con titoli di studio di media inferiore (29%) e media superiore (28%).

In Italia la fase critica della carriera lavorativa coincide molto spesso con una fase critica anche della vita personale, la recente formazione della famiglia, i bambini ancora piccoli. L’Italia ha la fecondità più tardiva del mondo, con un’età media al primo parto pari a 31 anni. Noto è il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, la firma di un foglio di dimissioni all’atto dell’assunzione in cui ci si “autolicenzia” nel caso di maternità.

La maternità si associa a una caduta dell’occupazione femminile e il numero di bambini amplifica l’effetto, in Italia più che altrove: il tasso d’occupazione delle donne senza figli è pari al 66% e scende al 60% per le madri con un figlio e al 53% in presenza di due figli.

Molte donne lasciano il lavoro alla nascita dei figli. Per quelle che rimangono la carriera è spesso rallentata o bloccata. Quando i bambini diventano grandi le difficoltà di conciliazione diminuiscono e le donne potrebbero tornare in corsa, ma spesso è troppo tardi, soprattutto se l’età è avanzata. Il sottosegretario al Welfare Guerra ci assicura che stanno cercando di agire sul versante degli aiuti alla conciliazione e alla cura. Ma l’abbattimento delle iniquità nel merito delle posizioni apicali e nel merito delle discriminazioni si tanno valutando?

Sono dati che mostrano l’ iniquità come anche l’ottusità e la mediocrità che hanno guidato la vita politica degli ultimi decenni nella visione economica complessiva del paese Italia. Capace di escludere scientificamente dalle posizioni decisionali donne nonostante le maggiori competenze. Visione determinata dai ritardi culturali di una società in larga misura immatura e maschilista. Si direbbe “poco male” se non che oggi tali sprechi di capitale umano qualificato non possono più consentirsi e dunque CresciItalia anche nella mentalità.

Il freno al lavoro qualificato delle donne italiane, quelle “studiose” come la mia Italia, che con sforzi non indifferenti per tutto il paese portiamo alle lauree e ai dottorati, è oggi uno dei freni alla crescita complessiva (là dove si è agito in tal senso si è avuta una crescita del Pil di qualche punto percentuale). In momenti di crisi come quello attuale i limiti ideologici e di discriminazione dovrebbero essere annullati per motivi di “forza maggiore” se non di civiltà. Se non ci riesce la società da sola deve farlo chi governa predisponendo provvedimenti in tal senso per evitare discriminazioni e ritardi culturali che implicano ritardi economici.

Il Financial Times ha lanciato una provocazione all’ Italia: imprese assumete come manager le donne over 50, sono istruite più degli uomini, più capaci e hanno superato la fase critica del lavoro di cura. Io dico: non aspettiamo troppo a fare figli, soprattutto per le istruite, che rimandano pensando di far seguire la nascita dei figli alla fase più critica della carriera professionale.

L’attesa non premia, altrimenti in Italia dovremmo avere molte più donne al vertice che in altri paesi, dove i figli arrivano prima.

Cresci-Italia? La mia Italia cresce e i suoi talenti verranno pesati la metà del suo compagno di banco che sbircia sul suo foglio durante le verifiche in classe. Per quale idiozia?

Un consiglio al Governo attuale, al ministro Fornero, al sottosegretario Guerra, come ai futuri: innalzare le percentuali di cui sopra con una legge di parità vera, di riconoscimento e valutazione di merito e competenze reali. Basterebbe un provvedimento ben studiato e a costo economico zero anche se, ne siamo consapevoli, a massima “resistenza parlamentare” in maggioranza maschile, o meglio, maschilista, a partire dalla legge Mosca sulle quote rosa nei CDA. Accompagnarlo agli altri provvedimenti di promozione della maternità di cui si parla da anni (punire le dimissioni in bianco, realizzare asili e assistenza) che sono la priorità, certo. Ma agire sulle discriminazioni nei meriti sarebbe un passo indispensabile per innestare diversi tipi di crescita e sviluppo. Elsa Fornero, che di merito e competenze ne sa qualcosa, potrebbe agire in tal senso senza le lacrime o il sangue di nessuno.

Intanto io ripeto a Italia di non smettere di studiare e le assicuro la migliore qualità di istruzione possibile. Pur nei limiti del sistema scolastico attuale.

Vive in un mondo assolutamente paritario, la scuola, anzi, rosa al contrario. Si fa delle strane idee: che le donne siano “maggioranza decisionale” anche fuori dalle mura scolastiche.

Non dico la maggioranza, quale noi siamo: numerica e di livello d’istruzione, ma almeno la pari opportunità decisionale e la possibilità di diventare Presidente a Italia assicuriamogliela, magari prima che raggiunga gli 80 anni, magari con figli e nipoti. O no? O anche lei si deve rassegnare ad andare via dal suo paese? Facciamo che rimanga e si meriti una chance? E’ il mio augurio per il 2012.

da unita.it

“2012 I ministri a Riccione e la profezia dei Maya” di Michele Serra

Satira in versi per raccontare l’anno che verrà. Talmente sobrio da portare il governo e tutti gli italiani a lavorare anche in spiaggia. L’euro sparirà e ritroveremo il baratto. Torneranno in campo politici che sembravano scomparsi mentre il San Raffaele si trasferirà nei Caraibi. E alla fine la profezia dei Maya…

GENNAIO
Vien gennaio. Sobriamente.
Perché questo è il corso nuovo:
che si mangia, mediamente,
due persone con un uovo.
Molto sobri anche nel bere
perché questo è il nuovo corso:
grande o piccolo il bicchiere
se ne beve solo un sorso.
Ci si copre, e basta e avanza,
con un vecchio paletò
che se stringe sulla panza
basta dimagrire un po’

Il ministro bocconiano
dà l’esempio: in aeroplano
vola a Londra a risuolare
le sue scarpe molto care.

FEBBRAIO
È febbraio. Nevicate
siberiane, che a folate
trasfigurano i passanti.
Son davvero mendicanti
quelle giovani, a Milano
che protendono la mano
per un obolo da poco?
E le unghie rosso fuoco?
E le labbra sifonate?
E le Mini abbandonate
senza benza? E gli Svaroschi
che l’incuria ha reso foschi?
Con il refolo di fiato
che rimane alle tapine
il mistero è rivelato:
“eravamo le Olgettine”

MARZO
Marzo. Un sito neonazista
rende nota un’altra lista
con i nomi degli amici
dei giudei, dei musulmani
dei watussi, dei fenici
degli slavi e dei gitani
dei cinesi e dei Bantù
che si vestono frou frou
dei pigmei, degli invertiti
che si baciano nei bar
dei turkmeni e degli ittiti
ricomparsi nel Qatar.
Ma per essere razzista
quell’elenco ha un’omissione:
manca il nome del fregnone
che ha stilato quella lista

APRILE
Ecco aprile, e Umberto Bossi
fa un proclama: ce li ho grossi.
E per giunta ce l’ho lungo
quasi quanto un nibelungo.
Poi dichiara l’annessione
perlomeno di un Cantone
l’alleanza con la Stiria
(profezia di una valchiria)
e la nascita in Baviera
della Patria quella vera
che si estende dall’Alsazia
fino al centro di La Spezia.
Poi ritira lo stipendio
che gli versa il nostro Stato
per pagargli il vilipendio.
Italiano patentato.

MAGGIO
Maggio. Accade giù nel Mali.
Contadini brevettati
dalle multinazionali
sono i soli autorizzati
a raccogliere la frutta.
E se cantano in combutta
(come i neri del cotone)
va la Siae tutta al padrone.
Tutto il mondo è proprietà
di diciotto società
che decidono che semi
puoi piantare, e solo quelli.
Loro dettano gli estremi
del cacciù, dei rapanelli
delle bietole e del grano.
Nasce il vegetale ariano

GIUGNO
Giugno. Boom della finanza
che recupera importanza
grazie a un nuovo barbatrucco.
Per restare solo al succo:
si cancella il segno meno
con un rigo. Il segno più
lo raddoppi, perlomeno.
Ogni azione, su per giù
vale quello che ti serve
correggendo a pennarello
il listino, sul più bello.
Se ne acquistano caterve.
L’effettiva consistenza
della bolla è uguale a zero
ma si tace, per prudenza
nelle banche e al ministero

LUGLIO
Luglio. Cambia la tendenza
dell’estate balneare.
Si rifiuta l’apparenza.
Ci si sforza di pensare.
Basta tette sventolate
basta droga e notti hard-core
basta con le pacchianate
alla Lapo e alla Briatore.
Si conversa tutto il mese
tra di noi, sulla battigia
della crisi e della grigia
prospettiva del paese.
I più esperti della schiera
hanno buone soluzioni
e si arriva fino a sera.
Che rottura di coglioni

AGOSTO
Ecco agosto. Ecco le amare
decisioni del governo:
qui bisogna lavorare
come fosse pieno inverno.
I ministri, è stabilito
si riuniscono a Riccione
col costume e le infradito
grigi, come da copione.
È un contagio. In ogni spiaggia
c’è chi cuce, chi fa i conti
chi progetta, chi incoraggia
il vicino a fare ponti
chi organizza, tra i palmizi
una gru con pochi arnesi
chi ribalta i pregiudizi
massaggiando le cinesi

SETTEMBRE
A settembre Berlusconi
torna in campo. Ripromette
niente tasse, molte tette
e la Coppa dei campioni
ristoranti sempre pieni
col caviale a mestolate
e piacere senza freni
a operaie e pensionate
doppio ponte sullo Stretto
autostrade di moquette
lo champagne dal rubinetto
e per moglie una soubrette.
Chi credeva fosse morto
si capisce, aveva torto:
viene eletto, con sei voti
nella lista Scilipoti

OTTOBRE
In ottobre l’euro crolla
e non vale più una lira
anche il dollaro s’ammolla
e lo yen proprio non tira.
Franco svizzero e yuan?
Non ci compri neanche il pan!
Oramai, nel mondo intero
il denaro vale zero.
Si ritorna, ed è una scossa,
al baratto, alla misura
delle cose in carne e ossa
allo scambio di natura.
Al Gi Venti di Mombasa
per poter tornare a casa
è costretto, tutto il Gotha,
a concedersi al pilota

NOVEMBRE
Di novembre, in aviogetto
Don Verzé tenta la fuga
e raggiunge la Tortuga
per un ultimo progetto.
È un magnifico ospedale
con la biancheria di lino
e il rimborso regionale
per i letti a baldacchino.
E le flebo sono al rhum
le infermiere Miss Italia
ogni brufolo o frattaglia
è inquadrato con lo zoom.
Dai Sargassi fino a Cuba
tutti accorrono a milioni
e le cure vanno a ruba
tanto paga Formigoni

DICEMBRE
È dicembre, e c’è chi teme
per la profezia dei Maya
e si pente, piange e geme
aspettando la mannaia.
C’è chi canta tra le rupi
chi si droga con le rane
chi fa imbalsamare il cane
che la morte non lo sciupi.
Qualcheduno si suicida
per sottrarsi all’incombenza
di quell’ultima corrida.
Altri dicono: “pazienza”.
Ma una fonte più accurata
spiega meglio i codicilli:
“Moriranno, in quella data
solamente gli imbecilli”

da Repubblica 30 dicembre 2011

Buon anno

Buon 2012 agli affezionati lettori di questo sito, a chi ci stimola a fare meglio, a chi ci critica e a chi ci apprezza. Buon anno ai volontari e ai sostenitori del PD e a tutte quelle donne e quegli uomini che, fianco a fianco, operano per un Paese migliore.

"L'Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa", di Giorgio Napolitano

“Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese, per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell’Italia unita e i suoi 150 anni di vita”. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha aperto il tradizionale messaggio televisivo, a reti unificate, di fine anno.

“Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell’Italia. Che fa tutt’uno con fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità: spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un’economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un’eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute. Non mi nascondo, certo, che nell’animo di molti, la fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. La radice di questi stati d’animo, anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l’Italia si dibatte. Ora, è un fatto che l’emergenza resta grave: è faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno”.

Per il Presidente della Repubblica “lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato nell’ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa dal Parlamento, deve essere portato avanti con rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l’economia riprenderà a crescere : il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale. Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi – nessun gruppo sociale – può sottrarsi all’impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell’Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive”.

Per il Capo dello Stato è necessario impegnarsi “a fondo per colpire corruzione ed evasione fiscale. E’ un’opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità: ed è quanto si richiede egualmente per un impegno di riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina, di intervento incisivo su posizioni di rendita e di privilegio. Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello perché si agisca in queste direzioni, è necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative”.

Quindi, “per procedere con equità si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi. Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall’esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro. Senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro”.

Il Presidente ha ricordato i tanti incontri con le maestranze delle fabbriche: “Comprendo, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell’Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale”.

Il Paese ha davanti grandi prove. “L’Italia può e deve farcela – ha detto il Presidente – la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa. Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all’investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito. E’ a queste misure che ha annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento. Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i giovani e per le donne”.

Per il Capo dello Stato “i sacrifici sono inevitabili per tutti: ma la preoccupazione maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare un futuro ai figli, ai giovani. E’ questo obbiettivo che può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo l’impegno cui non possiamo sottrarci. Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più coerente sforzo congiunto al livello europeo. E’ comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi insoddisfazione per il quadro che presenta l’Europa unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso l’integrazione europea: solo uniti potremo ancora progredire e contare come europei in un quadro mondiale radicalmente cambiato. All’Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali. Abbiamo solo da procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio sentire, in seno alle istituzioni europee – in condizioni di parità – il nostro contributo a nuove, meditate decisioni ed evoluzioni dell’Unione”.

“E’ importante ora che l’Italia possa contare su una fase di stabilità e di serenità politica”, ha sottolineato il Presidente Napolitano. “Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c’è futuro per l’Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all’altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l’emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare. Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti”.

Occorre “una nuova ‘forza motivante’ perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto ‘con speranza fondata verso il futuro'”, ha detto il Presidente Napolitano riprendendo “alte voci spirituali” levatesi nei giorni natalizi. E ha concluso: “La fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia. E allora apriamoci così al nuovo anno: facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l’Italia”.

www.quirinale.it

"Stefania uccisa perchè donna", di Lea Melandri

Un giovane ventiquattrenne, studente di psicologia all’Università La Sapienza di Roma, uccide a coltellate la donna che dice di aver amato “più della sua vita”. Come si può prevenire la violenza, sempre più frequente, che vede l’amore di un uomo trasformarsi in odio, una separazione diventare così intollerabile da trasformarsi in una incontrollata pulsione omicida?

Gli amici e le amiche di Stefania Noce non potevano scegliere un modo migliore per ricordarla che farlo “con le sue parole e le sue lotte”.

Nel sito del Movimento Studentesco Catanese è comparsa in questi giorni una foto in cui Stefania, ripresa durante la manifestazione del 13 febbraio di Se non ora quando? , tiene sollevato un cartello con la scritta

“Non sono in vendita”.

Di seguito, viene riportato un suo articolo pubblicato sul giornalino dell’Università di Catania, La Bussola, che ha come titolo

Ha ancora senso essere femministe?

e come chiusura un giudizio che richiama in modo evidente lo slogan con cui aveva voluto esprimere una delle ragioni per cui riteneva che si dovesse ancora lottare per un’ “uguaglianza” che tenesse conto delle “differenze dei corpi e delle culture”, ma che fosse effettiva:

“Nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione”.

Non poteva immaginare – o forse lo ha inconsapevolmente temuto?- che della possessività maschile, nella sua forma più selvaggia, sarebbe rimasta vittima lei stessa, e per mano della persona che voleva lasciare, ma che aveva sicuramente amato.

Pubblichiamo l’articolo riportato dal sito del Movimento Studentesco Catanese

“Queste righe sono per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare.

A coloro i quali pensano ancora che il “femminismo” sia l’estremo opposto del “maschilismo”:

non risulta da nessuna parte che quest’ultimo sia mai stato un movimento culturale, né, tanto meno, una forma di emancipazione! Cominciando con le battaglie inglesi delle suffragette del primo Novecento e passando per gli anni ’60 e ’70, epoca dei “femminismi”, abbiamo conquistato con le unghie e con i denti molti diritti civili che ci hanno permesso di passare da una condizione di eterne “minorenni” sotto “tutela” a una forma di autodeterminazione sempre più definita. Abbiamo ottenuto di votare e, solo molto dopo, di avere alcune rappresentanze nelle cariche governative; siamo state tutelate dapprima come “lavoratrici madri” e, solo dopo, riconosciute come cittadini. E mentre gli altri parlavano di diritto alla vita, di “lavori morali” e di dentalità, abbiamo invocato il diritto a decidere della nostra sessualità dei nostri corpi.

Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.

Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.

Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum), che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.

Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e, dunque, ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicché le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.

Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perché legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.

Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.

Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo, probabilmente, è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perché di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.

Ci siamo fatte imbrogliare ancora. Ma può un paese di libere donne e uomini liberi essere governato e giudicato da soli uomini? La risposta è NO.

Donne e uomini sono diversi per biologia, per storia e per esperienza.

Dobbiamo, quindi, trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture, ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione.”

Sen (Stefania Noce)

Ciò che colpisce nello scritto di Stefania –l’ultimo, a quello che è dato sapere- è la maturità e la saggezza con cui descrive le ragioni del suo impegno “femminista”: il riconoscimento delle conquiste fatte dalle generazioni di donne che l’hanno preceduta e, al medesimo tempo, la convinzione dell’insufficienza di diritti acquisiti che non sembrano aver scalfito né la perdurante disuguaglianza tra uomini e donne, nei ruoli domestici come nella sfera pubblica, né la violabilità del corpo femminile e la banalizzazione che i media fanno della violenza alle donne.

Nessuna ideologia, nessuna campagna antimaschio, nessun ripiegamento vittimistico, nessuno degli stereotipi con cui vengono solitamente dipinte le femministe, ma un’analisi pacata capace di andare all’origine della cultura patriarcale che passa attraverso le relazioni primarie, l’educazione e i molteplici condizionamenti ambientali di cui gli individui, di un sesso e dell’altro, ancora stentano a prendere consapevolezza.

Quanto può aver contato il lucido impegno di Stefania sulla questione uomo-donna a far nascere conflitti nella sua relazione di coppia e nel provocare la violenza omicida del suo compagno di fronte a una separazione?

Poco o niente, se si pensa che nelle biografie delle donne uccise -93 in Italia dall’inizio di quest’anno- non si è mai parlato di femminismo. Ma non si può certo escludere che la determinata volontà di “non essere oggetto di ostaggio di un uomo” abbia avuto parte nello scatenare l’ira violenta di chi è cresciuto, inconsapevolmente e suo malgrado, nella convinzione che la virilità si misura sulla dedizione e l’arrendevolezza delle donne, per cui risulta intollerabile che abbiano una vita propria, che desiderino essere considerate “persone di sesso femminile” prima che mogli, madri, sorelle.

Detto questo, allora avrebbe ragione chi è pronto, nei casi di stupro come di omicidio, a sentenziare: “se l’è cercata”? Di pregiudizi di questo genere non ci libereremo facilmente. Non so quanta determinazione, quanta forza di intelligenza e di sensibilità, come quella di Stefania, da parte di donne e uomini serviranno ancora per sradicare l’ignoranza, l’ottusità, la leggerezza irresponsabile di quanti e quante preferiscono chiudere gli occhi di fronte alla barbarie evidente che ci portiamo dentro quando confondiamo amore e odio, libertà e schiavitù, rabbia e tenerezza, accoglimento dell’altro e intolleranza.

Mi auguro che su questa, come su altre analoghe drammatiche vicende, si apra uno spiraglio di umana saggezza, capace di porsi la domanda più ovvia:

che cosa possiamo fare, singolarmente e collettivamente, per prevenire una violenza che lascia smarrita e incredula la persona stessa che la mette in atto?

Negare che esistano conflitti, vincoli che diventano spesso intollerabili, prevaricazioni, pregiudizi che abbiamo ereditato, nel rapporto tra uomini e donne, è uno dei maggiori ostacoli per avviare un processo di cambiamento che sarà sicuramente lungo ma che oggi è reale e possibile.

da www.27esimaora.corriere.it

"Così parlò l'anno appena trascorso", di Gianluca Nicoletti

Da “Spread” a “Fukushima” passando per “Equità”: i vocaboli che non dimenticheremo. Sintetizzare un anno attraverso le sue parole chiave equivale a decapitarlo dopo un processo sommario. La parola chiave è un’influenza stagionale, colpisce tutti,ma passa senza lasciar tracce. È una contaminazione fugace da virus mediatico che infesta il linguaggio comune, dopo aver covato per giorni e giorni tra i titoli di giornali e tg. La parola chiave che più ricordiamo corrisponde solitamente all’ultima a manifestarsi, che naturalmente si sovrascrive su tutte le precedenti parole chiave emerse nel corso dell’anno.

Oggi la prima la parola che martella la mente è per tutti:Crisi, che a sua volta rappresenta un contenitore lessicale. Al suo interno riescono a ben convivere sia l’ermetico Spread, dal sinistro schiocco onomatopeico di una frustata, sia la Sobrietà, che porta con sé l’aroma rassicurante di naftalina, nel nostro immaginario il baluardo più efficace per evitare che le tarme potessero divorare il bene rifugio di unvecchio loden delnonno.

Oggi viviamo in sommesso rigore questa chiusura sul filo dell’Equità, funestata da prospettive di Lacrime e sangue, tanto da mettere al bando i frivoli botti di Capodanno. Non possiamo però dimenticare uno spartiacque che abbiamo sintetizzato il termine topografico de Il Colle. In una notte abbiamo così visto sorgereMonti, perdendo di vista filosofie come La patonza deve girare, che nella loro crudezza ispirarono Indignati e fomentarono battaglie su Il corpo delle donne. Ancor prima abbiamo dibattuto sulla Primavera araba e la contaminazione da Fukushima. Poi Bin Laden è morto invisibile, Gheddafi è morto su You- Tube e tutti mangiamo di nuovo sushi. Nemmeno diciamo ancora che Twitter ha salvato la democrazia, anzi l’Hashstag più seguito ieri era ancor quello su Sara Tommasi.

La Stampa 31.12.11

«Fassino ha fatto bene. Ci sono 40 miliardi fermi per pagare le imprese», intevista a Graziano Delrio di Laura Matteucci

Abbiamo sempre denunciato il fatto che il Patto di stabilità così com’è concepito è stupido, iniquo, e di certo non aiuta il Paese a ripartire. Anzi, il contrario: deprime gli investimenti, del 30% solo negli ultimi due anni, blocca persino i pagamenti alle imprese, che giustamente se ne lamentano».
Quindi l’Anci condivide la posizione del sindaco di Torino, Piero Fassino,che ha reso pubblico lo sforamento, rivendicandolo come mossa per “sostenere l’economia della città”?
«Nel merito non ho alcuna obiezione alle parole di Fassino. La sua è da sempre la posizione dell’Anci. È da quando il Patto è nato, con la manovra Tremonti del 2007-2008, che ne chiediamo la revisione, e questa volta Monti e il ministro Giarda si sono impegnati a farla nei primi mesi dell’anno. Comunque quella di Fassino è la presa d’atto di una situazione: nel 2011, dice, Torino ha sforato. Il che non mi stupisce: sono le città più grandi ad accusare le difficoltà maggiori».

Parla Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci, l’Associazione dei comuni, dopo l’uscita di Fassino e una manovra che ha tagliato unaltro miliardo e mezzo di trasferimenti ai Comuni, cui si sommano i 2 miliardi e mezzo già svaniti con le operazioni Berlusconi-Tremonti.
Non teme che Torino farà da apripista per molti altri comuni nel 2012? Che posizione prenderà l’Anci?
«Nel 2012 mi aspetto una revisione vera del Patto: quindi il problema si dovrebbe risolvere alla radice. Del resto, se un sindaco responsabile com’è Fassino allarga le braccia per dire “non ce l’abbiamo fatta” non sta giocando: sta denunciando una difficoltà seria e grave, di cui l’Anci si è sempre fatta carico e che soffrono in molti. Anche se, pur non condividendolo, il 99 % dei comuni il Patto l’ha sempre rispettato».
Stavolta sembra fiducioso: le regole cambieranno a breve.
«Ho fiducia,ma la battaglia noi la portiamo avanti con convinzione, e giudicheremo dai fatti. Non correggere il Patto sarebbe assurdo, tanto più in questa congiuntura economica: quelli locali rappresentano il 50% del totale degli investimenti pubblici. Ne abbiamoparlato anche col ministro Passera (Sviluppo, ndr): l’Italia ha bisogno di ripartire, e allentare la morsa del Patto è uno dei modi per farlo. I suoi effetti distorsivi sono ormai evidenti, e del resto in Germania o in Francia i nostri omologhi non sono soggetti a vincoli di questo genere».
Che significa che il Patto deprime gli investimenti? In che modo?
«Di fatto accade che per poter pagare un’opera pubblica i comuni devono dimostrare di aver avuto un’entrata cash corrispondente. E poiché le entrate di parte corrente dei comuni in questi ultimi anni sono diminuite, per non sforare la conseguenza é il blocco degli investimenti. I comuni hanno in cassa qualcosa come 40 miliardi di euro da pagare alle imprese che hanno lavorato o stanno lavorando per loro, ma non possono farlo».
Le imprese ve ne sarebbero grate…
«Lo so bene. Come so che i mancati pagamenti innescano un circolo vizioso anch’esso nocivo per l’economia. Si tratta di residui passivi che abbiamo chiesto più volte all’allora ministro Tremonti di sbloccare, ma l’ha fatto solo il primo anno. Sono debiti già contratti per opere già cantierate, soldi dovuti insomma».
Esistono delle deroghe al Patto: parte degli investimenti per l’Expo 2015 di Milano, per esempio.
«Le deroghe sono poche e discutibili. Se é considerata strategica l’Expo, non capisco perchè non lo siano la messa in sicurezza delle scuole o le opere idrogeologiche».
La manovra Monti intanto vi ha “sfilato” un altro miliardo e mezzo.
«Accettiamo per senso di responsabilità. Ma rileviamo che persiste un vizio sostanziale: pensare che i comuni siano corresponsabili del disastro dei conti pubblici. In realtà è l’esatto contrario: il deficit dello Stato è determinato per il 98% dalla spesa centrale, e i comuni semmai contribuiscono in modo positivo, alleggerendo i conti».
Oltre alla revisione del Patto, che cosa chiedete al governo Monti?
«Chei comuni vengano coinvolti negli investimenti e siano lasciati più liberi di essere di stimolo al Paese. Che superi la logica dei trasferimenti, a patto si vada verso una completa autonomia finanziaria dei comuni.
Prendiamo l’Imu, la cui metà del gettito finirà nelle casse dello Stato: ecco, noi siamo perchè invece resti del tutto in mano ai comuni, con una contestuale riduzione dei trasferimenti. I conti sono sostenibili».
Nonè che sono sostenibili perché aumenterete la tassazione? L’Anci darà indicazioni in merito?
«Giocoforza, un certo margine di manovra ci sarà. Mantenere i servizi è impossibile senza recuperare almeno parte dei tagli. I cittadini non devono pensare che con l’Imu i comuni avranno più soldi in cassa: non è affatto così. Le indicazioni dell’Anci sono sempre state, e saranno, di salavaguardare le fasce più deboli per mantenere una buona dose di equità. In questo senso, si cercherà di manovrare più sulle seconde
case. Con grande attenzione, considerando che a questo è collegato anche un altro grande tema, quello degli affitti».

L’Unità 31.12.11