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“Grazie del decreto scuola ma non è un investimento”, di Mila Spicola

Decreto scuola. Per non essere accusata di benaltrismo, premetto subito un grazie. Grazie per il decreto e per le intenzioni. Grazie per alcune azioni. Grazie per aver dato almeno l’idea che nella scuola è necessario investire. Seconda premessa: non credo e non ho mai creduto che il “tema” scuola fosse di tipo occupazionale, ma un’occasione di crescita nazionale. Non un problema: una ricchezza. Non il mondo delle politiche da ragioneria statale, per piazzar laureati o ragazzini da qualche parte, in rapporto variabile a seconda dello schieramento, ma l’obiettivo della politica come strumento di prefigurazione futura.
Quello che riempie oggi le prime pagine dei giornali è una ridda di numeri su quanti precari della Scuola verranno occupati. Con tutto il bene che nutro verso i precari, il fatto che noi ci battiamo da anni per coprire le cattedre vacanti e per ridare insegnanti ai ragazzi in un giusto rapporto, non discende, per noi docenti, da motivi occupazionali, ma dalle necessità di assicurare e migliorare la qualità del servizio offerto.
Qualità che è stata gravemente compromessa da azioni radicali negative agite dai governi precedenti. Il decreto di ieri sana o compensa quelle azioni radicali negative? No. «Ti han tolto cento, faccio finta di ridarti dieci, dimmi grazie». E allora: bene che i 27 mila posti dei supplenti di sostegno (uso un linguaggio poco tecnico ma comprensibile a chi legge) oggi siano occupati dagli stessi supplenti trasformati in docenti di ruolo.
Ottimo. Ma non è nulla di più che un’azione di buon senso: costano persino di meno. Non è un investimento cioè, non c’è un euro in più. E neppure una modifica strutturale. Si prevedono 70 mila stabilizzazioni in tre anni: i pensionamenti annuali nella scuola sono tra i 20 e i 30 mila.
È dunque turn over, non investimento. Le classi pollaio stanno là e tutti gli annessi e i connessi. È un bene che si pensi di investire soldi contro la dispersione scolastica. Ma l’investimento strutturale non è il “metto 15 milioni contro la dispersione scolastica” , che leggiamo nel Decreto, calandoli nella costellazione immensa delle scuole autonome in cui ciascun dirigente deciderà se organizzare il corso di ricamo creativo o il fortino della legalità. Sono milioni persi.
L’investimento strutturale contro la dispersione scolastica è: visto che il tempo pieno alle elementari nelle regioni a massima dispersione è al 5% (più o meno) mentre in Lombardia è all’85%, faccio uno sforzo di investimento e lo estendo anche là dove più serve e potenzio la formazione dei docenti di quelle aree. Mi dirà Letta: altro che 15 milioni, servirebbero circa 2 miliardi (metà Imu).
Lo so, ma a me tocca dire quello che è inutile, perché vien fatto da 30 anni (tra l’altro con ben altre somme) in quella modalità e non funziona, rispetto a ciò che serve per ottenere quell’obiettivo lì: tempo pieno alle elementari e alle medie strutturato con moduli per recuperare gli ultimi e potenziare i primi esteso in forma massiccia e uniforme, soprattutto nelle aree a rischio. E risolvi la dispersione.
Nel decreto vengono stanziati 10 milioni per la formazione dei docenti. Briciole. Spesi come? Affidati alla discrezionalità dei dirigenti? Frantumati in una miriade di corsi diversi e non sempre certificati o efficaci? Serve la formazione in servizio obbligatoria, nazionale e legata al mondo della ricerca educativa.
Serve un adeguamento formativo della classe dei dirigenti scolastici per potenziare competenze gestionali e organizzative, visto che devono far questo e non indirizzare la didattica e la pedagogia in una scuola (poi qualcuno ci dirà però a chi tocca farlo oggi). La scuola italiana è ammalata di frammentazione in ogni ambito e ad ogni livello, anche formativo didattico-pedagogico (quando c’è: diventi docente oggi anche con un diploma tecnico pratico, figurarsi pretendere percorsi di studio specifici per fare il docente) e di scarso aggiornamento.
Occorre recuperare un lessico e una formazione nazionale pedagogica comune, in servizio e ricorrente, da modulare e calibrare in libertà certamente. Costa? Ma è quello che serve. L’obiettivo principale da raggiungere nella Scuola oggi è innalzare i livelli cognitivi medi degli studenti italiani, recuperando gli ultimi e potenziando i primi, servono azioni semplici ma organiche e strutturali, le uniche efficaci nel lungo periodo.
Nel decreto invece leggiamo che i docenti potranno entrare nei musei, che ci sarà qualche borsa di studio per i ragazzi capaci e meritevoli, che 3 milioni andranno alla formazione artistica e musicale… briciole, declinate come e dove e perché non si capisce. Abolito il bonus per i test di accesso all’università: è un investimento?
C’è anche il no al fumo, fondamentale, non dico di no, ma come a Palermo il vero problema non è il Ttthaffico, i veri problemi della scuola non son musei e fumo. Sì, certo decisioni apprezzabilissime, se fossero inquadrate in una cornice organica di azioni strutturali che non si trovano nel decreto, azioni semplici, qualcuna l’abbiamo indicata, mica chissà cosa, ma radicali. Servono soldi per fare le cose per bene e sanare le urgenze vere. Non ci sono le risorse per far le cose che potrebbero innalzare i livelli medi cognitivi degli studenti italiani? Lo si dica. Con semplicità. Che il problema della scuola non è il Ttthaffico.

Da EuropaQuotidiano 11.09.13

“Decreto: i commenti di Cisl, Uil e Cgil”, da Tuttoscuola

“Un buon provvedimento. Non risolutivo di tutti i problemi che si sono via via accumulati nel tempo, ma senz’altro una direzione di marcia giusta”. E’ il giudizio di Francesco Scrima, segretario della Cisl scuola, al decreto approvato ieri. “Niente tagli, e già questo è un dato significativo, e un’attenzione che ci sembra più convinta su aspetti che incidono sul pieno esercizio del diritto allo studio. Un nuovo piano triennale di assunzioni, il consolidamento dei posti di sostegno e la conseguente stabilizzazione del lavoro, qualche risorsa in più per la formazione, sono risposte concrete a problemi per i quali invochiamo da tempo soluzione”. Per la Cisl scuola anche la scelta di affidare alla Scuola Superiore di Amministrazione il reclutamento dei dirigenti scolastici è “apprezzabile, dopo le non esaltanti esperienze di questi anni”.

Più cauto è il giudizio di Scrima sulle parti del decreto che hanno implicazioni di tipo contrattuale: “Che si aprano tavoli di negoziato ci va benissimo; nessuno pensi, però, di farne il luogo di ratifica di decisioni già prese”.

Anche per il segretario della Uil scuola, Massimo Di Menna, il decreto va nella direzione giusta nel dare certezza e continuità al lavoro nella scuola, nell’azione didattica e dei servizi. “Quel che emerge da una prima lettura – per una valutazione più puntuale bisogna leggere il testo del decreto, mette in chiaro Di Menna – è un giudizio positivo: a partire dall’aumento dei posti di organico di diritto per gli insegnanti di sostegno, al piano triennale, alle assunzioni, fino ad oggi bloccate, per il personale Ata”.

Ma ora “serve un cambio di passo sul fronte del riconoscimento e della valorizzazione del lavoro.
Il Governo deve tornare sulle decisioni che hanno condotto al blocco del contratto e alla sospensione degli scatti di anzianità. Una buona scuola è fatta dal lavoro di ogni giorno di insegnanti e personale della scuola al quale (unica categoria) non va imposta una doppia penalizzazione: senza contratto e senza progressione per anzianità”.

La Flc Cgil, a sua volta, parla di un “primo passo per invertire le politiche degli ultimi anni”, giudicando “condivisibile lo sforzo per migliorare il welfare studentesco, l’eliminazione del bonus maturità, la riduzione dei costi dei libri di testo, gli ulteriori interventi per l’edilizia scolastica e per la lotta alla dispersione”.

Tuttavia, come puntualizza il segretario del sindacato Mimmo Pantaleo, “Riteniamo invece che l’attribuzione di una quota premiale del fondo ordinario agli enti di ricerca sulla base dei risultati della valutazione sulla qualità della ricerca sia profondamente sbagliata, in quanto i parametri utilizzati dall’Anvur sono inadeguati. Peraltro le risorse sulla ricerca continuano ad essere del tutto insufficienti”. Il lavoro nei comparti pubblici, a suo giudizio, “deve tornare a essere un valore e non può più essere penalizzato in termini salariali e di riconoscimento professionale. Il rinnovo dei contratti nazionali nei settori pubblici e il superamento del blocco degli scatti d’anzianità per la scuola non possono più attendere, se si vuole favorire il protagonismo dei lavoratori della conoscenza nel migliorare il nostro sistema di istruzione e ricerca”.

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“Finalmente, non si taglia più”, di Pippo Frisone

Finalmente, a pochi giorni dall’inizio delle lezioni, il tanto annunciato decreto sulla scuola è arrivato! Il consiglio dei ministri del 9 settembre l’ha approvato con qualche mal di pancia del pdl. Finalmente, nella scuola non si taglia più. Invertendo un trend oramai consolidato negli ultimi anni si comincia ad investire. 400 milioni per l’esattezza anche se non tutti destinati alla scuola. 100 milioni dei 400 e sono la cifra più consistente , vanno a costituire un Fondo per le borse di studio per studenti universitari a partire dal 2014 e si consolidano negli anni successivi. Quello che è stato definito il welfare dello studente, vale a dire aiuti e sussidi agli studenti in situazione economiche disagiate, comprende oltre alle borse di studio, facilitazioni anche per trasporti e mense ( 15milioni) a studenti della secondaria capaci e meritevoli, agli studenti dell’Alta Formazione artistica e musicale per merito e condizioni disagiate (6 milioni), per acquisto di libri di testo (8milioni) da dare anche in comodato, per la lotta alla dispersione scolastica (15 milioni), per l’orientamento agli studenti della secondaria (6,6 milioni). E inoltre, 13 milioni destinate al potenziamento dell’offerta formativa, per potenziare l’insegnamento della Geografia generale ed economica negli istituti tecnici e professionali . Nel bicchiere mezzo pieno ci mettiamo soprattutto il nuovo piano triennale di assunzioni a tempo indeterminato nella scuola: 69mila insegnanti e 16mila Ata. Consolidati, sempre nel triennio 14/16 ben 26mila insegnanti di sostegno. Vengono destinati 10 milioni nel 2014 alla formazione dei docenti. Viene abrogata definitivamente la norma sui docenti inidonei, costretti a transitare nei profili amministrativi e tecnici. Il dimensionamento scolastico viene sottratto all’esclusività dello Stato e affidato ad un accordo in Conferenza Unificata nella definizione dei criteri e delle modalità a partire dall’anno in corso. Eliminato il bonus alla maturità. E ancora , il decreto ha affrontato l’emergenza “reggenze” nelle regioni come la Lombardia con il concorso per dirigenti da rifare, facendo affiancare i reggenti da docenti, da questi incaricati ed esonerati dal servizio. Questi i punti salienti che si ritrovano nel bicchiere mezzo pieno… Nel bicchiere mezzo vuoto rimangono ancora insoluti : il blocco delle anzianità e del contratto per il quarto anno consecutivo , i pensionandi coi requisiti ante Fornero, le ferie ancora da pagare ai supplenti al 30.giugno, l’organico funzionale dell’autonomia, la riforma degli ordinamenti e del reclutamento docenti…tanto per citarne alcuni . Siamo al cambio di passo nella scuola di cui parlava il premier Letta a Rimini ? E’ questo l’inizio del cambiamento ? Dobbiamo ora aspettarci dell’altro ?.. Certamente 400milioni ( e non tutti destinati alla scuola) a fronte degli 8miliardi tagliati dalla Gelmini sono una goccia d’acqua in un mare aperto. Ma il Governo Letta poteva andare oltre? Le larghe intese minacciano tempesta. Restiamo convinti che il cambiamento vero anche per la scuola non può arrivare da questa maggioranza che ha dimostrato un respiro sempre più corto . Per ora non ci rimane altro che guardare il bicchiere mezzo pieno. Sperando che non si rompa subito .

da ScuolaOggi 11.09.13

“Abolizione bonus maturità. Pioggia di ricorsi in arrivo”, da lastampa.it

Sul bonus maturità è guerra tra studenti e governo. Si possono cambiare le regole del gioco mentre si sta svolgendo la corsa? È tutta in questa domanda la polemica e la rabbia degli studenti che si stanno ribellando alla decisione di cancellare già da quest’anno il bonus maturità, vale a dire i punti in più nei test di ammissione alle università a numero chiuso calcolati in base al voto preso all’esame di Stato.

Il bonus era iniquo, su questo erano tutti d’accordo, a partire dalla ministra dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza che ha tentato di modificarlo fin da giugno. Senza troppo successo, però. E quindi il governo aveva deciso di inserire all’interno delle misure sull’istruzione approvate lunedì in Consiglio dei ministri anche l’eliminazione del bonus, ma a partire dal 2014 visto che i test di ammissione sono in corso proprio in questi giorni.

Lunedì, invece, a sorpresa, dal consiglio dei ministri è arrivata la decisione di cancellare il bonus da subito, ultime prove comprese. Le polemiche, però, non sono diminuite. Anzi. Gli studenti si sono divisi. Da un lato chi ha incassato il successo di una battaglia andata avanti per mesi. Dall’altra chi teme di vedersi sfuggire l’ammissione proprio per colpa della eliminazione del bonus e quindi di un calcolo dei punti diverso da quello che aveva immaginato e su cui contava. Le associazioni si stanno organizzando, su Facebook stanno nascendo gruppi per dare il via ai ricorsi che minacciano di rendere la vita molto difficile agli aspiranti medici.

Maria Chiara Carrozza respinge con forza le critiche: «Abbiamo fatto i conti, abbiamo ritenuto che l’abolizione sin da quest’anno fosse la soluzione più equa». E attacca chi già pensa di rivolgersi a un tribunale: «Una brutta abitudine italiana. Ci sono persone che pensano sempre a come fare ricorso. Non deve essere lo standard il rivolgersi alla giustizia perché si perde un concorso».

La filosofia del governo chiarisce – è diversa. «Abbiamo provato ad applicare la valorizzazione dell’esame di maturità ma è risultato statisticamente inapplicabile perché la valutazione è soggettiva, dipende dalle commissioni e introduce disparità». E, quindi, precisa: «Come governo, siamo contrari a dare una valorizzazione estrema del voto di diploma e laurea. L’importante è studiare, non puntare al 100 perché questo dà punti in più in un concorso pubblico».

Ma per gli studenti la strada è segnata. Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell’Udu: «Stiamo raccogliendo tutte le segnalazioni delle irregolarità durante i test e, dopo averle verificate e documentate, avvieremo i primi ricorsi». Fra cui quelli sul bonus. «È paradossale – spiega Orezzi – che la decisione del Governo per l’abolizione arrivi quando sono mesi che ripetiamo come l’unica soluzione per risolvere il problema di quel bonus iniquo fosse l’abolizione totale: solo dopo il nostro annuncio di un maxi ricorso contro il bonus il Governo ha fatto un passo indietro. Ma ora bisogna tutelare anche chi verrà penalizzato dal cambio di regole in corsa».

Ghizzoni e Vaccari “Il nostro impegno per gli sgravi al 65%”

Probabilmente a causa delle polemiche politiche di diverso segno che hanno accompagnato la nascita del provvedimento, nei media e nell’opinione pubblica sembra essersi ingenerata l’idea che il cosiddetto decreto Ecobonus non abbia concesso sgravi fiscali a chi, nelle zone terremotate, voglia effettuare un consolidamento antisismico sulla propria abitazione. E’ vero semmai il contrario, proprio il decreto Ecobonus, grazie anche all’impegno di noi parlamentari modenesi del Pd, ha portato al 50% l’aliquota delle agevolazioni fiscali destinate agli adeguamenti antisismici degli edifici. Questo 50%, quindi, è già stato introdotto e vale per tutte le nostre zone, ad eccezione di quella parte del nostro Appennino che è già classificata in fascia rischio sismico 2 e quindi può accedere al 65%. I parlamentari modenesi del Pd, già in estate, avevano ottenuto un impegno da parte del Governo a far rientrare nell’agevolazione del 65% anche quella parte di comuni del nostro territorio colpiti dal sisma e che, per ora, sono ancora classificati in fascia 3 (quella che ha diritto comunque al 50%, per intenderci). “Su quest’ultimo obiettivo – spiegano i parlamentari Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccarfi – stiamo lavorando attivamente come promesso. Il primo appuntamento utile per inserire nei territori che usufruiscono delle agevolazioni al 65% anche i Comuni colpiti dal sisma e’ la legge di Stabilita’ che deve essere presentata entro ottobre. In quella sede faremo in modo che l’impegno preso con l’ordine del giorno che presentammo all’epoca del decreto Ecobonus, come detto già accettato dal Governo, divenga norma”

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Regione compatta sul rischio sismico

Risoluzione unanime chiude le schermaglie tra Lega e Pd «La classificazione va cambiata e gli ecobonus previsti» Ghizzoni e Vaccari: «Ma già oggi è detraibile il 50%»

Parlando di polemiche politiche che hanno confuso le idee, gli Onorevoli modenesi del Pd, Ghizzoni e Vaccari, sostengono che il contrario, ovvero che « proprio il decreto Ecobonus, grazie anche all’impegno di noi parlamentari modenesi del Pd, ha portato al 50% l’aliquota delle agevolazioni fiscali destinate agli adeguamenti antisismici degli edifici. Questo 50%, quindi, è già stato introdotto e vale per tutte le nostre zone, ad eccezione di quella parte del nostro Appennino che è già classificata in fascia rischio sismico 2 e quindi può accedere al 65%». I parlamentari modenesi del Pd, ricordano che di avere ottenuto un impegno da parte del Governo a far rientrare nell’agevolazione del 65% anche quella parte di comuni del nostro territorio colpiti dal sisma e che, per ora, sono ancora classificati in fascia. «Stiamo lavorando attivamente. Il primo appuntamento utile per inserire nei territori che usufruiscono delle agevolazioni al 65% anche i Comuni colpiti dal sisma è la legge di Stabilità che deve essere presentata entro ottobre».
BOLOGNA Le proteste e l’annunciata occupazione dell’aula del Consiglio regionale da parte della Lega Nord, con le conseguenti contromosse del Pd, hanno riportato una apparente unitarietà sul tema post-terremoto in Regione. In particolare sui rimborsi del 65% a chi decide di rafforzare la propria casa (qualora non danneggiata nel 2012), e sulla necessità di riportare la Bassa ad una classificazione sismica consona all’accaduto. Al di là, verrebbe da dire, delle resistenze non sempre così limpide che in ambienti “tecnici” e politici si registrano da giorni, con pretesti e rimpalli di varia natura. Come noto, erano stati la Lega da una parte (a Bologna) e Sel dall’altra (in Parlamento a Roma) a denunciare la situazione emersa nella conversione dell’ultimo decreto sull’Ecobonus: ovvero la decisione della maggioranza parlamentare di non votare a favore della Bassa, con tutti i distinguo e le mezze corse ai ripari del giorno dopo. A Bologna, in Regione, Mauro Manfredini della Lega aveva annunciato ed elaborato una risoluzione. La contromossa della maggioranza è stata l’elaborazione di una risoluzione che per il capogruppo del carroccio «è tale e quale a quella da noi proposta e risponde a tutte le nostre richieste». Dunque per la Lega «non aveva senso andare oltre avendo ottenuto tutto», anche perchè – come sempre capita in questi casi il Pd non avrebbe mai votato quella più o meno “fotocopiata” della Lega. Parole e propositi che sono risuonati chiari durante il breve dibattito, cui hanno assistito una decina di cittadini venuti dalla Bassa, preoccupati. Il gruppo Pd nella risoluzione, votata all’unanimità e che ha poi sostituito quella della Lega Nord, ritirata prima del voto, impegna la giunta «a proseguire l’attività intrapresa con il governo e il parlamento per il pieno riconoscimento dell’ecobonus a tutte le famiglie e le imprese dei territori per i quali è stato dichiarato ed è ancora in atto lo stato di emergenza», e «a tutti i comuni ricadenti anche in zona sismica 3, attraverso un provvedimento di modifica dell’attuale legge rendendo l’incentivo strutturale e stabile nel tempo». Come noto, infatti, l’incentivo dal quale la Bassa è stata esclusa è comunque semestrale, e ogni volta deve passare in Parlamento. Lo stesso documento impegna così la Regione a «promuovere a livello nazionale un confronto tecnico-scientifico tra le regioni, la protezione civile e l’Ingv», per la verifica «della revisione della carta della pericolosità, non solo in base a criteri sismologici, ma anche in base alle condizioni geologiche strutturali e con criteri di massima salvaguardia della sicurezza dei cittadini» completando «su tutto il territorio regionale la microzonazione sismica e ad assicurandone la conclusione per i 57 comuni colpiti dal terremoto entro il termine fissato del mese di dicembre del corrente anno». Come richiesto dal capogruppo della Lega, infine, la giunta regionale è stata impegnata a «ribadire la propria contrarietà alla autorizzazione allo stoccaggio di gas a Rivara». All’assemblea era peraltro presente Lorenzo Preti, presidente del Comitato di Rivara.

dalla Gazzetta di Modena 11.09.13

“Una crisi così è una follia”, di Michele Prospero

Con tutti gli avvocati che si ritrova nel libro paga e con le affollate truppe di legali che ha portato con sé in Parlamento, Silvio Berlusconi avrebbe dovuto schivare con maggiore leggerezza le temute insidie provenienti dalle Procure. E invece i suoi azzeccagarbugli non ne combinano una giusta. La legge Severino, che ora inguaia sul serio il capo della destra, l’hanno votata, e contribuito a scriverla, proprio i suoi fiduciari. Solo a frittata fatta le schiere di difensori privati, ricambiati con un bel seggio, sono state capaci di accorgersi che si trattava di una tagliola pronta ad acchiappare la carne viva del Cavaliere, divenuto ormai pregiudicato.

Anche nella giunta del Senato i suoi rappresentanti hanno seguito una condotta a dir poco maldestra. Dapprima hanno raffigurato l’organismo politico di Palazzo Madama come un autentico organo giudiziario. E, nel corso delle sue sedute, hanno ritenuto legittimo ventilare il ricorso alla Consulta, per rigettare la manifesta incostituzionalità di una norma ritenuta retroattiva. Hanno, per questo preteso ruolo giudicante della giunta delle elezioni, reclamato la rimozione immediata dei membri che avevano tradito la loro funzione di giudici super partes e annunciato in pubblico il voto favorevole alla decadenza del condannato. E però, proprio quelli del Pdl, smentendo così la conclamata natura giudicante dell’organo, hanno inutilmente preteso che il Pd annunciasse il voto in giunta secondo una perversa logica di maggioranza, quella che suggerisce di salvare con il seggio del Cavaliere anche la vita del governo Letta.

Subito dopo questa sceneggiata, che mescolava fumose interpretazioni giuridiche con opache ragioni politiche, i consiglieri del Cavaliere, compiendo una giravolta radicale, hanno scomodato la Corte di Strasburgo, nella supposizione che occorresse avvalersi del parere espresso da una sede politica extranazionale, al cospetto della quale denunciare i diritti gravemente minacciati del loro leader. Vista l’insipienza tecnica dei suoi relatori, incapaci di districarsi tra le pregiudiziali, i preliminari, l’estrema risorsa cui appellarsi, nell’intento di salvare Berlusconi, per la destra rimane comunque il fantasma del popolo. Quello che ha già votato in massa per il Cavaliere in passato e quello che forse tornerà in futuro a ribadire un sostegno incondizionato all’Unto del Signore in nuove elezioni plebiscitarie.
Dietro queste furie distruttive c’è l’azione nefasta di una cultura populista, stigmatizzata già da Aristotele. Nel libro quarto della Politica egli scriveva che i populisti «criticano i magistrati sostenendo che giudice deve essere il popolo. Di conseguenza tutte le magistrature si sfasciano perché dove le leggi non governano non c’è costituzione». Pur di assecondare il capo, la destra è disposta a stravolgere ogni legalità, a piegare la Costituzione, a spezzare la vita parlamentare, a bloccare qualsiasi ricomposizione di uno stabile sistema politico. Il fatto è che non esistono soluzioni giuridiche che si rivelino efficaci nell’affrancare Berlusconi dalla tenaglia che lo stringe in maniera inesorabile tra decadenza, incandidabilità, interdizione.

Anche la crisi di governo, aperta solo per tenere fede a una cieca volontà di ricatto, produce dei guai inestimabili per il Paese in declino senza però riuscire a spalancare una reale via di fuga che si riveli efficace nella restituzione di una agibilità politica a Berlusconi. La caduta dell’esecutivo, e la battaglia elettorale vissuta come un gran conflitto attorno al destino già segnato di Berlusconi, non restituisce certo al Cavaliere la fedina penale pulita e quindi la possibilità di essere nuovamente eletto a furor di popolo. La follia della crisi non ha contropartite politiche davvero godibili: il capo è comunque fuori gioco. Nessuno può recuperarlo nella gran gara per la leadership di governo. Nella competizione dovrà comunque rimanere ai margini del potere.
Le macerie che la destra intende produrre, per il mero gusto della dissoluzione di ogni ordine politico sono il viatico più sicuro per il commissariamento immediato dell’Italia. La perdita della sovranità, e l’aggravamento della crisi sociale, sono la sola conseguenza preventivabile della proclamazione della crisi di governo come schiaffo dato per la mancata soluzione ai guai penali, davvero irresolubili, del Cavaliere. Anche dopo la crisi dispiegata, per Berlusconi non si intravvede comunque alcuna fuga possibile verso la libertà. Si avvertono invece solo i fuochi della Grecia e gli ordini severi impartiti dai volti truci dei commissari d’oltralpe che cantano il de te fabula narratur per un Paese ridotto allo stremo e per sempre in ginocchio. Inespiabili paiono le responsabilità storiche di una destra incapace di scegliere tra le pretese personali di Berlusconi e le necessità irrinunciabili della nazione.

L’Unità 11-09-13

“I prigionieri del passato”, di Barbara Spinelli

Nell’intervista di ieri a Lucio Caracciolo lo storico Mark Mazower dice una cosa importante, sulla possibile guerra di Obama contro il siriano Assad. «L’idea di governare il mondo sta diventando il sogno di ieri». Specie se a coltivarla è un unico paese, aggiungeremmo. Sta diventando una distopia, più che un’utopia: una visione del futuro indesiderabile, e storpiata. Anche nelle relazioni internazionali, come nella vita delle democrazie costituzionali, un potere e un leader non possono regnare da soli, permanentemente allergici a altri poteri o altri Stati.
Quando si parla di sistema multipolare si dice questo: anche se non ancora scritta, deve esistere almeno un’idea di costituzione mondiale, tale da disciplinare il potere quando si fa troppo solitario. Se non viene frenato, controbilanciato, quest’ultimo diverrà per forza abusivo, arrivando «sin dove non trova limiti. Perché non si possa abusare del potere, occorre che il potere arresti il potere». Così dice Montesquieu: occorre che i poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) si bilancino a vicenda separandosi. La moderna democrazia costituzionale è stata inventata per spezzare l’assolutezza del potere.
Nello spazio globale la regola non è codificata ma prima o poi tende a imporsi: ancora non esiste la Repubblica mondiale del diritto auspicata da Kant, ma l’alternativa non può essere – e di fatto non è – il prevalere di una potenza unipolare. Sarebbe come unire, in uno Stato, i tre poteri elencati da Montesquieu: quando questo avviene, «regna lo spaventoso dispotismo dei sultani». Proprio in questi giorni il nostro Parlamento sta facendo i conti con un sultano che aspirava a simile dispotismo. Più di altri, gli italiani possono immaginare i disastri che l’egolatria può produrre anche nello spaziomondo.
Nonostante le promesse iniziali, Obama riproduce la distopia dei suoi predecessori, nella vicenda siriana. L’America che propone è ancora quel faro che pretende di dettare legge al mondo, in nome di una universale funzione messianica. La tentazione è antica – risale all’idea ottocentesca del Destino Manifesto impersonato dalla democrazia Usa – e dopo la fine dell’Urss si è dilatata: è allora che cominciano a succedersi i progetti, in genere fallimentari, sempre militari, di affermare il primato americano in un ridipinto, fantasticato Grande Medio Oriente. Le guerre condotte nella zona che fu a suo tempo terreno di scontro fra Usa e Urss sono praticamente tutte guerre egolatriche. L’Europa si è accodata in ordine sparso, mai cercando una linea comune e tanto meno un’alternativa: subalterni sempre, anche quando erano alleati riottosi.
Le guerre egolatriche non nascono senza buoni motivi, morali e umanitari. Sono veri tiranni, gli Stati combattuti. E terribile è quando cade il tabù delle armi chimiche, anche se già è caduto più volte senza eccessivi patemi: fu usato dall’Iraq contro l’Iran, complici gli Usa, e non dimentichiamo l’Agente Arancio e il napalm americano in Vietnam, o le bombe al fosforo israeliane a Gaza. Ma i buoni motivi non bastano, quando ancora non è chiaro se davvero il gas è stato usato da Assad, il 21 agosto nelle periferie di Damasco (tra i più dubbiosi: India, Cina, Brasile). Ancor meno bastano quando l’egolatra- guerriero misconosce i contesti locali, e dunque gli effetti possibili del proprio agire. O finge di disconoscerli.
Nel 2001 non si sapeva nulla del-l’Iraq, e il risultato fu l’irradiarsi regionale del potere iraniano. Nella guerra libica non si previde il caos successivo alla caduta di Gheddafi: l’arbitrio delle milizie, i massacri, lo Stato radicalmente sfasciato. Oggi, sulla Siria, si ragiona come se fossimo all’alba delle Primavere arabe: siamo impigliati nel passato, e il futuro è occultato. Eppure non è Marte, il futuro: la logica conseguenza di un intervento in Siria sarà la sicura, ormai, atomica iraniana. Come difendersi, se non santuarizzando la propria terra e renderla inviolabile?
Sequestrati dai ribelli siriani, liberati dopo cinque mesi, il giornalista Domenico Quirico e l’insegnante belga Pierre Piccinin che era con lui hanno lanciato una pietra nello stagno delle illusioni franco- americane: «Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana – così Quirico – ma può essere che questa rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa, molto pericolosa e complessa. È come se fossi vissuto cinque mesi su Marte, ho scoperto che i miei marziani sono malvagi e cattivi». Ancora più preciso Piccinin, che ha dichiarato: «È nostro dovere morale, mio e di Quirico, di dirlo: non è il governo di Bashar al-Assad ad aver usato il gas sarin o altri gas di combattimento nelle
banlieue di Damasco. Ne siamo certi a seguito di una conversazione che abbiamo ascoltato».
Quando la potenza solitaria traccia le sue invalicabili linee rosse (Obama lo ha fatto il 20 agosto 2012) gli abbagli che prende sono due. Primo: ignora gli intrichi locali in cui s’infila, e si mette nelle mani di potentati non meno tirannici di quello siriano – l’Arabia Saudita, interessata a piegare l’Iran – oltre che delle correnti meno pacifiche di Israele (rappresentate a Washington dall’Aipac: il gruppo di pressione American Israel Public Affairs Committee, non rappresentativo della diaspora ebraica mondiale). Secondo: presume che a tracciare la linea rossa sia il mondo intero, come sostiene il segretario di Stato Kerry. È l’hybris, ancora una volta, del Destino Manifesto.
La storia tuttavia non si ripete e le novità son numerose. Il potere Usa è oggi in declino, e non solo dispone di ben pochi alleati volenterosi ma è frenato da un argine potente: la Russia. Putin non è democratico. Ma se Assad sarà convinto a consegnare le armi chimiche a un’autorità internazionale, se la guerra sarà evitata, non lo si dovrà tanto all’escalation Usa quanto al Cremlino, e al veto che può esercitare nel Consiglio di sicurezza Onu. Memorabile il rattrappimento verbale di Kerry, lunedì a Londra: «La guerra sarà incredibilmente piccola». Così piccola da dissolversi, forse.
La seconda grandissima novità è la rivincita dei parlamenti nazionali, il peso che si stanno riprendendo. La svolta, storica, è avvenuta a Westminster il 29 agosto, con il gran rifiuto opposto ai piani bellici di Cameron. Dopo di che anche Obama ha deciso di cercare
il consenso del Congresso. Secondo lo storico Andrew Bacevich non si era mai visto, in sessant’anni, e l’atto è coraggioso: «Potrebbe essere l’occasione di ridiscutere un trentennio di guerre disastrose».
Una terza novità, l’avremmo se l’Europa innalzasse un proprio argine, accanto a quello russo. Ma un’Europa siffatta non esiste, a causa soprattutto della Francia. Hollande imita il nazionalistico culto di sé dell’America, ma in miniformato. E del tutto assente a Parigi è la rivincita del Parlamento: la guerra rientra nella sfera riservata dell’Eliseo (anche se il
domaine reservénon figura nella Costituzione gollista) e nei conflitti si entra senza permesso parlamentare. Con le sue sole forze Parigi non può nulla, ma l’idea di agire con l’Unione non la sfiora. Suo obiettivo: sfoggiare la propria potenza davanti a Berlino; contrapporre lo scintillio delle proprie armi (e del proprio commercio d’armi) allo scintillio del primato economico tedesco in Europa. Il risultato è un’Europa che a Vilnius, il 7 settembre, s’è distanziata da Obama accucciandosi. Il comunicato dei suoi ministri degli Esteri è un capolavoro di dappocaggine. L’Unione è per una «risposta forte» all’attacco chimico del 21 agosto. Ma non osa dire che la colpa di Assad non è provata, né dettagliare la risposta, né pensare un diverso Medio Oriente. A metà strada fra Russia e America, l’Europa disunita ciondola, come un dente malmesso. Ciondolando, mostra la propria inconsistenza sino a svanire.

La Repubblica 11.09.13

“Viaggio nel ricordo dell’11 settembre. Apre le porte il museo di New York”, di Francesco Semprini

Con un primo tour dei giornalisti al National September 11 Memorial and Museum, si è dato inizio alle celebrazioni per il dodicesimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle del 2001. Sullo sfondo di una Freedom Tower ormai completata ma ancora disabitata, si sono aperti per la prima volta i portoni di quello che è considerato il luogo della memoria dell’evento che ha cambiato il volto dell’America e le sorti del mondo. Nel Museo dell’11 settembre, che aprirà ufficialmente nella primavera del 2014, sono raccolti numerosi reperti in acciaio ritrovati e salvati dalla montagna di macerie e polvere causati dal crollo delle due torri, durante il quale morirono circa 3 mila persone.

I primi cimeli che i visitatori incontrano sono due pezzi imponenti di acciaio appartenenti alla base della Torre Nord, che si ergono da terra a cielo nell’atrio della struttura, un’entrata suggestiva definita da vetri che esaltano i giochi di luce. «Sono pezzi grandissimi, alti oltre 20 metri e l’intera struttura è stata costruita proprio intorno a loro», spiega Joseph Daniels, presidente del museo. Proseguendo il tour lungo la rampa principale si trova l’ultimo blocco di acciaio rimosso da Ground Zero, nel 2002, che poggia su una sorta di intercapedine d’argento che si trova incastonato nel livello più basso del museo. Proseguendo ancora c’è quello che Daniels definisce «impact steel», ovvero una pezzo di architrave della Torre Nord completamente deformata a dall’impatto del Flight 11 proprio in quel punto. «E’ possibile notare la pronunciata rientranza nella parte più bassa – prosegue Daniels – Quello è stato il punto di impatto del muso dell’aereo».

Ci sono anche i resti dell’autocarro dei vigili del fuoco della Engine Company 21 parzialmente distrutto dal crollo delle torri.

Il pezzo forte del museo tuttavia è la stele di ferro che per mesi restò in piedi dopo l’attacco, diventando l’emblema dei soccorsi e passata alla storia col nome di «World Trade Center Cross». «Questo è un museo, come amo definire, che non deve dare risposte ma sollevare quesiti, lasciare le persone con domande a cui trovare risposte nella propria testa», dice il presidente. Questa la principale novità dell’anniversario all’ombra della nuova torre i cui lavori sono terminati da pochissimo ma che dovrà ancora aspettare del tempo per vedersi popolata.

Ciò che invece tornerà protagonista delle celebrazioni è il «Table of Silence Project», che per il terzo anno consecutivo prenderà forma nello spazio antistante il Lincoln Center. Oltre 100 ballerini vestiti di bianco si esibiranno sotto la regia del coreografo Jacqulyn Puglisi, della visual artist Rossella Vasta e sulle note del flautista Andrea Ceccomori. La presentazione ufficiale del Tavolo del silenzio è avvenuta lunedì nella sede del Consolato generale d’Italia a New York. «E’ un’esperienza forte, anche per le persone di passaggio che si sentono coinvolte in questa esibizione», spiega il Console Generale d’Italia a New York, Natalia Quintavalle, che presenzierà l’evento. Il tutto cadenzato dai tempi del tragico attacco: «A partire dalle 8.15 il gruppo di artisti danzerà al suono del flauto nella piazza del teatro fino alle 8.46, ora in cui il primo aereo si è schiantato contro la Torre Nord del World Trade Center di Manhattan. I creatori la definiscono una sorta di danza della pace, che attraverso l’arte invita alla tolleranza, e ricorda la tragedia che ha cambiato il volto dell’America e le sorti del mondo intero. L’esibizione fa parte delle manifestazioni per l’Anno della cultura italiana negli Stati Uniti, sotto il patrocinio del Ministro per l’Integrazione Cecile Kynege, la quale sarà presente al Lincoln Center.

La Stampa 11.09.13