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"Muro di gomma", di Massimo Gramellini

Sulla prima pagina di lunedì scorso Luca Ricolfi ci ha raccontato la sua ultima peripezia burocratica: aveva chiesto all’Inps alcuni dati storici sulla cassa integrazione in Italia e l’ente pensionistico, affabile come sempre, gli aveva risposto in ritardo, con un preventivo di 732 euro per un servizio che a un impiegato fornito di computer avrebbe richiesto pochi secondi di lavoro. Gli ingenui lettori di Ricolfi si aspettavano dall’Inps una lettera di smentita oppure di scuse. Invece, dai bastioni del palazzo presidiato a lungo dal prode Mastrapasqua, esemplare raro di corpo umano con più incarichi che cellule, non si è levato alcun grido di dolore. Anzi, a precisa domanda, ci si è sentiti opporre un silenzio orgoglioso.

Saranno i giornali che non fanno più paura, direte voi. Ma un trattamento analogo viene riservato ogni settimana ai mammasantissima della tivù, da Report alle Iene. Le loro denunce spietate e circostanziate tolgono il sonno a noi telespettatori, ma non ai diretti interessati, che ormai non si prendono più nemmeno la briga di querelare. Le accuse ai burocrati di Stato rimbalzano contro un muro di indifferenza. Maleducazione? Forse. Senso di impunità. Può darsi. Ma ogni tanto mi assale il sospetto che nessuno si faccia avanti perché in un ente pubblico nessuno si sente davvero responsabile di qualcosa. Proprio perché lavora in un posto che è di tutti, il dirigente statale (con rare eccezioni) pensa che a rispondere debba essere sempre qualcun altro. E, al riparo di codicilli e regolamenti, finisce per rispondere soltanto a sé.

La Stampa 11.04.14

"Dopo summit e trionfi l’assistenza sociale: l’onnipotenza perduta dell’unto del Signore", di Filippo Ceccarelli

Nessun italiano dal 1945 a oggi ha conosciuto e vissuto più e meglio di Silvio Berlusconi cosa significa essere onnipotente. La faccenda mette in causa un concetto quasi teologico e infatti infinite volte egli ha dispensato quella barzelletta in cui Dio finiva ridotto al rango del vicepresidente. Ma l’ultima platea, alla riunione dei club di «Forza Silvio», ha riso molto meno del solito perché era ormai chiaro a tutti, anche a lui, che tutto stava finendo – e anche male.
A nessun altro italiano è stato concesso di raccontare per un intero ventennio che lui era, o meglio aveva «il sole», in tasca. E per quanto suonasse impegnativo identificarlo quale fonte di vita, di calore e di luce, ancora a gennaio sul Mattinale si è potuto leggere: «Berlusconi illumina tutti». Ma l’interruttore non era quasi più nelle sue mani.
È avvenuto piano piano. Non si ha idea di quanta gente ha accontentato Berlusconi.
Molti e molte presi anche dalla strada, non necessariamente in quel senso lì, e fatti ricchi e influenti: per bontà, per volontà, per allegria, per megalomania, o forse solo per il piacere di cambiargli l’esistenza, come in una favola.
Di molte cose, anzi di troppe, è stato il messia. Della gloria sportiva, le coppe e il boato degli stadi, una volta i teleobiettivi ingrandirono un foglio d’agenda su cui lui stesso si definiva in terza persona «il numero uno» e poi ancora ripeteva: «il numero uno». Anche dell’innovazione, delle visioni a distanza, delle emozioni mirate, degli spettacoli pianificati, dei palazzi con piccoli parlamenti acclusi, delle ville con laghi, cigni, anfiteatri, gelaterie, bunker, piante rarissime, farfalle brasiliane e vulcano in eruzione telecomandata.
Il signore delle meraviglie. Non c’erano avversari che gli resistessero. Un giorno si materializzò su qualche bancarella
una matrioska con le sembianze di Berlusconi che conteneva, dopo averle debitamente incorporate, le sue svariate vittime: Prodi, D’Alema, Rutelli, Fassino, Veltroni, forse anche Dini – che poi per la verità si riprese.
Il successo prima, il potere poi, i soldi sempre. Navigando nell’oro, letteralmente, si è comprato paese, comunisti, giornalisti, padanisti, calciatori, produttori, poliziotti, ecclesiastici, titoli nobiliari, mafiosi, avvocati e giudici. Si legge nell’ultimo romanzo di Walter Siti: «E’ riuscito a diventare più di se stesso facendo dell’Italia la propria scimmia». A un dato momento si è preso anche Scilipoti e Razzi, ma soprattutto gli ha concesso di qualificarsi: «Responsabili».
Adesso l’Unto del Signore ha ottenuto di trascorrere la pena ai Servizi sociali, ma lo si continua a scrivere con incredulità, come se fosse un sogno. Personaggio faustiano quant’altri mai: «Spirito degno di guardare in profondo, illimitatamente confidava in quel che è senza limiti». Nessuno mai fino a ieri gli ha potuto dire: non sei più padrone del tempo e dello spazio.
Forse solo il corpo gli aveva imposto dei vincoli. Ma anche qui dalle debolezze, dalle sofferenze e dalle malattie Berlusconi ha tratto energia, valore, primato. Ha sconfitto il cancro, ha fermato l’età, a un certo punto il dottor Scapagnini l’ha dichiarato tecnicamente immortale. La pretesa era buffa, ma fu accolta più o meno come quell’altra che per ben due volte ha cercato di renderlo invulnerabile, le-gibus solutus.
Come un giocoliere il Cavaliere maneggiava i simboli – e come un prestigiatore. Ed eccolo adesso con le stampelle, liftato nell’anima, nella mente e nel corpo.
Eppure ha parlato al congresso Usa. Ha assunto la Thatcher come consulente. Ha fatto attendere la Merkel, scandalizzato la regina d’Inghilterra; e Gheddafi gli ha insegnato il bunga bunga, e Putin gli ha regalato il lettone. E le donne, vabbè: gliele fornivano in quantità, belle e giovanissime, come prodotto energizzante. Una la fece ballare – o lo fece scrivere – come fosse la Boccassini.
Il suo mondo non gli ha solo voluto bene, l’ha adorato, con tanto di ricadute estatiche. Ha suonato il piano, ha composto canzonette, ha firmato prefazioni a Tommaso Moro e Machiavelli, ha pubblicato i libri dei nemici e prodotto i film di chi l’odiava. In tutti questi anni ha ottenuto, secondo l’estrema contabilità del Mattinale, 167 milioni di voti. E seppure c’è chi si arrabbia anche solo a sentirlo pensare, adesso Berlusconi fa addirittura pena – ma le storie di potere devono far pena, altrimenti non hanno nulla da insegnare.

La Repubblica 11.04.14

Modena – Manifattura delle Idee – Giancarlo Muzzarelli sindaco – Scuola, il sapere è una marcia in più

Manifattura Idee, lunedì si parla di scuola con Ghizzoni e Bianchi

E’ una iniziativa di ascolto e confronto della campagna elettorale di Gian Carlo Muzzarelli

E’ programmata per la sera di lunedì 14 aprile un’iniziativa di confronto e ascolto sui temi della scuola organizzata dal candidato sindaco del centrosinistra per Modena Gian Carlo Muzzarelli. L’appuntamento – fissato per le ore 19.00 presso la Manifattura delle Idee – vedrà la partecipazione, tra gli altri, della vicepresidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera Manuela Ghizzoni e dell’assessore regionale alla Scuola Patrizio Bianchi.

Proseguono le iniziative di ascolto e confronto della campagna elettorale di Gian Carlo Muzzarelli, candidato sindaco del centrosinistra per Modena, alla Manifattura delle Idee (ex Manifattura Tabacchi, ingresso in via Sant’Orsola 78). Lunedì prossimo, 14 aprile, alle ore 19.00, sarà il mondo della scuola al centro dell’attenzione, con un’iniziativa di ascolto e confronto aperta a insegnanti, genitori e a tutti gli interessati, intitolata: “Scuola: il sapere è una marcia in più”. Saranno presenti tra gli altri, oltre a Muzzarelli, la deputata Manuela Ghizzoni, vicepresidente della commissione Cultura e Istruzione della Camera; l’assessore regionale alla Scuola Patrizio Bianchi; la consigliera comunale Cinzia Cornia e l’insegnante Giulia Venturelli, componente del Comitato elettorale. Al termine, piccolo buffet.

Alcuni appunti di programma sull’attività delle scuole sono già disponibili sul sito www.giancarlomuzzarelli.it all’interno dello spazio internet dedicato appunto alla Manifattura delle Idee. Tutti gli interessati, prima e dopo l’incontro del 14 aprile, sono invitati a partecipare, offrendo loro proposte e soluzioni, ed evidenziando eventuali criticità, per creare un programma condiviso.

"Dai giudici costituzionali solo semplice buonsenso", di Carlo Flamigni

Credo che la cosa più importante accaduta in Europa negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda i problemi della bioetica e del biodiritto, sia una sollecitazione arrivata proprio al nostro Paese, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) a proposito delle donazioni di gameti. In una prima sentenza, del 1°aprile 2010, una Camera della I Sezione della Cedu aveva affermato che il dispositivo della legge austriaca che vietava la donazione di gameti femminili violava l’articolo 14 della Cedu stessa, in combinato disposto con l’articolo 8.
La sentenza criticava poi in modo molto severo le motivazioni addotte dall’Austria per giustificare le proprie scelte in materia di donazione di gameti. La sentenza ha trovato, come era naturale, forte opposizione ed è stata sottoposta al giudizio della Grande Chambre per una revisione; nel giudizio definitivo, il Collegio l’ha ribaltata ricordando anzitutto che la normativa europea non si schiera su questi temi e lascia agli stati membri un ampio margine di discrezionalità. Inoltre, l’ingerenza della legge nelle libere scelte delle coppie appare giustificata, sempre secondo la Grande Chambre, anche in una società democratica, in quanto persegue lo scopo legittimo di proteggere la salute, la morale, i diritti e la libertà di tutti i cittadini. In definitiva secondo la Corte il margine di discrezionalità del quale deve disporre ogni singolo paese non può che essere ampio, ferma restando la necessità di un armonioso equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli dei cittadini e in particolare di quei cittadini che sono particolarmente toccati dalle scelte che lo Stato decide di compiere. La sentenza si conclude però con una affermazione che molti commentatori hanno ritenuto qualunquista, ma che in realtà ha un contenuto fortemente innovatore: in materia di Pma il diritto è in costante evoluzione (ma il riferimento è chiaramente fatto a tutte le innovazioni che conseguono al progresso della scienza) sia perché la ricerca scientifica in questo campo è in rapido sviluppo, sia perché cambia continuamente la capacità della morale di senso comune di accettare le nuove proposte che la scienza continuamente le sottopone e tutto ciò richiede una attenzione permanente da parte degli Stati contraenti. Queste conclusioni rappresentano un chiaro invito ai Governi a considerare in modo sistematico l’evoluzione della coscienza sociale relativamente ai temi della vita riproduttiva, per potere adeguare le normative vigenti a questi mutamenti, considerati molto probabili e costanti, oltre che in chiaro rapporto con i progressi delle scienze mediche e con l’efficacia della divulgazione operata in questi settori. Solo per confermare la rapidità con la quale si modificano morale e normative in questo campo, ricordo che nel gennaio del 2014 la Corte Costituzionale austriaca ha giudicato illegittima la proibizione della ovodonazione, dando in effetti ragione alle decisioni prese dalla sezione della Cedu, quelle successivamente contraddette dalla Grande Chambre.
Tutto ciò conferma una cosa che i laici hanno sempre sostenuto: la norma etica si struttura soprattutto per l’influenza di una generale disposizione della coscienza collettiva, che definisco per semplicità morale di senso comune, che si forma dentro ognuno di noi per molteplici influenze e che, pur essendo generalmente restia ad accettare anche le più elementari proposte di cambiamento, si modifica in rapporto a quelle che vengono definite «le intuizioni dei vantaggi che possono derivare dalle conoscenze possibili». Tutto ciò naturalmente avviene solo se è possibile trovare, in queste nuove conoscenze, indicazioni attendibili e comprensibili sui miglioramenti che ne deriveranno e garanzie nei confronti dei presumibili rischi. Deve dunque cessare da subito – e la sentenza della nostra Consulta lo conferma – l’incomprensibile divario e la inaccettabile contraddizione tra il senso morale della nostra società e le norme giuridiche approvate dal Parlamento, norme troppo spesso suggerite da una morale religiosa ossificata, rigida e incapace di adattarsi al mondo moderno. Adesso però ci sono cose che debbono essere affrontate con animo sgombro da risentimenti e da preoccupazioni assurde. La prima riguarda il fatto che la donazione di gameti deve tornare ad essere, nel nostro Paese, oblativa e non può essere affidata ad alcun tipo di commercio. Dovranno essere affrontati poi alcuni temi di rilevante interesse, come quello dell’opportunità di preparare un semplice protocollo che consenta di selezionare in modo semplice e non punitivo le coppie richiedenti, di affrontare il problema dell’età dei candidati a questa genitorialità e di discutere il problema del segreto, cioè se garantire al figlio la conoscenza della propria origine genetica (o in alternativa di affidare ai genitori la scelta di dargli o no accesso a questa informazione).
Merita certamente una analisi anche il problema della richiesta di donazioni di gameti e di embrioni che certamente arriverà da parte di donne sole e di coppie omosessuali e lo stesso deve riguardare il problema del dono del grembo (come si vede non dell’affitto dell’utero, che cosa completamente diversa).
Penso che se esiste ancora un po’ di logica nei nostri parlamentari queste questioni debbano essere affrontate, in prima battuta, dal Comitato Nazionale per la Bioetica il quale, tra l’altro (anche se nessuno se ne è accorto ) è stato creato proprio per occasioni come questa.
E se posso permettere di dare un consiglio alle persone religiose che trovano scandalosa questa decisione, vorrei ricordare loro che modificare la dottrina tenendo conto dello spirito del tempo non è alito del demonio, è solo semplice buonsenso.

l’Unità 10.O4.14

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Paletti e sentenze, quel che resta di una brutta norma
Bocciati anche gli articoli correlati
Resta ancora in piedi il divieto alle coppie fertili con patologie genetiche
di Franca Stella

Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Lo ha deciso la Consulta in merito alla parte della legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita in cui si vieta di ricorrere alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) esterni alla coppia per concepire un figlio. Cade, dunque, il «paletto» più impopolare imposto dalla discussa normativa italiana. Bocciati anche gli articoli correlati al divieto come l’articolo 12 comma 1 che puniva «chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente » con una sanzione amministrativa da 300mila a 600mila euro. Per la seconda volta la Corte era stata chiamata a giudicare il divieto di fecondazione eterologa. Nel maggio 2012 i giudici decisero di restituire gli atti ai tribunali rimettenti, per valutare la questione alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla stessa tematica. Ieri la nuova decisione. In dieci anni la legge 40 è stata rivista alla luce di 20 sentenze da parte di vari tribunali. Per la senatrice Pd Anna Finocchiaro «è venuto il momento di ridare la parola al legislatore». Anche perché rispetto al testo del 2004, molto è cambiato. Vediamo cosa:
a) Limitazioni all’analisi dell’embrione: non previsto dalla legge ma inserito nelle Linee guida del ministero della Salute del 2004. Nel 2008 il Tar elimina la limitazione alla sola analisi osservazionale
b) Divieto di produzione di più di tre embrioni: è stato eliminato dalla sentenza della Corte Costituzionale nel 2009.
c) Obbligo di contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti: è stato eliminato dalla sentenza della Consulat nel 2009.
d) Limitazione della deroga al divieto di crioconservazione degli embrioni: previsto per i soli casi di «grave e documentata causa di forza maggiore relativo allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è stato modificato dalla Corte costituzionale 2009 che ha chiarito che «il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, deve essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna».
e) Divieto di soppressione degli embrioni: è previsto dall’articolo 14 comma 1 della legge ed è tuttora in vigore.
f) Divieto di diagnosi preimpianto per le sole coppie infertili portatrici di malattie genetiche: è da considerare non sussistente sia in relazione all’annullamento delle Linee guida ministeriali che introducevano la sola possibilità di analisi osservazionale dell’embrione (sentenza del Tar Lazio del 2008) sia in virtù della giurisprudenza consolidata (13 tra sentenze e ordinanze dei Tribunali italiani).
g) Divieto di accesso alle coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche: è previsto dall’art. 5, che consente l’accesso alla Pma solo per i soggetti con problemi di infertilità e sterilità: questione ancora aperta, mail cui divieto è stato ritenuto illegittimo da 4 sentenze di tribunali italiani (Salerno e Roma) nonché dalla pronuncia definitiva di condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo del 29 agosto 2012 emessa nei confronti dell’Italia. La decisione europea è stata eseguita nel 2013 dopo autorizzazione del tribunale di Roma. La questione è oggi davanti alla Corte costituzionale.
h) Divieto di utilizzo degli embrioni perla ricerca scientifica e quindi possibilità di donazione degli embrioni da parte di una coppia: è una questione in attesa di udienza davanti alla Corte costituzionale. La questione sarà affrontata anche dalla Corte europea per i diritti dell’uomo il prossimo 18 giugno.
i) Divieto di revoca del consenso alla procedura di procreazione assistita se non prima della fecondazione dell’ovulo, previsto dall’art. 6 comma3. La questione è ancora aperta ma è stata sollevata in più occasioni nei tribunali.
l) Divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per single e coppie dello stesso sesso: la norma è tuttora in vigore.
m) Divieto di surrogazione di maternità è tuttora in vigore.
n) Divieto di accesso alla fecondazione in vitro nel caso uno dei componenti della coppia sia deceduto previsto dall’art. 5: ancora in vigore
o) Possibilità di donazione degli embrioni: non prevista dalla legge ma il divieto è implicito. Sono state presentate diverse proposte di legge, non ancora in discussione.
p) Procreazione assistita per la preservazione della fertilità attraverso la crioconservazione dei gameti, in caso di cure che potrebbero danneggiare la possibilità di generare un figlio: ammessa implicitamente sia per il soggetto maschile che quello femminile, ma non in virtù della legge 40 che vieta la crioconservazione dei gameti e che consente l’accesso solo a coppie conviventi o sposate.

l’Unità 10.04.14

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Fuga dall’Italia
4mila coppie all’anno tentano all’estero 6mila euro la spesa

Sono almeno 4.000 le coppie italiane che decidono di andare all’estero per un trattamento di procreazione assistita: di queste, circa il50%ricorre alla fecondazione eterologa, vietata in Italia fino alla decisione della Consulta, il restante 50%invece sceglie di migrare anche se deve sottoporsi a trattamenti disponibili nel nostro Paese. Lo spiega l’Osservatorio sul turismo procreativo relativi a 39 centri esteri in 21 Paesi europei ed extraeuropei. Le mete più gettonate sono Spagna, Svizzera, Austria, Belgio, Danimarca, Grecia, Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Ungheria. Nonostante la sua portata – rileva l’Osservatorio – il fenomeno del turismo procreativo non è oggetto di frequenti indagini istituzionali a livello nazionale o europeo. Uno studio del 2010, apparso su «Human Reproduction», stimava in un numero compreso tra 3.500 e i 4.500 gli italiani che decidono di affrontare un viaggio alla ricerca di un figlio. Da notare che fra i 6 Paesi presi in considerazione, il nostro risultava quello più colpito dal turismo procreativo: i pazienti ‘transfughì italiani rappresentavano il 31,8% del totale. La Spagna rimane la meta preferita per le coppie infertili italiane: sono stati circa950 i pazienti italiani che si sono rivolti agli 8 centri che hanno risposto al questionario per trattamenti di eterologa. Madrid e Barcellona si confermano le città d’elezione per chi deve ricorrere alla donazione di gameti, in special modo quella di ovociti. La legislazione spagnola permette infatti la donazione di gameti e di embrioni. Pochi, al confronto, i trattamenti omologhi registrati dall’indagine: circa 500. I trattamenti sono molto costosi: da un minimo di cinquemila euro nei paesi dell’Est a un massimo di 6-8mila in Spagna e Svizzera.

L’Unità 10.04.14

"Se il volontariato ti cambia il curriculum", di Leonard Berberi

Se il volontariato ti cambia il curriculum «Decisivo per i giovani»

Di solito finisce in fondo al curriculum. Alla voce «altre attività». Ma è un elemento sempre più importante. A volte decisivo in un colloquio di lavoro. Perché il volontariato è sì un’esperienza non retribuita, ma a sentire «cacciatori di teste» ed esperti delle risorse umane per molte grandi aziende italiane e multinazionali è una realtà valutata positivamente. Non è un caso se negli ultimi mesi decine di enti locali hanno messo a disposizione uffici e siti web per «certificare» le attività «informali». Un documento da allegare al proprio curriculum vitae con le indicazioni sulla durata e sulle attività non profit svolte.
Il «modello» restano gli Stati Uniti. Lì il lavoro gratuito per la collettività è pratica comune. E tra i giovani diventa una voce da aggiungere alle attività svolte per presentarsi, bene, all’ammissione all’università o a un colloquio di lavoro. «Anche da noi il volontariato sta diventando un elemento importante nella selezione del personale», spiega Paolo Citterio, presidente nazionale dell’Associazione direttori risorse umane (Gidp). «Chi ha fatto attività senza scopo di lucro dà la sensazione di avere un passo diverso, sia a livello organizzativo che emotivo». Tanto che, rivela, «di fronte a due giovani candidati a un posto di lavoro le imprese mi chiedono di vedere chi ha fatto anche volontariato». «Oggi le società, anche quelle con ricavi a nove o dieci zeri, vanno a vedere cosa hai fatto di socialmente utile», continua Citterio. E, per una volta, il confronto con gli altri Paesi non ci vede in coda alla classifica. «Siamo nella media, abbiamo recuperato negli ultimi anni».
La tendenza è confermata anche da Andrea Castiello d’Antonio, consulente del lavoro e management. Che però precisa: «Il peso del volontariato nel curriculum dipende molto dal tipo d’impresa. Ci sono società incentrate sulla competitività che non guardano se hai fatto qualcosa di socialmente utile o no. E ce ne sono altre che a volte fanno del non profit un elemento discriminante durante i colloqui». In quest’ultimo caso — continua l’esperto — «pur trattandosi di attività non retribuite all’impresa interessa molto l’aspetto motivazionale che ha spinto il candidato a fare qualcosa senza ricevere in cambio denaro».
«Più la realtà non profit è strutturata, più l’attività svolta all’interno viene valutata e apprezzata dalle imprese e dai “cacciatori di teste”», ragiona Maria Cristina Bombelli, fondatore e presidente di Wise Growth, società che si occupa di analizzare la diversità in azienda. Motivo? «È più facile che in queste realtà il candidato abbia sviluppato competenze organizzative, manageriali e di rapporto con le persone che possono essere utili per la società che vuole assumere».
«C’è ancora molta strada da fare per raggiungere il livello americano, ma ci stiamo avvicinando», avverte Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Statale di Milano e visiting professor in management alla California Polytechnic State University. Il punto di svolta, secondo Solari, sarebbe quello di iniziare da piccoli. «Negli Stati Uniti ci si abitua già dalle scuole elementari a impegnarsi nel volontariato. La stessa cosa bisognerebbe fare, ma davvero, anche in Italia: non concentrandosi su attività di sensibilizzazione, ma strutturando un percorso fino all’ultimo anno di università». Perché, continua il docente, «per chi ricerca il personale quelle attività inserite nel curriculum diventano una spia importante per l’azienda: se si mettono insieme volontariato e il tempo impiegato, per esempio, per laurearsi si può avere un’idea delle capacità organizzative del candidato». Ma, avverte Solari, senza esagerare. «Le aziende vedono molto cosa uno ha fatto e per quanto tempo. Soprattutto: come l’ha fatto».
Leonard Berberi

Il COrriere della Sera 10.04.14

"L’unica strada possibile", di Emilio Barucci

Dopo tanti proclami fatti per lo più per consolidare il consenso in vista delle elezioni europee e qualche depistaggio costruito ad arte, il governo Renzi vara il suo primo Documento di economia e finanza. Un Def che si fonda su ipotesi realistiche (almeno per i primi tre anni), rispetta i vincoli imposti dall’Europa e ci propone (a saldo quasi nullo) un riequilibrio tra le entrate e le uscite con l’obiettivo di rilanciare l’economia. Chi si aspettava fuoco e fiamme può attendere. Rispettiamo il vincolo europeo sul 3% del deficit e ci incamminiamo lungo la strada di rientro dal debito imposto dal fiscal compact. Il confronto con l’Europa è rimandato. A differenza di quanto auspicato in modo un po’ irrealistico da qualche commentatore, non siamo in grado di proporre una manovra espansiva significativa di stampo keynesiano. Dati i vincoli si fa quello che si può nella direzione che ad oggi appare essere l’unica medicina possibile: rilanciare i consumi e gli investimenti con un occhio all’equità. La strada non è facile, vediamo nel dettaglio la proposta del Def e quelli che possono essere gli ostacoli per centrare davvero l’obiettivo.

Il riequilibrio è in tre passi:

1) 6.6 miliardi in detrazioni Irpef per i redditi bassi (gli 80 euro mensili), coperti tramite i tagli individuati dalla spending review (4.5 miliardi) e due una tantum: aumento del gettito dell’Iva per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e aumento della tassazione delle rivalutazioni delle quote di Banca d’Italia possedute dalle banche.

2) Taglio dell’Irap del 5% (900 milioni) questo anno e del 10% l’anno prossimo finanziato dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26%.

3) Pagamento di 13 miliardi di debiti della pubblica amministrazione.

Il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione dovrebbe portare nell’immediato ad un peggioramento del debito pubblico, ma il resto delle componenti della manovra dovrebbe essere a saldo nullo. Sulla carta il mix si muove nella giusta direzione per rilanciare i consumi e gli investimenti. Il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione dovrebbe ridare ossigeno alle imprese a corto di liquidità; spostando la tassazione dalle attività produttive alle rendite si dovrebbero invece promuovere gli investi- menti. È invece più complicato capire quello che sarà l’effetto dell’operazione Irpef: l’effetto dovrebbe essere espansivo per la parte coperta da una tantum, l’effetto dello sgravio coperto dai tagli proposti dalla spending review rischia invece di essere più problematico. Se i tagli colpiranno davvero la spesa improduttiva (categoria difficile da definire) l’effetto netto sarà positivo, altrimenti no. Qualche purista osserva che non è detto che gli 80 euro si tradurranno in un aumento dei consumi, visto il calo dei consumi negli ulti- mi tempi c’è da essere ottimisti circa il fatto che questo avverrà. L’effetto netto sarà comunque limitato: 0.2% di crescita del Pil nel triennio 2014-2016.

Una parola deve essere detta anche sull’aumento della tassazione delle rivalutazioni delle quote di Banca d’Italia possedute dalle banche. Occorre capire che colpire le banche non è una cosa positiva di per sé: se queste hanno meno capitale daranno meno prestiti e l’economia ne risentirà. Le banche hanno anche ragione a lamentarsi circa il fatto che si cambiano le regole in corsa. Queste osservazioni perdono però di forza riflettendo sul fatto che reperire un miliardo in più di capitali a livello di sistema non appare ad oggi un’impresa impossibile.
Il Def di fatto si ferma al 2016. Per il 2017-2018 le previsioni appaiono ottimisti- che con una crescita dei consumi e del Pil al 2%. Oltre ad un aumento significativo dei tagli provenienti dalla spending review, agli introiti delle privatizzazioni, si punta sulla riforma del mercato del lavoro e sulle semplificazioni-liberalizzazioni che dovrebbero portare una crescita del Pil dell’1.4% l’anno. Difficile da credere che questo scenario possa realizzarsi. Il mantra delle semplificazioni liberalizzazioni non è nuovo, è stato praticato e ha dato ben pochi frutti, stesso discorso per il lavoro, si introduce una maggiore flessibilità ben sapendo che questa proposta non è nuova ed ha prodotto solo precarietà senza rilanciare l’economia. A differenza di quanto si legge in un dibattito davvero pressappochista, il problema in Italia non è la flessibilità sul mercato del lavoro ma il rilancio della produttività. Un punto che per essere affrontato richiede profonde riforme strutturali.

In definitiva, dati i vincoli presenti ad oggi, il Def fornisce una risposta immediata adeguata, per svoltare aspettiamo le riforme che rilancino davvero l’economia di questo Paese.

L’Unità 10.04.14

"I veri diritti di mamma e papà", di Michela Marzano

Con la decisione presa ieri dalla Consulta sulla fecondazione eterologa è caduto l’ultimo paletto imposto dalla tristemente celebre legge 40. Non si potrà più impedire la fecondazione a chi, per avere figli, ha bisogno di ricorrere a un dono di gameti (ovuli o sperma). E non si potranno quindi più discriminare alcune coppie sterili. Perché d’altronde focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna “madre” o un uomo “padre”? Come diceva lo scrittore francese Marcel Pagnol, quando un bimbo nasce, pesa tre o quattro chili. Poi cresce, e mette su i “chili amore” dei propri “ parents”, termine che in francese designa i “genitori sociali”, da non confondere con la parola “ géniteurs” che indica invece i “genitori biologici”. Ancora una volta, però, l’Italia è vittima di un provincialismo culturale che impedisce a molti di capire che la genetica non potrà mai spiegare la complessità dei legami familiari, e che le questioni “eticamente sensibili” dovrebbero essere affrontate con rigore e lucidità. Ci si immagina che rendere possibile l’inseminazione eterologa significhi trasformare la maternità e la paternità in una sorta di marketingcon compravendita di gameti. Si fantastica che il dono di gameti possa introdurre in una coppia il “fantasma dell’adulterio”. Si invoca il primato dell’interesse dei bambini rispetto a quelli degli adulti, ricordando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini. Nessuno di questi argomenti, però, è decisivo. Anzi. Basta analizzarli con serenità — guardando anche come gli altri paesi europei hanno affrontato la questione della fecondazione eterologa — per rendersi conto della loro inconsistenza. Nel momento in cui si organizza il dono di gameti sulla base dei principi di gratuità e di anonimato, come accade ad esempio in Francia già dal 1994, vengono meno molti pericoli: non è la coppia che sceglie i donatori, ma i medici, che decidono sulla base di criteri strettamente sanitari; i donatori non vengono mai remunerati per il dono che fanno e non acquisiscono alcuna relazione giuridica parentale con i bambini; il dono è solo “dono di materiale genetico”, e non ha né “volto”, né “nome”. Per quanto riguarda poi la questione delle origini, basterebbe ricordare la sentenza del 18 novembre 2013 della Corte Costituzionale, in cui si spiega come permettere ad un figlio di conoscere le proprie ori-
gini significhi permettergli di “accedere alla propria storia parentale”. Ma quando si parla di storia, non si parla certo di “codice genetico”, a meno di immaginare che il codice genetico ci racconti la storia dei nostri genitori. Quella storia che li ha portati a desiderarci o meno, a volerci crescere e darci o meno affetto, a trasmetterci o meno valori e principi.
Il caso dei bambini adottati, in questo senso, non ha niente a che vedere con quello dei bambini nati grazie ad un’inseminazione eterologa. Nell’adozione, c’è sempre la storia di un abbandono. Storia cui è sicuramente importante avere accesso, anche solo per poter fare il lutto di quest’abbandono. Ma quale abbandono ci sarebbe nel caso di chi è nato grazie ad un dono di gameti? La storia parentale, in questo caso, non è forse quella di chi, sterile, desiderava a tal punto avere un figlio che è ricorso ad un dono di gameti?
Chi si oppone con accanimento alla fecondazione eterologa forse dimentica (o fa finta di dimenticare) che non c’è bisogno di ricorrere alle tecniche procreative per trattare i figli come “oggetti” a propria disposizione. Basta desiderare un figlio per colmare un vuoto oppure perché i propri sogni e i propri desideri possano un giorno realizzarsi, per trasformare i figli in “cose”. E lo stesso vale per tante altre motivazioni che spingono ad avere un figlio, che si tratti del conformismo o del desiderio di avere una discendenza. Ma questo, appunto, vale sempre, non solo nel caso in cui si ricorra ad una fecondazione eterologa.
Diventare genitori è sempre complesso: si tratta di accogliere un’altra vita riconoscendola come “altro” rispetto a sé; significa aiutare a crescere chi dipende in tutto e per tutto da noi; significa amare incondizionatamente e senza ricatti. Poco importa, poi, se ci siano stati ostacoli o incidenti di percorso o se, per far nascere un figlio, ci sia stato bisogno di ricorrere ad un dono di gameti. Chi può anche solo immaginare che avere lo stesso patrimonio genetico dei propri genitori metta al riparo dalle difficoltà della vita?

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“Noi, trattati per anni da delinquenti”, di CATERINA PASOLINI

ELENA parla con irruenza e passione, legando attimi di vita privata e spirito civico. Col marito Alessandro, anche lui libero professionista di Catania, forma una delle due coppie assistite dagli avvocati Costantini e D’Amico che hanno convinto con la loro storia la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo il divieto di fecondazione eterologa.
A chi dedica questa vittoria?
«Alle coppie incontrate nei nostri viaggi della speranza all’estero. A quelle che si sono impegnata la liquidazione, a chi ha chiesto prestiti e inventato scuse per ottenere un mutuo e pagarsi il sogno di un figlio. Ho pensato a chi è finita in mani di gente poco professionale, a sfruttatori, a chi ha lucrato sul desiderio disperato di diventare genitori».
Grazie a voi tutto cambia
«Adesso finalmente quelle migliaia di coppie che ogni anno varcavano i confini, forse potranno provare ad avere un figlio vicino ai loro cari, nelle loro città, con un controllo medico
accurato e quotidiano o per lo meno raggiungibile. Potranno diventare genitori in sicurezza e senza sentirsi più come dei ladri».
Si è sentita come una delinquente?
«Sì noi ogni volta che siamo andati all’estero per cercare una gravidanza abbiamo mentito ad amici e parenti, inventando vacanze o impegni di lavoro inesistenti per nascondere le nostre vere intenzioni. Consci di commettere un reato, di fare qualcosa contro la legge italiana, ingiusta, ma non contro la nostra coscienza. Sentendoci come cittadini di serie B, colpevoli di sterilità e quindi condannati ad agire nell’ombra, a mentire, ad andare oltre confine non sapendo in quali mani saremmo finiti».
Come inizia la sua odissea?
«Una vita come tante divisa tra lavoro e matrimonio. Poi all’improvviso, dopo aver avuto mia figlia che ora ha sei anni, mi ritrovo in menopausa a 34 anni. L’ho scoperto dopo un po’ di mesi, non capivo perché non riuscivo più a restare incinta. E quando i medici me lo hanno spiegato è stato uno shock, mi sono sentita fallata, persa. Non riuscivo proprio a crederci, mi sembrava che il mio corpo mi avesse tradito, non mi riconoscevo».
La solitudine di chi è sterile?
«Sì, nessuno può capire cosa si prova se non ci è passato, e per me era anche più sopportabile visto che una figlia ce l’avevo. Ma comunque è stata durissima. Per questo mi fanno impressione i commenti alla sentenza dei politici, così asettici, segno che loro non hanno mai ascoltato le storie di dolore, di sofferenze, il calvario di chi cerca un bambino che la natura gli nega, che si sottopone a mille cure pur di continuare a sperare».
Crisi di coppia?
«Cercare un figlio è un percorso faticoso non solo fisicamente ma soprattutto dal punto di vista emotivo, psicologico. Diventa un viaggio profondo all’interno della coppia che ti porta a domandarti chi sei, cosa vuoi, valutare l’importanza dei legami, l’idea che hai della famiglia, della genetica».
La ricerca del figlio perfetto?
«No assolutamente no, noi abbiamo sempre pensato che un figlio è di chi lo cresce e lo ama, non importa se è adottato o se è frutto dell’eterologa. Forse per questo non mi sono mai fatta tante domande su chi fosse la donatrice dell’ovulo che mi avrebbero impiantato fecondato dal seme di mio marito, non era importante. Quando sarebbe nato il piccolo, dopo essermelo tenuto in pancia per nove mesi, sarebbe stato semplicemente il nostro bambino».
Eterologa o adozione per lei è lo stesso?
«Sì, tanto che mentre assieme a mio marito cominciavamo a navigare in rete alla ricerca dello studio medico giusto, abbiamo dato avvio anche alle pratiche per l’adozione internazionale. E forse ora, dopo una “gravidanza” di 4 anni ci siamo vicini. Forse arriverà un
fratellino».
Quattro anni di tentativi
«Un calvario, emotivo, fisico, un alternarsi di speranze e delusioni, di viaggi all’estero, di finte vacanze e di veri segreti. tutto con gran senso di solitudine, col peso delle nostre scelte solo sulle nostre spalle, senza poterlo condividere. Dopo aver guardato le varie offerte su internet abbiamo scelto la Grecia e con la scusa del turismo siamo partiti. Con nostra figlia al seguito che era piccolina, aveva solo due anni. Non avremmo potuto lasciarla sola».
Come è andata in Grecia?
«Abbiamo usato tutti i nostri risparmi, circa diecimila euro, tra cure e viaggi. I medici erano bravi e la struttura professionale e accogliente, a differenza dei luoghi in cui sono incappate tante coppie, tante donne che sono finite nelle mani di gente avida, pronta a tutto per soldi e con poche garanzie mediche. Nonostante la bravura dei dottori purtroppo non ha funzionato. Abbiamo fatto due tentativi a distanza di mesi e l’unica gravidanza è durata solo qualche giorno. Neppure il tempo di sperare che era già tutto finito ».
A sua figlia racconterà la sua storia?
«Sicuramente sì, perché magari la mia menopausa precoce è genetica e quindi anche lei avrà forse bisogno di cure, ma soprattutto racconterò la nostra odissea, il desiderio di diventare ancora una volta genitori. Le parlerò delle difficoltà, della scelta di portare la nostra storia nelle aule di giustizia per il bene e i diritti di tutte le coppie. Le dirò di un paese dove da oggi, anche se resto sterile, non mi sento più trattata come una italiana di serie B».

La Repubblica 10.04.14