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Letta: «Non è il governo che sognavo. Farò di tutto per evitare aumenti Iva», di Nini Andriolo

«Voglio impegnarmi per un Partito democratico più unito, più grande e in grado di vincere perché dopo le prossime elezioni non si faccia più un esecutivo di larghe intese…». Enrico Letta si candida per guidare il governo del futuro, quello di centrosinistra che piace al popolo democratico che affolla il tendone della festa. E mentre Renzi si propone da Forlì per governare il Pd, il premier tocca le corde giuste per superare l’esame di chi affolla il tendone dedicato a Sandro Pertini della festa di Genova, microcosmo di un partito che vuole tornare a vincere per cambiare il Paese. Letta cita argomenti e nomi appropriati e suscita applausi, ripetuti, affettuosi e convinti: Giorgio Napolitano, Cecile Kyenge, i leader progressisti europei seduti in prima fila. Guglielmo Epifani che sale sul palco alla fine dell’intervento del premier e saluta battendo assieme a «Enrico» le mani alla gente.

Per il premier una lunga giornata in città prima dell’intervista pubblica nella cittadella democratica installata nel Porto antico, ristrutturato dal genovese Renzo Piano che – lo ricorda il governatore della Liguria, Burlando – «è stato nominato oggi (ieri, ndr.) senatore a vita». Letta ha incontrato il cardinale Bagnasco, ha visitato l’Istituto italiano di Tecnologia, ha sostato al Porto teatro dell’incidente dei mesi scorsi. Da «pisano», infine, sotto il tendone dei dibattiti della festa Pd, ha puntato sull’operazione simpatia salutando «la parte genoana gemellata con la squadra della mia città» e provocando i mugugni dei sampdoriani. «Lo faccio sempre – ha spiegato Letta – ogni volta che vengo a Genova…». Tante volte alle kermesse democratiche del capoluogo ligure. Ieri l’esordio da presidente del Consiglio. Glielo ricorda Mario Orfeo direttore del Tg1 che lo intervista. Il premier, giunto a piedi al Porto antico, risponde un po’ su tutto. In maniche di camicia, senza indulgere nel politichese. Una preoccupazione su tutte: dimostrare che pur tenendo conto dei compromessi indispensabili in un governo di coalizione – ancora più faticosi con una maggioranza Pd-Pdl – le ragioni e il programma del Partito democratico sono stati salvaguardati. Altro che esecutivo a trazione Pdl, quindi. «Sto dando tutto per questo governo, anche il sangue e la salute – sottolinea Letta – ma una cosa devo ricordarla: non è quello per cui ho fatto la campagna elettorale. La prossima voglio farla per un governo di centrosinistra…». La sala apprezza. E applaude.

LA LEGGE ELETTORALE

«Le elezioni non le abbiamo vinte – ricorda il premier – E la legge elettorale ha determinato il marasma con il qua- le abbiamo dovuto fare i conti» e che è stato superato grazie a Giorgio Napolitano, un presidente «gigante». Un’alleanza frutto di una «situazione eccezionale», quindi, quella delle larghe intese. E Letta ridimensiona quel «il governo non ha più scadenze» pronunciato dopo l’accordo sull’Imu. Parole interpretate male, spiega. «Io lavoro per il governo che ha ottenuto la fiducia del Parlamento con 3 obiettivi da realizzare in 18 mesi», precisa. E Mario Orfeo gli fa notare che l’elenco di provvedimenti snocciolato davanti alla platea che lo ascolta (legge elettora- le, riforme istituzionali, Europa, «il lavoro che sarà il cuore di tutto» con la «legge di stabilità incentrata su questo».) costituisce un programma da legislatura.

Dopo quattro mesi di governo «molte cose stanno già cambiando» – rivendica il premier – «Cecile Kyenge all’Integrazione, ad esempio…». E Letta parla della «fatica» del ministro – rilevata ieri dall’Economist – per superare quel «razzismo di ritorno» al quale «abbiamo dato un colpo di grazia» in un Paese dove lo slogan «italiani brava gente» ha coperto tanti «disastri»

L’Imu, quindi. E se Bersani, da Rainews 24 ha parlato ieri di una «formula” dettata dal “compromesso», Letta definisce l’imposta sulla casa una tassa «iniqua». «La Service Tax sarà più bassa e non sarà caricata sugli affittuari contro i proprietari – spiega – Risponderà a esigenze di equità e progressività». L’Iva, dunque. «Farò di tutto per evitare l’aumento», garantisce il presidente del Consiglio.

Berlusconi, infine. Come la pensa Letta a proposito della decadenza? «La risposta è molto semplice – chiarisce – io non credo ci siano molti margini, la separazione tra il piano politico e giudiziario è indispensabile» e «chi crea delle connessioni improprie tra quello che deciderà il Senato e il governo, dovrà spiegare ai cittadini il senso di queste relazioni pericolose».

Domanda su Matteo Renzi, inevitabile mentre il sindaco parla in Romagna, contemporaneamente, creando tra i lettiani qualche evidente risentimento. «Chi pensa di dividere il Pd tra un pisano e un fiorentino sbaglia», scherza il presidente del Consiglio. Poi, però, si fa serio. «Si faccia il congresso, un bel congresso – sottolinea – Ma alla fine dobbiamo essere tutti democratici, per un Pd forte nel quale le provenienze siano un tema che non interessa più. Il nostro partito ha davanti un grandissimo futuro e può essere l’architrave del sistema politico. Rimaniamo uniti, quindi».

L’Unità 31.08.13

Napolitano nomina Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia senatori a vita

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha nominato oggi senatori a vita, ai sensi dell’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, il maestro Claudio Abbado, la professoressa Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano e il professor Carlo Rubbia, “che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo scientifico, artistico e sociale”. Lo rende noto il Quirinale. I decreti sono stati controfirmati dal presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Enrico Letta. Il presidente Napolitano ha informato delle nomine il presidente del Senato della Repubblica, senatore Pietro Grasso. Il capo dello Stato ha dato personalmente notizia della nomina ai neo senatori, porgendo loro “i piu’ vivi auguri”.

I quattro senatori a vita nominati da Giorgio Napolitano sono personaggi molto noti anche al grande pubblico – a parte forse la Cattaneo, che ha condotto le sue attività in maniera prestigiosa ma mediaticamente più defilata. Ecco le loro note biografiche, presenti nella nota diffusa dal Colle.

Claudio Abbado. “Nato nel 1933, si è diplomato al conservatorio di Milano. Ha acquisito meriti artistici nel campo musicale attraverso l’interpretazione della letteratura musicale sinfonica e operistica alla guida di tutte le più grandi orchestre del mondo. A tali meriti si è congiunto l’impegno per la divulgazione e la conoscenza della musica in special modo a favore delle categorie sociali tradizionalmente più emarginate. Ha avuto la responsabilità della direzione stabile e musicale delle più prestigiose istituzioni musicali del mondo come il teatro alla scala e i berliner philharmoniker; ha ideato istituzioni per lo studio e la conoscenza della nuova musica”.

Elena Cattaneo. Nata nel 1962, si laurea in farmacia all’università di Milano, dove dal 2003 insegna come professore ordinario. “Ha operato come ricercatrice per tre anni al Mit di Boston – ricorda il comunicato del Quirinale – dove ha avviato studi su cellule staminali cerebrali. Rientrata in italia, ha fondato e dirige il laboratorio di biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative del dipartimento di bioscienze dell’università di Milano”, e “da ottobre 2013, coordinerà il progetto neurostemcellrepair nell’ambito del 7° programma quadro della ricerca europa”.

Renzo Piano. Nato nel 1937, si laurea al Politecnico di milano nel 1964 e dal 1994 è ambasciatore di nuona volontà dell’Unesco per la città. Nel corso della sua carriera, “ha costruito spazi pubblici per le comunità, musei, università, sale per concerto, ospedali. Tra i suoi più importanti progetti il centro culturale Georges Pompidou a Parigi, l’aeroporto Kansai in giappone, l’auditorium Parco della musica a roma, il museo dell’Art Institute a Chicago, il nuovo campus della Columbia University a New York. Nel 2004 istituisce la fondazione renzo piano, con sede a genova, organizzazione no-profit dedicata al supporto dei giovani architetti, che accoglie a bottega”.

Carlo Rubbia. E’ nato nel 1934, si è laureato alla Normale di Pisa e ha svolto il suo dottorato alla Columbia University. Ricercatore al Cern di ginevra dal 1961, ne è stato direttore generale dal 1989 al 1993. Per diciotto anni ha svolto l’attività di professore di fisica ad Harvard. Nel 1984 ottiene il premio nobel insieme a Simon Van Der Meer per la scoperta dei particelle w e z, responsabili delle interazioni deboli. “Membro delle più prestigiose accademie scientifiche – conclude il Quirinale – detiene 32 lauree honoris causa. Attualmente svolge le sue attività di ricerca fondamentale al Cern e ai laboratori nazionali del Gran Sasso.

da Italpress

“I mercati scelgono il Pil, ora tocca al Governo”, di Fabrizio Forquet

La migliore notizia è la reazione positiva dei mercati. L’abolizione dell’Imu è solo parziale, per la seconda rata se ne riparlerà, ma intanto chi acquista o vende titoli nelle sale operative di tutto il mondo ieri ha comprato. I valori di Borsa sono saliti, lo spread con i Bund si è ridotto, le aste dei BTp a cinque e dieci anni sono andate in porto. Non grandi spostamenti, ma quello che conta è il segnale. I mercati hanno ribadito, innanzitutto, il loro apprezzamento per tutto ciò che va nella direzione della stabilità del Governo. Lunedì scorso, dopo i tam tam del weekend sulla crisi, avevano punito Piazza Affari con un meno 2,1% (e il titolo Mediaset con un meno 6%); ieri, dopo che Letta ha potuto affermare che il suo Esecutivo «non ha più scadenza», hanno risposto premiando il Mib con un +1% (e Mediaset con un +4,8). Indicazioni chiare, di cui lo stesso Berlusconi non può che tener conto.
Ma c’è anche un altro segnale che va colto in quei «più» negli indici. In passato i mercati ci hanno premiato quando venivano introdotte nuove tasse, perché queste erano il segnale di un consolidamento dei conti pubblici. E questo secondo aspetto era prioritario, nel loro giudizio, rispetto al freno sul Pil che ogni nuova imposta comporta.
Oggi invece apprezzano il superamento di una tassa, mettendo sullo sfondo l’impatto che questo potrebbe avere sul rapporto deficit/Pil. Evidentemente l’effetto di fiducia e crescita sull’economia reale conta di più rispetto a un’interpretazione iper-rigoristica della solidità di bilancio.

I mercati oggi percepiscono che il rischio Italia non è tanto legato al deficit o al debito in quanto tali, ma nella loro interazione con una crescita che fatica a ripartire. La priorità italiana è quindi nella capacità di agganciare i refoli di ripresa che intorno a noi cominciano a soffiare. Niente di nuovo per chi ha i piedi piantati nella realtà delle imprese e dei lavoratori del nostro Paese. La novità è che adesso ce lo dicono con chiarezza anche i mercati.
Sarebbe paradossale, perciò, se l’Europa dovesse attestarsi su una trincea di retroguardia, nel valutare con occhiuta logica ragionieristica e astrattamente rigorista le prossime mosse dell’Italia.
Ma ancora di più questo segnale che arriva dai mercati va colto dal Governo. Letta finora si è mosso con intelligenza, ha fatto alcune cose giuste, ma ha anche molto rinviato, soprattutto sui nodi strutturali della crescita economica. La legge di stabilità è diventata così una sorte di totem, il sacro Graal di quanto non si aveva la forza politica di affrontare subito. Ora però ci siamo. Da domani non ci sono più alibi.

L’azione di governo, e il dibattito pubblico, finora concentrati su Imu e Iva, devono fare quel salto di qualità necessario ad accompagnare l’Italia al tavolo della ripresa internazionale che – Siria permettendo – si comincia a profilare. La ricetta è fin troppo nota. Al primo punto la riduzione di quel cuneo fiscale al 53,8 per cento che, pesando contemporaneamente sui lavoratori e sulle imprese, frena pesantemente i consumi, la competitività e, quindi, la possibilità di crescere del Paese. Un taglio che, nella sua entità, non deve essere solo simbolico e che deve essere collegato al rilancio della produttività, vero nodo italiano (se ne era parlato a Cernobbio l’anno scorso come il dato su cui l’Italia aveva la tendenza peggiore d’Europa, se ne riparlerà a Cernobbio la settimana prossima esattamente come il dato su cui l’Italia ha la tendenza peggiore d’Europa).
Proprio perché non basterà un taglio simbolico, la copertura va individuata con serietà rilanciando quella spending review che nel passaggio tra governi rischia di sparire dai radar. Anche qui i dati sono conosciuti: 800 miliardi di spesa pubblica, con quella intermedia per beni e servizi che vale ancora 145 miliardi. È positivo che il ministro Saccomanni, mercoledì in conferenza stampa, abbia riaperto questo capitolo. Ma è tempo di risultati (mirati, non lineari) dopo tanto parlare. Così come sarebbe bene non lasciare relegati al dibattito estivo gli impegni presi sulle privatizzazioni.

Infrastrutture e credito sono gli altri temi prioritari su cui muoversi. Dagli investimenti cofinanziati dall’Unione europea, alle agevolazioni fiscali per riattivare gli investimenti privati, al rafforzamento delle garanzie per favorire l’accesso al credito delle Pmi. La coperta della finanza pubblica resta molto corta. Ma proprio per questo bisogna sfruttare tutti i margini possibili di flessibilità e aprirsene di nuovi per allungare quella coperta.
Stabilità e credibilità del governo sono perciò risorse importanti, purché vengano spese per “fare” e per ottenere con determinazione dall’Europa quell’apertura verso la crescita che in passato è mancata. Il tempo è ora. E il segnale che ieri è venuto dai mercati può essere di aiuto.

Il Sole 24 Ore 30.08.13

“Le incognite della Service tax e la responsabilità dei sindaci”, di Raffaella Cascioli

I contribuenti italiani si erano appena abituati, si fa per dire, a conoscere l’Imu che ora sono chiamati a fare i conti con una nuova tassa che dal 2014 insisterà sulle abitazioni: la Service tax. Basta la presa in prestito di una voce anglofona per suscitare nei contribuenti diffidenza che ieri, per gli inquilini, si è trasformata in allarme. Premesso che la nuova tassa non è stata ancora definita nei dettagli perchè l’architettura normativa sarà contenuta nella legge di stabilità che sarà presentata a metà ottobre dopo un confronto tra il governo, i sindaci e le parti sociali, c’è da capire se la nuova imposta sarà una partita di giro, come indicato ieri dal segretario della Cisl Bonanni, o se invece, come prima applicazione del federalismo municipale, consentirà di responsabilizzare i comuni e non di alimentare ancora centri di spesa.

Cancellata l’Imu prima casa per il 2013, dal 2014 nascerà la Service tax che avrà due componenti: la prima di natura patrimoniale, la seconda relativa ai servizi. La Service tax, che ingloberà la Tares, servirà a rilanciare il federalismo fiscale perchè la tassazione sulla casa sarà, ha spiegato il premier Letta, nella responsabilità dei sindaci. Con alcuni paletti che il sottosegretario all’economia Pierpaolo Baretta ha illustrato ieri: in primo luogo ci sarà un’aliquota massima (ma non minima), il governo renderà strutturale un contributo di 2 miliardi di euro e la service tax si articolerà in due componenti, ovvero una patrimoniale e una di servizi. Agli inquilini, che già oggi pagano la tassa sui rifiuti, sarà chiesto di pagare in quota parte i servizi mentre i proprietari saranno chiamati a pagare quelli che rendono l’immobile più appetibile.

Ci sono però dei punti che ancora non sono chiari. Ad esempio, l’Imu sulla seconda casa (che, occorre ricordare, comprende anche l’unico immobile di proprietà in cui però non si è residenti) non è stata abolita nel 2013. Lo sar à nel 2014? Sarà dunque superata dalla Service tax? Se così non fosse, anche chi possiede una sola casa ma non vi risiede, sarà costretto a pagare l’Imu, l’Irpef al 50% dei redditi derivanti da unità immobiliari se non locata oltre alle relative addizionali e la Service tax? Se invece ha affittato quella casa e si trova in affitto altrove, pagherà l’Imu seconda casa, la Service tax per la parte patrimoniale sull’immobile di proprietà e la Service taxper i servizi su quella dove si trova in affitto. Sarebbe un accanimento perchè la patrimoniale si duplicherebbe, se non triplicherebbe.

Al ministero dell’economia continuano a sostenere che si pagherà meno, occorrerà capire se però nelle prossime settimane si diraderà la nebbia su alcuni punti oscuri e se la nuova tassa sarà realmente improntata a criteri di equità. Tanto più che il governo sarà chiamato a evitare l’aumento Iva, che il viceministro Fassina dà per scontato, recuperando un miliardo nel giro di qualche settimana per evitare una gelata sui consumi.

da Europa Quotidiano 30.08.13

“Il macigno della destra”, di Claudio Sardo

Le motivazioni della sentenza con la quale Silvio Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale, segnano un punto fermo nel confuso dibattito no- strano. Berlusconi è dunque colpevole per un grave reato contro la fede pubblica e l’amministrazione dello Stato: è stato l’«ideatore» di un meccanismo illecito finalizzato alla frode fiscale e questo sistema gli «ha permesso di mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimonia- li» su conti esteri. A differenza di quanto hanno sostenuto i suoi avvocati, non ha subito truffe da dipendenti infedeli.

La sua responsabilità è stata personale, diretta e la gestione dell’illecito si è protratta nel tempo, anche quando ha formalmente lasciato gli incarichi nella propria azienda per guidare il governo nazionale. In uno Stato di diritto queste parole sono macigni. Ovviamente un condannato resta sempre libero di criticare, o di non condividere. Ma le sentenze si rispettano. E si rispettano la dignità, l’autonomia e la separazione dei poteri. Berlusconi non è stato condannato per reati politici: chi lo sostiene, o comunque lascia intendere che c’è una ragione politica dietro la sentenza, mette in discussione uno dei capisaldi su cui poggia l’ordinamento costituzionale. È inaccettabile che questa tesi sia sostenuta da un capo politico, ancor più lo è se viene fatta propria dal suo partito. Berlusconi è stato condannato per un reato comune. Un reato molto grave, che lo rende incompatibile con incarichi pubblici. Nessun Paese democratico accetterebbe deroghe su questo principio, con o senza legge Severino. Farebbero bene lui e il suo partito a prendere atto della realtà, anziché avanzare pretese goffe, richieste di rinvio, ipotesi ricattatorie che possono sì produrre paralisi di sistema, ma non certo salvacondotti per sottrarre un singolo alla potestà del diritto.

Le manette non sono mai state la nostra bandiera. Consideriamo ancora oggi quel cappio agitato vent’anni fa in Parlamento come una delle pagine più vergognose della nostra democrazia. E in ogni caso non è la via giudiziaria quella che può condurre alla sconfitta politica della destra: al contrario, liberarsi dal berlusconismo vuol dire esattamente ristabilire i confini tra i poteri dello Stato, ridurre i conflitti istituzionali, rispettare l’autonomia dei poteri neutri e comporre la loro attuale maggiore forza in un equilibrio di garanzie. Ora comunque siamo davanti a una sentenza definitiva. E la politica, lo Stato non possono far finta che non sia così. È una questione morale, ma soprattutto una questione istituzionale, democratica.

Il problema non è se il Senato debba votare la decadenza a settembre o a ottobre, il problema non è il potere del Parlamento di adire alla Corte costituzionale per un giudizio sulla «retroattività» della legge Severino, il problema non è quando scatterà l’interdizione dai pubblici uffici. Sia chiaro, sono tutte questioni importanti: e abbiamo detto fin qui che il diritto va rispettato e non strumentalizzato. Ma adesso il problema è un altro: la condanna di Berlusconi pone lui stesso e il Pdl di fronte a una incompatibilità istituzionale. Non può continuare a svolgere un ruolo pubblico chi si è macchiato di un reato comune così grave a danno dell’intera comunità.

La questione dell’«agibilità politica» posta dal Pdl – rievocando, non a caso, il gergo dei più facinorosi negli anni 70 – è ancor più ridicola di fronte alla lettura delle motivazioni della Cassazione, che restano un atto definitivo nel nostro ordinamento. Gli spazi di Berlusconi siano decisi dal giudice di sorveglianza dopo la nuova sentenza della Corte d’appello, il Senato scelga i tempi giusti (senza sconti e senza forzature) per la decisione di sua competenza, gli altri processi a carico del Cavaliere proseguano con spirito di imparzialità: a prescindere da tutto questo, il passo indietro di Berlusconi è a questo punto inevitabile e da oggi è condizione della stessa «agibilità» della destra italiana.

Il compromesso raggiunto ieri su Imu, Service tax, Cassa in deroga ed esodati è stata un’ulteriore prova della difficoltà di questo governo «senza intese». La soluzione adottata contiene un deficit di equità, che speriamo venga colmato nella legge di Stabilità (sarebbe gravissimo se, per esentare i proprietari più ricchi dall’Imu sulla prima casa, il governo fosse costretto ad aumentare l’Iva). Tuttavia, restano le ragioni di un governo di «necessità» fino alla fine del 2014 per mettere l’Italia in sicurezza, per agganciare la ripresa e per evitare un’altra elezione nulla (causa Porcellum e bicameralismo paritario). Berlusconi e il Pdl devono però sapere che arrivare a fine 2014 vuol dire approdare anche a un nuovo centrodestra. Vuol dire che Berlusconi dovrà cedere il testimone e far girare la ruota anche nel suo schieramento. Il governo Letta potrà arrivare alla fine del semestre italiano di presidenza Ue se l’Italia approderà al cambiamento. Non solo il congresso del Pd, ma un nuovo centrodestra con una nuova leadership. Non sarà il voto sulla decadenza di Berlusconi – che pare inevitabile, anzi doveroso, anche ad ascoltare i costituzionalisti sul merito della legge Severino – a far cadere Letta. Il governo cadrà se Berlusconi pretenderà di svolgere ancora un ruolo pubblico e rifiuterà di compiere quel gesto, che in ogni altro Paese occidentale sarebbe oggi scontato. E che ogni altro partito occidentale pretenderebbe dal proprio leader pro-tempore, chiunque esso sia.

L’Unità 30.08.13

“Se tocca alla Germania salvare i tesori di Pompei “, di Antonio Ferrara

Sei mesi per definire il programma dei lavori per salvare Pompei: la precisione tedesca fissa al giugno 2014 l’avvio del restauro da 10 milioni di euro promosso dalla Tecnische Universität di Monaco di Baviera, dall’Istituto di fisica delle costruzioni del Fraunhofer di Stoccarda e dall’Iccrom, l’ente internazionale di restauro. IL POMPEI Sustainable Preservation Project è già definito e prevede l’arrivo di archeologi e restauratori che si occuperanno di volta in volta di un isolato della città romana: la durata prevista è di 10 anni. I tecnici tedeschi lavoreranno fianco a fianco con persone da formare provenienti da tutto il mondo e con un duplice obiettivo: conservare interi quartieri di Pompei e codificare metodologie di intervento da esportare in altri siti monumentali.
Per far questo, scendono in campo l’università numero uno in Germania, la Tu di Monaco (che nella sua pagina web spiega di volere evitare che Pompei «sia seppellita una seconda volta»), e la più importante struttura di ricerca scientifica tedesca, il Fraunhofer, sede principale in Baviera, ma impegnata con l’Ibp, l’Istituto di fisica delle costruzioni di Stoccarda. Gli istituti collaboreranno con la Soprintendenza per i beni archeologici di Pompei e l’Istituto superiore per la conservazione e il restauro, per far divenire Pompei un centro di ricerca sulla conservazione dell’arte antica. Partner italiano è l’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr) di Catania.
«Non si tratta di un duplicato del Grande Progetto Pompei — spiega l’archeologo Daniele Malfitana, direttore dell’Ibam — ma è un piano di interventi che consentiranno di completare e ampliare quelli già previsti da Italia e Ue, senza alcuna sovrapposizione, anzi con possibili integrazioni con il Grande Progetto da 105 milioni». A guidare il programma scientifico sono Klaus Sedlbauer, direttore del Fraunhofer, e il professor Erwin Emmerling della Tu di Monaco, assieme agli ideatori del progetto, il restauratore Ralf Kilian, l’archeologo della fondazione Henkel Albrecht Matthaei e la collega Anna Anguissola della Ludwig-Maximilians- Universität di Monaco. L’Unione industriali di Napoli ha già espresso apprezzamento per l’iniziativa. Ma c’è chi ricorda come l’arrivo di una équipe francese nel 2011 si sia risolto con un nulla di fatto, tra lungaggini burocratiche e incomprensioni. «Il nostro modello — assicurano Matthaei e Anguissola — è l’Herculaneum Conservation Project della fondazione Packard, a Ercolano». Molte le missioni straniere a Pompei, dal Deutsches Archäologisches Institut alla British School at Rome, dal centro Jean Bérard alla svedese Lund Univerist, dall’università di Augsburg a quella di Helsinki: un interesse permanente che ora potrebbe trovare nel progetto tedesco una nuova occasione di collaborazione internazionale.

La Repubblica 30.08.13

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“Ben vengano gli stranieri se portano qualità e denaro”, di MARIA ELENA VINCENZI
«È una notizia positiva. A differenza di altri casi, a Pompei non c’è l’intervento di un privato: il progetto prevede solo università e istituti di ricerca. E, soprattutto, è stato messo a punto nei dettagli con la Soprintendenza ». Il piano di due università tedesche, la Technische Univesitat di Monaco di Baviera e l’istituto Fraunhofer di Stoccarda, per restaurare Pompei piace a Salvatore Settis, docente di archeologia classica alla Normale di Pisa.
Professore, ancora un volta per salvare il patrimonio culturale italiano servono soldi stranieri?
«Non è così. Il finanziamento tedesco è di 10 milioni, poi ce ne sono altri 105 che sono per la maggioranza italiani, una parte più piccola viene dall’Unione europea. È che a Pompei non basterebbero i miliardi, data la straordinarietà del sito, per cui ben vengano fondi di altri Paesi che, peraltro, non hanno scopo di lucro, ma vogliono solo mettere a disposizione le proprie competenze. Anche nel progetto di Ercolano, ammirevole e perfetto, ci furono i soldi del magnate americano Packard, un privato che lo faceva, però, per passione, senza voler guadagnare un euro. Così anche questo progetto dell’università di Monaco ha il vantaggio di essere aperto a tutti, anche perché le cose da fare a Pompei sono tantissime. Non si finisce mai. Non c’è un altro luogo al mondo in cui sia possibile ricostruire così bene la civiltà antica ».
Ma allora dobbiamo pensare che i tedeschi siano più bravi di noi?
«Voglio precisare che il progetto è stato scritto anche da Anna Anguissola, archeologa italiana che lavora in Germania. Peraltro, tre istituti italiani partecipano al piano e ogni singola decisone è stata presa con la Soprintendenza. Io credo sia virtuoso che quando parte qualcosa di buono gli altri si aggiungano, mettendo a disposizione voglia di fare e conoscenze. La scienza non ha confini. A Pompei, poi, c’è posto per tutti».
Eppure lo slogan tedesco sul sito dell’università è «Sottrarre Pompei al secondo seppellimento », come se fossero loro a salvare gli scavi.
«L’unico scopo di una frase del genere è di fare fundraising, perché i dieci milioni ancora non sono stati trovati: per questo cavalcano l’ondata di preoccupazione dell’opinione pubblica seguita ai crolli. Lo scopo è trovare i fondi per avviare i restauri».

La Repubblica 30.08.14

“Nodo presidi, più prof di sostegno”, da Gazzetta di Modena

«Stiamo pensando a un “provvedimento-scuola” per l’avvio dell’anno scolastico, rivolto principalmente agli studenti, alla loro vita e allo studio». Non si vuole sbilanciare il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, sulle misure per la scuola, preannunciate anche dal premier Enrico Letta, che intende portare in Consiglio dei ministri. La complessità dei temi legati all’istruzione è confermata dalle parole di Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il Parlamento: «Abbiamo bisogno di lavorare qualche giorno in più e quindi il decreto scuola andrà in Consiglio dei ministri credo lunedì 9, comunque prima dell’inizio dell’anno scolastico». Certamente si proporranno norme con l’obiettivo di superare l’impasse dei concorsi per presidi annullati dal giudice amministrativo. Una disposizione che dovrebbe tamponare soprattutto la situazione della Lombardia dove un errore nella scelta delle buste contenenti il cartoncino con le generalità dei candidati ha determinato l’annullamento di alcune fasi della procedura, che dovranno essere rinnovate; di conseguenza, il concorso non si è potuto concludere in tempo per dotare di nuovi dirigenti molte scuole attualmente scoperte. Come ha ricordato nei giorni scorsi la Disal, 424 scuole (più di un terzo), erano a rischio di restare senza preside stabile e dunque affidate alle reggenze di presidi “a mezzo servizio”. Nelle bozze circolate nei giorni scorsi era stata messa nero su bianco una norma che consentirebbe di sottoscrivere incarichi temporanei di dirigente scolastico, ma il timore di ulteriori ricorsi ad oltranza ha imposto un supplemento di riflessione sulla sua formulazione. Questioni più spinose sono quella del personale docente inidoneo all’insegnamento, e il contemporaneo blocco di assunzioni del personale amministrativo (attualmente è in vigore una legge che impone la transizione del personale docente inidoneo verso compiti amministrativi), e la vicenda «Quota 96» sul fronte pensionistico. Il nodo da sciogliere, per entrambi, è quello della copertura finanziaria. Se voci alterne continuano a rincorrersi sui finanziamenti che le scuole dovrebbero ricevere per sopperire alle esigenze che ogni istituto deve affrontare con l’inizio delle lezioni, secondo indiscrezioni, ci sarebbe, invece, un consistente incremento (quasi un terzo) dell’attuale organico di diritto dei prof di sostegno. A tener conto degli indizi qualche novità potrebbe riguardare anche i libri di testo e una norma potrebbe affrontare il tema delle donazioni di Pc e altro materiale informatico alle scuole da parte di privati. L’unica cosa certa per ora è comunque che il provvedimento di viale Trastevere si continua a smontare e rimontare, di ora in ora, per verificare le compatibilità finanziarie di ognuna delle misure allo studio che vengono via via proposte.

La Gazzetta di Modena 30.08.13

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“Via al pacchetto-scuola tetto di spesa ai libri e mai più contributi versati dai genitori”, di Salvo Intravaia

Il testo del decreto che sarà varato la settimana prossima
nuovi tetti alla spesa per i libri di testo, più assunzioni e finanziamenti alle scuole. Il governo sta per varare una mezza rivoluzione. Il provvedimento, ancora allo studio dei tecnici del ministro Maria Chiara Carrozza, andrà in Consiglio dei ministri martedì prossimo, come annunciato dallo stesso premier Enrico Letta. E promette di intervenire su tutta una serie di questioni non più rinviabili. I nuovi tetti alla spese per i libri di testo verranno salutati con favore dalle famiglie. Le assunzioni di insegnanti e dirigenti scolastici daranno maggiore stabilità a tutto il mondo della scuola, ma alcuni provvedimenti sull’orario dei docenti rischiano di incendiare l’avvio dell’anno scolastico.
LIBRI DI TESTO E FONDI
Si lavora per ridurre la spesa complessiva delle famiglie per l’acquisto dei libri di testo. Il governo potrebbe introdurre un tetto di spesa, oltre che per i testi indicati come “da acquistare”, anche per i cosiddetti libri ”consigliati” e a corredo: vocabolari, manuali e atlanti. In arrivo anche un incremento dei fondi per le cosiddette “spese di funzionamento” (toner, fotocopie…), che attraverso il “contributo volontario” richiesto ai genitori, ogni anno, finiscono per pesare sulle famiglie.
ORGANICI E SOSTEGNO
Il governo lavora all’ampliamento dell’organico (di diritto) di sostegno, fermo a 63mila unità. Lo scorso anno, per coprire le esigenze degli alunni disabili, il ministero ha assegnato altre 38 mila supplenze. L’idea ora è di incrementare fino a 90 mila i posti di sostegno in organico di diritto per avere la possibilità di assumere a tempo indeterminato almeno 10 mila nuovi docenti di sostegno. Col pacchetto-scuola dovrebbe anche arrivare una modifica legislativa al blocco degli organici, anche in presenza di incremento degli alunni, varato dal governo Monti, e un intervento sugli orari degli istituti tecnici e professionali, sfrondati dalla riforma Gelmini, che dovrebbero aumentare sfruttando una parte delle cosiddette “ore funzionali all’insegnamento” — le 80 ore annue dedicate alle riunioni e agli ricevimenti dei genitori — per attività di orientamento con gli studenti.
ASSUNZIONI
Per il 2014/2017 si profila un nuovo Piano triennale di assunzioni a copertura dei posti lasciati liberi dai pensionamenti. Quest’anno sono state quasi 15 mila le uscite dal lavoro. Il nuovo Piano potrebbe quindi garantire 45 mila assunzioni a tempo indeterminato, 12 mila amministrativi, tecnici e ausiliari e 33 mila docenti, che si divideranno i posti tra vincitori di concorso e precari. Ma sarebbe vicino anche un nuovo concorso per dirigenti scolastici. Quello bandito nel 2011, nelle regioni più grandi si sta concludendo in questi giorni. Ma nel frattempo sono andati in pensione altri mille capi d’istituti e a settembre saranno oltre 1.300 le scuole affidate a un preside reggente, che già guida un’altra scuola. Il prossimo concorso dovrebbe mettere in palio non meno di 600 poltrone di capo d’istituto. E col decreto in arrivo si avvia a soluzione anche il caso Lombardia, dove il concorso di due anni fa è stato annullato agli scritti, lasciando 473 istituti a reggenti. L’idea maturata a viale Trastevere è di assegnare a una parte di coloro che hanno superato il test preselettivo dello stesso concorso del 2011 un incarico di un anno.
RETE SCOLASTICA E CNPI
Cambiano i criteri di assegnazione dei presidi alle regioni:
un posto per ogni scuola con non meno di 600 alunni o 400 nelle piccole isole e nei comuni montani. Dal 2014/2015 il ministero intende assegnare un contingente in base alla popolazione scolastica regionale divisa per 900. Sarà poi il direttore regionale ad assegnare i posti alle scuole. E si lavora anche per resuscitare il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, organo consultivo istituito nel 1974, decaduto a fine 2012, attraverso l’istituzione di un organismo con le stesse funzioni.

La Repubblica 30.08.13