attualità, politica italiana

"Ora e sempre Tangentopoli", di Alberto Statera

“Scusate il ritardo, il compagno G. è tornato”. Forse non ci crederete, ma è proprio questo il titolo che ha voluto dare alla sua autobiografia Primo Greganti, il roccioso funzionario del Pci-Pds che, detenuto a San Vittore per sei mesi all’epoca di Tangentopoli, mai crollò durante gli interrogatori, meritando “da eroe” il titolo di “Uomo di marmo”, tardo epigono italico dell’”Uomo d’acciaio” di Mao Tse Tung.
Scusate il ritardo, ma è tornato davvero in galera solo ieri il compagno G., ironia della storia che è prodiga di vendette, proprio nel giorno dell’arresto di Claudio Scajola, l’ex ministro dell’Interno berlusconiano, frequentatore delle patrie galere fin da giovanetto, quando sindaco di Imperia finì in cella accusato di tangenti sull’appalto del Casinò di San Remo, e di Gianstefano Frigerio, antico pregiudicato, ex segretario della Dc lombarda ed ex deputato di Forza Italia. Arrestati insieme a piccola parte dell’ormai tradizionale e immenso sistema affaristico del berlusconismo, che da qualche lustro rimpingua le cronache giudiziarie dell’Italia degli affari sporchi.
Da una parte, ventidue anni dopo, il compagno G., l’uomo che sfatò comunque il mito della “diversità” del Pci-Pds. Dall’altra, la struttura criminale che ha governato il paese durante un intero ventennio, capeggiata da un pregiudicato che oggi gode di privilegi mai visti in un paese di democrazia avanzata e composta di personaggi da Chicago anni Venti che periodicamente ricompaiono nello sfondo. Come il noto Cesare Previti, ex ministro della Repubblica che, pur non indagato, rispunta nelle vicende legate agli appalti dell’Expo di Milano del 2015. Chi era l’anima bella che poteva pensare il grande evento milanese, gonfio di miliardi, fosse immune dalle strategie rapinose di una classe dirigente tuttora purtroppo coinvolta nel governo del paese? Tutto già visto, tutto purtroppo già previsto.
“Oggi è già ieri” si chiamava il remake del film americano “Ricomincio da capo”, con Andie MacDowell, nel quale lo stesso giorno si ripeteva tutto con le stesse persone. Gli stessi incontri, le stesse frasi ripetute giorno dopo giorno ossessivamente, fino allo sfinimento. Torna dopo vent’anni il Compagno G., che se stavolta riafferma l’estraneità del suo partito forse dice la verità (ma le cooperative?). E torna, come in un destino persecutorio e ossessivo, il suo contrario, che fu Gianstefano Frigerio, segretario regionale lombardo ai tempi di Tangentopoli. Mai Frigerio fu di marmo, come il suo omologo diciamo “di sinistra”. Fu sempre di pastafrolla Gianstefano. Fu lui a raccontare tutto — la Cupola che si spartiva gli appalti, le tangenti, i miliardi ai partiti — al giovane e allora super- ormonico Antonio Di Pietro. Si vedevano al ristorante in via Morigi a Milano il Frigerio, con Maurizio Prada, cassiere della Dc, e Sergio Radaelli, tesoriere occulto del Psi di Craxi. Di Pietro li ascoltò per mesi a raccontare nefandezze intorno al desco, poi una sera disse loro: «Ora mettiamo a verbale». Furono tutti un fiume in piena e raccontarono il grande teorema della Cupola, come si dividevano da sempre le tangenti tra i partiti, con i tavoli tra le grandi imprese e le algebriche divisioni secondo i pesi elettorali e di potere. Fu allora che Frigerio, che oggi si direbbe “’a carogna”, fu soprannominato “l’infame”, per distinguerlo da Greganti, detto “la tomba”. Ma si trattava di difendere un sistema che nel ventennio precedente, come in quello successivo, sugli affari personali, le nuove ricchezze di rapina, ha fondato la sua esistenza.
Ora Greganti, l’ex “uomo di marmo”, intermedia per sé, come sostenne senza esitazioni, ma forse mentendo, un ventennio fa. Gli altri sono i soliti campioni del verbo berlusconiano: ”Andate e arricchitevi”. Come? Come potete.
Chi pretendeva “contanti” di sfioro sugli appalti, come Frigerio, già espertissimo da tanti anni su quelli della Metro milanese, chi lo 0,8 per cento sul business, come Greganti, con la sua società. Politici di riferimento? Certo, ma non servono più come una volta, quando contavano di più. Ormai il sistema è personale, con i politici sullo sfondo.
Non dite perciò, per favore, che è la nuova Tangentopoli. E’ peggio, molto peggio. E’ un sistema diverso, sul quale non incide il Manuale Cencelli dei pesi elettorali, che serviva a dividere esattamente le percentuali tangentizie, ma la capacità affaristica dei singoli. Certo, la politica poi potrà agevolare avanzamenti di carriera, nomine pubbliche, come da decenni fanno per mestiere Gianni Letta e il suo braccio operativo Luigi Bisignani: generali dei carabinieri, della Finanza, prefetti comprensivi e vogliosi di carriera, supermanager in servizio permanente e effettivo, la cui riconferma è legata ai circoli che contano. O imprenditori “di sistema.”
Prendete Enrico Maltauro, capo della più grande impresa veneta di costruzioni, che ha dilagato ovunque e che riempie le cronache giudiziarie senza che nessuno si sia chiesto se è magari opportuno escluderlo dai più grandi appalti. Arrestato nel ‘92, quando imperava la Cupola dei lavori pubblici governata dagli uomini della Dc e del Psi, Maltauro è rientrato alla grande nel giro, come Frigerio e Greganti. Peggio, come uno dei padroni degli uomini dell’Expo 2015. Non doveva essere, l’evento epocale milanese l’epitome della trasparenza, cristallino e basta? Niente ‘ndrangheta, niente appalti truccati, niente Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere, niente Lupi, niente Formigoni, che forse si appresta ormai a conoscere non più gli agi delle case dei Memores Domini, ma i disagi di case meno accoglienti.
Si sono sbracciati tutti per l’Expo, futuro emblema dell’Italia che rinasce. Così dicevano i mille sponsor del grande evento epocale, compresi il povero Roberto Maroni, vittima sacrificale di una nuova Tangentopoli che probabilmente gli passa un miglio sopra la testa, e persino Matteo Renzi, che ha dovuto gratificare l’immensa retorica per l’evento, diciamo “per contratto”. I politici furbi hanno fatto come Luigi Grillo, ex parlamentare di Forza Italia e del Pdl, che ha capito tutto. Macché Parlamento, è fatto per quei poveretti disoccupati e sfigati dell’omonimo Grillo (Beppe) e per le badanti di Berlusconi. Meglio farsi una società. Così, dopo aver difeso a suo tempo, naturalmente per interesse, l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio nell’indifendibile vicenda dell’Antonveneta, si è improvvisato presidente della Termomeccanica, società comprata da un’altra vecchia gloria: Enzo Papi, ex Fiat arrestato ai tempi di Tangentopoli. Quello che quando uscì da San Vittore si portò via in sacchi della spazzatura neri viveri, caffè, fornelli, bombole del gas e pentole, lasciando un ricordo indelebile di disgusto tra i suoi compagni di pena, che su quei pochi resti di detenzione di un ricco e potente contavano.
Macchè “a volte”. Ritornano “sempre”. Perché mai se ne sono andati. Esattamente come l’ex onorevole Scajola, forse tornato in galera “a sua insaputa”.

La Repubblica 09.05.14

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