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Calamità, parlamentari Pd “Chiediamo al Governo il dl Modena”

I deputati Baruffi e Ghizzoni e il senatore Vaccari si fanno portavoce dei territori colpiti. Questa settimana il Consiglio dei ministri si è concentrato sul Def, la richiesta è che la prossima riunione sia quella utile per varare il cosiddetto decreto legge Modena che dovrà contenere i provvedimenti attesi nelle zone colpite dal sisma prima e dall’alluvione poi. Ecco la dichiarazione dei parlamentari modenesi Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari:

«Questa settimana il Consiglio dei ministri si è concentrato sul varo del Def, il documento di economia e finanza, la nostra richiesta è che la prima riunione utile della prossima settimana sia quella che finalmente licenzierà il cosiddetto decreto legge Modena, il provvedimento che dovrà contenere le norme che riconoscono la specificità di un territorio colpito, a breve distanza, dal terremoto e dall’alluvione. L’Esecutivo si è preso questo impegno, lo ha dichiarato in Aula, ha accolto l’ordine del giorno sottoscritto da Manuela Ghizzoni e il Parlamento ha approvato la mozione presentata da Davide Baruffi. I punti principali che dovranno avere risposte certe sono quelli espressi dai territori colpiti e di cui, ancora una volta, ci facciamo portavoce, in particolare il risarcimento al 100% di chi ha subito danni e l’istituzione della zona franca urbana. Chiediamo al Governo di fare presto, siamo fiduciosi che un’area purtroppo colpita da più calamità naturali avrà risposte celeri e adeguate alle richieste. Noi non desistiamo e continueremo a vigilare in tal senso»

«Modificare la Legge 40? No, solo piccoli accorgimenti», di Mariagrazia Gerina

Renzi lo conosco piuttosto bene, è uno che sa sentire gli umori della gente, mentre era sindaco il consiglio comunale fiorentino approvò il testamento biologico, anche se quello della fecondazione assistita è per lui un terreno piuttosto scivoloso, saprà trovare il modo di intervenire an- dando incontro ai bisogni delle perso- ne e rispettando il dettato della Consulta», assicura o almeno si augura Claudia Livi, ginecologa fiorentina, responsabile del centro per la procreazione assistita Demetra di Firenze e consigliera comunale del Pd a Palazzo Vecchio per due consiliature.
Con l’ex sindaco si sono trovati spesso da parti opposte della barricata. Specie all’epoca dei referendum sulla legge 40, quando lei era in trincea per il sì e lui, da presidente della provincia, pro- muoveva il fronte per l’astensione. «Abbassare i toni», disse Renzi il giorno do- po la sconfitta dei referendari. «Tanto più ora davanti alla sentenza della Consulta, dovrebbe suggerirlo a chi è al governo con lui», osserva la ginecologa fiorentina, a proposito della “road map” sulla fecondazione assistita invocata dal ministro Lorenzin, che ipotizza anche un nuovo intervento del parlamento.
Di restare ancora appesi a dibattiti etici o a quello che farà il legislatore ginecologi, medici ed embriologi non ne hanno alcuna intenzione. «Attenderemo la pubblicazione della sentenza e ci organizzeremo», replicano, all’indomani del pronunciamento della Consulta. «Non si può sottoporre il rispetto della Costituzione a negoziazioni lega- te alla sopravvivenza di una maggioranza politica», avverte con loro anche il costituzionalista Stefano Rodotà, che concorda: «Non c’è bisogno di norme particolari per applicare la sentenza della Consulta». E ipotizza semmai «interventi modesti non particolarmente bisognosi di discussione» per garantire l’anonimato e insieme l’accesso ai dati genetici del donatore. Mentre alla classe politica preoccupata di legiferare su questi temi in linea con la Cei, che proprio ieri è tornata a manifestare «preoccupazione» per la sentenza della Consulta, suggerisce di seguire l’esempio di Bergoglio: «Su questi temi per anni c’è stato un dialogo ristretto tra due oligarchie. Quella vaticana Bergoglio l’ha messa radicalmente in discussione, non vorrei che la politica dimostrasse di non essere all’altezza dei tempi».
Legiferare ora rischia di essere legiferare contro. Chi sta in trincea semmai chiede cose molto più semplici e concrete all’esecutivo. Per esempio, il nuovo modello di consenso informato, da firmare per accedere alle tecniche di fecondazione assistita. E un aggiornamento delle linee guida sulla fecondazione assistita, rispettoso della sentenza della Consulta. E non solo: «È auspicabile che nell’aggiornare le linee guida, il legislatore non cerchi modalità per rendere farraginoso l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita, ma provveda invece ad ampliare il concetto di infertilità alle coppie portatrici di patologie genetiche, come fece il ministro Turco nel 2008 rispetto ai maschi fertili portatori di patologie virali», suggerisce Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni e legale, insieme al collega Gianni Baldini, di molte coppie costrette in questi anni a difendersi dalla legge 40. «Con alcune di loro stiamo valutando la possibilità di azioni di risarcimento per la lesione dei diritti di cui sono state vittime in questi anni a causa della legge 40», spiega. Mentre, in attesa che i centri si organizzino per ripartire con l’eterologa, ricorda che «c’è una direttiva europea che consente il rimborso delle cure effettuate all’estero, l’Italia l’ha recepita da poco e dovrà essere applicata anche alle coppie che, appena pubblica la sentenza della Consulta, chiederanno di andare all’estero». Infine: «esisto- no embrioni abbandonati, non idonei per una gravidanza, prodotti prima del- la legge 40, il decreto ministeriale del 4 agosto 2004, mai applicato, ne prevedeva il trasferimento presso un centro di raccolta a Milano per incentivare la ricerca sulle tecniche di criconservazione». Se governo e Parlamento vogliono recuperare terreno, insomma, posso- no anticipare le prossime sentenze del- la Consulta, che entro ottobre si pronuncerà sia sul divieto di utilizzo degli embrioni per la ricerca e sul divieto di accesso per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. Una nuova legge sulla fecondazione assistita «hanno avuto dieci anni per farla ma il silenzio di Renzi, della sua maggioranza e delle maggioranze che l’hanno preceduto in questi anni di diritti calpestati è stato eloquente», osserva Gallo.
In attesa che il silenzio si interrompa, il sottosegretario Ivan Scalfarotto assicura che «questi temi non saranno demandati solo al ministro Lorenzin». A cui replica che «non ci vuole una legge, la sentenza della Consulta sarà immediatamente applicabile e poche norme regolamentari potrebbero farle anche le società scientifiche». Semmai, quello che auspica anche lui è un inter- vento del governo che anticipi le decisioni della Consulta.

L’Unità 11.04.14

«Meno burocrazia, più idee E l’agricoltura darà lavoro», di Jolanda Buffalini

Un settore in cui l’export vale 33 miliardi di euro, che nel 2013 ha esportato prodotti di punta del made in Italy per il 5 per cento in più, rispetto allo stagnare di altri ambiti, è un settore, quello agricolo, su cui spingere l’acceleratore e puntare. È quello che sta provando a fare il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, forte anche del fatto che nella Pac, politiche agricole comuni, 2014-2020 ci sono 52 miliardi di euro, «belle risorse», chiosa il ministro, «che serviranno a progettare l’agricoltura italiana del futuro». Ministro, con il suo hashtag “Campolibero” lei chiama alla partecipazione i cittadini. È una iniziativa inconsueta in un campo in cui la politica è piena di tecnicismi, non le pare?
«Credo sia in assoluto la prima volta che si fa una “call” aperta in campo agro-alimentare per raccogliere idee e ipotesi di lavoro. Ho lanciato l’hashtag a Vinitaly proprio per la carica simbolica che il settore vitivinicolo ha in Italia. Attraverso il sito del ministero delle politiche agricole, tutti avranno tempo sino al 30 aprile, di suggerire idee. Sul sito c’è una prima griglia di lavoro elaborata da noi. Vi si valorizzano i temi della legge di stabilità 2014 e si sviluppano temi a mio avviso cruciali, alla cui elaborazione tutti possono con- correre. Dopo il 30 aprile questo lavoro si trasformerà in un atto legislativo». C’è il problema dei rapporti degli agricoltori con la Pubblica amminstrazione?
«È uno dei due assi su cui si basa il piano d’azione: snellire, sburocratizzare. Ci sarà un registro unico dei controlli, si riduce da 180 a 60 giorni il silenzio-assenso, per consentire a chi impianta una azienda agricola di entrare rapidamente in attività. Sarà più facile la vendita diretta, che è una grande peculiarità italiana, le percentuali di vendita diretta che si fanno in Italia non hanno eguali in Europa, c’è la dematerializzazione dei registri di carico e scarico e c’è un provvedimento molto apprezzato che è l’introduzione della diffida».
Per evitare di pagare subito la sanzione ?
«Precisamente, si dà tempo a chi ha sbagliato di mettersi in regola, solo trascorso quel tempo si dovrà pagare la sanzione». I numeri dicono che il settore agricolo esprime molte cose positive, l’export, per esempio, aumenta. Ma è anche un settore sovraccaricato di pesi, una giungla di enti e anche tanti scandali clientelari avvenuti nelle nomine. Come si muove il piano da questo punto di vista?
«Abbiamo la necessità di disboscare la rete di enti e società ministeriali. In “Campo libero” ci sono 18 azioni per la riorganizzazione degli enti, riducendo i consiglieri di amministrazione da 5 a 3 e anche, dove possibile, da 5 a 1. Ma la semplificazione riguarda anche aspetti molto tecnici come, nel settore vinicolo, le norme sui solfiti o quelle sulle operazioni di carico e scarico». I ricercatori si dicono d’accordo con le integrazioni degli enti però, aggiungono, non si deve perdere di vista il ruolo della ricerca in agricoltura, che va tutelata.
«Condivido e penso che dobbiamo fare di più dal punto di vista strategico. Nei prossimi mesi presenteremo un piano nazionale per la ricerca, sulla base delle risorse di Horizon 2020 e sulla base della nuova Pac che prevede 4 miliardi di euro per le Eip, european innovation partnership. La filosofia di “Campolibero” poggia su tre pilastri, i giovani, la Pac 2014-2020 e il progetto per la ricerca».
C’è un’altra cosa interessante nella filosofia che ispira questi progetti, è la distinzione fra mercato e bene comune
«È una delle novità, un metodo nuovo nel- la applicazione delle politiche comunitarie. L’agricoltura in montagna o in zone svantaggiate assolve funzioni non solo economiche ma anche sociali, di cittadinanza, e di territorio. Distinguere fra agricoltura come bene pubblico e agricoltura come mercato fotografa meglio il paese e questo avrà un peso nella ripartizione delle risorse». Come realizzare l’obiettivo delleassunzioni dei giovani in agricoltura?
«Intanto con i mutui a tasso zero per le imprese condotte da under 40. Poi ci saranno gli incentivi per le assunzioni con uno sgravio di un terzo della contribuzione sulla retribuzione lorda, mutuando dal jobs act la formula dei 36 mesi. Infine ci saranno le misure per incentivare la stabilizzazione».
Come si stabilizza il lavoro dei giovani in agricoltura?
«Stiamo lavorando all’ipotesi di una nuova forma contrattuale, reperendo risorse su un altro fronte, che inneschi un meccanismo virtuoso, rimodulando il numero delle giornate lavorative (102 l’anno) che, in agricoltura, dà accesso agli ammortizzatori sociali».
Misure sul fronte della concorrenza globale?
«Crediti d’imposta per lo sviluppo dell’e-commerce, la rete è la nuova frontiera ed è chiaro che quello è un terreno privilegiato, da contrastare, per la contraffazione, per la diffusione dei falsi prodotti italiani. L’altra cosa importante è lo sviluppo delle piattaforme di distribuzione all’estero, la cui mancanza è una tara storica per l’agroalimentare italiana, che non ha, come la Francia, grandi catene di distribuzione, né, come la Germania, una logica di organizzazione come paese». Chi può farsi carico di questo tipo di veicolo globale?
«Imprese che si aggregano e imprese che lavorano sulla internazionalizzazione dei prodotti italiani».
Spedire prodotti alimentari all’estero, è una avventura sconsigliabile.
«Le do un solo dato statistico, la sosta alle dogane italiane è di 19 giorni, contro i 9 della Francia e i 7 della Germania. Una bella differenza! Infatti stiamo lavorando con l’agenzia delle dogane per affrontare questo problema».
Per assumere giovani immagino ci voglia una certa dimensione aziendale, in Italia prevalgono le piccole e piccolissime aziende.
«È vero, però ci sono esperienze come quella delle mele del Trentino, dove le piccole aziende si sono aggregate e hanno portato nel mondo il prodotto, facendo un miliardo di fatturato. Inoltre la Pac 2014-2020 prevede per i giovani in agricoltura un budget di 75 milioni di euro l’anno».
Ci sono due temi molto caldi nei rapporti con l’Europa, l’etichettatura e gli Ogm. «Sono due temi che tratteremo durante il semestre di presidenza Ue dell’Italia. Sugli Ogm siamo d’accordo anche con gli assessori regionali che l’obiettivo è che ciascun paese membro decida autonomamente se coltivare Ogm oppure no. La Grecia e diversi altri stati sono su questa posizione. L’etichettatura, poi, è molto importante, per valorizzare e difendere i nostri prodotti dalle falsificazioni. Sappiamo che è una battaglia difficile in Europa ma la vogliamo portare fino in fondo. Per questo avvieremo subito, anche prima dei tempi previsti da Bruxelles, un’indagine sulla sensibilità dei nostri consumatori sulla provenienza del prodotto».

L’Unità 11.04.14

"Lleft e la fine del «tabù giustizia» nel dopo-Berlusconi", di Giovanni Maria Bellu

Un giorno la sinistra smise di occuparsi della cattiva giustizia. Non se ne conosce la data precisa, ma si può affermare con certezza che l’inizio di questa «distrazione» coincide col momento in cui l’uomo più ricco e potente d’Italia cominciò ad attaccare i giudici, e a cambiare le leggi, per difendere se stesso.
Prima dell’inizio dell’era berlusconiana la questione della difesa dei diritti dei più deboli era stabilmente all’ordine del giorno del dibattito della sinistra. Si par- lava senza imbarazzo di procure che occultavano le inchieste (i «Porti delle nebbie») o che si accanivano su figure deboli e marginali per distogliere l’attenzione dalle responsabilità degli apparati dello Stato nelle stragi (il «caso Valpreda»). Poi tutto (o quasi) tacque.
Abbiamo dedicato il prossimo numero di left (in edicola domani con l’Unità) a questo tabù. Ne abbiamo parlato con giuristi come Luigi Ferrajoli, con storici come Salvatore Lupo. Nell’editoriale di apertura il giudice Alberto Cisterna chiarisce un aspetto cruciale della questione. E cioè che a questo silenzio della sinistra si è accompagnata, da parte della politica, di tutta la politica, la progressiva rinuncia all’esercizio della sua funzione di controllo, per esempio attraverso le authority. È una questione complessa e delicata. Ma proprio per questa ragione è opportuno cominciare ad affrontarla. Perché se il «tabù-giustizia» è stato uno dei più nocivi tra gli «effetti collaterali» del berlusconismo, romperlo è una delle condizioni indispensabili per tornare a essere un Paese normale. E per chiudere definitivamente col berlusconismo.
Uno dei servizi è dedicato all’autogoverno dei giudici e a specifiche vicende che – nell’assegnazione degli incarichi direttivi, nella elezione dei membri del Csm e dell’Associazione nazionale magistrati – richiamano modi e metodi della cosiddetta «vecchia politica». Perché il silenzio, l’attribuzione di una sorta di delega illimitata, ha fatto male anche ai giudici e ai loro «partiti interni». Gli unici a essere sopravvissuti al passaggio tra la prima e la seconda Repubblica.
Un problema di difesa e di riconoscimento del merito esiste anche tra i magistrati. Le «logiche correntizie» sono spes- so decisive per la scelta di capi di uffici delicatissimi. Col risultato paradossale che così come la politica delega alla giurisdizione scelte che non è in grado di compiere (dalla riforma elettorale a quella della legge 40), gli stessi giudici finiscono con l’affidare ad altri giudici (quelli del Tar) la risoluzione dei conflitti interni generati da un uso improprio dei poteri di autogoverno.
In definitiva, parliamone. Col senso di responsabilità dovuto a una materia che, contemporaneamente, attiene al buon funzionamento della democrazia e alla vita quotidiana di tutti noi. Parliamone in modo semplice e chiaro. Come la vignetta-editoriale di Sergio Staino (che non anticipiamo qua per non guastare la sorpresa) suggerisce, in apertura del numero, con amara e feroce ironia.

L’Unità 11.04.14

Mosca: «Offese sessiste che fanno orrore. La nostra è una scelta coraggiosa», di Ninni Andriolo

«Doppiamente sgradevoli gli insulti di Grillo…». Trentotto anni, a Montecitorio dal 2008, Alessia Mosca guiderà il Pd nel Nordovest alle Europee del 25 maggio. «È stata una sorpresa spiega Non mi aspettavo di essere capolista e mi ha piacevolmente stupita la scelta al femminile compiuta dalla direzione». Immaginava una candidatura la deputata lombarda del Pd. «La mia storia politica e personale, come la mia formazione, sono indissolubilmente legate all’Europa spiega Molti mi chiedono: “Ma come, lasci Roma per Strasburgo?” Vorrei ricordare che il 70% della legislazione nazionale è di derivazione europea…». Nata a Monza, tesi di dottorato sul Parlamento europeo, Alessia Mosca è espressione della prima generazione Erasmus. Poche settimane fa ha pubblicato un instant book «l’Unione in pratica, un’Europa a misura d’Italia» che racconta la sua concezione dell’Ue.

Nell’Università prima, l’attuale capolista Pd nel Nordovest si è impegnata successivamente nell’Arel di Enrico Letta. Durante il governo dell’ex premier ha lavorato nello staff tecnico della presidenza del Consiglio. «La più grande soddisfazione da parlamentare è stata l’approvazione della legge sulle quote femminili nei consigli d’amministrazione delle società quotate, la cosiddetta Golfo-Mosca ricorda E il fatto che io sia capolista Pd, con le altre capolista, mette insieme due grandi pezzi della mia vita: l’impegno per le donne e quello per l’Europa».

Cinque «veline» alla guida delle liste Pd, secondo il solito Grillo…

«Gli insulti di Grillo hanno un duplice effetto di cui mi vergogno. Da un lato viene fuori l’aspetto più gretto della nostra cultura, quello che ricade nell’offesa sessista e che mi fa orrore. Pensiamo di essere un Paese moderno e poi emergono i rigurgiti di vecchie abitudini che non vengono superate. Dall’altro lato fa tristezza il fatto che un leader politico ricorra a questi strumenti per celare un’evidente carenza di argomenti. Il Partito democratico ha compiuto una scelta politica di grandissimo coraggio, ed è questo che ha spiazzato Grillo…».

C’è chi ipotizza liste Pd guidate da donne per bilanciare il no alla parità di genere nell’Italicum che avrebbe minato il patto Berlusconi-Renzi…

«Si tratta di una falsa polemica. Vorrei ricordare che il 25 maggio, esprimendo le preferenze, per la prima volta ogni elettore sceglierà almeno un candidato di genere diverso. Un passo avanti normativo importante frutto dell’iniziativa del Pd. Dello stesso partito, cioè, che decide cinque donne capolista. Per quanto riguarda l’Italicum, poi, noi abbiamo fatto la battaglia e la direzione ha preso l’impegno di modificare la legge in Senato. Una conferma dell’ispirazione fondativi del Partito democratico»

Un’altra donna, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, rifiuta la candidatura in polemica con le scelte del Pd…

«Non voglio entrare in vicende che mi sembrano legate a fatti regionali che non conosco a sufficienza. Non mi sento di esprimere commenti. A me sembra che le elezioni europee rappresentino un momento in cui tutto il partito deve lavorare unito, in cui finalmente si determini una volontà di investire molto forte. In Europa, ancora più che in Italia, è necessario esprimere grande compattezza, sia come delegazione italiana sia come Partito democratico che ne costituirà sicuramente la maggioranza e che dovrà far valere la propria idea di Unione europea»

Qual è la sua idea di Europa, e di Italia in Europa, onorevole Mosca?

«Non abbiamo sufficientemente utilizzato le opportunità messe a disposizione dall’Unione, poco sfruttate perché poco conosciute. Un esempio? Abbiamo utilizzato appena il 45% delle risorse che possono essere spese dai Comuni, dagli enti o dalle associazioni per fornire servizi ed essere più efficienti. Io appartengo a quella generazione che ha visto nell’Europa un sogno e un’opportunità. Questo sogno è stato tradito negli ultimi anni perché ci si è arroccati dentro l’idea di un’Europa di pochi Stati e di pochi interessi economici. Il nostro impegno deve essere quello di andare verso l’Europa di tutti. Per tutti i cittadini, per tutti i diritti, un’Unione accessibile in cui si stia meglio tutti».

I socialisti europei e il Pd dentro il Pse puntano su un’altra Europa che promuova lavoro e crescita.

«L’Europa deve garantire crescita, lavoro, benessere. Questa Ue non ha semplificato la vita ai cittadini, ai lavoratori, alle imprese. Serve più Europa, ma un’altra Europa. Non temiamo che gli Stati perdano un pezzo di sovranità, non ha senso che ci siano ventotto normative diverse sul lavoro o ventotto tipi diversi di welfare. Il sogno grande è quello degli Stati Uniti d’Europa».

Lei propone più Europa, ma c’è il rischio che alle prossime elezioni si affermino le Piste antieuropee e l’astensionismo. L’austerità esasperata ha fatto crescere l’idea di un’Europa nemica causa di crisi. Un onda lunga che in Italia può avvantaggiare Grillo.

«Il rischio vero è che vadano a votare solo gli arrabbiati. Ma c’è la gran parte, soprattutto del nostro mondo di riferimento, che chiede paradossalmente più Europa e non meno Europa. Ho incontrato molte persone, molti gruppi, molte associazioni in questi mesi. Il filo rosso che lega tutti non è “usciamo dall’Europa”. Si scorgono ancora le potenzialità enormi dell’Unione. Si chiede un’altra Europa, certamente. Un’Europa diversa che vuol dire anche di più. Il tema quindi non è andare controcorrente rispetto a un sentimento diffuso che chiede, ad esempio, l’uscita dall’euro. Questo elemento non è maggioritario. Può non diventarlo se rilanciamo la grande Europa dei popoli e dei cittadini»

L’Unità 11.04.14

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Europee, PD: “Grillo in affanno, non ha argomenti e insulta”
Le affermazioni di Grillo rivelano l’idea che lui ha delle donne. Noi abbiamo un’idea diversa e vogliamo donne sempre più protagoniste”, così Lorenzo Guerini, vicesegretario del PD

“Un Grillo sempre più in affanno e spiazzato, rispolvera commenti sessisti contro i suoi bersagli preferiti: le donne. Poi se del PD ancora meglio. Non stupisce quindi la reazione scomposta del M5S all’ennesima grande prova di cambiamento dimostrata dai democratici con le cinque donne capolista per le europee.

L’unico argomento della campagna elettorale del M5S è il Partito Democratico, ormai una vera e propria ossessione per Grillo. La stessa minestra riscaldata ogni giorno, fatta di invettive e insulti. Comprendiamo la disperazione di rincorrere il PD, ma Grillo continua a non avere altri argomenti da proporre se non le solite, becere offese”. Lo dice Francesco Nicodemo, responsabile Comunicazione del Partito democratico.

“Le affermazioni di Grillo rivelano l’idea che lui ha delle donne. Noi abbiamo un’idea diversa e vogliamo donne sempre più protagoniste”, così Lorenzo Guerini, vicesegretario del PD.

Roberta Agostini, coordinatrice nazionale Conferenza donne PD, ribadisce il sostegno delle Democratiche ad Alessia Mosca, Alessandra Moretti, Simona Bonafè e Pina Picierno: “Quando non si hanno argomenti si usano gli insulti. Grillo non ha ragioni concrete per attaccare il Pd e allora prova a prendersela con le donne che guideranno le liste dei democratici per le prossime elezioni europee. Le quattro deputate offese da Grillo hanno dimostrato impegno e competenze sul campo e da anni si dedicano all’attività politica.

Queste affermazioni fanno il paio con gli insulti pronunciati da esponenti del Movimento 5 stelle nei confronti delle parlamentari e della Presidente Boldrini in occasione della discussione sulle norme per la parità di genere nella legge elettorale. E’ il caso che Grillo si sforzi di stare sui temi invece che offendere usando i soliti toni maschilisti”.

Dello stesso avviso Anna Finocchiaro, presidente Commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama, che commenta: “Grillo non ha davvero più pallottole in canna, è preoccupato per le elezioni e il nervosismo gli gioca brutti scherzi.

Comprendiamo che, a chi è abituato a selezionare i candidati attraverso le poche migliaia di voti raccolte sul web, possa apparire indigesta la decisione di Renzi di candidare 5 dirigenti politiche giovani e autorevoli come capolista alle europee, ma cadere nel più becero maschilismo, al quale peraltro non è nuovo, non fa onore alla sua intelligenza e impoverisce il dibattito politico. Per quanto ci riguarda, prendiamo il positivo e consideriamo queste sue dichiarazioni bene auguranti, visto il grande e pluriennale successo di Striscia la notizia”.

“Ormai a corto di argomenti Grillo non fa altro che lanciare accuse prive di fondamento utilizzando un linguaggio, come al solito, sessista e offensivo. Comparare a quattro veline donne che da tempo si occupano, con serietà e passione, di politica ancor prima che un insulto è un’assurdità”. Così la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, che continua: “L’unico requisito di Bonafé, Picierno, Mosca e Moretti non sarebbe né la loro competenza né il loro lavoro, ma appartenere al sesso femminile e il far parte di una corte che ruoterebbe intorno a un uomo, il ” Caro leader Renzie”! Una convinzione che denota la visone maschilista del leader del Movimento cinque stelle e che non ha neanche bisogno di essere commentata.

Il partito democratico ha deciso di puntare sulle donne, sul loro lavoro, sulle loro competenze e la loro capacità di innovazione. Una decisione che ha dato l’avvio a un importante cambiamento dal quale non si torna indietro, con buona pace di Beppe Grillo”.

www.partitodemocratico.it

"Il Servizio Civile che fa bene all’Italia" di Giangiacomo Schiavi

La voglia di volontariato che aumenta nonostante la crisi è una buona notizia da mettere sul piatto della crescita. Se aumenta l’impegno a darsi da fare per ridurre disagi, garantire assistenza, assicurare un servizio, vuol dire che c’è nelPaese un capitale umano su cui investire e di cui si dovrebbe tener conto per ogni discorso sulla ripresa: all’innovazione, oltre alla creatività e all’intelligenza, servono anche il coraggio e la generosità. In questo senso l’idea di rilanciare il servizio civile per tutti in occasione del semestre di presidenza italiano dell’Unione Europea, proposto dal settimanale Vita , è l’occasione per riflettere sul valore di certe pratiche che aiutano a vivere meglio. Anche se non impattano sul Pil, come ricordava Bob Kennedy nel famoso discorso del 1968 sul benessere della nazione americana, certi esempi di civismo misurano «la saggezza, la conoscenza, la compassione e la devozione verso il proprio Paese».
Oggi il servizio civile nell’Italia che ha abolito la naja obbligatoria, è soltanto volontario. Per tanti giovani sarebbe un’opportunità e un’esperienza utile per il futuro, integrandolo con i vari programmi esistenti, dai corpi civili di pace, agli aiuti umanitari, all’Erasmus, al servizio civile nazionale. Darebbe loro qualcosa di più di un credito formativo: li renderebbe cittadini attivi impegnati in qualcosa di utile per il loro Paese. E servirebbe anche nelle successive attività lavorative, alle imprese che oggi chiedono sempre più partecipazione sociale e spirito di squadra, perché il tempo speso per gli altri è un investimento a lungo termine che rende.
Purtroppo oggi ai tanti giovani che chiedono di svolgere il servizio civile non viene data risposta. Anzi: a più di centomila giovani che ne hanno fatto richiesta, viene detto che i posti sono limitati. Novantamila di loro pronti a mettersi in gioco sono stati respinti. È singolare che uno Stato con 6 milioni di giovani tra i 18 e i 28 anni e il 40 per cento di disoccupati non si ponga il problema di attivare un servizio civile per chi chiede di poterlo fare. Ed è ancora più singolare sentirsi rispondere che non ci sono risorse, quando gli sprechi della politica sono sotto gli occhi di tutti e i finanziamenti per gli F35 si trovano senza fiatare.
«C’è una degenerazione del sistema», ha detto recentemente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, «frutto della nostra globale trascuratezza». Servirebbe un grande sforzo collettivo che impegni tutti e ciascuno, come ha ricordato alla Fondazione Ambrosianeum l’economista Marco Vitale lanciando questo appello: «Dipende da noi». È vero: dobbiamo recuperare fiducia in noi stessi e nelle nostre comunità e avere più coraggio nel sostenere pratiche formative per i giovani. Un servizio civile adeguatamente svolto sarebbe sicuramente d’aiuto. Lo hanno capito le aziende private che coltivano la risorsa del volontariato per dare valore alla loro presenza sul territorio. Alla Alessi, per esempio, la cassa integrazione è utilizzata per attività socialmente utili, gestite dall’azienda in collaborazione con la giunta comunale: il risultato di partecipazione e di problemi risolti è stato straordinario. Ma ci sono centinaia di altre imprese in Italia dove la responsabilità sociale è ormai un codice etico di comportamento.
C’è un’assenza di Stato, un vuoto di idee e di proposte che la politica, il governo, il Parlamento faticano a riempire con progetti concreti. Dal festival del volontariato di Lucca, dove si parla della migliore Italia e si lanciano le buone notizie, arriva un segnale d’allarme: le associazioni che operano nel settore della Protezione civile hanno difficoltà a trovare mezzi, uomini e risorse. Un motivo in più per sostenere un servizio civile ampio e accessibile a tutti i giovani che ne fanno richiesta.

Il Corriere della Sera 11.04.14

"È una stangata uscire dall’euro", di Nicola Cacace

In queste elezioni europee si fronteggiano due linee, «Si euro ma con più Europa» e «No euro e quindi No Europa». Mentre per i primi l’euro doveva essere il viatico per l’unione politica, come testimonia il motto «money first» lanciato da Jenkins e Delors a sostegno del progetto euro, per i secondi si invoca sovranità monetaria e quindi l’uscita dall’euro e dall’Europa.

Sono due linee legittime ma devono essere declinate correttamente. Cosa che non avviene quando gli antieuropeisti utilizzano le critiche all’euro senza Europa politica, fatte da premi Nobel come Krug- man, Stiglitz, Amartya Sen, o da illustri italiani come il professor Savona, a sostegno delle loro tesi. O come i fautori dell’uscita tendono ad ignorare i costi, enormi, che graverebbero sui cittadini.

Il professor Savona è quello più citato a sproposito dai fautori dell’uscita dall’euro, Lega in testa, che ha messo la scritta «no euro», nel simbolo per le elezioni europee. Vediamo cosa scrive Savona in merito (Milano finanza, 28.12.2013): «Uscire dall’euro? Mai detto, ma ciò non può significare che non si debba essere preparati a farlo (il piano B)….Uscire oggi dall’euro è un problema molto serio che richiederebbe una intensa azione diplomatica preparatoria per nuove alleanze, come lo richiedono le norme per restarvi…In breve, no uscire dall’euro ma dall’incubo e rientrare nel sogno europeo, è quello in cui abbiamo sempre creduto e che resta un passaggio storico indispensabile». Mi pare che Savona invochi, giustamente, più Europa per non morire di austerità da euro senza Europa.

Vorrei consigliare gli anti euro ed anti Europa, tra cui Matteo Salvini di interpretare correttamente i messaggi di quanti sono «per l’euro ma con più Europa» e le stime dei costi di una uscita dall’euro. A questo proposito basterebbe che consultasse gli amici svizzeri della banca Ubs, che sono stati i primi, a quantificare in 10mila euro, la perdita netta che ogni cittadino di un eventuale Paese uscente dall’euro avrebbe subito nel primo anno dell’operazione. Va premesso che per uscire dall’euro non esistono norme specifiche, che sarebbero da inventare e con potere contrattuale minimo di un paese contro altri 17. Oltre l’Opting-out, evocato dal professor Savona (art.cit.) come possibile norma per uscire dall’euro, ma che a me pare valere per non entrare in un «patto ristretto», come fece la Gran Bretagna rifiutando l’eurozona, una norma che potrebbe essere invocata è l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che tratta di «recessione dalla Ue» e non specifica alcunché sulla uscita dall’Uem. Secondo quest’articolo uscire dall’euro, implicherebbe anche l’uscita dalla Ue.

Sembrerebbe un po’ troppo, ma le carte sono queste, e danno un’idea delle complicazioni reali e burocratiche che una eventuale dichiarazione di intenti del genere aprirebbe. Tanto per cominciare l’affermazione che «basterebbe un week end per uscire dall’euro» è una balla, tra le tante fatte dagli euro- scettici in questi giorni. Bisognerebbe avvisare l’Uem e la Bce delle nostre intenzioni ed inventare una procedura che non c’è.

E cosa farebbero nel frattempo gli investitori-risparmiatori con titoli del Tesoro e con conti correnti in euro, italiani e stranieri? Non starebbero ad applaudire. Farebbero la fila agli sportelli per vendere Bot e Btp e per spostare i loro euro all’estero in mani più affidabili. Con probabili fallimenti bancari se lo Stato non intervenisse come con divieti e chiusura delle banche come in Argentina. Una delle co- se su cui tutti gli esperti convengono è nella quantificazione di una svalutazione della nuova lira del 30%-50%. Senza contare i problemi del debito e dei tassi d’interesse. I possessori di titoli di Stato, alla scadenza, avendo acquistato in euro, vorranno essere ripagati in euro e lo Stato o si adatta ed in pochi mesi esaurisce la valuta, perché i rimborsi superano le vendite di nuovi titoli, o pretende di rimborsare in lire. Ma a che cambio? Quello fissato dal Tesoro un euro=una lira o quello fissato dal mercato 1 euro= 1,3-1,5 lire? La differenza sta i 2 cambi vale tra il 30% ed il 50%. Il rapporto debito/Pil passerebbe in breve tempo oltre 150 e lo spread salirebbe al cielo!

C’è un’altra soluzione, obbligare Bankitalia a comprare i titoli, com’era una volta, stampando moneta e, naturalmente, facendo salire l’inflazione a due cifre. Allora salirebbero anche i tassi di interesse per combattere l’inflazione, con pene elevate per i possessori di mutui. Poiché salari e pensioni sarebbero in lire e senza scala mobile, ecco in pochi mesi l’erosione del potere d’acquisto dei cittadini che la Ubs stima in almeno 10mila euro «per il primo anno». E poi? Poi Dio vedrà, se non saremo tutti morti, malgrado i maghi dell’uscita facile dall’euro.

L’Unità 11.04.14