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"Le risposte non date il crimine peggiore", di Guido Crainz

Ancora una volta la corruzione sembra essere, almeno in parte, lo specchio del Paese: del degradare del suo ceto politico ed imprenditoriale e, più ancora, del suo vivere civile. Così fu, prima ancora di Tangentopoli, in quei processi di dieci anni prima che già la annunciavano.
MA che nei dorati anni Ottanta furono largamente rimossi. E così fu dopo quella bufera, nella nuova esplosione iniziata nel 2010 e proseguita poi: dallo scandalo della Protezione civile alla “P3” del faccendiere Flavio Carboni, che avevamo già trovato con Ortolani e Gelli e che era ora in collegamento con Dell’Utri e Verdini. Sino a moltissimo altro. Più in generale, una Tangentopoli continuata e aggravata che aveva mutato natura e privilegiava ora il “rubare per sé” sul “rubare per il partito” (sino al “rubare al partito” dei Tesorieri della Lega e della Margherita). Il “primato del sé” dell’età berlusconiana, insomma, coniugato rigorosamente su tutti i versanti.
Difficile stupirsi se nelle diverse scene di questo pessimo film ricompaiono con pesanti rughe, e non solo sul volto, comprimari di questa o quella inquadratura precedente. Scene rivelatrici, tutte: già nei processi liguri del 1983 ritrovammo il socialista Alberto Teardo, comparso poco prima nelle liste della P2. E in quella Liguria, e in quello stesso 1983, iniziava per altri versi la sua carriera di imputato l’allora democristiano Claudio Scajola. Luigi Bisignani, poi, è transitato dalla P2 alla condanna nel processo Enimont e poi alle indagini del 2011 per la “P4”, ed è ricomparso ancora qualche mese fa. Dal canto suo Luigi Grillo, senatore del Partito Popolare nel 1994 dopo una ventennale carriera democristiana, garantì per un soffio la fiducia al primo governo Berlusconi uscendo dall’aula (ed entrando immediatamente in quel governo come degno sottosegretario alla Presidenza): l’inizio di una nuova carriera e al tempo stesso il precoce annuncio dell’era degli Scilipoti.
Il Libano, poi, è storia ancor più vecchia: negli anni Sessanta, mezzo secolo prima di Dell’Utri, vi aveva trovato rifugio un presidente del Milan di allora: il bancarottiere Felice Riva che aveva gettato sul lastrico migliaia di operai del Cotonificio Vallesusa (e aveva illuminato così qualche risvolto meno fulgido del nostro miracolo economico). Difficile fare confronti con chi lo ha seguito ora e anche con l’ex ministro dell’Interno Scajola, accusato di aver favorito la latitanza di un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Amedeo Matacena junior, già fondatore e deputato di Forza Italia in Calabria: il senior lo avevamo visto quarant’anni fa nella rivolta di Reggio accanto al caporione fascista Ciccio Franco.
C’è qualcosa che inquieta, poi, nel ritrovare sul mercato le “competenze” di due nomi eccellenti dei tempi di Tangentopoli, l’allora democristiano Gianstefano Frigerio e il “compagno G”, l’inossidabile Primo Greganti. Inquieta non solo e non tanto il lungo iter giudiziario del primo, intessuto di condanne, interdizioni, affidamento ai servizi sociali: un esempio palmare della pacifica coesistenza di corruzione e politica nel ventennio berlusconiano. Né turba più di tanto l’improbabile sospetto che allora, forse, la linea difensiva del “compagno G” poteva essere fondata, visto che ha continuato a trafficare per sé, secondo l’accusa. Inquieta soprattutto il ritrovarli sulla scena — e sulla scena della modernità italiana, come negli anni Ottanta — proprio per la loro “professionalità”: non più tramite fra mondi imprenditoriali e mondi politici a loro modo coesi ma in qualche misura agenti in proprio. In relazione continuata e aggravata, appunto, a una selva inestricabile di figure annidate nei settori più diversi e frastagliati dell’imprenditoria e della
politica, della burocrazia e del variegato malaffare del nostro Paese. Annidate, più in generale, in molte sue pieghe.
È l’esito quasi inevitabile di questi vent’anni, la loro degna e indecente sepoltura, e ancora una volta il Paese deve interrogarsi su di sé. Sul proprio assuefarsi, perlomeno, a questo degrado, o sul proprio oscillare fra l’assuefazione e la esasperazione urlata e paga di se stessa. Incapace o refrattaria a riflettere sulla qualità dei corifei cui via via si affida, dal Bossi “celodurista” di un tempo sino al duo Grillo-Casaleggio. Non certo aiutata a farlo, inoltre, da una politica che continua largamente ad ignorare o a sottovalutare gravemente il baratro in cui siamo precipitati. Che ancora non sembra cogliere l’urgenza, ad esempio, di interventi drastici sulle procedure degli appalti per renderle meno esposte a questo verminaio.
Misure esemplari, comprensibili e chiare: questo è doveroso attendersi oggi dal governo, insieme ad altre scelte radicali in questa direzione. Insieme ad un grande scatto di dignità della politica nel suo insieme: un soprassalto di ragione, e la dismissione drastica di quelle logiche di fazione — e talora di fazione interna — in cui spesso si attarda. Altrimenti rischiano di ripiegare anche quelle iniziali inversioni di tendenza, quegli ancor timidi “segnali di vigore” che un recentissimo rapporto del Censis vede affiorare nei settori più diversi della nostra società, dai giovani “pendolari globali” all’imprenditoria femminile o a quella dei migranti. Non dare riferimento, fiducia e speranza ai fermenti di vitalità pur presenti sarebbe davvero il crimine peggiore.

La Repubblica 10.09.14

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La fretta cattiva consigliera di MARCELLO SORGI

I primi sondaggi, fatti a tambur battente dopo l’esplosione dello scandalo Expo e l’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola, dicono che l’effetto di quanto è accaduto rischia di essere quello di un terremoto. L’idea che la ragnatela della corruzione si riproponga pari pari, nella stessa città e quasi con gli stessi protagonisti della Tangentopoli di vent’anni fa, sta già lavorando in modo imprevisto sull’opinione pubblica. Quasi metà dell’elettorato, non solo dei pochi e svogliati elettori che finora si erano interessati alla scadenza del 25 maggio, dichiarano che, o cambieranno il loro voto, o sceglieranno comunque di presentarsi ai seggi, abbandonando la tentazione astensionista.

In due parole, la campagna elettorale s’è riaperta. E chi potrebbe trarne i vantaggi maggiori – anche questo confermano i sondaggisti – è Grillo, che ieri, dopo un giorno di riflessione, s’è presentato come il padre dell’inchiesta di Milano e ha detto che solo dopo la sua visita ai cantieri dell’Expo i magistrati si sono sentiti garantiti e hanno preso le loro decisioni.

La campagna del leader di M5s va avanti senza soste e con continui colpi di scena, come ad esempio la visita all’acciaieria di Piombino la scorsa settimana, oppure, sempre ieri, il riferimento ad Aldo Moro, inserito nel Pantheon grillino come vittima di uno Stato che non volle o non potè salvarlo.

E che il timore di un’accelerata 5 stelle monti, a questo punto, è evidente. Lo stesso Renzi ne ha parlato, sebbene per esorcizzarlo, attaccando Grillo perché punta a spostare i sondaggi con lo sciacallaggio sull’inchiesta Expo. Poi ha annunciato per martedì una visita a Milano e ha accolto senza commenti le dichiarazioni del governatore della Lombardia Maroni e del sindaco di Milano Pisapia, favorevoli a chiudere al più presto, almeno sul piano amministrativo, la vicenda dell’Expo: confermando la fiducia all’amministratore delegato Sala e sollevando dal l’incarico il direttore generale Paris, che secondo le accuse era il perno del sistema di corruzione messo su dalle vecchie conoscenze di Mani pulite, il «compagno G» Greganti, collettore delle tangenti destinate al Pci venti anni fa, e l’ex segretario democristiano Frigerio, anche lui coinvolto nella prime indagini di quell’epoca.

Va detto che l’idea di una soluzione rapida che potrebbe essere percepita come un colpo di spugna, seppure delimitando i confini e le persone colpite dall’inchiesta, non sarebbe senza pericoli. Anche se le responsabilità penali sono in corso di accertamento, far riprendere l’attività dell’azienda Expo prima che tutto sia chiarito e mentre la magistratura parla di una «cupola» che si sarebbe insediata a Milano, all’interno della struttura incaricata dell’organizzazione dell’esposizione universale e degli appalti necessari per realizzarla, dal punto di vista politico comporta più di un rischio. Se nei prossimi giorni l’inchiesta dovesse avere nuovi sviluppi, magari con nuovi arresti, a partire dagli interrogatori degli imputati e nell’eventualità che saltino fuori altri personaggi inquisiti, i politici e le parti politiche che avessero cercato di circoscrivere le conseguenze dello scandalo si renderebbero sospettabili, proprio agli occhi di quell’opinione pubblica che vede come un incubo il ritorno di Tangentopoli, di non aver voluto far pulizia fino in fondo. È anche per questo che dall’arrivo di Renzi a Milano martedì prossimo è lecito aspettarsi sorprese.

La Stampa 10.05.14

Università: Ghizzoni, proposta Pd per no tax area fino a 20.000 euro

“Lunedì prossimo il Pd depositerà una proposta di legge che punta a rivedere la tassazione universitaria per renderla equa, progressiva e graduale”. Lo afferma Manuela Ghizzoni, deputata Pd e vicepresidente della Commissione Istruzione della Camera. “No tax area fino a 20.000 euro di ISEE, assegnazione agli atenei statali di una quota aggiuntiva di finanziamento in proporzione al numero degli studenti esenti, importo medio regionalizzato della contribuzione studentesca non superiore ai 900 euro. Sono i tre punti chiave della proposta grazie alla quale una platea ampia di studenti potrà accedere agli studi gratuitamente o con costi realmente commisurati alle proprie capacità economiche, senza tuttavia che i bilanci degli atenei entrino in sofferenza. Ecco perché riteniamo la nostra proposta in grado di garantire agli studenti italiani un sistema di accesso all’università finalmente equo e attrattivo”.

“Questo tempo, caratterizzato dalla crisi economica e da nuovi bisogni sociali, – continua Ghizzoni – richiede alla politica grandi responsabilità e capacità di innovare, motivo per cui riteniamo che la proposta del M5S sia inadeguata e parziale: prevedendo infatti l’abrogazione di una norma introdotta con la spending review, si limita a ritornare allo status quo ante. Paradossale, ma forse non tanto, per chi a parole si professa antisistema mentre in pratica non è in grado di incidere in modo davvero innovativo. E’ apprezzabile, invece, che il governo si sia già reso concretamente disponibile a intraprendere un percorso condiviso con il Parlamento per rendere la tassazione studentesca un elemento attrattivo e non respingente per l’accesso all’università. L’aumento di 150 milioni del Fondo di finanziamento statale e di altrettanti del fondo per le borse di studio sono le giuste premesse che ci fanno essere ottimisti sui futuri investimenti necessari a dare gambe alle novità previste dalla proposta e quindi ai talenti dei nostri giovani”.

"Europee, sfida a distanza Renzi porta il Pd al 33% Grillo sotto di dieci punti e Forza Italia tracolla", di Ilvo Diamanti

Le stime di voto elaborate in base al sondaggio condotto da Demos negli ultimi giorni forniscono indicazioni piuttosto chiare. Particolarmente positive per il PD. Che oggi si collaca largamente al di sopra delle altre liste. Ma anche del risultato ottenuto alle elezioni politiche del 2013, quando si era fermato poco sopra il 25%. Oggi, invece, raggiunge quasi il 33%. Oltre 7 punti più dell’anno scorso. Un dato tanto più significativo in quanto tutti gli altri partiti appaiono molto staccati. Per primo il M5s, peraltro l’unico che superi il 20%. Ma, comunque, 10 punti meno del PD. Forza Italia, invece, appare in calo sensibile. Scivola, infatti, al 17,5%. Viene così meno il gioco fra tre grandi minoranze, emerso alle precedenti elezioni politiche. Oggi, se i risultati riproducessero questo quadro, vi sarebbe un solo partito con una base elettorale davvero ampia. Con un solo sfidante, a grande distanza: il M5s. Peraltro, un non-partito. Mentre il peso elettorale degli altri partiti è molto più ridotto. A causa, della — sostanziale — scomparsa del Centro e dell’implosione del Centro- Destra. Dove Forza Italia appare in sensibile declino. Incapace di attrarre e coalizzare l’area. D’altronde, il NCD, dopo la scissione, si è attestato su un livello piuttosto solido, intorno al 7%. Ma anche i Fratelli d’Italia (anche grazie al richiamo ad AN) si collocano oltre la soglia di sbarramento del 4%. Queste formazioni beneficiano, in buona misura, della debolezza di Forza Italia e, quindi, di Berlusconi. Il che potrebbe, in futuro, lasciare tracce profonde nei rapporti politici tra questi soggetti. Complicando, dopo le Europee, la possibilità di ricomporre alleanze nel Centro-destra. La Lista di Sinistra, Altra Europa con Tsipras, sembra invece in ripresa, rispetto ad altre rilevazioni recenti. In grado, comunque, di superare lo sbarramento del 4%, che permette di eleggere rappresentanti al Parlamento europeo. Un’impresa che appare possibile anche alla Lega. Ma a nessun altra lista. Occorre, però, grande prudenza nel tradurre queste stime in previsioni di voto. Lo si dice sempre, ma stavolta va ribadito con particolare chiarezza. Non solo perché mancano ancora oltre due settimane. Ma perché le Europee sono elezioni particolari, meno sentite dai cittadini. Tanto che una quota significativa di essi non sa neppure che — né perché — si voti, fra un paio di settimane. Anche 5 anni fa l’affluenza alle urne fu molto bassa: il 66% circa. Difficile che quest’anno si vada oltre. Più facile, semmai, il contrario. Per questo è probabile che molto possa ancora cambiare, prima del 25 maggio. Perché l’incertezza è molto alta. E la posta in palio non è chiara a tutti.
Molto, dunque, dipenderà dalle prossime settimane di campagna elettorale. Di certo, le stime del PD — molto elevate — dipendono in larga misura dal consenso personale nei confronti di Renzi. Il 63% degli elettori, infatti, esprime fiducia nei suoi riguardi.
Il doppio, perfino il triplo, di ogni altro leader. Renzi, oggi dispone di un consenso personale larghissimo. E trasversale.
È stimato dal 90% degli elettori del PD. E dal 60% tra quelli della maggioranza. Ma raccoglie il consenso di circa 6 elettori su 10 anche in alcuni partiti di opposizione. In particolare di FI e della Lega. Lo stesso si osserva tra gli elettori incerti e reticenti (un aspetto che può diventare importante, in prospettiva del voto). Solo nella Sinistra e nel M5s il premier è meno apprezzato. D’altronde, Renzi ha scavalcato i tradizionali confini della sinistra anche sul piano socio-economico. Secondo un sondaggio della Confartigianato regionale, condotto in questi giorni, infatti,
il premier è apprezzato da quasi il 60% degli artigiani veneti. Molto più di ogni altro leader nazionale.
La figura di Renzi, dunque, trascina il PD ma anche il governo. Che oggi dispone di un sostegno superiore al 60%: 5 punti in più dello scorso febbraio. Parallelamente, si è rafforzata la convinzione che “il governo ci porterà fuori dalla crisi”. Oggi è condivisa dal 58%: 4 punti in più di tre mesi fa, quando il premier si è insediato (allontanando, bruscamente, Enrico Letta). Ciò suggerisce che le tensioni nella maggioranza e nello stesso PD, emerse più in questa fase, nel percorso delle riforme in Parlamento, non abbiano danneggiato la credibilità del governo né del suo premier. Ma l’abbiano, al contrario, perfino rafforzata. In quanto hanno “personalizzato” il partito e il governo. Marcando l’autonomia e la determinazione del Capo. Così, se, da un lato, si ripropone il vizio antico del voto di fiducia, oggi, per altro verso, il partito e il governo appaiono più renziani che mai.
Il risultato delle europee, in fondo, dipende da questo. Dalla capacità di Renzi di trasformarle in un referendum. Non tanto pro o contro l’Europa. Ma pro o contro di lui. Per trainare “personalmente” il PD. Da ciò, peraltro, dipende anche il risultato del M5s. Che l’anno scorso andò molto al di là delle stime dei sondaggi. In parte, perché le stime dei sondaggi non sono “previsioni” (semmai: profezie). In parte, perché Grillo e il M5s recuperarono molti consensi nelle ultime settimane. Negli ultimi giorni. Quando riuscì a canalizzare e, anzi, ad amplificare il ri-sentimento, profondo e largo, che agitava la società. Quel ri-sentimento non si è placato. Ma rischia, anzi, di ri-esplodere in modo fragoroso. In seguito alle gravi vicende che hanno investito, di nuovo, la politica e i politici. Scandite dagli eventi clamorosi di ieri. L’arresto dell’ex ministro Scajola, accusato di aver favorito la latitanza di Matacena, ex deputato, condannato per collusione con la mafia. L’arresto di 7 figure di rilievo, dell’amministrazione pubblica, della politica, dell’impresa, per affari illeciti, sviluppati intorno all’Expo. Echeggiano storie note, come i nomi di alcuni arrestati. Come Primo Greganti, Gianstefano Frigerio, protagonisti di Tangentopoli. Una stagione che pare non volersi chiudere. E getta un’ombra pesante sul sistema partitico, ma anche sulla campagna elettorale.
Così, le prossime Europee rischiano di tradursi in un duplice referendum. Oltre a quello pro o contro Renzi, infatti, potrebbe riproporsene un altro. Pro o contro il sistema partitico, i politici e le istituzioni. Alimentando di nuovo quel clima di distacco e rifiuto della politica, intercettato e interpretato, fino ad oggi, dal M5s. Così, le Europee rischiano di avere profonde conseguenze politiche. Per l’Italia, prima che per l’Europa.

La Repubblica 09.05.14

"Il sottobosco affaristico da cancellare", di Luigi La Spina

Preoccupazione per la sorte di un evento, quello dell’Expo a Milano, che sarà molto importante per l’economia nazionale nel prossimo anno. Sconcerto per la spregiudicatezza di clan affaristico-malavitosi con forti legami politici che sfidano i controlli di legalità previsti per una manifestazione del genere. Soprattutto sorpresa per il riemergere, tra gli indagati, di personaggi simbolo del malaffare partitico nella prima Repubblica, come Greganti e Frigerio.
Figure che credevamo scomparse negli angoli più tristi della nostra memoria. Queste sono le prime impressioni che l’inchiesta, annunciata ieri dalla procura di Milano, sicuramente ha suscitato in un’opinione pubblica pur abituata, purtroppo, a non stupirsi facilmente. Eppure, a una riflessione meno immediata, la continuità, se vogliamo definirla così, da più di vent’anni, di un personale parapolitico dedito all’intermediazione criminale si può spiegare proprio dalla fine del regime spartitorio di finanziamento partitico avvenuta, nei primi Anni 90, sotto i colpi di Mani pulite.

All’epoca, la cosiddetta «dazione ambientale» a tutto o quasi l’arco delle forze politiche seguiva regole che garantivano un po’ tutte le correnti dei partiti, con un controllo piramidale e gerarchico che assicurava un flusso costante di denaro per le spese necessarie a un sistema di clientele assai dispendioso. A tali incombenze si dedicavano personaggi dotati di una disinvolta e affidabile «professionalità», capaci di trovare i canali giusti per arrivare alle centrali del potere economico e, magari, anche malavitoso, ma anche, come dimostrò Greganti, capaci di sopportare, senza imbarazzanti delazioni, le conseguenze degli infortuni giudiziari ai quali la loro attività era inevitabilmente soggetta.

Non è tanto sorprendente, perciò, che a quella loro «professionalità» si sia ricorsi quando, scomparso quel sistema rigido di approvvigionamento finanziario dei partiti, la corruzione si sia trasferita a gruppi di potere legati a clan capitanati da baronie locali, sia del crimine organizzato, sia della politica, sia dell’economia. Una competenza nell’individuare le strade più sicure per concludere gli affari all’ombra degli appalti pubblici che, evidentemente, non poteva essere sprecata.

La persistenza di questi personaggi alla ribalta di inchieste giudiziarie così clamorose, però, non si spiega solo in questo modo, ma anche con la parallela persistenza di un sottobosco politico che è sopravvissuto alle più o meno velleitarie e sbandierate rottamazioni di classe dirigente. Ecco perché solo un più profondo e radicale cambiamento, anche nella cosiddetta società civile o pseudo tale, potrà produrre sostanziali effetti di moralizzazione nella nostra vita pubblica.

Tocca alla magistratura, naturalmente, operare con fermezza e con rigore procedurale, auspicabilmente senza i contrasti interni, ideologici o di potere, che sono affiorati in questi giorni dalle cronache sul palazzo di giustizia di Milano. Ma non bastano giudici e manette, ed è troppo facile, o forse troppo ingenuo e, magari, pure imprudente, che la politica si «chiami fuori» da queste vicende, come ha dichiarato per esempio, ieri, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Una cosa è non voler interferire, giustamente, nelle indagini della magistratura rispettandone l’indipendenza e un’altra è sottrarsi a un compito che spetta, assolutamente in prima persona, alla politica.

L’accentramento della corruzione al vertice dei partiti, durante la prima Repubblica, sicuramente agevolò l’opera della magistratura nelle indagini e nella repressione del fenomeno. Molto più difficile, invece, è l’opera di moralizzazione che, ora, deve essere compiuta in questa dispersa e variegata giungla di criminalità, legata a capi della malavita organizzata che utilizzano boss politici locali e vecchi esperti dell’intermediazione affaristica nelle burocrazie dello Stato e dei comuni. La rottamazione di qualche anziano leader di partito servirebbe solo a una superficiale riverniciatura dell’immagine pubblica da esibire in tv, sui giornali o nella rete se non fosse accompagnata da un impegno a spezzare non solo i legami con le resistenze di un sottobosco affaristico tutt’altro che rassegnato alla scomparsa, ma, e soprattutto, con un sistema di manipolazione degli appalti che sfugge a controlli anche su manifestazioni sotto l’attenzione generale come quella che si concentra sull’Expo. Perché l’Italia deve dimostrare, anche davanti all’opinione mondiale che ci giudica come un Paese dove investire è troppo rischioso, che non si rassegna a dover rinunciare a qualsiasi opera pubblica importante per lo sviluppo della nostra debole economia perché non è in grado di garantire il rispetto della legalità.

La Stampa 09.05.14

"Ora e sempre Tangentopoli", di Alberto Statera

“Scusate il ritardo, il compagno G. è tornato”. Forse non ci crederete, ma è proprio questo il titolo che ha voluto dare alla sua autobiografia Primo Greganti, il roccioso funzionario del Pci-Pds che, detenuto a San Vittore per sei mesi all’epoca di Tangentopoli, mai crollò durante gli interrogatori, meritando “da eroe” il titolo di “Uomo di marmo”, tardo epigono italico dell’”Uomo d’acciaio” di Mao Tse Tung.
Scusate il ritardo, ma è tornato davvero in galera solo ieri il compagno G., ironia della storia che è prodiga di vendette, proprio nel giorno dell’arresto di Claudio Scajola, l’ex ministro dell’Interno berlusconiano, frequentatore delle patrie galere fin da giovanetto, quando sindaco di Imperia finì in cella accusato di tangenti sull’appalto del Casinò di San Remo, e di Gianstefano Frigerio, antico pregiudicato, ex segretario della Dc lombarda ed ex deputato di Forza Italia. Arrestati insieme a piccola parte dell’ormai tradizionale e immenso sistema affaristico del berlusconismo, che da qualche lustro rimpingua le cronache giudiziarie dell’Italia degli affari sporchi.
Da una parte, ventidue anni dopo, il compagno G., l’uomo che sfatò comunque il mito della “diversità” del Pci-Pds. Dall’altra, la struttura criminale che ha governato il paese durante un intero ventennio, capeggiata da un pregiudicato che oggi gode di privilegi mai visti in un paese di democrazia avanzata e composta di personaggi da Chicago anni Venti che periodicamente ricompaiono nello sfondo. Come il noto Cesare Previti, ex ministro della Repubblica che, pur non indagato, rispunta nelle vicende legate agli appalti dell’Expo di Milano del 2015. Chi era l’anima bella che poteva pensare il grande evento milanese, gonfio di miliardi, fosse immune dalle strategie rapinose di una classe dirigente tuttora purtroppo coinvolta nel governo del paese? Tutto già visto, tutto purtroppo già previsto.
“Oggi è già ieri” si chiamava il remake del film americano “Ricomincio da capo”, con Andie MacDowell, nel quale lo stesso giorno si ripeteva tutto con le stesse persone. Gli stessi incontri, le stesse frasi ripetute giorno dopo giorno ossessivamente, fino allo sfinimento. Torna dopo vent’anni il Compagno G., che se stavolta riafferma l’estraneità del suo partito forse dice la verità (ma le cooperative?). E torna, come in un destino persecutorio e ossessivo, il suo contrario, che fu Gianstefano Frigerio, segretario regionale lombardo ai tempi di Tangentopoli. Mai Frigerio fu di marmo, come il suo omologo diciamo “di sinistra”. Fu sempre di pastafrolla Gianstefano. Fu lui a raccontare tutto — la Cupola che si spartiva gli appalti, le tangenti, i miliardi ai partiti — al giovane e allora super- ormonico Antonio Di Pietro. Si vedevano al ristorante in via Morigi a Milano il Frigerio, con Maurizio Prada, cassiere della Dc, e Sergio Radaelli, tesoriere occulto del Psi di Craxi. Di Pietro li ascoltò per mesi a raccontare nefandezze intorno al desco, poi una sera disse loro: «Ora mettiamo a verbale». Furono tutti un fiume in piena e raccontarono il grande teorema della Cupola, come si dividevano da sempre le tangenti tra i partiti, con i tavoli tra le grandi imprese e le algebriche divisioni secondo i pesi elettorali e di potere. Fu allora che Frigerio, che oggi si direbbe “’a carogna”, fu soprannominato “l’infame”, per distinguerlo da Greganti, detto “la tomba”. Ma si trattava di difendere un sistema che nel ventennio precedente, come in quello successivo, sugli affari personali, le nuove ricchezze di rapina, ha fondato la sua esistenza.
Ora Greganti, l’ex “uomo di marmo”, intermedia per sé, come sostenne senza esitazioni, ma forse mentendo, un ventennio fa. Gli altri sono i soliti campioni del verbo berlusconiano: ”Andate e arricchitevi”. Come? Come potete.
Chi pretendeva “contanti” di sfioro sugli appalti, come Frigerio, già espertissimo da tanti anni su quelli della Metro milanese, chi lo 0,8 per cento sul business, come Greganti, con la sua società. Politici di riferimento? Certo, ma non servono più come una volta, quando contavano di più. Ormai il sistema è personale, con i politici sullo sfondo.
Non dite perciò, per favore, che è la nuova Tangentopoli. E’ peggio, molto peggio. E’ un sistema diverso, sul quale non incide il Manuale Cencelli dei pesi elettorali, che serviva a dividere esattamente le percentuali tangentizie, ma la capacità affaristica dei singoli. Certo, la politica poi potrà agevolare avanzamenti di carriera, nomine pubbliche, come da decenni fanno per mestiere Gianni Letta e il suo braccio operativo Luigi Bisignani: generali dei carabinieri, della Finanza, prefetti comprensivi e vogliosi di carriera, supermanager in servizio permanente e effettivo, la cui riconferma è legata ai circoli che contano. O imprenditori “di sistema.”
Prendete Enrico Maltauro, capo della più grande impresa veneta di costruzioni, che ha dilagato ovunque e che riempie le cronache giudiziarie senza che nessuno si sia chiesto se è magari opportuno escluderlo dai più grandi appalti. Arrestato nel ‘92, quando imperava la Cupola dei lavori pubblici governata dagli uomini della Dc e del Psi, Maltauro è rientrato alla grande nel giro, come Frigerio e Greganti. Peggio, come uno dei padroni degli uomini dell’Expo 2015. Non doveva essere, l’evento epocale milanese l’epitome della trasparenza, cristallino e basta? Niente ‘ndrangheta, niente appalti truccati, niente Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere, niente Lupi, niente Formigoni, che forse si appresta ormai a conoscere non più gli agi delle case dei Memores Domini, ma i disagi di case meno accoglienti.
Si sono sbracciati tutti per l’Expo, futuro emblema dell’Italia che rinasce. Così dicevano i mille sponsor del grande evento epocale, compresi il povero Roberto Maroni, vittima sacrificale di una nuova Tangentopoli che probabilmente gli passa un miglio sopra la testa, e persino Matteo Renzi, che ha dovuto gratificare l’immensa retorica per l’evento, diciamo “per contratto”. I politici furbi hanno fatto come Luigi Grillo, ex parlamentare di Forza Italia e del Pdl, che ha capito tutto. Macché Parlamento, è fatto per quei poveretti disoccupati e sfigati dell’omonimo Grillo (Beppe) e per le badanti di Berlusconi. Meglio farsi una società. Così, dopo aver difeso a suo tempo, naturalmente per interesse, l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio nell’indifendibile vicenda dell’Antonveneta, si è improvvisato presidente della Termomeccanica, società comprata da un’altra vecchia gloria: Enzo Papi, ex Fiat arrestato ai tempi di Tangentopoli. Quello che quando uscì da San Vittore si portò via in sacchi della spazzatura neri viveri, caffè, fornelli, bombole del gas e pentole, lasciando un ricordo indelebile di disgusto tra i suoi compagni di pena, che su quei pochi resti di detenzione di un ricco e potente contavano.
Macchè “a volte”. Ritornano “sempre”. Perché mai se ne sono andati. Esattamente come l’ex onorevole Scajola, forse tornato in galera “a sua insaputa”.

La Repubblica 09.05.14

"Effetto Renzi nel Nord-Est: Pd primo partito" di Roberto D'Alimonte

Effetto Renzi sui sondaggi: il premier e segretario democratico spinge il suo partito che è primo al Nord Est con il 34,2% (33,8% a livello nazionale), secondo la rilevazione pubblicata dal Sole 24 Ore. Bene anche il M5S che però non “sfonda” e resta dieci punti sotto il Pd. Tra gli intervistati via libera alle riforme istituzionali e consensi sull’elezione diretta del capo dello Stato. Scetticismo sull’effetto degli 80 euro in busta paga: non riuscirà a risollevare i consumi e l’economia. La priorità resta il lavoro. I sondaggi vanno sempre presi con molta cautela. Questo è tanto più vero in tempi di crisi e di cambiamento. Se a questo si aggiunge il fatto che le prossime elezioni riguardano il parlamento europeo e non il governo nazionale la prudenza deve essere ancora maggiore. Questo vale soprattutto per le percentuali di voto. Vale meno però per le tendenze. Da settimane la tendenza di fondo rilevata da tutti i sondaggi è che il 25 maggio il Pd di Renzi otterrà la maggioranza relativa dei voti degli italiani che si recheranno alle urne. Il nostro sondaggio conferma questa tendenza. La stima è il 33,8%. Se così sarà, il premier potrà vantare un bel successo, l’unica volta nel corso della Seconda Repubblica che una lista di sinistra è arrivata prima alle europee è stato nelle elezioni del 2004, ma si trattava per l’appunto di una lista, quella dell’Ulivo, e non di un partito. Per di più a quell’epoca Forza Italia non aveva ancora assorbito An. Altri tempi.
Renzi piace. Questo dicono i dati. Il Pd non sarebbe oggi il primo partito senza Renzi. A febbraio dello scorso anno, alle politiche che hanno segnato il tramonto della “vecchia sinistra”, il primo partito era stato il M5S che alla Camera aveva ottenuto il 25,6% dei voti. Oggi il partito di Grillo è stimato al 22,2%, più di dieci punti percentuali sotto il Pd. Non solo il partito di Renzi risulta essere primo a livello nazionale ma lo è anche nel Nord Est, una zona in cui la sinistra ha sempre avuto grandi difficoltà. In Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia il risultato del Pd è analogo a quello nazionale, come risulta da un sondaggio parallelo fatto specificatamente in queste tre regioni. In questa zona il M5S alle politiche del 2013 era stato il partito più votato. Una volta il Nord Est era la vera roccaforte di Forza Italia e Lega, come lo era stato per la Dc ai tempi della Prima Repubblica. Già alle politiche dello scorso anno si era visto il netto declino di Forza Italia e Lega. Oggi la somma dei loro voti non fa la percentuale del Pd. Pare che il Nord Est sia diventato più simile al resto del Paese. Forse è l’effetto della crisi economica.
È anche l’effetto della smobilitazione dell’elettorato moderato. Tanti intervistati dicono che non andranno a votare e tanti non sanno per chi votare. Tra questi ultimi molti non andranno effettivamente a votare. In questa area grigia tra astensionismo e indecisione si nascondono molti elettori moderati delusi. E anche molti potenziali elettori di Renzi che qui raccoglie giudizi assai positivi. Così si spiega il risultato modesto di Forza Italia sotto il 20%. Molti non credono più in Berlusconi ma non credono nemmeno in altri. Per questo occorre prudenza nei giudizi. Le percentuali di questo e degli altri sondaggi sono calcolate su una base di votanti inferiore non solo a quella delle politiche del 2013 (75,2%) ma anche a quella delle europee del 2009 (65,1%). Una base più bassa alza le percentuali di voto senza che aumentino i voti. Questo vuole dire che lo smottamento del centro-destra non si è tradotto automaticamente in flussi di voto a favore di Renzi e di Grillo. Questi ci sono. Ma ci sono anche, e sono significativi, i flussi verso l’astensione. Il risultato di Forza Italia si spiega anche così e non solo con la scissione del Ncd di Alfano che viene stimato qui al 6,5%.
Pur tenendo conto di tutto ciò resta il fatto che molti dati indicano che il successo di Renzi non è legato solo alla sua capacità di portare a votare i suoi sostenitori in un contesto in cui molti elettori non votano i loro vecchi partiti. Renzi è indubbiamente un leader popolare, capace di attrarre consensi anche tra elettori non di sinistra. E lo è nonostante le modalità, sgradite alla maggioranza degli italiani, con cui ha sostituito Enrico Letta. Lo dicono i giudizi positivi sul suo governo e la fiducia nella sua persona. Così come è elevato il consenso alle riforme istituzionali che ha messo in cantiere, tra cui non figura l’elezione diretta del presidente della Repubblica che riscuote il consenso dell’80% degli intervistati. Berlusconi sarà contento.
Eppure dal complesso dei dati emerge che Renzi vince ma non convince ancora del tutto. Molti italiani gli fanno credito ma con prudenza. E questo spiega molto probabilmente la persistenza del fenomeno Grillo. Molti si aspettavano un forte ridimensionamento del M5S a un anno dal suo exploit di febbraio 2013. E invece pare che non sarà così. C’è un dato in questo sondaggio che colpisce più di altri. La maggioranza relativa degli intervistati attribuisce la maggiore responsabilità per la crisi economica alla classe politica. Non al debito, all’Europa o altro. È una conferma netta di come le opinioni degli italiani siano ancora profondamente influenzate dall’anti-politica. È questo sentimento che continua ad alimentare il successo di Grillo e che frena quello di Renzi.
In conclusione, molto è cambiato rispetto alle politiche di un anno fa, ma molto è rimasto immutato. La competizione politica è ancora a tre e non a due. Questo è il dato di fondo. Ma tra i tre il Pd ha conquistato un vantaggio considerevole. Gli altri partiti sono destinati a giocare il ruolo dei comprimari. Nonostante il sistema di voto proporzionale e il fatto che queste siano elezioni in cui tradizionalmente gli elettori si sentono più liberi di votare in maniera diversa alla fine saranno pochi i partiti che supereranno la soglia del 4%. Ma disincanto, scetticismo, rabbia creano un mix che rende il quadro ancora molto instabile. Da oggi al 25 maggio in questo scenario tutto può ancora accadere. O potrebbe anche non accadere nulla. E scoprire il 25 sera che la fotografia di oggi è quella vera.

Il Sole 24 Ore 09.05.14

"Il M5S si astiene su dimezzamento F35. La guerra di Grillo ai suoi elettori di sinistra", di Alessandro Parodi

In Commissione Giustizia della Camera, il Partito Democratico, vota il dimezzamento del programma sui cacciabombardieri F35. Il Movimento 5 Stelle, invece, si astiene. Un caso? Crediamo di no. Da quanto il movimento è in Parlamento, Beppe Grillo sembra aver dichiarato una vera e propria guerra, trasversale a quella all’indefinita Casta, ai propri elettori di sinistra. Dopo aver pescato a mani basse nell’immaginario identitario della sinistra italiana, da Pertini a De Andrè, da Gaber a Berlinguer, una volta conquistata quella fetta di elettorato deluso, non senza motivi, dai partiti progressisti tradizionali, Grillo ha indirizzato i suoi cittadini verso una deriva conservatrice, postulata nel celebre brano pubblicato dopo il voto favorevole dei suoi all’abolizione del reato di clandestinità:

Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico
Insomma, sembra dire Grillo ai suoi: “Se avessimo inserito nel nostro programma un tema così di sinistra, non ci avrebbe votato nessuno”. È quindi evidente che chi si sente di appartenere a quella parte politica è stato in qualche modo raggirato, confuso ed irretito da un messaggio di contrapposizione: come se bastasse essere contro Berlusconi per proporre valori di sinistra. Ma non solo reato di clandestinità, non solo F35.

L’astensione, che impegna poco, è la via maestra: così sul Decreto Scuola in cui venivano stanziati 100 milioni di euro per il diritto allo studio per i capaci e meritevoli privi di mezzi garantendo loro la possibilità di raggiungere più alti gradi di istruzione; o così sul Decreto Bray sul rilancio della cultura che si configurava come un’importante inversione di tendenza rispetto ai governi per cui “con la cultura non si mangia”.

Molti elettori provenienti da sinistra potranno pensare che questo atteggiamento sia proprio del solo Grillo, di una sua tattica di fondo, della ricerca del voto a destra, come di fatto confermano le sue ultime esternazioni sulla “peste rossa”; come contraltare, potrebbe pensare l’elettore di sinistra, in fondo la Rete e i cittadini sui territori riusciranno in qualche modo a riportare sul campo una linea più vicina ai propri principi. Sicuri?

Dopo l’anatema di Grillo sul suo blog venne lanciato una consultazione online a proposito del reato di immigrazione clandestina: la rete decise per l’abolizione, sconfessando Grillo. Ma al passaggio alla Camera arriverà il voto contrario del Movimento che, di fatto, sconfesserà la Rete.

Anche dai territori la situazione non è diversa, come è verificabile nel caso del voto in Consiglio Comunale di Torino contro la chiusura del CEI Brunelleschi proposta da PD e Sel: in quel caso il M5S votò, stiamo parlando del Febbraio di quest’anno, compatto insieme al centrodestra.

Insomma, il M5S e Beppe Grillo, in questo inscindibili, hanno rinunciato da tempo a farsi portatori di quella sinistra in parte alternativa e in parte semplicemente stanca di una linea politica morbida e stantia. Il paradosso del M5S è quello di voler essere un movimento che rappresenti tutto il Paese e poi aver condotto, il giorno dopo essere entrato in Parlamento, una linea tendenzialmente di destra, antagonista per principio a tutto ciò che poteva venire dal Partito Democratico, in nome di una ricerca del consenso per contrapposizione.

E se e è difficile esprimere un’azione di sinistra esclusivamente mediante la contrapposizione a Berlusconi, figuriamoci se è possibile oggi contrapponendosi a un Partito Democratico che riduce le spese militari e il cuneo fiscale per 10 milioni di lavoratori.

da Huffington post 08.05.14