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Nuove norme rafforzano la lotta alle cosche mafiose

Le norme che combattono il voto di scambio sono in dirittura d’arrivo e la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti, difende il lavoro fatto alla Camera, assicurando che le sanzioni e le misure previste rafforzeranno la lotta alle cosche.
“Siamo a un passo dall’approvazione di una norma attesa da venti anni. Ormai si puo’ parlare di certezza, in virtu’ anche dell’impegno dichiarato questa mattina dal presidente Nitto Palma, che ha calendarizzato per martedi’ prossimo il testo in commissione Giustizia al Senato.
Il riconoscimento di questo reato ha una doppia valenza, sia sul fronte della giustizia sia sul fronte politico. Infatti con il testo approvato dalla Camera, si punisce anche solo la promessa di voti per denaro o altre utilita’. Noi eravamo disponibili ad approvare il testo cosi’ come e’ arrivato dal Senato, nonostante le problematiche che avevamo ravvisato. La magistratura ci aveva fatto notare che il testo di palazzo Madama avrebbe potuto creare problemi di prova in Tribunale per la generita’ di una norma che, qui alla Camera, e’ stata cambiata e non per indebolirla ma per rafforzarla. Abbiamo cercato di riportare la pena alla misura iniziale e anche in questo caso -ha precisato la presidente della commissione Giustizia- non certo per depotenziarla ma per rafforzarla, non abbiamo voluto affatto indebolire la lotta alla criminalita’ organizzata e alla contiguita’ tra politica e organizzazioni mafiose. Tanti magistrati impegnati in prima linea, stavano lavorando per sostenere che la punibilita’ del voto di scambio fosse un po’ piu’bassa dell’associazione mafiosa, perche’ chi vi partecipa stabilmente ha una pericolosita’ maggiore rispetto a ch fa un patto con la mafia per chiedere voti. Ma se il politico e’ vicino alla mafia, e’ continguo e in qualche modo la rafforza dall’esterno, rispondera’ pure di concorso in associazione mafiosa o di concorso esterno, cumulando quindi due reati. I magistrati, di conseguenza, potranno contestare il sia reato di voto di scambio, sia il 416 bis. Ripeto: nessuno sconto di pena ma solo una gradualita’ e proporzione della sanzione. Come si puo’ dire che la pena da 4 a 10 anni sia una pena lieve?”.

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IL NUOVO 416-TER DEL CODICE PENALE: UNA NORMA EFFICACE CONTRO MAFIA E VOTO DI SCAMBIO

Sono passati circa 20 anni da quando è stato introdotto nel nostro ordinamento l’articolo 416-ter del codice penale che sanziona la fattispecie di reato denominata “Scambio elettorale politico-mafioso”, ovvero lo scambio con cui l’organizzazione criminale si infiltra nelle istituzioni elettive, tanto locali quanto nazionali, per condizionare le decisioni governative e di distribuzione delle risorse e trarne vantaggio per l’intera organizzazione mafiosa. Il reato fu introdotto all’indomani delle stragi di Capaci e Via d’Amelio a Palermo e si configurava quando un candidato otteneva la promessa di voti in cambio della erogazione di denaro. Sin da subito emersero le criticità di tale formulazione: la fattispecie non era infatti idonea a coprire tutte le condotte che nella realtà dei fatti sono sembrate comunque riconducibili allo scambio elettorale politico- mafioso, risultando troppo limitativa nella parte in cui circoscriveva irragionevolmente all’erogazione di denaro la controprestazione effettuata da chi ottiene la promessa di voti da parte di organizzazioni mafiose.
A distanza di più di due decenni, la Camera ha approvato il 3 aprile 2014 la tanto attesa riforma dell’articolo 416-ter che estende le tipologie delle condotte penalmente sanzionabili riconducibili al voto di scambio politico mafioso.
Diversamente da quanto accaduto fino ad ora, la riforma di cui si discute arriva non tanto sull’onda emotiva di fatti tragici, ma nella piena consapevolezza che avere strumenti di diritto penale efficaci possa servire per colpire al cuore il sistema di intrecci tra politica e mafia, quel sistema che altro non è se non un modo di intendere il potere pubblico in chiave premoderna e antidemocratica, un potere dove, in ultima analisi, comanda chi è più forte. In quest’ottica, la lotta alla mafia diventa un elemento fondamentale della generale battaglia per un rinnovamento civile, democratico ed economico del nostro Paese.
L’ITER
Il testo è stato approvato in prima lettura dalla Camera, all’unanimità, nel mese di luglio 2013 (v. dossier n. 13 Modifica articolo 416-ter. Lotta alla mafia e al voto di scambio). Successivamente, è stato modificato dal Senato (AS 948). Tornato in seconda lettura alla Camera, è stato approvato, con modificazioni, il 3 aprile 2014 (AC 204-251-328-923-B). Il provvedimento torna adesso al Senato per la sua approvazione definitiva.
IL TESTO APPROVATO IN SECONDA LETTURA DALLA CAMERA
Il testo approvato dalla Camera il 3 aprile 2014, in seconda lettura, prevede che venga sanzionato con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque – in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità – accetti la promessa di voti, con le modalità proprie dell’associazione di tipo mafioso specificate dal terzo comma dell’articolo 416-bis. Il nuovo testo è il risultato di un importante sforzo delle principali forze parlamentari, d’intesa con il governo, e costituisce un punto di sintesi e di equilibrio che tiene conto delle problematicità e delle criticità emerse nel corso dell’iter parlamentare. È stato fatto un importantissimo passo avanti nella lotta alla mafia, riuscendo a coniugare le esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione investigativa e giudiziaria con quelle di tipicità e tassatività della condotta di rilevanza penale punita. Il nuovo articolo 416-ter, così come dichiarato dal Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, “è una norma perfetta e veramente utile a contrastare lo scambio tra politica e mafia”
In sintesi cosa prevede la norma:
– Punito lo scambio di promesse tra il politico e il mafioso. Il reato scatta nel momento dell’impegno reciproco e consapevole di due controparti dello stesso scambio elettorale politico-mafioso. In sostanza, viene punito l’accordo tra promesse, ovvero viene punita, da un lato, la promessa del mafioso, o di un suo intermediario, di procurare voti utilizzando i metodi e la forza intimidatoria dell’associazione mafiosa e, dall’altro, la promessa del politico di favorire la mafia promettendo la dazione di denaro o ogni altra utilità. Il nuovo reato presenta dunque una struttura bilaterale laddove va a colpire l’accordo che coinvolge due parti.
– Oggetto dello scambio politico-mafioso. Oggetto dello scambio è l’erogazione o la promessa di erogazione di denaro o di altra utilità. Il Senato, in aggiunta a ciò, aveva inserito nella norma, quale contropartita dello scambio elettorale politico-mafioso, anche la “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione medesima”, ovvero il politico che mette a disposizione degli interessi delle associazioni mafiose, già definiti dall’art. 416-bis terzo comma del codice penale, il proprio incarico pubblico. Tuttavia, è stato rilevato da più parti, sia dal Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, sia dal Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo Maria Sabelli, che inserire il riferimento alla “disponibilità” sarebbe stata un’aggiunta superflua rispetto al concetto di “altra utilità” e, soprattutto, un concetto troppo generico che rischiava di contrastare con il principio costituzionale della tassatività e tipicità della norma penale. Con tale formulazione, la norma avrebbe causato serie difficoltà di accertamento probatorio, diventando fonte di incertezze giuridiche con il rischio di rendere incerto ed inefficace l’esito dei processi. L’eliminazione del riferimento alla condotta di dare disponibilità per soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa non è assolutamente un passo indietro, anzi è un passo avanti per l’efficacia della norma e la concreta applicabilità della norma: chi, senza essere mafioso, si metterà a disposizione della mafia potrà continuare ad essere punito a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa ai sensi dell’articolo 416-bis del codice penale, che prevede la reclusione da 7 a 12 anni.

La vera forza del nuovo testo risiede nella capacità di superare finalmente la mera punizione della dazione di denaro in cambio di voti procurati dalla mafia, e conferma che il reato è consumato anche quando oggetto dello scambio è qualsiasi altra utilità. La genesi di questa norma risale ad un’idea di Giovanni Falcone. Fu lui ad avere chiare le modalità in cui si esplicita il rapporto tra politici corrotti e mafiosi: non solo e non tanto il denaro, quindi, ma appalti dirottati, abusi edilizi, posti di lavoro, concessioni ovvero tutte quelle forme di distorsione sistematica dell’attività amministrativa che, a causa dello scambio politico mafioso, viene orientata al soddisfacimento degli interessi degli “amici”, piuttosto che al perseguimento dell’interesse generale.
– La pena. Il Senato aveva omologato la pena a quella prevista per l’associazione mafiosa (articolo 416-bis), cioè la reclusione da sette a dodici anni. Nel corso dell’iter alla Camera, la pena è stata riportata a quanto previsto originariamente dal testo approvato all’unanimità dalla Camera a luglio 2013, ovvero da un minimo di quattro anni ad un massimo di dieci. Tale differenziazione della pena rispetto alla associazione
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a delinquere di stampo mafioso risponde ad un principio costituzionale che prevede pene diverse in relazione alla diversa gravità dei reati.
Il politico che, in cambio di voti, vende la sua “funzione pubblica” alla mafia, nel senso che promette di elargire utilità, viene punito con una pena da quattro a dieci anni. Se poi costui è anche partecipe nell’attività dell’associazione mafiosa, sarà punito anche per concorso ai sensi dell’articolo 416-bis del codice penale, come già riconosciuto dalla Cassazione. È quel fenomeno che i giuristi e il nostro codice penale chiamano concorso materiale di reati. Quindi il politico corrotto può essere punito sia per la condotta di scambio politico-mafioso, sia per l’associazione mafiosa che per il concorso esterno e le pene, quindi, si sommeranno tra di loro.
– Entrata in vigore. La Camera ha previsto l’immediata entrata in vigore della legge (il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). Normalmente, l’entrata in vigore è di 15 giorni successivi alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (vacatio legis).

416-bis. Associazioni di tipo mafioso anche straniere.
Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni. L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

www.deputatipd.it

Associazionismo sportivo, Ghizzoni e Vaccari “Evitata la paralisi”

Dopo la lettera al presidente Renzi, il Ministero della Giustizia ha chiarito la questione. Una circolare esplicativa del Ministero della Giustizia evita il rischio paralisi del mondo dell’associazionismo sportivo: ne danno notizia i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari che, insieme all’intergruppo parlamentare sullo sport, avevano scritto in proposito una lettera al premier Renzi. “L’obbligo di richiesta del certificato penale – spiegano Ghizzoni e Vaccari – si applica solo a forme di collaborazione strutturate all’interno di un definito rapporto di lavoro. Ovvero gli enti e le associazioni di volontariato sono tenuti a richiedere il certificato per i soggetti con cui stipulano un contratto di lavoro ma non per gli operatori che collaborano con loro a titolo volontario”.

E’ stata chiarita in via interpretativa, grazie a una circolare del Ministero della Giustizia, la questione relativa all’obbligo dei certificati penali per coloro che a vario titolo entrano in contatto con minori che, se applicata in maniera pedissequa, avrebbe rischiato di paralizzare il mondo dell’associazionismo sportivo. L’obbligo del certificato penale è stato disposto da una norma contenuta nel decreto legislativo n. 39 del 2014 in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile che stabilisce anche una scadenza ravvicinata: il 6 aprile. Sulla questione erano intervenuti anche i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari che aveva firmato una lettera promossa dall’intergruppo parlamentare sullo sport indirizzata al presidente del Consiglio Renzi. “La circolare del Ministero della Giustizia – spiegano Ghizzoni e Vaccari – chiarisce che l’obbligo di richiesta del certificato penale si applica solo a forme di collaborazione strutturate all’interno di un definito rapporto di lavoro. Ovvero gli enti e le associazioni di volontariato sono tenuti a richiedere il certificato per i soggetti con cui stipulano un contratto di lavoro ma non per gli operatori che collaborano con loro a titolo volontario. Inoltre si può ricorrere ad un’autocertificazione in attesa del rilascio del certificato”. In nome di un sacrosanto dovere di controllare chi si trova a lavorare con i minori, si rischiava di immobilizzare un mondo che ha fatto del servizio ai minori la propria missione: “Grazie alla mobilitazione del mondo sportivo – concludono Ghizzoni e Vaccari – siamo riusciti ad evitare che un provvedimento, giusto nel merito, generasse ulteriori problemi e rischi di multe salatissime alle società sportive di base, già alle prese con una serie di oneri quotidiani”.

Abilitazione scientifica nazionale, Ghizzoni e Galli “Serve chiarezza”

I deputati modenesi Pd hanno depositato una risoluzione in Commissione Istruzione. Sta per prendere avvio la seconda tornata della procedura per ottenere l’abilitazione come docenti universitari. Si tratta non di un concorso, ma della verifica ad personam della raggiunta maturità scientifica del richiedente. La normativa per molti versi contraddittoria e gli esiti, in alcuni casi clamorosi, della prima tornata, impongono chiarezza. E’ per questo che i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione Istruzione e Università della Camera, e Carlo Galli, professore dell’Università di Bologna, hanno depositato una risoluzione con l’intento di indicare alcuni indirizzi di azione concreta per uscire dall’impasse.

Con il tempo è passata l’idea che si tratti di un concorso, alcuni nomi noti e stimati non sono riusciti a “passarlo”, e la prima tornata ha innescato una mole ingente di ricorsi al Tribunale amministrativo regionale. L’abilitazione scientifica nazionale, introdotta dalla cosiddetta “riforma Gelmini” dell’Università, è in realtà una verifica ad personam della raggiunta maturità scientifica per coloro che aspirano al ruolo di professore universitario o che sperano di progredire nella carriera di docente. Secondo l’idea originaria, la procedura si sarebbe dovuta attivare annualmente. In realtà, sta per prendere avvio solo ora, tra molte critiche e polemiche, la seconda tornata. I parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione Istruzione e Università della Camera, e Carlo Galli, professore dell’Università di Bologna, hanno presentato una risoluzione in Commissione Istruzione e Università della Camera proprio per tentare di apportare basi stabili e certe all’intera normativa relativa all’ottenimento dell’abilitazione scientifica nazionale. “ La ministra Giannini – spiega l’on. Ghizzoni – ha dichiarato la propria disponibilità a semplificare il processo di abilitazione: un impegno apprezzabile. Nell’attesa di vederlo declinato in ipotesi di interventi, riteniamo utile indicare alcuni indirizzi di azione concreta”. Ad esempio, per chiarire l’equivoco abilitazione=concorso, la procedura andrebbe trasformata da “bando” a “sportello”, così che i curriculum dei candidati – che ritengono la propria produzione scientifica corrispondente ai previsti parametri di accesso – siano valutati singolarmente nell’ordine di presentazione. I criteri e i parametri di valutazione andrebbero poi definiti con il contributo degli organismi di rappresentanza e valutazione del sistema universitario – vale a dire il Consiglio universitario nazionale, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e il Comitato di esperti per la politica della ricerca – e tenendo anche conto del parere delle maggiori società scientifiche settoriali, in modo da ampliare l’analisi preventiva della loro significatività e il conseguente consenso su di essi. “Si tratta di un impegno che può essere assolto con un impegno di medio periodo – spiegano Manuela Ghizzoni e Carlo Galli – mentre nell’immediato occorrerebbe intervenire per consentire alle commissioni della seconda tornata di abilitazione di procedere sulla base di norme più chiare e certe e per prevedere, in considerazione del ritardo accumulato, che essa sia aperta anche a coloro che non hanno ottenuto l’abilitazione nella prima tornata”.

http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.Asp?idAtto=16762&stile=7&highLight=1&paroleContenute=%27RISOLUZIONE+IN+COMMISSIONE%27

"L’Aquila, 5 anni dopo: macerie e sfollati", di Gian Antonio Stella

È vuoto e spettrale, il «villaggio modello» di Cansatessa-San Vittorino. Avevano cominciato a consegnarlo agli aquilani rimasti senza tetto nel gennaio 2010. C’erano Guido Bertolaso, Franco Gabrielli, il sindaco Massimo Cialente, la presidente della Provincia Stefania Pezzopane e gli alti papaveri della «Task Force Infrastrutture» delle Forze Armate che si era fatta carico del progetto. Brindisi e urrà.
Certo, carucce: 1.300 euro al metro quadro per case di legno, ferro e cartongesso. Quattrocento euro in più di quanto, tolto questo e tolto quello, viene dato oggi a chi ristruttura le vecchie e bellissime case di pietra. Ma che figurone! Pochi mesi per costruirle ed eccole là, pronte: con la bottiglia di spumante in frigo.
Pochi mesi e già puzzavano di muffa. Pessimo il legno. Pessime le giunture. Pessimi i vespai contro l’umidità. Asma. Bronchiti. Artriti. Finché è intervenuta la magistratura arrestando il principale protagonista del «miracolo», mettendo tutto sotto sequestro e ordinando l’evacuazione totale. Centotré famiglie vivevano lì, a Cansatessa. Quando le spostarono avevano il magone: «Siamo sfollati due volte». In via Fulvio Bernardini, via Nereo Rocco, via Vittorio Pozzo, tutti allenatori di calcio, non è rimasto nessuno. «Giardini» spelacchiati. Lampioni storti. Pavimenti semidistrutti. Piastrelle divelte. Case cannibalizzate. Docce rubate. Lavandini rubati. Bidè rubati. Mobili e materassi lasciati lì: facevano schifo anche agli sciacalli.
L’abbiamo scritto e lo riscriviamo: sarebbe ingiusto liquidare l’enorme sforzo di migliaia di uomini e donne, nei mesi febbrili seguiti alla tremenda botta del 6 aprile 2009, soltanto come un’occasione di affari. E sarebbe ingiusto ricordare di Silvio Berlusconi solo le sdrammatizzazioni nelle tendopoli («Bisogna prenderla come un camping da fine settimana»), le battute alle dottoresse («Mi piacerebbe farmi rianimare da lei!») o la promessa di case con le «lenzuola cifrate e una torta gelato con lo spumante in frigo». Furono migliaia e migliaia gli aquilani che all’arrivo del gelido inverno ai piedi della Maiella, nell’autunno del 2009, ringraziarono Iddio e il Cavaliere per quel tetto sopra la testa.
Non si può liquidare tutto come un business scellerato. Come se si fossero occupati dell’emergenza, degli sfollati e della ricostruzione solo faccendieri come Francesco De Vito Piscicelli, quello che la mattina del 6 aprile gongolava: «Io stamattina ridevo alle tre e mezzo dentro al letto…». Non è stato solo quello, l’intervento dello Stato a L’Aquila. E forse è davvero troppo spiccio il dossier di Søren Søndergaard, il deputato europeo della Sinistra membro della Cont, la commissione di controllo del bilancio di Bruxelles, che ha rovesciato sugli interventi d’emergenza e la ricostruzione accuse pesantissime parlando, a proposito delle case provvisorie, di «materiale scadente… impianti elettrici difettosi… intonaco infiammabile…» e di pesanti infiltrazioni delle mafie al punto che parte dei fondi per i progetti Case e Map (Moduli abitativi provvisori) sarebbero finiti a società «con legami diretti o indiretti con la criminalità organizzata».
Ma certo, in questi anni, è venuto a galla di tutto. Prima i conti pazzeschi di certe spese del G8: 4.408.993 euro per gli «arredi» delle foresterie dei Grandi alla caserma Coppito, 24.420 euro per gli accappatoi, 433 euro per ciascuna delle «60 penne in edizione unica» per un totale di 26.000, 500 euro per ognuna delle 45 ciotoline portacenere di Bulgari, 92.000 per la consulenza artistica di Mario Catalano, chiamato a dare un tocco di classe al G8 dopo essere stato lo scenografo (tette, culi e battute grasse) di «Colpo grosso». Poi le accuse di Libera e di Don Ciotti, tra le quali quella incredibile sull’acquisto di un numero così spropositato di gabinetti chimici, per un totale di 34 milioni di euro, che ogni sfollato nelle tendopoli avrebbe potuto produrre «fino a un quintale al giorno di pipì e di popò». E poi ancora il diluvio di leggi e leggine, regole e regolette che hanno ingabbiato L’Aquila peggio ancora dei grovigli (152 milioni di euro) di impalcature. Riassunto: nei primi quattro anni dopo il sisma 5 leggi speciali, 21 Direttive del Commissario Vicario, 25 Atti delle Strutture di Gestione dell’Emergenza, 51 Atti della Struttura Tecnica di Missione, 62 dispositivi della Protezione Civile, 73 Ordinanze della Presidenza del Consiglio dei ministri, 152 Decreti del Commissario Delegato, 720 ordinanze del Comune. «Ma devo confessare poi mi sono anche stufato di tenere i conti», spiega l’ingegnere Gianfranco Ruggeri.
Per non dire dei conti delle sistemazioni provvisorie: 792 milioni iniziali per le C.a.s.e. (Complessi antisismici ecocompatibili), 231 per i Map, 84 per i Musp (Moduli a uso scolastico provvisorio) e 736 mila euro per i Mep, i Moduli ecclesiastici provvisori. Troppi: fatti i conti, ammesso che abbiano accolto 18 mila persone, quelle case temporanee sarebbero costate oltre mille euro al mese per ogni ospite. Una enormità. «Credo che difficilmente queste case nuove verranno lasciate perché sono molto belle e saranno immerse nel verde», ammiccò il Cavaliere davanti ad alcune di queste abitazioni. Certo si sperava fossero un po’ meno «provvisorie». Che avessero meno magagne. Quanto all’«ecosostenibilità», un dossier di Legambiente accusa: il 43% è al di sotto di ogni soglia. Dice tutto la polemica sulle bollette arretrate che il Comune, dopo quattro anni, ha chiesto di pagare agli sfollati. «Per 60 metri quadri mi sono ritrovata una bolletta del gas di 875 euro l’anno», spiega Giusi Pitari, la docente animatrice del Popolo delle carriole, «Alla signora di sotto è andata peggio: per gli stessi 60 metri, deve pagarne 1.250 l’anno. Alla faccia del risparmio energetico!»
E intanto, mentre troppe case temporanee diventano velocemente inabitabili, quelle vecchie abbattute o devastate dal sisma sono ancora in larga parte lì, in macerie. Certo, dopo cinque anni di silenzio irreale, finalmente il centro dell’Aquila è un frastuono di martelli pneumatici, rombar di camion, urla di muratori in tutte le lingue. «Il problema non sono i soldi. Ce ne sono tanti ma tanti che potremmo lavorare tutti», dice l’architetto Sestilio Frezzini che sta sistemando uno dei più bei palazzi del centro. I problemi, quelli veri, sono i lacci e lacciuoli burocratici. Anche se il Comune, dopo lo scandalo delle intercettazioni dell’ex assessore comunale Ermanno Lisi («Abbiamo avuto il culo del terremoto e con tutte ‘ste opere che ci stanno farsele scappà mo’ è da fessi…») pare avere infine accelerato. Spiega Massimo Cialente, il «sindaco antisismico» capace di resistere a tutte le scosse telluriche, partitiche e giudiziarie che da anni lo circondano, che i cantieri aperti sono 150. Il ministero dei Beni culturali abbassa: 101. Accusa Ruggeri: «Comunque troppo pochi su 190 ettari di abitazioni e 1.532 cantieri da aprire solo a L’Aquila». Dire che tutto sia fermo come due anni fa, tre anni fa, quattro anni fa sarebbe ingiusto. Ma gran parte degli edifici sono ancora lì. Com’erano. Con gli armadi rimasti spalancati su ciò che resta del pavimento.
Alla prefettura, finita su tutti i giornali del mondo per la foto di Barack Obama, hanno rifatto la facciata in legno e raddrizzato la scritta «Palazzo del governo». Dentro, però, è un disastro. Perfino i cavi di acciaio tesi per tenere i muri, sono pericolosamente afflosciati e le pareti minacciano di staccare. La Casa dello studente, uno dei simboli della tragedia, è ancora lì. Con le stanze spalancate nel vuoto. Sulla rete di recinzione si accavallano le foto dei ragazzi morti, qualche regalino, biglietti di affetto: «Luminoso sognavi il tuo avvenire. / Un giorno diventare medico. / Curare con amore grande / i malati nel corpo e nello spirito. / Al di là del tempo, tra gli angeli / alla Vergine Addolorata / porti il dolore dei tuoi cari…».
Morirono in quaranta, a Onna. Su trecento abitanti. Le macerie di via dei Martiri, la strada principale del paese dedicata alle vittime di una rappresaglia nazista e devastata dal terremoto, furono uno dei simboli della catastrofe. Cinque anni dopo, c’è all’ingresso una struttura modernissima, la «CasaOnna» progettata dall’architetto sudtirolese Wittfrida «Witti» Mitterer. Subito dopo, al posto del vecchio asilo, la Casa della cultura. Ma gli edifici che si affacciavano sulla strada sono rimasti com’erano. Macerie. Mute. Non senti lo schiocco di una gru, la botta di un martello, il cigolio di una carriola… L’unico cantiere aperto, dice l’architetto Onelio De Felice, è quello per ricostruire la chiesa: «I tedeschi sì, ci sono stati vicini. Il Comune meno. Il piano di ricostruzione, per rifare il paese com’era e dov’era, è stato fatto abbastanza in fretta. Ce l’ha tenuto fermo un tempo immemorabile, all’Aquila. Forse non volevano che noi partissimo per primi…».
Eppure, sono tornate a sfrecciare le rondini, nel cielo azzurro di Onna. E tra le robinie e i meli in fiore, quelli vecchi sotto i quali quel giorno maledetto adagiarono i morti e quelli nuovi piantati tra le case prefabbricate, cantano i passeri e le cinciallegre e Matteo e gli altri bambini della nuova «materna» fanno merenda sotto disegni rossi e gialli e blu che sprizzano allegria primaverile.
Matteo è il primo dei piccoli nati dopo il terremoto. Il simbolo stesso della rinascita. L’antico paese che un tempo si chiamava Villa Unda, lui e gli altri che sono cresciuti nel villaggio costruito dalla Provincia di Trento, non l’hanno mai conosciuto. Quando qualche figlioletto, così, di colpo, chiede come fosse il paese «prima», la mamma lo porta al di là della strada, dove la staccionata è tappezzata da grandi fotografie di struggente malinconia.
Ogni foto, per gli onnesi, è un tuffo al cuore. La processione in via dei Calzolai, coi rampicanti che salivano per i muri. L’angolo Sant’Antonio con l’altarino coperto di fiori. La chiesetta di Sant’Anna. Via Oppieti, coi balconi che traboccavano di gerani. C’è anche una poesia di Giustino Parisse, il giornalista de il Centro che qui viveva e che sotto le macerie perse il padre e i due figli Domenico e Maria Paola: «Quanto era bella Onna prima dell’orrendo scossone. Sorta fra le acque e immersa nella verde valle dell’Aterno. Mille anni di storia e milioni di storie».

Il COrriere della Sera 04.04.14

"Dove osano i capitali", di Fedele De Novellis

Le economie avanzate stanno vivendo una fase di ripresa che, partita in alcune aree, si sta gradualmente diffondendo a tutti i Paesi, compresi quelli della periferia europea. In questo percorso, gli Stati Uniti sono in una fase più avanzata, anche perché le loro politiche economiche hanno sostenuto l’economia con maggior forza.

Man mano che la ripresa Usa con il passare dei mesi si è consolidata, iniziando a produrre effetti tangibili anche in termini di riduzione della disoccupazione, è apparso evidente che le politiche economiche avrebbero dovuto rientrare rispetto alle misure eccezionalmente espansive adottate negli anni precedenti. Per la politica monetaria è iniziato il cosiddetto tapering, ossia una riduzione dell’ammontare di acquisti mensili di titoli da parte della Fed, cui seguirà, se la ripresa si protrarrà nei prossimi mesi, l’avvio della fase di rialzi dei tassi d’interesse, nella seconda metà del 2015.

Come tutte le fasi di inversione della politica monetaria, anche questa volta le fibrillazioni sui mercati non hanno tardato a manifestarsi. In particolare diversi Paesi, che ne- gli anni scorsi avevano fortemente beneficiato dell’ondata di liquidità immessa dalla Fed sui mercati, hanno iniziato a sperimentare una rapida inversione di tendenza. La fuga di capitali ha colpito soprattutto diversi Paesi emergenti. Alcune economie di dimensioni rilevanti – come l’India, il Brasile o la Turchia – hanno quindi subito un rapido deprezzamento del cambio rispetto alle maggiori economie. La caduta delle valute emergenti, aggiungendosi all’ampia svalutazione dello yen giapponese, ha determinato un completo stravolgimento dello scenario valuta- rio internazionale.

Inoltre, alcuni di questi Paesi, al fine di limitare la violenza della fuga di capitali, hanno iniziato ad alzare i tassi d’interesse e a ridurre le riserve di dollari accumulate negli anni passati. Questo ha aumentato l’offerta relativa di dollari rispetto agli euro, e concorre a spiegare, insieme ai segnali di ripresa dell’eurozona, il rafforzamento del cambio dell’euro sul dollaro. I capitali in uscita dai Paesi emergenti si sono mossi alla ricerca di rendimenti interessanti, che hanno trovato soprattutto nelle economie della periferia europea dove i prezzi di molte attività – borse, obbligazioni, e anche immobili – si sono fortemente ridotti durante gli anni passati. Ecco quindi la spiegazione della contestuale forza dell’euro e degli afflussi di capi- tali internazionali, il cui riscontro più immediato è visibile nella riduzione degli spread dei Paesi della periferia, e nel recupero delle borse. Spread in discesa e cambio in rafforzamento sono dunque due facce della stessa medaglia, di cui ci compiacciamo o lamentiamo spesso contemporaneamente.

Resta da stabilire se l’effetto netto di questo cambiamento farà bene alla nostra economia. Il rischio è che la pressione competitiva proveniente dai Paesi emergenti si faccia sentire nei prossimi mesi, stroncando sul nascere i segnali di inversione del ciclo dell’industria. D’altra parte, un ritorno dei capitali nel nostro Paese potrebbe rappresentare un volano della ripresa, se il sistema bancario italiano riuscirà a finanziarsi a con- dizioni migliori, favorendo il superamento della fase di restrizione del credito in atto. L’effetto netto sarà positivo se nel medio termine saremo in grado di restare attraenti per il resto del mondo anche senza bisogno di vendere le nostre attività a prezzi in saldo. Ovvero se la chiusura dello spread si rivelerà permanente e, soprattutto, senza bisogno della garanzia implicita della Bce a sostegno della riduzione del nostro premio al rischio. Lo stesso vale per le tante aziende italiane, presenti sui mercati con produzioni di eccellenza, ma duramente colpite dalla crisi, e quindi acquisibili oggi a prezzi convenienti.

La vera sfida sta quindi nel creare un ambiente economico solido e dinamico di cui gli investitori internazionali trovino attraenti le prospettive di lungo periodo piuttosto che l’occasione offerta da un’economia in vendita al migliore offerente. In caso contra- rio, quando le condizioni finanziarie internazionali saranno meno favorevoli, e questo avverrà presto se la normalizzazione della politica monetaria Usa andrà avanti, potremmo ritrovarci esposti facilmente agli umori volubili dei mercati, con tutte le dolorose conseguenze che conosciamo, avendole già sperimentate negli anni scorsi.

L’Unità 04.04.14

"Un satellite per Pompei", di Luca del Fra

Anche i satelliti in orbita scendono in campo per aiutare Pompei. È il dato più interessante della convenzione firmata ieri tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Finmeccanica che prevede oltre a un monitoraggio del sito archeologico, nuovi sistemi per l’analisi dei materiali usati per dipinti e manufatti e un sistema interno di comunicazione per la sicurezza, il tutto all’insegna della tecnologia.

Ieri, alla presentazione del progetto il ministro Dario Franceschini si è mostrato particolarmente soddisfatto: «Il primo contatto con Finmeccanica per Pompei è avvenuto il 17 novembre scorso, e abbiamo appena firmato un accordo. Questo toglie ogni alibi ai quei privati che vogliono aiutare la cultura, ma hanno paura di scontrarsi con una burocrazia farraginosa e tempi lunghi».

Ad accelerare la procedura, iniziata con l’ex ministro Massimo Bray ma proseguita con convinzione anche da Franceschini, è senz’altro la scelta da parte di Finmeccanica di fare una donazione liberale, pari a un valore di 1,7 mln di euro, e non una sponsorizzazione che, essendo un contratto commerciale, prevederebbe un bando di concorso.

«Bisogna superare il dibattito ideologico tra pubblico e privato nella cultura – ha concluso il ministro -: secondo il dettato dell’art. 9 della Costituzione allo Stato il dovere di investire, ai privati il diritto di collaborare. Colgo l’occasione per invitare anche altri gruppi a farsi avanti».

Per Finmeccanica quella di Pompei è l’occasione di entrare alla grande in uno dei tre settori che il presidente Giovanni De Gennaro ha definito strategici, «per dimostrarsi una azienda socialmente responsabile, cioè Cultura, ambiente e sicurezza».

La convenzione presentata ieri e ancora non resa pubblica, prevede tre interventi: un monitoraggio continuo via satellite e con sensori in sito sui micro e macro spostamenti del terreno e degli edifici del sito archeologico, il che dovrebbe permette- re di individuare con anticipo i punti critici a rischio di crolli.

Inoltre sono previsti anche un sistema di scansione di affreschi e manufatti che in modo non invasivo determini i materiali usati e un sistema di comunicazione interna tra quanti lavorano nel sito. Le aziende di Finmeccanica oltre ai materiali offriranno a titolo grazioso anche i servizi per i prossimi tre anni, un tempo che servirà a capire se e come implementare la collaborazione.

Se si dimostrerà efficace, delle tre applicazioni la più importante è il monitoraggio via satellite per il suo carattere innovativo e sperimentale. Per Finmeccanica un laboratorio dove applicare la tecnologia a sua disposizione: «Il sistema potrebbe essere operativo a settembre – ha spiegato Luigi Pasquali Ad di Telespazio -, ma la fase più interessante è nei prossimi due mesi perché dovremo creare una banca dati con le immagini del sito già a disposizione e capire la situazione».

La speranza è la creazione di un modello di controllo sui beni archeologici e architettonici, che Finmeccanica potrebbe non solo usare in altri luoghi italiani, ma esportare anche in quei paesi dove l’investimento in cultura è ben più cospicuo che nel nostro.

Ne è convinto anche Massimo Osanna – era tempo che un soprintendente di Pompei non era invitato a una conferenza stampa con il Ministro -, che già quando era soprintendente a Matera aveva avviato una collaborazione con l’agenzia areo-spaziale.

E continua la corsa per impiegare i 105 mln di euro destinati dall’Unione Europea per Pompei prima che scadano i tempi: «Sono stati già apposta- ti circa 40 mln di euro», ha spiegato il direttore del Grande progetto Pompei Giovanni Nistri. Il che detto da un generale dei Carabinieri come Nistri può ingenerare qualche fraintendimento, ma vuol dire che la cifra è stata destinata ad appalti in cor- so, già espletati, o a progetti pronti in via di assegnazione.

L’Unità 04.04.14

"L’università nel caos", di Giovanni Valentini

Fioccano le sospensioni e gli annullamenti del Tribunale amministrativo del Lazio, competente per gli atti dell’amministrazione statale su tutto il territorio nazionale, dopo la pioggia di ricorsi contro l’esito dell’Abilitazione scientifica (non didattica) per i professori universitari. In diversi i casi, i giudici del Tar hanno stabilito anche che le commissioni esaminatrici devono essere interamente ricostituite per emettere un nuovo verdetto entro 60 giorni. Un terremoto insomma – per l’Università italiana, già minata dalle sue croniche carenze e disfunzioni.
All’origine della vertenza c’è la controversa introduzione ex post dei parametri di “sottosettorialità” che hanno ribaltato le graduatorie originarie, compilate secondo i criteri oggettivi e meritocratici previsti dalla riforma ministeriale. Con questo sistema, molti aspiranti che in base alle loro pubblicazioni vantavano titoli scientifici specialistici, studiosi già noti e apprezzati nelle rispettive discipline, sono stati scavalcati da concorrenti con un curriculum più generico e meno qualificato. E spesso, a favore di figli o allievi dei potenti “baroni” universitari.
Ma ora le ordinanze del Tar, come in una reazione a catena, stanno praticamente azzerando la situazione in vari campi accademici. Il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto, per esempio, il ricorso di Greta Tellarini che aveva presentato domanda per l’abilitazione alle funzioni di professore universitario di prima fascia nel settore del Diritto commerciale della navigazione: la sua preparazione era stata sommariamente liquidata da uno dei componenti come «accettabile », in senso spregiativo e in modo difforme dalle direttive ministeriali. E perciò è stata disposta la costituzione di una nuova commissione esaminatrice.
Lo stesso Tar ha dato ragione a Marco Gentile che aspirava a diventare professore di seconda fascia per Storia medievale: in questo caso, secondo la magistratura amministrativa, i giudizi
individuali di non idoneità «non sembrano raggiungere un adeguato grado di sintesi nel giudizio finale complessivo». Analogamente è stato accolto il ricorso di Tessa Canella, per Scienze del libro e del documento e Scienze storico-religiose. Il Tar ha riconosciuto un «sufficiente fumus bo-ni iuris in ordine alla incongruità del giudizio della Commissione rispetto a quello positivo reso
dall’esperto nominato dalla medesima commissione». Nello stesso settore, è stato annullato il giudizio negativo su Francesco Mores: qui il fumus attiene «allo specifico profilo di conoscenza dell’esperto chiamato a esprimere il parere pro veritate nei confronti del candidato e della congruenza delle sue pubblicazioni».
Ancora più paradossale il caso di Stefano Benussi che aveva presentato domanda per diventare professore di seconda fascia per la Chirurgia cardio-toracovascolare. Il verdetto della Commissione è stato ritenuto incongruo «rispetto al numero delle pubblicazioni del candidato», considerando anche il fatto che il giudizio individuale dei singoli commissari era risultato positivo a maggioranza dei 3/5.
Particolarmente significativo il documento di protesta inviato al ministro dagli archeologi dell’Accademia dei Lincei, tra cui Ermanno Arslan, Salvatore Settis e Fausto Zevi. Oltre a contestare «la scelta della Commissione di abilitare un numero spropositato di candidati» (69 su 160 nella prima fascia e 241 su 553 nella seconda), si critica nel merito anche la qualità accademica dei nuovi professori: «Sono stati resi idonei candidati, la mediocrità o addirittura l’irrilevanza della cui produzione – si legge nel testo – è visibile ictu oculi a chiunque».
In polemica poi con Andrea Ferretti, primario di Ortopedia all’ospedale Sant’Andrea di Roma, e con Repubblica che ne aveva raccolto le dichiarazioni, il professor Paolo Cherubino ha inviato una lettera al presidente del Collegio dei professori di prima fascia di Ortopedia e Traumatologia, Sandro Giannini, e a tutti i membri, contestando le critiche alla procedura di abilitazione. Ma Ferretti ha subito replicato, ribadendo le sue valutazioni e le sue riserve sui «criteri settoriali aggiuntivi» che hanno trovato riscontro ora nelle pronunce del Tar.
Sulla stessa linea, in una lunga lettera inviata a Repubblica e intitolata L’Università svilita, interviene un altro autorevole cattedratico come Davide Messinetti, già professore ordinario di Diritto civile all’Università di Firenze. A suo giudizio, i risultati di questa prima tornata della procedura per l’abilitazione nazionale «appaiono in quasi tutti i settori scientifici e disciplinari a dir poco sconcertanti». E per quanto riguarda il Diritto privato, lui stesso li definisce anche «vergognosi», riferendo un’opinione pressoché unanime dei suo colleghi. «Auspico – conclude Messinetti – che il nuovo ministro della Università voglia prendere iniziative concrete e urgenti contro questa orrenda visione, annullando in autotutela gli atti del concorso e rimuovere l’operatività di questa commissione che si è resa responsabile di tanto scempio».

La Repubblica 04.04.14