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"La corruzione costa 60 miliardi di euro", di Nicola Luci

Non ci voleva l’Europa per capire che la corruzione in Italia è un fenomeno preoccupante. Ma, nel primo rapporto sulla lotta alla corruzione che la Commissione Ue renderà noto oggi, si dice anche che il problema non riguarda solo Italia. Il fenomeno è diffuso in tutto il Continente. E non è a basso prezzo. Ci costa moltissimo. Secondo il rapporto oltre 120 miliardi di euro.
Va anche detto che la stessa Commissione riconosce al nostro Paese gli sforzi legislativi, definiti notevoli, per combattere il fenomeno. Che pur tuttavia dalle nostre parti resta «preoccupante». Per questo Bruxelles suggerisce di potenziare il regime di integrità delle cariche pubbliche elettive, di consolidare la legge sul finanziamento ai partiti e risolvere con «massima urgenza» le carenze della prescrizione e le lacune in materia di conflitto di interesse. Norme che in Italia fanno ricordare il periodo in cui Silvio Berlusconi era alle prese con i suoi guai giudiziari.
Ma, come detto, pur con i nostri limiti, non siamo messi peggio degli altri. Dalla relazione emerge infatti che il fenomeno merita maggiore attenzione un po’ ovunque nei 28. L’integrità dei politici rimane un problema in molti Stati, e il rischio di corruzione è generalmente più elevato a livello regionale e locale, dove i sistemi di controllo e contrappeso, ed i controlli interni, tendono ad essere più deboli di quelli a livello centrale.
Il dossier dedica particolare attenzione agli appalti pubblici. Ed è naturale che sia così. Lo Stato è per definizione uno big spinder specie quanto si parla della realizzazione di opere infrastrutturali. Secondo la Commissione gli appalti pubblici sono un settore importante per l’economia Ue, poiché circa un quinto del Pil è speso ogni anno da enti pubblici per forniture, lavori e servizi, e un comparto tra i più esposti al rischio di corruzione.
Stando ai dati raccolti da Price& Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea, ed emersi in un’audizione al Parlamento europeo, ad ottobre dei 120 miliardi che la Commissione Ue stima siano sottratti ogni anno dalle tangenti all’economia europea, ben la metà, ovvero 60 miliardi, e’ il peso del fenomeno italiano e le possibilità che nel Belpaese un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare, oltre tre volte il dato francese e più di dieci volte quello dell’Olanda.
L’ultimo sondaggio di Eurobarometro sulla percezione del fenomeno rivela che per tre quarti di europei (76%), e ben il 97% degli italiani, la corruzione è un fenomeno dilagante. E se per oltre la metà (56%) di europei il livello, nel proprio Paese è aumentato negli ultimi tre anni, uno su dodici (8%) afferma di essere stato oggetto o testimone di casi di corruzione nell’anno precedente.
Inoltre, viene sottolineato, quasi due europei su tre, e l’88% degli italiani ritiene che la corruzione e le raccomandazioni siano spesso il modo più facile per accedere ad una serie di servizi pubblici.

L’Unità 03.02.14

"Renzi: batteremo la nuova destra", di Claudio Tito

IL centrosinistra può vincere anche senza i centristi di Casini. La legge elettorale si può modificare solo con l’accordo di tutti. Il rimpasto lo deve decidere Letta e la legislatura può andare avanti se si fanno le riforme. Grillo si sta sgonfiando come un palloncino ma gli atti di questi giorni sono squallidi e squadristi. Il segretario del Pd Matteo Renzi rilancia.

È SICURO che la strada imboccata può portare a disegnare un nuovo assetto istituzionale e politico. Confermando il bipolarismo e restituendo al fronte progressista la chance di guidare il paese «senza larghe intese».
«Se vogliamo il bipolarismo — avverte —, non mi stupisce che Casini stia di là. Anzi io assegno all’Ita-licum la forza di aver salvato questo principio. E ha messo a tacere i cantori della Prima Repubblica».
Ma non teme che Berlusconi si rafforzi? Mette insieme tutti i centristi, riunisce un bel po’ di listine e batte di nuovo il centrosinistra.
«Ma la nostra vittoria non dipende dal sistema di voto. Sarebbe il fallimento della politica se affidassimo il nostro successo alla legge elettorale e non alla qualità delle proposte e delle leadership. Vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura ».
Lei quando si tornerà alle urne si presenterà da solo o con un’alleanza?
«È chiaro, con un’alleanza. Ma adesso siamo un passo indietro. C’è un accordo siglato da forze politiche diverse. Non accadeva dal 1993, ossia dalla fine della Prima Repubblica. Da quel momento le riforme le hanno fatte tutti a maggioranza. Riguarda anche il Senato e il Titolo V. Il dibattito non può essere allora come ci si presenterà alle elezioni. Anche se è evidente che faremo un’alleanza con forze di centro e di sinistra. Il punto però è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti».
Va bene. Ma prendiamo Sinistra e Libertà di Vendola. Perché dovrebbe allearsi con lei se sa di non arrivare al 4%?
«Dovranno fare uno sforzo per superare lo sbarramento. Sarebbe strano non muoversi in questa direzione. Di certo non è accettabile che chi prende una percentuale minimale poi faccia il bello e il cattivo tempo. Ricorda il 2006 e l’agonia del governo Prodi causato proprio dai partitini?».
Nel 2008 invece Veltroni ottenne un buon risultato di partito ma perse le elezioni inseguendo la vocazione maggioritaria.
«Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Casini, allora “Houston abbiamo un problema”. Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società. Non basta più essere contro Berlusconi. Dobbiamo salvare l’Italia e cambiarla a 360 gradi. E allora discutiamo se si fanno investimenti per la scuola e per la pubblica amministrazione. Parliamo della società, dei meriti e dell’uguaglianza ».
Questo sembra uno slogan usato negli anni ‘80 da Claudio Martelli.
«Ma a un giovane che non sa chi sia Martelli, gli devi dire se vanno avanti i figli di papà o chi ha merito. Se non lo fai, allora è conservazione ».
È un modo per rispondere anche a Grillo?
«Per la prima volta rincorre, è in difficoltà. Se la politica fa le cose che promette, lui si sgonfia come un palloncino».
Ora però c’è qualcosa di più, gli insulti, i libri bruciati, l’assalto alle istituzioni, la violenza. Non vede una strategia del caos, un disegno eversivo?
«Sono tutti atti tecnicamente squadristi. Alcuni di loro sono dei bravi ragazzi, ma quando scendono Grillo e Casaleggio la linea è chiara. Sperare nel fallimento e aizzare il caos. Adesso i teorici dello streaming e della trasparenza si sono ridotti a chiedere il voto segreto come un partitino da prima Repubblica. Dovevano rendere il palazzo una casa di vetro, ma scommettono sui franchi tiratori».
Nella prima Repubblica il presidente della Camera non avrebbe mai ricevuto quegli insulti.
«Che sono squallidi. Del resto quando il pregiudicato Grillo ha l’insensibilità di dire cosa fareste in macchina con la Boldrini… Detto questo il questore Dambruoso dovrebbe dimettersi, perché non bastano le scuse dopo quello che abbiamo visto. La presidente della Camera avrebbe potuto gestire meglio l’ultima settimana anche nelle calendarizzazioni. Ma questo non può giustificare la volgarità e lo squallore dei grillini».
Lei considera il bipolarismo un elemento fondamentale. Quindi la riforma elettorale non si tocca?
«Nessun sistema elettorale è perfetto e le correzioni sono sempre possibili. È fondamentale però salvaguardare il bipolarismo, appunto, e il ballottaggio. Ma nessuno può pensare di imporre le proprie modifiche agli altri. Si cambia solo se si è tutti d’accordo».
Eppure una parte del Pd vuole intervenire sul testo anche senza l’accordo di Forza Italia.
«Condivido nel merito alcune preoccupazioni della minoranza. Ma non posso non riconoscere che Fi ha fatto un passo avanti grandissimo accettando il ballottaggio. Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Berlusconi per adesso ha mantenuto gli impegni e non sarà certo il Pd a venire meno alla parola data, visto che la nostra direzione si è espressa. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori».
Magari i forzisti non ne sono così sicuri.
«Non si preoccupino della nostra compattezza. Il 92% del gruppo democratico era in aula al momento del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Quelli di NCD il 68%, quelli di scelta civica il 57%. I deputati Forza Italia erano il 77%. Semmai mi preoccupa la loro compattezza ».
In che senso?
«La Lega non ha partecipato al voto e Salvini continua a dire che non è interessato alla norma di salvaguardia regionale. Come pensano sia possibile che votiamo quell’emendamento se provoca tanto disgusto nel segretario leghista? Non sia mai che offendiamo la sua spiccata sensibilità».
Lei dice che va salvata l’Italia. Ma ci dovrebbe pensare anche il governo.
«Tocca al presidente del consiglio decidere cosa fare. Se pensa che questo governo vada bene, ok. Se pensa che non vada, dica cosa vuol cambiare e quali ministri vuole sostituire. Ma non si usi l’alibi del Pd per evocare un rimpasto o per mettere dei renziani. Questo schema mi inorridisce. Io sono il segretario del Pd e non dei renziani. Non voglio partecipare a vecchie liturgie da Prima Repubblica. Faccia lui. Non sarò mai un “vetero-cencelliano”».
Nel senso del manuale Cencelli?
«L’altro giorno nella mia stanza è venuto il capogruppo di Italia Popolare, una persona perbene come Dellai. Con lui si è presentato un deputato del suo schieramento e mi ha detto: “Se volete il nostro accordo, a noi cosa date?”. Gli ho chiesto di uscire dalla stanza. Siamo al governo del Paese, non al mercato del bestiame. Io mi occupo di cose concrete, dei cantieri da aprire in mille scuole, della riforma di una pubblica amministrazione barocca, della necessità di non doversi rivolgere a un capo di gabinetto per sbloccare una pratica, degli investimenti stranieri su cui tutti devono riflettere».
Perchè?
«In un anno il loro valore è dimezzato. Un Paese che non attrae è un Paese spacciato. Dobbiamo recuperare appeal. Farli venire e farli restare in Italia».
Proprio oggi Letta parla di una ripresa già avviata.
«Non ho letto le dichiarazioni del presidente del consiglio. Ci sono segnali di ripresa a livello internazionale, il Pil negli altri paesi cresce. È interessante per l’Italia non sprecare l’inizio di questa ripresa. Ma non c’è ripresa senza occupazione. C’è ancora molta strada da fare».
E Letta fino a quando andrà avanti?
«Basta con il quanto dura! E un governo, non un iphone. Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri».
Si arriva al 2018 anche se si fa un nuovo esecutivo e lei va a palazzo Chigi.
«Il problema non è il nome del premier, che per quel che mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro».

da La Repubblica

"I grillini vogliono caos non riforme", di Gianni Riotta

Dal 2012, con la vittoria di Beppe Grillo in Sicilia, fino alla scorsa primavera, l’opinione pubblica di sinistra ha coccolato i Cinque Stelle. Dopo il successo grillino alle elezioni di febbraio un manifesto di intellettuali spingeva perché il Partito democratico formasse un governo con Grillo e Gianroberto Casaleggio, con giornali, riviste, case editrici fiancheggiatori del movimento mobilitati perché l’ex attore andasse al potere. Analogo fermento si raccolse attorno alla candidatura di Stefano Rodotà al Quirinale: ignari che il costituzionalista aveva, in un’intervista, paragonato con severità Cinque Stelle alla destra oltranzista ungherese di Orban, i grillini ne scandivano il nome in strada. Né l’infatuazione era solo italiana: l’autorevole «New Yorker», in un rapito ritratto di Grillo, concludeva con l’ex attore che, al cadere della sera, chitarra in mano, canta ai pescatori sardi una ballata, «con la rauca voce di Ray Charles».

In politica però un anno può essere più struggente di un vecchio blues e la cotta della sinistra per Grillo sembra svaporarsi. Ora che si bruciano i libri del decano Corrado Augias, e il parlamentare 5 Stelle Roberto Fico inquadra il gesto nella «rabbia incontenibile», ora che la presidente Boldrini viene sottoposta a uno stupro mediatico aizzato da Grillo via blog, è impossibile rivedere nei parlamentari di Grillo gli illuminati riformatori che si volevano al governo un anno fa con queste parole «Mai, dal dopoguerra a oggi, il Parlamento italiano è stato così profondamente rinnovato dal voto popolare. Per la prima volta i giovani e le donne sono parte cospicua delle due Camere. Per la prima volta ci sono i numeri per dare corpo a un cambiamento sempre invocato, mai realizzato. Sarebbe grave e triste che questa occasione venisse tradita, soprattutto in presenza di una crisi economica e sociale gravissima».

Ora con disinvoltura si taccia Grillo da «fascista», l’amico nobile si muta in nemico spregevole. Poco da meravigliarsi, il trasformismo narciso non è mai mancato nella storia intellettuale del Paese. Ma è invece importante capire perché all’errore di incenso 2012-2013 si sovrappone l’errore di vetriolo 2014, senza trovare equilibrio analitico davanti non al «fascismo» che nulla c’entra, ma al populismo 5 Stelle.

La ragione del primo fenomeno è semplice, Grillo veniva visto da tanti come un apriscatole che poteva infine far saltare l’ermetico nemico Berlusconi, la cui tenuta per due decenni beffava le teorie «del partito di plastica». Chi abbia studiato il blog e la letteratura politica di Casaleggio e Grillo sa che non c’è stato in loro alcun cambiamento di toni o contenuti. Dal primo Vaffa Day, al voto di febbraio, Grillo ha sempre considerato la democrazia italiana, le istituzioni repubblicane seguite al referendum del 1946, la classe dirigente tutta, una rovina. Ha sempre postulato di volere agire da solo per rompere il sistema, senza compromessi, alzando il tiro, dentro il 5 Stelle e in Parlamento, niente compromessi, niente negoziati. Il risibile impeachment contro il presidente Napolitano era già scritto nella gita al Quirinale di Grillo un anno fa.

Jacopo Iacoboni ha, in un bell’articolo, rievocato i lontani giorni in cui al tempo dell’adesione dell’Italia alla Nato il Partito comunista fece ostruzionismo e le Camere ribollirono. In altre occasioni furono i radicali di Pannella, storico l’interminabile discorso di Marco Boato, a far ricorso al filibustering. La differenza tra allora e adesso è quanto raramente Pci e radicali siano ricorsi all’ostruzionismo, consapevoli che fosse un «mezzo», da utilizzare solo in casi estremi – come la collocazione internazionale dell’Italia nella Guerra Fredda. Per Grillo bloccare la Camera non è invece un «mezzo» per ottenere qualcosa, con il 25% dei voti avrebbe da incassare risultati politici ogni giorno. Fermare il dibattito democratico in Parlamento, e poi a cascata nel Paese, è il «fine», la «meta» nella, evidentemente illusoria, persuasione che il caos «manderà a casa la Casta», dando il governo a Grillo e Casaleggio. Si tratta di rompere, non ricostruire.

Aver creduto che si potesse lanciare un programma di riforme per il XXI secolo su queste basi è abbaglio su cui meditare. Ma altrettanto grave sarebbe ora per il Pd e la sinistra duplicare l’errore degli ultimi 20 anni, quando gli elettori di Berlusconi sono stati branditi come «fascisti, mafiosi, evasori fiscali». I milioni di italiani che hanno votato per Grillo vengono – rileggete i flussi disegnati da Roberto D’Alimonte – da destra, centro e sinistra. Lo hanno scelto, e in gran parte ancora dichiarano di volerlo votare non per bruciare libri, dire lepidezze orrende sulla Boldrini, parlare nell’italiano maldestro del parlamentare medio 5 Stelle, o perché depressi dalle scie chimiche. Lo votano perché sommano il disgusto per la corruzione e l’inanità della classe dirigente italiana tutta, con la fatica di sbarcare il lunario oggi. Molti di loro compiono l’errore intellettuale – comprensibile per l’angoscia sociale che lo genera – di credere che il lavoro manchi per colpa della corruzione, che il figlio sia precario «Perché Quelli rubano». Non è così, anche quando «Quelli» smetteranno di rubare, senza innovazione, tecnologia, mercato, cultura, ricerche, laboratorio, scuola, il lavoro in Italia non si troverà, Electrolux non è un caso, è l’ultimo sintomo della deindustrializzazione che da 50 anni trasforma l’Occidente.

Di queste riforme Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sono, e resteranno, nemici giurati. Saranno sempre schierati per il caos, via carta, tv, web, convinti che serva a spezzare il sistema. Queste riforme sono insieme salvezza per il Paese e sconfitta certa per 5 Stelle. Come non bisognava ieri flirtare vanesi con Grillo, non si devono adesso insultare e isolare i suoi elettori perbene. Va detta loro, con onestà e senza frivolezza, la verità sulla tempra morale dei fondatori di 5 Stelle. Va loro mostrata un’etica pubblica lucida, con tagli alle spese politiche severe, ma poi serve un piano di crescita coerente, logico e sostenibile. Solo la crescita azzittirà il Pifferaio ligure in fretta. Avrà allora tempo per show di successo o per leggere qualche libro, magari non flambé.

da La Stampa

"Allarme scrittura, i giovani non sanno più usare la penna", di Angela Padrone

Ci sono ricercatori convinti che la perdita di dimestichezza con la penna abbia effetti negativi sul nostro cervello

«Mamma, ma perché devo proprio imparare a scrivere bene le lettere? Basta che pigi i tasti e vengono da sole….» Paolo, quarta elementare, ha già ben chiaro il problema: vale la pena impegnare i bambini, e poi i ragazzi, con la scrittura a mano, visto che poi useranno sempre di più la tastiera? Ha ancora senso sforzarsi con penna e matita? Negli ultimi anni l’allarme di molti pedagoghi si è diffuso soprattutto nel mondo occidentale: quattro anni fa una ricerca americana constatava che i ragazzi di 16-17 anni non sapevano più scrivere in corsivo, l’85% usava già solo lo stampatello. In Gran Bretagna la ricerca di Docmail rilevava due anni fa che un adulto usava carta e penna per scrivere al massimo una volta ogni 41 giorni e che un terzo delle persone non aveva scritto nulla a penna nei precedenti sei mesi. Si dirà: pazienza, è il mondo che cambia. Invece non è così: la scrittura influenza chi siamo.

SCRITTURA E CERVELLO
Ci sono ricercatori convinti che la perdita di dimestichezza con la penna abbia effetti negativi sul nostro cervello. Manfred Spitzer, psicologo tedesco e specialista del cervello, ha scritto “Demenza digitale” (Il Corbaccio) un libro nel quale sostiene che l’uso della tecnologia abbia effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali e, alla lunga, anche a una maggiore probabilità di sviluppare l’Alzheimer. Esempi pratici che ognuno può verificare su se stesso: l’atrofizzazione della memoria numerica (nessuno ricorda più i numeri di telefono, perché sono tutti nella memoria del cellulare), perdita del senso di orientamento (senza navigatore ormai ci si smarrisce).
«Perdere la capacità di scrittura manuale sembra avere dei risvolti negativi sulla qualità del pensiero». Questa è la teoria del professor Bernardo Vertecchi, ordinario di Pedagogia dell’Università Roma Tre: quando si scrive con la tastiera c’è più distacco tra la persona e il testo, sostiene. Viceversa scrivere a mano metterebbe in moto qualcosa nel nostro cervello e non solo migliorerebbe la padronanza della lingua, ma ne sarebbero influenzate perfino le capacità matematiche. «Per non parlare del senso di autonomia – aggiunge Vertecchi – che dà la capacità di scrivere velocemente degli appunti su un pezzo di carta». Per mettere alla prova questa idea Vertecchi ha messo in piedi un progetto sperimentale, che coinvolge 350 bambini delle classi elementari di terza, quarta e quinta, in due scuole di Roma l’Ic Tor de’ Schiavi-Cecconi e l’Ic Mar dei Caraibi di Ostia.

«NULLA DIES SINE LINEA»
Il progetto è intitolato Nulla dies sine linea (neanche un giorno senza tracciare una linea), e ipotizza i benefici di un esercizio costante. «Noi abbiamo preparato dei fogli che vengono distribuiti ai bambini tutti i giorni per un periodo di circa 5 mesi» spiegano due delle curatrici del progetto, le dottoresse Gabriella Agresti e Cinzia Angelini. Ogni bambino è identificato da un codice, visto che non si vuole trasformare il progetto in una valutazione, e i bambini devono scrivere un numero fisso di righe su un argomento diverso ogni giorno, che sia la descrizione di una giornata di vacanza, o l’aula in cui si trovano e così via. Alla fine si cercherà di scoprire se l’esercizio quotidiano avrà prodotto un cambiamento non solo nella capacità di scrittura manuale, ma soprattutto nell’uso del lessico e nell’organizzazione dei concetti. Così i genitori potranno spiegare ai propri figli perché non basta imparare a pigiare sui tasti: scrivere a mano potrebbe migliorare la capacità di pensiero.

da il Messaggero

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«Sei righe al giorno per far crescere la concentrazione», di A. Pad.

«ABBIAMO NOTATO NEGLI SCOLARI UN MIGLIORAMENTO DELLE PERFORMANCE»
ROMA «I bambini si sono subito incuriositi e hanno partecipato con un entusiasmo enorme», racconta Filomena Mancini, maestra di quarta elementare nella scuola Mar dei Caraibi di Ostia: è tra gli insegnanti che conducono l’esperimento della cattedra di Pedagogia su scrittura e pensiero. Perfino lei, insegnante di lungo corso e laureata in pedagogia, è stata sorpresa dalle prime reazioni dei suoi alunni. E se aveva delle preoccupazioni iniziali, la realtà le ha dissipate.
I bambini hanno capito di che cosa si trattava?
«Io l’ho spiegato nei giorni precedenti all’inizio del progetto, perché credo che vadano resi partecipi il più possibile. E, da quello che mi dicono i genitori, loro ne hanno parlato spontaneamente a casa, rivelando un grande interesse. Si sentono investiti di una responsabilità»
Già questo, in una scuola che spesso non riesce a responsabilizzare, potrebbe essere un buon risultato no?
«Certo. Inoltre io su certi bambini un po’ più ”difficili” ero scettica, temevo che la cosa non funzionasse. Invece ho visto che tutti si sono sentiti ”importanti” e poi all’atto pratico erano ”aiutati” dal fatto che il foglio fornisse uno spazio ben delimitato e le istruzioni fossero molto precise».
Ecco, cosa devono fare esattamente?
«Devono scrivere 5-6 righe su un argomento che viene indicato ogni giorno».
Sembra facile, ma poche righe a volte rendono il compito più difficile…
«Sì, loro erano abituati a scrivere, ma di solito scrivono di più, anche una o due pagine su un certo argomento, e qualcuno viene assistito nel lavoro, a seconda delle capacità di ognuno o delle difficoltà di apprendimento… Invece stavolta tutti hanno trovato positivo il fatto di dover concentrare il pensiero in poche righe e di dover scegliere la cosa più importante. Perfino i bambini che di solito hanno qualche problema in più hanno avuto risultati migliori»
Insomma, lei vede già degli effetti positivi
«Abbiamo iniziato da poco. Più in là si potranno cominciare a valutare i risultati. Però anche in così poco tempo io ho osservato aspetti che possono migliorare il lavoro personalizzato su ogni bambino e anche sulla classe nel suo insieme».
Ma a lei sembra che questi bambini di solito scrivano poco?
«Oggi ogni scuola si regola in modo diverso. Io li ho sempre fatti scrivere. Qui però dovremo valutare se questo esercizio giornaliero porterà dei cambiamenti nelle loro capacità logiche e espressive. Intanto ho notato una liberazione della creatività: molti di loro, dopo aver finito il compito assegnato, arricchiscono la pagina con dei disegni. Ma soprattutto quello che si è visto subito è che mi ha colpito è stato un livello di concentrazione superiore al normale». Una concentrazione che invece, sulla tastiera, si perde facilmente.

da il Messaggero

"Super Bowl Italia", di Massimo Gramellini

Per qualcuno questo Buongiorno suonerà aziendalista, nazionalista e addirittura campanilista. Ma che la notte scorsa centotredici milioni di americani inchiodati con birra e patatine davanti ai televisori per il Super Bowl abbiano visto per la prima volta, in mezzo ai soliti marchi dell’economia globale, una bella cosa progettata e costruita in Italia, in uno stabilimento della mia Torino dove ancora due anni fa si produceva soltanto polvere, rappresenta un discreto contributo all’autostima. Lo spot della signora Maserati (di cui parliamo qui) avrà colpito gli americani per il messaggio: i nemici sono più grandi e più forti, ma «noi» pensiamo a lavorare sodo, fidandoci dei nostri istinti, e al momento giusto usciamo dall’ombra e attacchiamo. Agli italiani, che venti secoli di cinismo hanno reso in parte impermeabili a queste scariche di adrenalina, se non il messaggio dovrebbe interessare almeno il massaggio: al nostro orgoglio, fiaccato dalle delusioni, e alla nostra intelligenza, svilita dalle ingiustizie.

Per quanto il pregiudizio non sempre corrisponda ancora al vero, nel mondo l’Italia continua a essere percepita come lo scrigno della Grande Bellezza. Una sorta di detentrice della formula magica del buon gusto e del buon vivere, che quando si rivela all’altezza della sua fama viene ricompensata dal successo. Così anche uno spot può aiutarci a ricordare che la nostra salvezza coincide con il nostro destino: dalla crisi non si esce facendo, magari persino meglio, le cose che fanno anche gli altri. Dalla crisi si esce facendo, al meglio possibile, le cose che sappiamo fare soltanto noi.

da La Stampa

"Intelligenti si diventa così. Le capacità critiche per orientarsi nel mare magnum dell'informazione sono meno diffuse di quanto si creda", di James Flynn

Invecchiando, sento una forte spinta a cercare di offrire alle persone un’istruzione migliore di quella che sono stato in grado di fornire ai miei studenti lavorando all’interno di diverse università. Senza dubbio questo stimolo è il sostituto, per un ateo, del desiderio che prova chi ha una fede religiosa di salvare le anime. Non posso promettere una vita dopo la morte, ma posso cercare di salvare le persone dall’ignoranza che paralizza la mente. Anche se un meteorite domani ci eliminasse tutti, quante più persone andassero incontro alla morte avendo realizzato il potenziale che è in loro, tanto più l’esperimento umano su questo pianeta potrebbe dirsi riuscito.
Conosco molte persone che hanno fatto sforzi per diventare esseri umani razionali. Leggono molto e sanno qualcosa della varietà e della storia del mondo. Sono diventati filosofi, nel senso che pesano sulla bilancia della ragione le convinzioni circa la religione, gli impegni morali, gli atteggiamenti verso lode e biasimo (libero arbitrio), e la propria idea di una buona società. Tuttavia, si sentono relativamente impotenti ad affrontare la principale minaccia odierna alla chiarezza: i mass media.
I media annebbiano la vostra mente con la massa ingente delle loro produzioni: addensano strato dopo strato fatti non digeriti, migliaia di pareri su ogni questione, dalla moralità alle scelte personali (aborto), agli effetti di ciò che si mangia (burro), alle scoperte mediche, alle ultime rivelazioni della scienza sociale (reali o ingannevoli), all’importanza delle scoperte scientifiche, al ruolo della Storia, per non parlare di tutto ciò che riguarda la crisi economica (i debiti delle banche) e la politica internazionale (l’America e le sue invasioni). È forte la tentazione di arrendersi al puro cinismo, non accettare nulla e non fidarsi di nessuno. Tuttavia, se imparerete a padroneggiare alcuni concetti-chiave, venti in tutto, io credo che potrete guardare attraverso la nebbia e vedere chiaramente il mondo reale, senza che venga più oscurato dalle lenti della tv, dei giornali, e da un uso di internet indiscriminato.
Non ho alcun desiderio di indottrinare. Non ho mai accettato il parere di qualcun altro senza prima valutarlo con la mia mente. Metto in conto che qualcuno tra coloro che leggeranno questo libro potrà rifiutare alcuni dei miei concetti-chiave, aggiungerne di propri, analizzare i problemi in modo indipendente e trarre conclusioni da solo. Quello che propongo non è il risultato di un qualche sondaggio di opinione tra esperti, ma semplicemente concetti che mi hanno aiutato a trovare la mia strada. Sono convinto che chi ha bisogno di una piccola spinta per iniziare a percorrere la strada della ragione sarà più ispirato da chi pensa di essere giunto a certe verità, che da chi, come un eterno Amleto, fa seguire a ogni affermazione commenti quali: «Ma d’altra parte Marx direbbe, ma d’altro canto le femministe direbbero, ma d’altra parte mio zio Toby direbbe». L’idea che la ragione non porti da nessuna parte se non all’indecisione è totalmente scoraggiante per chi cerca la propria strada. Sono figlio di un giornalista e le mie critiche ai media non si basano su un’opinione negativa di coloro che filmano, riportano fatti o scrivono editoriali. Tra i giornalisti vi sono, come in ogni professione, persone degne e meno degne. Potrebbero essere tutti dei santi e dei saggi, e i media continuerebbero comunque a costituire un sistema destinato a creare confusione. È la natura stessa di un sistema che trasforma ciò che lo alimenta: a volte in meglio, a volte in peggio.
Il mercato, laddove esso possa adeguatamente svilupparsi, trasforma i comportamenti egoistici (il miglior affare per me) in effetti che si rivelano essere benefici generali (beni migliori o prezzi più bassi). I media trasformano gli input che sono (in teoria) intesi a segnalare e informare, in qualcosa che può solo sopraffare e confondere: un gigantesco buffet senza etichette che indichino di cosa realmente si tratti. È un difetto endemico. Nulla vale come notizia se non attira l’attenzione. Che cosa dice il Presidente è una notizia degna di nota. Ciò che una persona ragionevole potrebbe dire circa le mezze verità o le menzogne del Presidente raramente fa notizia. Il commento è confinato a una pagina redazionale in cui un editorialista ribatte ad altri editorialisti. Includere i commenti editoriali nella notizia sarebbe ancora peggio. Si tratterebbe di un passo in direzione di un controllo governativo dei media, e potrebbe comportare il rischio di manipolazione da parte di editori mossi da interessi personali. Chiunque veda un telegiornale su Fox News e il suo programma The O’Reilly Report, e poi guardi un telegiornale su Nbc e il suo programma The Rachel Maddow Show non avrà bisogno di esser convinto.
Ognuno di noi deve acquisire un kit completo di strumenti che gli consenta di scrivere i propri editoriali. Nessuna università, né Harvard né Oxford, insegna a più che a un ristretto gruppo dei suoi studenti a pensare criticamente al di là delle discipline in cui si specializzano. Da quello che so, per le università italiane vale lo stesso. Anche i migliori laureati sanno poco di morale, o di scienze sociali, o di scienze naturali, o di economia, o di politica internazionale.
Inoltre, i docenti potrebbero averli confusi su come la verità differisce dall’illusione, o la realtà dalla finzione. Persino chi non ha mai frequentato un’università è poco svantaggiato rispetto a chi possiede una laurea. Quindi, andate avanti nella lettura di questo libro e forse comincerete a riflettere su questioni su cui finora non vi siete mai soffermati a pensare.

da Il Sole Domenica

"L’amaca", di Michele Serra

È davvero singolare che nel paese detentore del più imponente e spiccio sistema carcerario del pianeta, gli Stati Uniti (vantano il 25 percento della popolazione carceraria mondiale), l’opinione pubblica sia così affranta per la condanna di miss Knox, e così indignata contro la giustizia italiana. Si capisce l’impatto mediatico della ragazza, che è bella e di modi raffinati, non come i tanti poveri ceffi da bassifondi che languono nelle galere americane perché non hanno i soldi per pagarsi un buon avvocato. Assai meno si capiscono i gemiti di orrore per un sistema giudiziario, il nostro, che in virtù del suo bizantinismo e delle sue lungaggini è a volte ridicolo, ma oggettivamente più lasco di quanto possa sperare il più radicale dei garantisti o il più contumace degli imputati.
L’impressione è che non tanto la giustizia italiana, ma il resto del mondo in quanto tale sia considerato indegno di giudicare un americano. E che eventuali crimini siano meno crimini se commessi da americani all’estero. Il pilota del caccia che nel 1998 tranciò il cavo della funivia del Cermis uccidendo venti persone venne giudicato negli Usa. Condannato a pochi mesi per intralcio alla giustizia e assolto per la strage. Wow!

da La Repubblica