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"Quell’umanista curioso che amava le miniature più dei grandi eventi", di Umberto Eco

È scomparso Jacques Le Goff. Aveva novant’anni, e a molti potrà sembrare un’età ragionevole, ma dopo la morte della moglie, trauma che lo aveva letteralmente sconvolto e da cui non si era mai liberato, aveva passato gli ultimi anni immobilizzato in casa, senza poter camminare, anche se la testa gli funzionava ancora benissimo e non cessava di lavorare e pubblicare, muovendosi con apparati di sostegno, senza incespicare, tra i grattacieli di libri che, non potendo essere ospitati negli scaffali, si ergevano come una dotta Manhattan nel suo appartamento minuto.
La Francia ha prodotto tanti e insigni studiosi del Medioevo, e basti pensare perla storia della filosofia a Etienne Gilson, per la storia dell’arte a Émile Mâle o a Henri Focillon, per la storiografia a Pirenne o a Duby, ma Le Goff è stato un interprete personalissimo di questa grande vocazione francese.
Nasceva nell’ambiente di Annales, la rivista fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre, che aveva iniziato un nuovo approccio alla storiografia, privilegiando, rispetto alla “storia evenemenziale” (nomi, battaglie, date, trattati politici) una ricerca su tutti gli aspetti di un periodo, in particolare la vita materiale, i costumi, le strutture sociali.
Le Goff si distingueva nel solco di questa tradizione per avere veramente infranto ogni barriera tra storia degli eventi, modi di pensieroemodidivita.Nel1964ilsuo La ci-viltà dell’occidente medievale ci aveva rivelato un Medioevo a tutto tondo, dalla coltivazione dei fagioli ai miracoli dell’architettura, dai modi di vita ai modi di pensiero. Voglio dire che se dovessi indicare a qualcuno il modo migliore per comprendere quella grande epoca che è stato il Medioevo, non potrei che consigliare ancora questo grande libro, anche se ha ormai cinquant’anni. Le Goff ha esplorato il Medioevo nei suoi aspetti più trascurati, la vita degli intellettuali e dei mercanti, o il meraviglioso e il quotidiano. Anche qui, se dovessi rendere conto del suo modo di fare storia, dovrei invitare il non specialista a capire meglio quei secoli non attraverso un elenco di battaglie, ma guardando le miniature dei mesi delle Très riches heures du Duc de Berry, dove si vede come i contadini sedevano intorno al fuoco, come coltivavano i campi o pascolavano i maiali, senza trascurare il gusto cromatico che si manifestava nelle vesti femminili, nelle gualdrappe, nei festini.
Ma, giocando a metà tra storia degli eventi e storia materiale, Le Goff ha scritto una monumentale San Luigi, che gli è costata anni di lavoro, e mi ricordo con che entusiasmo (se la parola è giusta per una ricerca così dolorosa) nel corso del suo lavoro intratteneva gli amici con la descrizione di come era stato bollito il corpo del re in Terrasanta, per poterne riportare le ossa in Francia. Che è un bel modo di fare storiografia, se il racconto storico deve farci davvero capire che cosa avveniva e che cosa si faceva in un tempo antico. E ho usato la parola “racconto” perché Le Goff era anche un gran raccontatore, ovvero sapeva trasformare la Storia in storie affascinanti, da letterato finissimo.
E come storico non tanto degli eventi quanto della cultura (e della filosofia e della teologia) rimane monumentale la sua opera sulla Nascita del Purgatorio, del1981,capolavoro di erudizione e di riscoperta di testi dimenticati.
Questo studioso, che ha passato la vita all’ombra delle grandi cattedrali e passeggiando curioso per Vico degli Strami, non si limitava al lavoro di grande accademico e grande cattedratico ma, come anche i lettori di quotidiani ricordano, sapeva parlare al grande pubblico e per il grande pubblico sono stati scritti tanti suoi libri apparentemente divulgativi, ricchi di illustrazioni e di documenti bizzarri, ma che riuscivano ad essere leggibili e godibili da tutti proprio perché dietro vi stavano i risultati di lunghe ricerche e magistrale sapienza.
Le Goff partecipava attivamente anche alla vita politica del suo tempo, anche se non appariva schierato con gruppi riconoscibili. Ma vorrei ricordare la sua appassionata collaborazione alla Academie Universelle des Cultures, presieduta da Elie Wiesel, dove con Jorge Semprun e me (e cito questo episodio personale perché si era trattato di una appassionante avventura) dell’Accademia aveva stilato la Carta, una sorta di appello e programma contro ogni forma di razzismo e intolleranza.
E, visto che ho dato la stura ai ricordi personali, vorrei ricordare il suo gusto per la buona cucina, il senso dell’amicizia, il saper parlare di grandi cose sorseggiando un buon calvados. Aspetti non casuali e accessori perché ritengo che, per essere un grande studioso, occorra anche essere un grande essere umano, e giovialità e amore per la vita facevano parte della sua capacità di ridar vita al passato.

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Dai santi ai banchieri il nostro Medioevo narrato da Le Goff, di AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI
Come nessun altro storico, Jacques Le Goff, morto ieri a Parigi a 90 anni, ha modificato la nostra percezione del Medioevo e come pochi altri storici la sua opera nasce dal desiderio di innovare con sempre nuove domande e nuovi temi, allargando il «territorio dello storico» alla luce della Nouvelle histoire e,grazie a una straordinaria abilità nel comunicare con un pubblico vasto, con la parola oltre che con la scrittura. Nei suoi radiofonici Lundis de l’histoire presentò per decenni (dal 1968 in poi) i nuovi libri di storia discutendo con gli autori, sovente anche giovani. E dal suo Seminario parigino (1962-1992) lanciò temi (come la storia del riso, I riti, il tempo, il riso, 2001)che si imposero presto, anche perché accoglievano le scienze sociali (antropologia culturale, etnografia) e la storia delle immagini, allora agli inizi.
Nato a Toulon nel 1924 – suo padre, bretone, era professore di inglese e sua madre, insegnante di pianoforte –, vince nel luglio 1945 il concorso per entrare alla École Normale Supérieure. Nel 1953 è ospite a Roma della Scuola francese di Palazzo Farnese, dove inizia una tesi di dottorato sulle università medievali (che si trasformerà in una tesi sul lavoro nel Medioevo, soprattutto intellettuale). Al suo ritorno in Francia, Michel Mollat lo vuole come assistente all’università di Amiens. Nell’autunno 1959, Maurice Lombard, studioso di storia economica del mondo islamico, che Le Goff ha ammirato alla pari di Marc Bloch, lo chiama ad insegnare all’allora nascente VIe Section dell’École Pratique des Hautes Études.
Inviato più volte da Braudel a Varsavia per insegnare nell’ambito di una convenzione con quell’università, incontra e poi sposa (1961) una giovane dottoressa polacca specializzata in psichiatria infantile, Hanka, che gli darà due figli e alla cui memoria dedicherà un affettuosissimo libro di ricordi ( Avec Hanka, 2008). Più tardi, nel 1968, sempre a Varsavia, assisterà alle repressioni di Gomulka e alla rottura del suo amico Bronislaw Geremek con il partito comunista.
Fin dai suoi primi due libri, sui mercanti e i banchieri (1956) e gli intellettuali (1957), poi con la sua prima grande sintesi, La civiltà dell’Occidente medievale( 1964), forse la sua opera più originale, Le Goff riesce ad imporre il suo modo di intendere il Medioevo: studiarne le strutture fondamentali – la foresta, la città e così via – incrociando i vari contesti sociali con l’immaginario e il simbolico e con l’analisi di gruppi sociali visti quali figure tipologiche della società. Non la storia dei
monaci ma il monaco. Non i mercanti ma il mercante, che nel Medioevo è sempre un po’ usuraio, a causa della condanna dell’usura da parte della Chiesa ( La borsa o la vita, dall’usuraio al banchiere, 2003). La ricchezza nel Medioevo non è soltanto di questo mondo, anche se il ruolo del denaro non fa che crescere dal Mille in poi(Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo, 2010). Studiando l’intellettuale come rappresentante di quel gruppo sociale che ha il compito di pensare e di insegnare, pur in un contesto di condanne e di censure, Le Goff apre la porta a una storia delle università più attenta al contesto sociale. È forse il suo libro più agile e vivace. Lo aiutarono frequenti conversazioni con un domenicano geniale, Marie-Dominique Chenu.
Nel 1969, Fernand Braudel lo chiama a dirigere insieme a Emmanuel Le Roy Ladurie e a Marc Ferro la prestigiosa rivista degli Annalesfondata da Marc Bloch e da Lucien Febvre. Nel 1972 viene eletto successore di Braudel alla direzione della VIe Section. Sotto la sua direzione (1975), la VIe Section si trasforma nell’ormai celebre École des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Quando (1977) lascia la direzione dell’École esce un suo nuovo libro, il cui titolo– Per un altro Medioevo –è un programma cui aggiunge un altro concetto a lui molto caro e destinato a diffondersi, quello di un lungo Medioevo, perché molte sono le strutture dalla feudalità all’immaginario sociale, sopravvissute fino alla Rivoluzione francese.
Proprio in quegli anni di pesanti responsabilità amministrative Le Goff inizia a studiare una struttura dell’immaginario – il Purgatorio – con fortissime implicazioni di carattere sociale ed economico oltre che intellettuale e teologico. La nascita del Purgatorio (1981) diventerà uno dei suoi libri più famosi – i principali sono stati tradotti in Italia da Laterza, per cui ha diretto, dal 1993, la collana “Fare l’Europa”. Partendo da una scoperta lessicale – il fuoco purgatorio (aggettivo) di cui si parla già nei primi secoli del cristianesimo si trasforma nel corso del XII secolo in un sostantivo – lo storico francese vede nel Purgatorio una struttura positiva che accompagna l’uscita del Medioevo dal dualismo inferno-paradiso e permette all’uomo di impadronirsi del tempo dell’aldilà. In un altro famoso saggio aveva già teorizzato che il tempo dei mercanti si fosse sostituito al tempo della Chiesa ( Annales, 1960, trad. 2000).
In quel XIII secolo che ha tanto studiato, il re di Francia Luigi IX incarna l’apogeo dell’Europa cristiana. Il personaggio lo affascina a tal punto da dedicargli, un po’ controcorrente, una ponderosa biografia(San Luigi, 1996).Come il mercante e l’intellettuale, anche San Luigi è visto nella sua singolarità e come figura tipologica (di sovrano medievale).
San Luigi è anche il re sofferente, ad imitazione del Cristo in croce. Come Francesco d’Assisi è nelle sue stimmate un alter Christus (San Francesco d’Assisi, 2000). Ed ecco sorgere uno spiccato interesse per la storia del corpo che Le Goff tratta come una «delle principali tensioni dell’Occidente», perché nel Medioevo il corpo è stretto tra una straordinaria valorizzazione cristiana (Incarnazione, reliquie, stimmate) e un’altrettanto forte retorica di disprezzo del mondo (Il corpo nel Medioevo, con Nicolas Truon, 2007). Il dualismo che attanaglia il corpo si attenua però dal XII secolo in poi, lasciando spazi nuovi alla medicina e alle scienze del corpo che aprono la via alla modernità. Sebbene il cristianesimo medievale condanni come errori le novità, Le Goff scorge verso la fine del Medioevo una società europea creatrice che innova e prepara la modernità che si consoliderà nell’Umanesimo ( L’Europa medievale eil mondo moderno, 1994). Il Medioevo di Le Goff affascina perché realtà e immaginario si fondono pur nelle loro contraddizioni. Il suo Medioevo non è mai senza legami profondi con il tempo lungo, è sempre attento all’uomo ( L’uomo medievale, 2006) ed è quindi più vicino a noi.

La Repubblica 02.04.14

"Il laboratorio francese", di Marc Lazar

Le elezioni municipali francesi si possono analizzare essenzialmente in due modi. Il primo si limita a un’ottica nazionale, mentre per il secondo vede nel loro esito un avvertimento per tutti gli europei, dato che rivelano — al pari del voto municipale olandese, quasi contemporaneo e segnato dal tracollo del partito democratico — le dinamiche politiche in atto nell’Unione nel suo complesso.
Diversi tratti caratterizzano questo voto: un’astensione record (più del 36% al secondo turno) per una consultazione elettorale che finora aveva mobilitato i francesi; una sconfitta storica dei socialisti; una bella vittoria del partito di destra, l’Ump (Union pour un Mouvement Populaire), e infine l’avanzata del Front National di Marine Le Pen.
Tradizionalmente le elezioni intermedie sono sfavorevoli al partito al potere — anche se stavolta l’insuccesso dei socialisti è stato amplificato dalla profonda impopolarità del capo dello Stato. La crisi economica e la crescente disoccupazione destabilizzano la società. La depressione collettiva dei francesi e il loro ben noto pessimismo alimentano le tentazioni di ripiegamento e la ricerca della novità in politica.
Ma come è evidente, gli insegnamenti da trarre da queste elezioni vanno ben al di là dei 36.691 comuni francesi interessati, per varie ragioni: il crescente astensionismo nei Paesi europei (il 47% alle municipali olandesi la scorsa settimana) attesta la disaffezione nei riguardi delle istituzioni, comprese quelle locali. Le grandi ideologie e mitologie politiche sono scomparse, e le democrazie che dal 1945 fino ai primi anni ‘80 erano sinonimo di prosperità e di protezione sociale non sembrano più in grado di garantire questi benefici materiali. Gli europei, in via di invecchiamento, sono confrontati con uno shock migratorio che li sconcerta. E inoltre percepiscono un calo d’influenza dell’Europa. Il fossato tra i cittadini e i loro responsabili politici si allarga pericolosamente, anche perché sembra che le preoccupazioni di questi ultimi appartengano a un mondo diverso da quel-
lo dei primi. E perché gli strumenti dell’azione pubblica sembrano inoperanti, alimentando l’idea di una politica impotente a fronte della globalizzazione e dello smisurato potere della finanza. Perché in campo economico e sociale sembra che i principali partiti di governo propongano tutti le stesse ricette, con le loro terapie di rigore, austerità e sacrifici per i ceti medi e le fasce economicamente più deboli. Agli occhi di un numero crescente di europei questi stessi partiti di governo hanno formato un cartello per spartirsi la torta elettorale. Da qui il successo delle forze che si presentano come outsider: in Francia fa furore lo slogan del Front National «contro l’Umps» (che accomuna Ump e Ps), come in Italia quello di Grillo sul «Pdmenoelle».
A regnare è ormai l’antielitismo, non solo per la delusione che si prova nei confronti delle classi dirigenti, ma anche per effetto delle tecnologie moderne: Internet tende a eliminare il ruolo dei corpi intermedi, impone l’accelerazione, annientando i tempi di deliberazione.
Tranne qualche eccezione, i leader politici appaiono a corto di idee e di progetti, privi di cultura e di levatura intellettuale. Perciò sono spesso tentati di puntare esclusivamente sulla propria immagine. Così facendo, in un primo tempo riescono a sfondare, ma poi rischiano di deludere. A tutto vantaggio degli schieramenti di protesta, pronti a fustigare i falliti di una democrazia rappresentativa, criticata oramai in nome della democrazia diretta e integrale.
La prossima grande scadenza sarà quella delle elezioni europee, gravide di pericoli. La crisi economica e il disagio democratico rischiano di favorire un forte astensionismo, oltre al successo dei movimenti anti — europeisti. Ai responsabili dei partiti europeisti rimane poco tempo per ripensare la loro offerta politica. Non basterà più sedurre gli europei: ora si tratterà di convincerli.
( Traduzione di Elisabetta Horvat)

La Repubblica 02.04.14

Carpi, on. Ghizzoni e on. Patriarca “Vicinanza agli agenti feriti”

I parlamentari del Pd al fianco delle forze dell’ordine impegnate nel presidio del territorio. I parlamentari carpigiani del Pd Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca esprimono vicinanza agli agenti feriti nell’inseguimento di una banda di malviventi specializzata in furti e sostegno alla preziosa attività di presidio del territorio degli uomini del Commissariato di Polizia di Carpi e della dirigente, dott. Manuela Ori. Ecco la loro dichiarazione congiunta:

“Desideriamo esprimere a nome nostro, e del partito che rappresentiamo, vicinanza all’assistente capo Fabio Terzilli e all’assistente Salvatore Faggiano, i due agenti della squadra Volante del Commissariato di Polizia di Carpi che sono rimasti feriti nel corso dell’inseguimento di una banda di malviventi. Impegnati a Roma, siamo, al momento, impossibilitati ad esprimere di persona il nostro sostegno. Vogliamo però sottolineare l’impegno e la dedizione con cui le forze dell’ordine svolgono il loro quotidiano lavoro di presidio del territorio, un lavoro che, troppo spesso non supportato da adeguate dotazioni, arriva fino a mettere a repentaglio la propria incolumità personale. Come sempre, siamo a fianco degli agenti del Commissariato di Carpi e della dirigente, dott. Manuela Ori, in un rapporto di leale collaborazione che abbiamo già avuto modo di sperimentare”.

Allarme infanzia «Ogni giorno quattro violenze», di Adriana Comaschi

Bambini maltrattati, terrorizzati, violentati. O trascurati tanto da sfiorare l’abbandono, vittime della conflittualità tra genitori o della loro rabbia, acuita da crisi e difficoltà di lavoro. Quattro casi di violenza al giorno – psicologica, fisica e sessuale – riferiti agli operatori negli ultimi 5 anni, 16mila richieste di aiuto, un aumento dell’11% delle violenze sugli adolescenti, una crescita preoccupante del numero di minori a loro volta autori di abusi sessuali. Ecco alcuni dei dati raccolti da Telefono Azzurro, su cui l’associazione richiamerà l’attenzione per tutto aprile con una campa- gna per ricordare che «i bambini sono patrimonio di tutti» e contro ogni tipo di violenza sui minori (il 12 e 13 in 2300 piazze, i fiori per una raccolta fondi), Un fenomeno che nella «civile» Europa ha dimensioni impressionanti: la stima è di 18 milioni di bimbi e adolescenti vittime di abusi sessuali, di 44 milioni che patiscono violenze fisiche mentre quel- le psicologiche colpirebbero 55 milioni di minori. Una violenza che si rivela dunque diffusa, trasversale ai ceti socia- li, ma quasi invisibile, anche perché si fatica a riconoscerla come tale complice il fatto – ricorda Telefono Azzurro tornando in Italia – che nell’80% dei casi l’autore è una persona conosciuta, quasi sempre un familiare.

La parola d’ordine della campagna sarà dunque «Non stiamo zitti». C’è un muro di omertà, consapevole o meno, da abbattere. Troppo spesso chi anche a livello professionale viene in contatto con situazioni di violenza che coinvolgono minori fatica a riconoscerle e non le segnala, ricorda il presidente di Telefono Azzurro Ernesto Caffo: dai genitori agli insegnanti, dai medici ai pediatri «si attivano troppo tardi». In Italia in generale «la capacità di risposta resta molto limitata. Non si è ancora allineata agli elevati standard internazionali, servono interventi specifici e di elevata professionalita». Intervenire il prima possibile è indispensabile, per mettere fine alle violenze ma anche per non compromettere le possibilità di recupero delle piccole vittime. E non si pensi solo alla violenza fisica e sessuale, ci sono anche abbandono e incuria o altri tipi di vessazioni psicologiche e «ogni abuso è una stimmate» avverte Caffo, lascia cicatrici durevoli, fisiche ma appunto anche emotive che nei casi più gravi portano a disturbi e ritardi nello sviluppo.

I NUMERI

La «mappa» di questa violenza nascosta parte dalle oltre 16 mila richieste di consulenza ricevute dall’associazione negli ultimi 5 anni, per telefono email e dal 2010 anche tramite una chat più centrata sugli adolescenti. Oltre 8mila le forme di violenza censite, e spesso un singolo bimbo è vittima di più di un tipo di vessazione o abuso. Gli operatori hanno raccolto 626 segnalazioni di violenze sessuali (125 l’anno), 1800 per violenze fisiche, ben 3056 per violenze psicologiche, 1709 casi di trascuratezza, nel complesso significa 1438 casi di violenza l’anno, quattro al giorno. Le vitti- me sono di sesso femminile nel 53% dei casi, percentuale che però sale al 68% per gli abusi sessuali. Cresce anche quella di minori stranieri vittime, in particolare di violenze fisiche (dal 17,5% del 2008 al 30,5% del 2013) e ancor di più sessuali (dall’8,8% al 30,5% nello stesso arco di tempo), aumentano anche le famiglie o le comunità di stranieri che chiedono aiuto all’associazione.

Vittime e carnefici. Telefono azzurro restituisce in parte anche un identikit di questi ultimi: il responsabile dell’abuso è di sesso maschile nel 53% dei casi, nell’88% quando la violenza è sessuale mentre gli episodi di trascuratezza vedono protagoniste soprattutto le donne, il 64%. Padri e madri o comunque familiari, le segnalazioni racconta- no che l’orco si nasconde in casa. Un dato che rende più difficile denunciare o anche solo chiedere aiuto e ascolto, «un bambino fatica a percepire la violenza come tale – ricorda il presidente Caffo -, magari ci si adatta perché comunque teme di perdere una persona amata». È il doppio dramma di chi vede tradita la propria fiducia proprio dalle persone che più dovrebbero tutelarlo, proteggerlo, amarlo. Lo raccontano in prima persona gli adolescenti chattando con l’associazione. Parlano di genitori che arrivano alla violenza sfogando sui figli fragilità dovute a problemi economici o stress da lavoro, e la propria incapacità di instaurare una disciplina senza punizioni fisiche.

L’Unità 01.04.14

Concordia (MO) – La ricostruzione in sofferenza

Sala consiliare Piazza 29 Maggio a cura di Sisma.12

Locandina

L’incontro del 4 di Aprile parte dalla constatazione che, a due anni di distanza dal sisma, qualcosa nella trasmissione delle notizie non ha funzionato.

La percezione della situazione reale tra “fuori” e “dentro” il cratere è enormemente diversa, così come tra quelli che hanno inventato le regole di questo processo di ricostruzione e quelli che le subiscono.
Con gli amici della stampa, proveremo a confrontarci e ad interpretare le questioni aperte ( dal sistema ordinanze alla fiscalità, dal disagio sociale alle problematiche economiche) viste seguendo il fil rouge della comunicazione.
Per provare a chiudere il cerchio interverranno anche alcuni parlamentari e amministratori locali.

"Ocse-Pisa, nei test di "soluzione dei problemi quotidiani" la rivincita degli studenti italiani", di Salvo Intravaia

Rivincita dei quindicenni italiani nei test Ocse-Pisa. Nel problem-solving – la risoluzione di problemi che richiedono un approccio più pragmatico e adattivo che teorico e di routine – l’Italia si piazza nella parte alta della speciale classifica stilata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che sonda le capacità di risolvere problemi della vita quotidiana. Superando nazioni come Germania e Stati Uniti e mantenendosi “significativamente” al di sopra della media dei paesi Ocse che hanno partecipato all’indagine svolta nel 2012. Con i quindicenni delle quattro regioni Nord-Ovest – Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta – che sfiorano il tetto del mondo.

Dopo anni di delusioni per le cattive performance in Lettura, Matematica e Scienze, gli adolescenti italiani surclassano i coetanei di nazioni industrializzate o emergenti come Spagna, Russia e Svezia. Il 15° posto occupato dall’Italia nella classifica dei 44 paesi che hanno partecipato all’indagine sulle “Competenze degli studenti alle prese con i problemi della vita quotidiana”, presentata oggi a Parigi, lascia ben sperare per il futuro di una scuola che negli ultimi anni è stata oggetto di critiche, riforme e soprattutto tagli perché considerata inefficiente.

Ma, adesso, un po’ a sorpresa, il Belpaese rialza la testa perché oggi, tra le competenze più richieste dal mercato del lavoro, oltre alle conoscenze, c’è quella di risolvere problemi. Una competenza che, scorrendo le pagine del rapporto appena pubblicato sembra ancora più importante della “semplice” conoscenza grezza. “Nelle società moderne, tutta la vita è problem-solving”, spiegano dall’Ocse. “I cambiamenti nella società, l’ambiente e la tecnologia fanno sì – continuano – che il contenuto di conoscenza applicabile evolve rapidamente”, pertanto la capacità di “adattarsi, di imparare, il coraggio di provare nuove strategie ed essere sempre pronti ad imparare dai propri errori sono tra le chiavi per la resilienza e il successo in un mondo imprevedibile”.

E si chiedono: “I quindicenni di oggi stanno acquisendo le capacità di problem-solving necessarie nel 21° secolo?”. Perché già oggi sono “pochi i lavoratori, anche nelle occupazioni manuali o basati sulla conoscenza, usano azioni semplicemente ripetitive per svolgere il loro lavoro”. Inoltre, la nuova indagine sulle competenze degli adulti mostra che già “un lavoratore su dieci si confronta ogni giorno con problemi complessi che richiedono almeno 30 minuti per essere risolti”. E le “capacità di problem-solving sono particolarmente richiesti in, occupazioni manageriali, professionali e tecniche altamente qualificate in rapida crescita”.

Pare quindi che la capacità di individuare e risolvere i problemi sia la competenza-chiave del futuro. Quella necessaria per inserirsi in un mondo del lavoro ormai globalizzato e sempre più competitivo. E gli studenti italiani sembrano già sulla buona strada. In cima alla classifica dell’Ocse sul Problem-solving si piazzano i paesi asiatici: Singapore (con 562 punti), Corea e Giappone. Seguiti dalle regioni più sviluppate della Cina: Macao, Hong Kong, Shanghai e Taipei, che sopravanzano Canada e Australia. Il primo paese europeo è la Finlandia che totalizza 523 punti, ma il nostro Paese è al sesto posto in Europa, con 510 punti. E i giovani delle regioni nord orientali ne totalizzano addirittura 533 di punti.

La Germania, con 509, ci segue. Mentre la Russia (con 489 punti) e la Spagna (con 477 punti) sono distanti decine di punti dall’Italia. L’unico neo è la quota di top-performer che in Italia è del 6,2 per cento, contro una media Ocse dell’8,2. Ma perché all’Ocse considerano così importante la capacità di problem-solving? La risposta si trova nel grafico che mette in relazione la variazione dell’occupazione nell’area Ocse di coloro che hanno buone capacità di risoluzione dei problemi. Per questi ultimi, infatti, si è registrata una crescita del 4 per cento, a scapito di coloro che mostrano basse performance proprio nella competenza sondata dal rapporto odierno. Una circostanza che, secondo gli esperti dell’Osce, dovrebbe indirizzare le scelte politiche sull’istruzione.

da www.repubblica.it

"Un patto tra Governo e Parlamento", di Luigi La Spina

È un passaggio cruciale e molto difficile. Renzi, a tutti i costi, deve rispettare il suo programma di riforme, anche perché gli annunci fatti con uno spiegamento di propaganda mediatica tambureggiante sono stati tali da suscitare nell’opinione pubblica attese quasi miracolistiche. Incoraggiato, da ultimo, persino dal presidente della più importante potenza mondiale, Barack Obama, confortato da un atteggiamento prudente, ma non ostile da parte dei colleghi europei, aiutato dal favorevole andamento del famoso «spread», termometro della fiducia dei mercati internazionali nei confronti dell’Italia, il premier sa di giocarsi, nei prossimi due mesi, la partita decisiva. A fine maggio, le elezioni europee, infatti, diranno se l’onda del consenso popolare, sul quale sta danzando con l’audacia di un surfista oceanico, lo consegnerà alla presidenza del semestre italiano della Unione con gli onori del successo oppure lo travolgerà nella delusione delle promesse mancate. Ed è proprio la consapevolezza del momento che costringe Renzi ad accelerare i tempi con un ritmo febbrile, a rendere più rigidi i margini di compromesso sulle sue proposte, a lanciare ultimatum che evocano scenari di caos dietro l’ipotesi di una sua sconfitta.

Dall’altra parte, partiti alleati e avversari, compreso il suo, Parlamento, sindacati e Confindustria si rendono conto, con altrettanta evidenza, che, negli stessi due mesi, si deciderà la funzione che riusciranno a esercitare in futuro, in bilico tra un’alternativa drammatica. La prima è quella di consegnarsi a una sostanziale irrilevanza politica e sociale, tra la crescente sfiducia, nei loro confronti, degli italiani e la costrizione a subire sempre l’iniziativa incalzante del premier, senza possibilità di intervenire sulle sue riforme con risultati apprezzabili. La seconda è legata al recupero, quasi in extremis, di un ruolo di rappresentanza ascoltata e di mediazione indispensabile.

Questo duro confronto, il cui risultato determinerà la sorte del Paese nei prossimi anni, si è aperto essenzialmente su due fronti, quello delle modifiche istituzionali e quello dei provvedimenti economici. Legge elettorale e mutamento dei compiti del Senato sono i temi sui quali Renzi ha deciso di combattere la sua battaglia campale con partiti e Parlamento, riforma del mercato del lavoro e crescita dei consumi sono gli strumenti con i quali pensa di agganciare l’Italia alla, sia pure modesta, ripresa europea.

Sia sul primo fronte, sia sul secondo, la fretta di Renzi e la rigidità delle sue proposte, entrambe obbligate visto il timore che l’allungamento dei tempi di discussione e l’annacquamento degli effetti concreti delle sue iniziative tradiscano gli impegni che ha preso con i cittadini, possono rischiare di compromettere non tanto la sorte del premier, quanto quella del Paese, che di riforme, e radicali, ha urgente bisogno. E’ comprensibile, però, che i partiti, a cominciare dal Pd, non si possano rassegnare a un ruolo di semplici ratificatori delle decisioni governative e che il Parlamento, nel suo complesso, si rifiuti di farsi espropriare del primario diritto costituzionale di discutere e varare leggi senza diktat minacciosi. Come è comprensibile che le rappresentanze delle forze sociali non accettino di essere umiliate dal rifiuto pregiudiziale di qualsiasi loro contributo a provvedimenti che toccano gli interessi dei loro associati.

Sarebbe utile, perciò, che il superamento di questo passaggio, comunque indispensabile per il nostro futuro, possa avvenire anche con un patto tra Renzi e i suoi interlocutori, in Parlamento e nel Paese. Il premier si dovrebbe dichiarare disponibile a modifiche che migliorino l’efficacia delle sue riforme, senza vanificarne, naturalmente, gli effetti di sostanziali cambiamenti nella vita politica italiana. Ma le Camere dovrebbero impegnarsi a rispettare i tempi ravvicinati delle decisioni, imposti non dal presidente del Consiglio, ma dalle attese dei cittadini italiani. Una riunione dei capogruppo parlamentari potrebbe stabilire un calendario di lavori che consenta, sia un sufficiente dibattito tra i partiti sui provvedimenti avanzati dal governo, sia il varo delle leggi senza dilazioni strumentali. I presidenti Grasso e Boldrini dovrebbero garantire l’applicazione puntuale di tale patto. La stessa flessibilità si potrebbe chiedere a Renzi in campo economico, una flessibilità che consenta una consultazione, magari evitando i lunghi rituali di una volta, con sindacati e Confindustria, ma senza concedere diritti di veto o possibilità di ritardi nelle decisioni politiche a rappresentanze sociali che, tra l’altro, a norma della Costituzione, non possono e non devono poter esercitare.

È troppo importante che l’Italia riesca a dimostrare all’Europa e al mondo di riuscire finalmente a realizzare quelle riforme che, da decenni promette e che da decenni tradisce, perché il suo futuro dipenda dai fuochi di artificio di un giovane e ambizioso primo ministro e dalle resistenze autoconservative dei suoi avversari.

La Stampa 01.04.14