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“Se la via giudiziaria alla salute alimenta le false speranze di chi soffre”, di Elena Cattaneo*

Si sa tutto di Stamina. Che è un’operazione che non ha nulla di medico o scientifico, guidata da persone senza competenze e credibilità; un’infusione che non si sa cosa contenga — di certo non staminali che fanno neuroni — e che non ha i requisiti per rientrare tra le “cure compassionevoli”. Anche se ci sono giudici che prescrivono il “trattamento” — come se i medici facessero i processi o scrivessero sentenze — si tratta di un inganno ai danni dei malati e un ricatto allo Stato: soldi per somministrare l’inganno vengono sottratti ai trattamenti veri.
Come previsto dai testi di psichiatria, l’inganno è difeso dalle stesse vittime e da immancabili esaltati, incitati a scendere in piazza con atti eversivi. Quasi un esperimento di persuasione di massa che intrappola parte dell’Italia, e che potrebbe trasformarsi in un’ecatombe per il nostro Servizio sanitario nazionale. Dovesse questa follia non essere fermata da un decreto legge o dal magistrato, più intelligenti speculatori sono pronti a sostituirsi a Stamina, con cellule “meglio fabbricate” ma sempre senza prove circa un loro razionale impiego terapeutico nell’uomo.
L’escalation è inquietante. Nonostante l’inseguimento dei Nas per le denunce di malati truffati, Stamina entra negli Spedali Civili di Brescia, da cui non l’espelle neppure l’ordinanza Aifa di blocco. È così che per mesi una fondazione non-medica e il suo “personale” digitano i codici di accesso di un ospedale pubblico di un’importante città, dove un laureato in lettere accerta l’assenza di patogeni nei preparati Stamina e il Comitato etico autorizza la somministrazione in pazienti di “preparati ignoti” perché “coperti da brevetto”.
Un brevetto inesistente, dato che la domanda, sottoposta all’ufficio americano, era tornata al mittente nel peggiore dei modi, dicendo che in quelle tre paginette non vi era “nulla di metodologicamente sensato e riproducibile, e che cellule moribonde venivano scambiate per neuroni”. Una sentenza che Stamina tentò di nascondere, senza riuscirci, e la rivista Nature appurò che nel testo c’erano pure foto plagiate da artefatti di gruppi russi.
Il “metodo” che trasformerebbe in neuroni terapeutici le cellule staminali mesenchimali (che normalmente fanno altro) dunque non esiste. Chi studia queste cellule in laboratorio sa che la trasformazione non avviene e ad essere iniettati sono detriti cellulari, che presto spariscono. E se ci fossero cellule fuori controllo, e non sparissero, sarebbe anche peggio. Un ragazzo israeliano trapiantato in Russia con intrugli ignoti, due anni dopo il trapianto accusò dei forti mal di testa: le cellule trapiantate avevano dato origine a un tumore.
E quindi sulla base di quali prescrizioni mediche “illegali” (senza le necessarie autorizzazioni) i giudici italiani impongono la somministrazione di “trattamenti” a carico della collettività, inutili nel migliore dei casi? Le dichiarazioni sui presunti benefici non solo non provano alcunché, ma non possono trasformarsi nella pretesa di ricevere dallo Stato una cura che non c’è (ma verso la quale molti studiosi lavorano in ben altri modi). L’indagine conoscitiva promossa dal Senato farà il suo corso e dovrà anche contribuire a evitare simili casi in futuro.

*(docente all’Università di Milano, senatore a vita)

La Repubblica 29.12.13

Cgia: tasse calate nel 2013 fino a 250 euro per famiglie”, da unita.it

Finalmente una buona notizia. Nel 2013 è diminuito il peso delle tasse sulle famiglie italiane. Gli importi, seppur abbastanza modesti, invertono una tendenza che negli ultimi anni aveva assunto una dimensione molto preoccupante. A dirlo è la Cgia che ha realizzato alcune simulazioni su tre diverse tipologie familiari.

QUANTO SONO STATI I RISPARMI
Rispetto al 2012, quest’anno un giovane operaio senza familiari a carico beneficia di un risparmio fiscale di 15 euro. Per unafamiglia bireddito con un figlio a carico, invece, il peso delle tasse diminuisce di 178 euro, mentre sale a 250 euro lo sgravio per una famiglia monoreddito con due figli a carico. Nel 2014, almeno per i primi due casi, la situazione è destinata a migliorare, grazie alla riduzione del cuneo fiscale approvato dal Governo Letta con la legge di Stabilità. Se per il giovane operaio la contrazione rispetto al 2013 sarà di 111 euro, per la coppia con un figlio salirà a 183 euro. Solo nel caso della famiglia monoreddito con un livello retributivo medio alto, le tasse sono destinate ad aumentare. Rispetto a quest’anno, nel 2014 pagherà 164 euro in più.

«Con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e con l’incremento delle detrazioni Irpef per i figli a carico – dichiara il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – nel 2013 queste misure hanno assunto una dimensione economica superiore a tutti gli aumenti registrati nel corso dell’anno. Grazie a ciò, le famiglie hanno potuto godere di una riduzione del carico fiscale rispetto al 2012. Con il taglio del cuneo che premierà solo i lavoratori dipendenti, dal 2014 i risparmi saranno più pesanti per i livelli retributivi più bassi, mentre tenderanno a ridursi man mano che cresce il reddito. Questo beneficio, che ammortizzerà l’aumento dovuto all’introduzione della Tasi, all’aggravio dell’Iva e al ritocco all’insù delle addizionali e del carburanti, non riguarderà le famiglie composte da pensionati e lavoratori autonomi che non potranno beneficiare del taglio del cuneo fiscale. Queste famiglie, pertanto, saranno chiamate, molto probabilmente, a pagare di più rispetto a quanto hanno versato quest’anno».

In tutti i casi, fa notare la Cgia, se il confronto viene realizzato tra il 2014 e il 2011, anno in cui non era ancora applicata l’Imu, l’aggravio assume una dimensione preoccupante. Il giovane single si è visto aumentare il peso delle tasse di 273 euro, la coppia bireddito con un figlio a carico di 339 euro, mentre la famiglia monoreddito addirittura di 749 euro. Non conoscendo ancora come sarà strutturato il meccanismo delle detrazioni che, comunque, dovrebbe premiare soprattutto le famiglie a basso reddito e con figli, in materia di Tasi (Tributo sui servizi indivisibili) si è preso come riferimento l’aliquota base dell’1 per mille. Tuttavia, si è realizzata una simulazione anche con l’aliquota all’1,5 per mille.

www.unita.it

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Cgia: nel 2013 per le famiglie meno tasse fino a 250 euro

Nel 2013 è diminuito il peso delle tasse sulle famiglie italiane. Gli importi, seppur abbastanza modesti, invertono una tendenza che negli ultimi anni aveva assunto una dimensione molto preoccupante. A dirlo è la Cgia che ha realizzato alcune simulazioni su tre diverse tipologie familiari. Rispetto al 2012, quest’anno un giovane operaio senza familiari a carico beneficia di un risparmio fiscale di 15 euro. Per una famiglia bireddito con un figlio a carico, invece, il peso delle tasse diminuisce di 178 euro, mentre sale a 250 euro lo sgravio per una famiglia monoreddito con due figli a carico.

Ma nel 2014 una famiglia monoreddito pagherà 164 euro in più

Nel 2014, almeno per i primi due casi, la situazione è destinata a migliorare, grazie alla riduzione del cuneo fiscale approvato dal Governo Letta con la legge di Stabilità. Se per il giovane operaio la contrazione rispetto al 2013 sarà di 111 euro, per la coppia con un figlio salirà a 183 euro. Solo nel caso della famiglia monoreddito con un livello retributivo medio alto, le tasse sono destinate ad aumentare. Rispetto a quest’anno, nel 2014 pagherà 164 euro in più.

Benefici fiscali del 2014 non riguarderanno pensionati e lavoratori autonomi

«Con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e con l’incremento delle detrazioni Irpef per i figli a carico – dichiara il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – nel 2013 queste misure hanno assunto una dimensione economica superiore a tutti gli aumenti registrati nel corso dell’anno. Grazie a ciò, le famiglie hanno potuto godere di una riduzione del carico fiscale rispetto al 2012. Con il taglio del cuneo che premierà solo i lavoratori dipendenti, dal 2014 i risparmi saranno più pesanti per i livelli retributivi più bassi, mentre tenderanno a ridursi man mano che cresce il reddito. Questo beneficio – prosegue Bortolussi – che ammortizzerà l’aumento dovuto all’introduzione della Tasi, all’aggravio dell’Iva e al ritocco all’insù delle addizionali e del carburanti, non riguarderà le famiglie composte da pensionati e lavoratori autonomi che non potranno beneficiare del taglio del cuneo fiscale. Queste famiglie, pertanto, saranno chiamate, molto probabilmente, a pagare di più rispetto a quanto hanno versato quest’anno».

In tutti i casi, fa notare la Cgia, se il confronto viene realizzato tra il 2014 e il 2011, anno in cui non era ancora applicata l’Imu, l’aggravio assume una dimensione preoccupante. Il giovane single si è visto aumentare il peso delle tasse di 273 euro, la coppia bireddito con un figlio a carico di 339 euro, mentre la famiglia monoreddito addirittura di 749 euro.
Non conoscendo ancora come sarà strutturato il meccanismo delle detrazioni che, comunque, dovrebbe premiare soprattutto le famiglie a basso reddito e con figli, in materia di Tasi (Tributo sui servizi indivisibili) si è preso come riferimento l’aliquota base dell’1 per mille. Tuttavia, si è realizzata una simulazione anche con l’aliquota all’ 1,5 per mille.

da www.ilsole24ore.it

“Sette sogni spezzati il 28 dicembre 1943 i fascisti fucilarono i fratelli Cervi”, di Gianfranco Pagliarulo

Settant’anni fa. 28 dicembre 1943. Sette fratelli: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Fucilati dai fascisti della Repubblica Sociale nel poligono di tiro di Reggio Emilia. Con loro, anche Quarto Camurri. Poco più di un mese prima erano stati cattura- ti. La milizia repubblichina aveva circondato la loro cascina a Gattatico, presso Reggio Emilia. Dopo una breve ma violenta battaglia e dopo l’incendio della stalla e dell’abitazione, i fratelli, col padre Alcide Cervi, si arrendono per salvare le mogli e i bambini. Vengono reclusi nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Ne escono il 28 dicembre. Il giorno prima in un paese vicino il segretario del fascio era stato ucciso. Ecco la rappresaglia.

«Avevamo vent’anni e oltre il ponte / oltre il ponte che è in mano nemica / vedevam l’altra riva, la vita. / Tutto il bene del mondo oltre il ponte».Così Italo Calvino.

Fra i tanti che «vedevano oltre il ponte» c’erano quei sette fratelli partigiani che avevano costituito la «banda Cervi». Dall’8 settembre 1943 si avvia simbolicamente la storia complessa di quella che poi fu chiamata Resistenza. Mentre gli Alleati risalivano la penisola, i partigiani combattevano nel centro-nord. Dopo meno di due anni di aspre battaglie, si giunse alla cacciata dei tedeschi, alla sconfitta della Repubblica Sociale, al 25 Aprile. La Liberazione. Così gli italiani sconfissero il nazifascismo e, per la prima volta dall’unità nazionale, scelsero la natura dello Stato, la Repubblica, diventando popolo di cittadini e non più di sudditi, e conquistarono, dopo i lavori dell’Assemblea Costituente, la Costituzione.

I Cervi erano una famiglia di contadini con una tradizione antifascista e una propensione verso l’approfondimento culturale. Appassionati alla lettura e al sapere, come si legge sul sito dell’Istituto Alcide Cervi, avevano scommesso sulla modernità: furono fra i primi a procurarsi un trattore e a praticare tecniche innovative per l’agricoltura e per la produzione di latte. Erano perciò parte integrante del mondo rurale ma guardavano oltre l’esistente. La ragione è spiegata da papà Cervi nella sua biografia I miei sette figli: «Da noi trovate famiglie unite come le dita di una mano, e sono unite perché hanno una religione: il rispetto dei padri, l’amore al progresso, alla patria, alla vita e alla scienza. E soprattutto noi contadini emiliani amiamo la patria e il progresso». La «patria»: la terra dei padri, col suo irripetibile portato di passato, memoria, storia, lingua comune e perciò di sedimentazione di valori. Il «progresso »: il futuro, la speranza e il progetto che si incarnano nella fiducia di una continua possibilità d’avanzamento umano. Può stupire oggi l’immagine di un casale di una famiglia contadina ove si trovi un grande mappamondo. Eppure lo si osserva, assieme a quel trattore «Balilla», nel Museo Cervi a Gattatico. Dunque i figli erano contadini che studiavano, a cominciare da Aldo che, come scrive papà Alcide, «era la testa della famiglia». Diverso tempo prima Aldo era andato per più di due anni ad una particolarissima scuola: dietro le sbarre a Gaeta aveva conosciuto esponenti dei movimenti antifascisti ed intellettuali. Si dice che la vicenda dei Cervi costituisca un mito fondativo della Resistenza italiana. Ed è vero, dato il carattere emblematico della loro vita, della loro lotta, della loro morte. Si dice anche che i Cervi, pur legati alle strutture clandestine del Partito Comunista, fossero «indisciplinati». Alcuni, non sempre disinteressati, cercano di contrapporre la storia al mito. Come se occorresse contra- stare i sacerdoti di una ortodossia. La storia/ mito dei fratelli Cervi fa parte non di una ortodossia, ma di una visione laica e critica, per cui i fatti della storia sono sempre incarnati in mo- do contraddittorio e perfettibile. Basti pensare al Risorgimento e alle sue stesse figure-icona, Mazzini, Garibaldi, Cavour. Il sacrificio dei fratelli Cervi è una bandiera della Resistenza italiana, che fu tempo di straordinarie privazioni e di valori generosi; negli anni successivi su quella base si misurarono visioni del mondo critiche, progetti e idealità. Un bagaglio di pensiero, di vita e di politica che sembra smarrito e qualche volta irriso. Eppure dopo la notte del nazifascismo e della guerra rinacque l’Italia, perché ci fu chi, come quei sette fratelli, guardò «oltre il ponte» con ineffabile modernità e con oramai dimenticato rigore morale. Ci si chiede se qualcuno oggi riesca a guardare così lontano.

L’Unità 28.12.13

“L’Italia paga il prezzo più alto per la corsa infinita del super euro”, di Federico Fubini

Nato a Genova da una famiglia di migranti italiani, ma ministro delle Finanze del Brasile, Guido Mantega è stato il primo a rompere il tabù. Nell’autunno del 2010 disse che nel mondo era in corso una “guerra valutaria”: ciascun Paese e ognuno dei grandi blocchi economici cercava di svalutare per rendere più competitive le proprie esportazioni.
Da allora la ripresa ha messo radici quasi ovunque, ma il conflitto di cui parla Mantega non è sedato. Il bilancio del 2013 mostra anzi che ha un chiaro perdente, l’euro.
La moneta unica è praticamente la sola al mondo di fronte alla quale tutte le altre divise, grandi, medie e piccole, hanno perso valore. Sull’euro si sono svalutati il dollaro americano (del 4,2%), quello canadese (dell’11%), lo yuan cinese (del 2%), per non parlare dello yen giapponese (meno 22%), del real brasiliano (meno 19,7%), del dollaro australiano (meno 20%), del rublo russo (meno 13%) o della lira turca (meno 24%). La lista continua per decine di monete, inclusi il franco svizzero (meno 1,5%), la corona norvegese (meno 15%) e la rupia indiana (meno 14,5%). La maggior parte di queste svalutazioni sono a doppia cifra e gran parte delle divise estere, incluso il biglietto verde, hanno toccato i minimi dell’anno sull’euro ieri sera. È un segno che lo smottamento è ancora in corso. Dai Paesi avanzati alle
economie emergenti, tutte le aree del pianeta stanno conquistando competitività di prezzo sui mercati globali rispetto ai prodotti venduti a partire da Eurolandia.
Una moneta forte ha anche dei vantaggi, ovviamente. L’Italia per esempio acquista da fuori dall’area a moneta unica beni e servizi per circa 216 miliardi di euro l’anno, pari a circa il 14% del Pil (dati Eurostat sul 2102). Il rafforzamento valutario del 2013 contribuisce dunque a ridurre il costo di molti beni esteri e aumenta il potere d’acquisto dei consumatori italiani. È così che una moneta forte in teoria aiuta a contenere il carovita, ma il bilancio di questo 2013 mostra che il troppo successo può produrre il suo opposto: il tasso d’inflazione nell’area euro e in Italia è oggi oltre un punto percentuale sotto al livello che la Banca centrale europea ufficialmente vuole e la stessa Bce non vede all’orizzonte un ritorno alla quota preferita, che è sotto ma vicina al 2%. Più immediato è il rischio di una spirale deflattiva che può spingere famiglie e imprese a congelare le spese in attesa di prezzi sempre più bassi in futuro.
Chi si disinteressa del tasso di cambio, sostiene che l’area euro è relativamente chiusa all’esterno perché i suoi Paesi commerciano in prevalenza fra loro. Dunque la forza dell’euro cambierebbe poco. Ma non è più vero. Eurostat, l’agenzia statistica Ue, mostra che nel 2012 l’Italia ha venduto fuori dalla zona euro beni e servizi per 231 miliardi, pari al 59% del suo export totale. È il 15% del Pil. Un euro sempre più forte erode dunque la competitività del Paese più di quanto faccia per esempio per la Spagna e la Francia, le quali piazzano in area euro circa metà del loro export. Le imprese italiane fatturano in Turchia oltre dieci miliardi l’anno, dunque per loro la svalutazione del 24% della lira turca nel 2013 incide a fondo. Considerazioni simili valgono per i dieci miliardi di vendite del made in Italy in
Russia ora che il rublo è giù del 13%, per i 19 miliardi del mercato britannico a sterlina giù del 3% o per i quasi sei miliardi di export in Giappone con lo yen giù di quasi un quarto o per i 26 miliardi di fatturato italiano negli Stati Uniti con un dollaro cronicamente debole.
Forse era inevitabile, vista l’aggressività delle altre grandi banche centrali. La Federal Reserve Usa quest’anno ha creato e immesso sui mercati qualcosa come mille miliardi di dollari. La Banca del Giappone ogni mese interviene iniettando yen per l’equivalente di circa 70 miliardi di dollari e la Banca d’Inghilterra negli ultimi anni ha comprato più di un terzo dell’enorme stock di debito pubblico di Londra. La Bce invece per adesso non fa niente di simile, ma per quanto tempo ancora potrà evitarlo? Alla Spagna, all’Italia o alla Grecia, la Germania e la stessa Bce chiedono di recuperare terreno sui mercati globali attraverso svalutazioni interne: tagli ai costi di produzione e ai salari dei lavoratori per poter vendere nel mondo a prezzi più competitivi. È una strategia che comporta costi sociali elevati, con l’aumento della disoccupazione, un lungo congelamento o il taglio degli stipendi pubblici e l’erosione dei salari privati. Ora per ò la forza dell’euro lasciato a se stesso nella guerra valutaria globale sta vanificando buona parte di questi sacrifici, o rischia di farlo presto.
L’alternativa non può essere il modello argentino, default e svalutazione brutale. Dieci anni dopo quella svolta, nel Paese sudamericano l’inflazione resta fuori controllo e la popolazione alla fame sta ancora saccheggiando i negozi. Ma la storia recente insegnerà pure qualcosa: fra il 2007 e il 2009 lo yen si impennò un terzo del valore su euro e dollaro e fu proprio allora che l’export tedesco prese il volo. Ora è l’Europa ad avere davanti un destino giapponese, più un altro rischio: il crollo della sua legittimità fra i cittadini, perché rifiutando di governare la moneta manda in fumo i sacrifici che chiede ai lavoratori più
deboli dei Paesi in crisi.

La Repubblica 28.12.13

«Letta sia più coraggioso Il Pd vuole un patto chiaro», di MariaZegarelli

Vacanza? «Niente affatto, sono al lavoro in Regione». Debora Serracchiani, governatrice del Friuli Venezia Giulia, nonché responsabile Trasporti e Infrastrutture nella segreteria di Matteo Renzi, è una sgobbona. Sgobbona e determinata, insieme ai suoi coetanei ormai nei posti apicali del partito, a dare una nuova impronta al Pd e una sostanziosa spronata al governo. Presuntuosi? «Affatto, sappiamo che questo è il momento di dimostrare cosa sappiamo fare e dobbiamo mettercela tutta». E questa sfida li trova in compagnia di Angelino Alfano, politicamente su fronti opposti, ma con lo stesso obiettivo: dopo aver preso il posto degli eterni protagonisti politici, adesso vogliono iniziare una nuova fase. A partire dal governo. «Enrico Letta deve avere più coraggio», dice la governatrice.

Intanto finisce l’anno con lo scivolone sul salva Roma. Se deve fare un bilancio, come giudica questi mesi del governo? «Enrico ha governato in un contesto difficilissimo, non dobbiamo dimenticarci come è partito questo esecutivo. Adesso il mio auspicio per il 2014 è di un maggiore coraggio soprattutto sulle riforme».

Letta intende basare il lavoro dei prossimi mesi su un patto di maggioranza. Qua- li dovrebbero essere i punti fondanti? «Vorrei intanto sottolineare il metodo scelto: per la prima volta non si fanno accordi nelle segrete stanze ma si stabilisce la necessità di una trattativa aperta su punti programmatici. Non su nomi e cognomi, ma sul programma. Mi sembra un passo avanti notevole. Sul merito, credo che le indicazioni fornite dal segretario del Pd siano chiarissime: investono le questioni legate ai costi della politica, dall’abolizione del Senato al dimezzamento del numero dei parlamentari, al superamento delle Province, e la grande sfida sul lavoro. Per la prima volta questa questione viene affrontata co- me un corpo organico, per il quale è necessario un grande piano che lo affronti in modo complessivo. Infine, ci sono tutte le vicende europee che da gennaio dovranno essere prioritarie. Credo che non possa che partire da qui un patto alla tedesca per proseguire con l’azione di governo».

L’altro socio di maggioranza, Alfano, si è detto pronto a raccogliere la sfida lanciata da Renzi. Ma le differenze tra voi e il Ncd restano intatte. Su cosa è più facile mediare?

«Si continua a chiamare trattativa alla tedesca, quindi è evidente che si lavora per trovare un punto di equilibrio. Ma è altrettanto evidente che ci sono dei punti ineludibili sui quali il governo deve pronunciarsi e deve farlo anche il Ncd. Sono convinta che in una valutazione complessiva, che anche Alfano fa, rispetto all’opportunità oppure no di andare subito a votare, la ricerca di una quadratura sul programma sia la strada migliore».

Ma arriviamo al concreto. Renzi chiede l’abolizione della Bossi-Fini, Alfano non la ritiene una priorità. Che fa il Pd su questo? Rompe la maggioranza?

«Quello della Bossi-Fini non è un problema politico: è un problema tecnico, non ha funzionato. Non ha risposto tecnica- mente ai temi che sono legati all’immigrazione, oltre al fatto che va aggiornata anche alla luce di tutte le modifiche che la stessa crisi ha portato alla questione dell’immigrazione. Sono cambiati i flussi, le provenienze, le richieste, che arrivano molto di più da zone di guerra. Questa è una legge che richiede una pro- fonda revisione in tutti gli aspetti che l’hanno messa sotto stress. Infine, anche l’Europa ci chiede di adeguare la Bossi-Fini alle norme comunitarie. So- no convinta che Alfano, che viene da una terra che è toccata direttamente dall’immigrazione, sia una persona ragionevole che, di fronte a domande che vengono poste e per le quali non ci sono risposte adeguate, sia disponibile al confronto».

Altro tema. Il Job Act. Alfano risponde a Renzi proponendo tre anni di zero burocrazia per chiunque voglia avviare una nuova attività. Dice che lo Stato deve fidarsi degli italiani. Lei che ne pensa? «Credo che nessuno abbia una bacchetta magica e che l’insegnamento che ci arriva da questa grave crisi è che occorrono molti interventi nel settore, piccoli, grandi e di amplissimo respiro. Quando si parla di lavoro non si può affronta- re solo la questione della burocrazia tra- lasciando le regole, oppure toccare solo le regole trascurando gli ammortizzatori sociali. Quando si parla di Job Act è questo che si intende: la costruzione di un piano organico che tocchi tutti i te- mi. Ci stiamo lavorando, ho letto moltissimi interventi, stiamo ascoltando molte persone e quando saremo pronti lo faremo in poco tempo».

La nuova segreteria ha l’ambizione di cambiare il partito. La prima prova sarà quella di riuscire a fare sintesi e il lavoro sembra un tema molto a rischio. I giovani turco hanno già espresso perplessità sul piano del segretario.

«I giovani turchi hanno detto di no a un piano che hanno inventato perché ancora non esiste».
Ma è stato Renzi ad annunciare alcune misure.

«Renzi ha illustrato alcune idee, ma il piano, ripeto, ancora non è stato presentato in tutta la sua completezza. Quello dei giovani turchi mi sembra un no preventivo, legittimo ma preventivo». Riuscirà questa segreteria laddove hanno fallito quelli prima di voi?

«Sono molto fiduciosa, questa è una segreteria composta da persone con provenienze e sensibilità diverse. Sarà la giovane età, o forse il fatto che non abbiamo zavorre sulle spalle, ma finora la sintesi l’abbiamo trovata, con un approccio molto laico alle questioni».

L’Unità 28.12.13

“Il Capodanno dei musei che diventano «teatri» aperti gratis in tutta Italia, con musica e spettacoli”, di Paolo Conti

«Una notte al museo», si sa, è il fortunatissimo titolo italiano del film-commedia diretto da Shawn Levy, con Ben Stiller e Robin Williams, uscito sui nostri schermi nel 2007. In un museo americano, di notte, riprendono vita Attila, gli indiani e i cow-boy, il presidente Theodore Roosevelt, gli uomini di Neanderthal. Stanotte, nei musei statali italiani, non avverrà nulla di tutto questo. Ma saranno probabilmente in tanti a riscoprire sotto le stelle una parte del nostro patrimonio culturale durante la sesta edizione di «Una notte al museo»: per l’intera giornata di oggi tutti i luoghi d’arte statali saranno aperti al pubblico gratuitamente fino alla mezzanotte. È stato il ministro Massimo Bray a volere una proroga dell’iniziativa mensile, almeno fino a gennaio 2014.
In tutta Italia sono previsti eventi collaterali di musica, danza, teatro dedicati. La prima segnalazione inevitabilmente è per i Bronzi di Riace che hanno finalmente ritrovato la loro vera «casa», il rinnovato Museo archeologico di Reggio Calabria, dopo il loro «esilio» (dal 2009 a oggi) nella sede di Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria.
A Torino, nell’Armeria reale, saranno letti brani dal carteggio tra Freud e Einstein dedicato alla guerra (reading a cura di Gianni Bissaca con accompagnamento di Katia Zunino, arpista. Commento di Maria Teresa Palladino, psicoanalista del Centro Torinese Psicoanalisi). Sempre a Torino, al Museo dell’Antichità, sarà allestita la performance «Tocca la barba all’imperatore», dedicata ai disabili visivi (si potrà sfiorare il volto dell’imperatore Lucio Vero). A Milano, nella Pinacoteca di Brera, concerto di musica medioevale alle 21.00 (Ensemble Sagegreen con la proposta di un’inedita fusione fra musica medioevale, rinascimentale e celtica. L’ingresso al concerto è libero, fino a esaurimento posti). A Trieste, al Castello di Miramare, dialogo tra arte, musica e vino alle 19.30 con il liutista Fabio Accurso, il sommelier Roberto Filipaz e la storia dell’arte Lucia Marinig. Al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara l’archeologa Chiara Guarnieri parlerà al mattino su «Mangia come parli: vivere e mangiare a Spina». A Firenze, nelle Cappelle Medicee, spettacolo teatrale «1492-Libri di Lorenzo » alle 20 con replica alle 21 e alle 22 (lettura di brani di letterati dell’epoca come Francesco Guicciardini, Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola ed altri che scrissero su Lorenzo il Magnifico).
A Roma, a Palazzo Altemps, il cantautore Edoardo Vianello converserà su «Il suono delle fontane di Roma». In Sardegna, al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, eventi dedicati anche ai bambini con racconti di Charles Dickens. Tutti gli altri particolari sono consultabili su www.beniculturali.it e su www.valorizzazione.beniculturali.it
Ha detto Anna Maria Buzzi, direttore generale per la Valorizzazione del ministero dei Beni culturali: «Ringrazio il ministro Bray per aver sposato fin dal primo momento questa iniziativa promossa dalla nostra Direzione, prorogandola fino a gennaio 2014. Auspico che «Una notte al museo» diventi l’appuntamento fisso dell’ultimo sabato sera del mese con la cultura. Allargare la fascia di fruizione dei luoghi del patrimonio statale è un segnale molto importante di apertura e di ascolto verso le esigenze dei cittadini, di cui abbiamo recepito le istanze attraverso una consultazione online. Aprirli gratuitamente durante le feste, poi, è un invito alle famiglie a coinvolgere anche i più piccoli, riscoprendo la funzione pedagogica dei musei».

Il COrriere della Sera 28.12.13

“Gli spazi lasciati vuoti dai partiti”, di Federico Geremicca

Stavolta non ha applaudito nessuno, a differenza di quanto accadde nell’aula di Montecitorio gremita in ogni ordine di posti il 22 aprile scorso. Giorgio Napolitano leggeva il duro discorso da Presidente rieletto e fu quasi costretto a interrompere il suo severo atto d’accusa di fronte ai continui battimani: «Il vostro applauso – disse rivolto a deputati e senatori – non induca ad alcuna autoindulgenza: non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme».

Torna utile, oggi, ripensare a quell’intervento. E non solo per i mancati applausi – a Parlamento semideserto – che hanno accompagnato la puntigliosa lettera con la quale il Capo dello Stato, ieri, ha richiamato governo, Camere e forze politiche a un maggior rigore in materia di decreti legge: ma anche e soprattutto perché, nel giro di pochi mesi, quel frenetico batter di mani è stato sostituito da un sentimento, un disagio, del quale naturalmente si intende il senso, ma assai meno l’origine, la ragione e – in qualche modo – perfino la legittimità.

I l disagio di cui diciamo è legato agli atti di un Capo dello Stato che starebbe allargando a dismisura il raggio della sua «supplenza», che interverrebbe troppo di frequente per riempire «vuoti» politici, legislativi (e perfino regolamentari) e che – questa è l’accusa finale – starebbe addirittura trasformando l’attuale forma repubblicana in una «monarchia costituzionale». Delle funzioni, del ruolo e delle prerogative dei Presidenti della Repubblica, sono stati riempiti volumi e volumi, dal dopoguerra a oggi: e quindi figurarsi se il tema non ha un suo interesse e una sua legittimità. Ma non è questo il punto.

Quel che appare poco comprensibile, infatti, è la circostanza che a porre simile questione – più o meno tra i denti – siano precisamente i soggetti che hanno creato e continuano a creare quei vuoti politici (e non solo politici) che il Capo dello Stato è costretto – spesso suo malgrado – a riempire. Per altro, la contestata funzione di supplenza, non di rado si risolve in iniziative di fronte alle quali le forze politiche dovrebbero – per tornare all’immagine iniziale – nuovamente applaudire. E perfino con qualche riconoscenza.

Si pensi, ad esempio, proprio all’ultimo caso in questione: il decreto salva-Roma, che il governo ha dovuto far decadere appunto per iniziativa del Quirinale. Si denuncia, infatti, l’ennesima «ingerenza» del Presidente della Repubblica: e non ci si sofferma su cosa si sarebbe abbattuto – in caso di non intervento e di conversione di quel decreto – sulle forze politiche e sul governo che l’aveva voluto. Una nuova ondata di discredito – per le regalìe, le scelte clientelari e la confusa pioggia di denari fatti cadere qua e là – avrebbe probabilmente investito il sistema: a tutto vantaggio non certo dell’esecutivo, ma di quelle forze «demagogiche, populiste e antieuropee» che pure – così spesso – vengono messe all’indice.

Perché piuttosto che denunciare l’«invadenza» del Capo dello Stato i partiti politici – di maggioranza e di opposizione – non riempiono essi quei vuoti, quegli spazi, sui quali deve poi intervenire il Quirinale? «Imperdonabile – disse in quel 22 aprile Napolitano – resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005». È stata forse varata una nuova norma elettorale? Non risulta. «Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordit à come quelle contro le quali ho cozzato nel passato – aggiunse il Presidente – non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese». C’ è qualcuno che si preoccupa di evitare le possibili (perché preannunciate) dimissioni del Capo dello Stato, piuttosto che denunciarne l’invadenza? Non parrebbe.

È penoso dirlo, ma l’anno che si conclude finisce così come era cominciato: l’incapacità ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica, due mesi per varare un governo purchessia, nessun passo avanti in materia di riforme e – anzi – il mortificante intervento della Corte Costituzionale scesa in campo a cancellare quella che c’era. È di questo che ci si dovrebbe occupare, piuttosto che lamentare supplenze (non esaltanti, ma inevitabili e certo non nuove) rispetto alle quali tante volte occorrerebbe semplicemente prender atto e perfino ringraziare…

La Stampa 28.12.13