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La service tax peserà meno di Imu e Tares. Pd lavora per scongiurare l’aumento dell’Iva

“Il pacchetto delle misure economiche varate ieri dal governo Letta merita apprezzamento e va approfondito. Il governo ha varato infatti un mix di provvedimenti utili e necessari sul terreno delle priorità economiche e delle emergenze sociali, come il rifinanziamento della cassa integrazione, l’intervento per gli esodati da licenziamenti individuali, i giovani e il sostegno per i mutui casa”.
E’ quanto affermato dal responsabile economico del Pd, Matteo Colaninno.

“Abbiamo lavorato facendo squadra con il presidente Letta e i ministri e il risultato è largamente positivo, soprattutto se si tiene conto dei difficili vincoli finanziari”.

Colaninno ha inoltre sottolineato come “anche per quanto riguarda il superamento dell’Imu e della tassa sui rifiuti – ripeto: il superamento dell’Imu, ma anche della tassa sui rifiuti, perché entrambi vengono superati con la riforma – il risultato è molto positivo e imbocca una strada importante per la modernizzazione del Paese: una vera imposta federale, da sempre chiesta dai sindaci e caratterizzata da autonomia ed equità. La riforma conterrà infatti componenti patrimoniali più progressive rispetto all’Imu così come consentirà un minor onere per il costo dei servizi in favore degli inquilini non proprietari”.

“Per essere chiari – ha concluso -, la nuova Service tax supererà Imu e Tares, ma peserà meno di quanto oggi pesino Imu e Tares. Per quanto riguarda l’Iva, il PD metterà in atto ogni sforzo per far si che non ci sia il previsto aumento delle aliquote”.

“La verità, al di là dell’affannosa grancassa propagandistica di queste ore, è che i falchi del Pdl sono finiti nell’angolo e le minacce e i ricatti di chi vuole salvare Berlusconi ad ogni costo sono armi spuntate”, è stato il commento di Antonio Misiani, deputato del Pd in commissione Bilancio.

“La realtà è che il governo Letta ha tagliato le tasse sulla stragrande maggioranza delle famiglie per alcuni miliardi di euro; ha avviato la riforma federalista della tassazione immobiliare; ha stanziato importanti risorse per esodati e cassintegrati. Risultati concreti, che il Pd apprezza largamente”.

“La service tax – che, va ricordato, incorporerà anche la Tares, attualmente già pagata dagli inquilini – sarà il pilastro della nuova fiscalità comunale. Il Pd lavorerà per garantire la massima equità del sistema, evitando squilibri impositivi tra proprietari e inquilini e trovando il giusto punto di equilibrio tra l’autonomia dei comuni e la necessità di contenere la pressione fiscale complessiva”.

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“Un passo avanti con incognite”, di Ruggero Paladini

L’accordo sull’Imu avviene in un clima politicamente molto difficile Da quanto hanno detto Letta e i suoi ministri la prima rata sulla casa di residenza (finora solo sospesa) scompare, mentre la situazione è più incerta sulla seconda rata, per la quale c’è un impegno di eliminazione ma con problemi di copertura. È sicuro in- vece l’Imu verrà poi sostituita (a partire dall’anno prossimo) dalla Service tax, che assorbirà la Tares, l’imposta che finanzia la nettezza urbana.

È’ chiaro che un prezzo alle richieste del Pdl è stato pagato, e che un governo di rinnovamento avrebbe fatto scelte molto diverse. Non bisogna scordarsi che quando s’impegnano delle risorse pubbliche in una direzione, si annullano altre scelte possibili, cioè nel caso specifico interventi sull’Irpef a favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di reddito medio-basso.

Il provvedimento illustrato dal premier Letta stanzierà delle risorse anche per una parte degli esodati e cassintegrati, ma necessariamente con risorse più limitate, oltre a rinviare l’aumento dell’Iva anche per l’ultimo trimestre. Angelino Alfano ha già trovato il modo di presentare il provvedimento governativo come una vittoria del Pdl, ma le cose non stanno proprio così. C’è una mezza vittoria per questo anno, ma rimane ancora aperta la soluzione della seconda rata. Inoltre dal punto di vista strutturale, cioè per gli anni a venire, la Service tax verrà pagata sia dai proprietari che dagli inquilini (che adesso pagano la Tares). Sembra quindi che la scelta del governo sia per un’imposta che assomiglia più alla soluzione francese che a quella inglese. La differenza è che in Francia vi sono due imposte, una pagata dai proprietari e una da chi usa l’immobile; il proprietario residente quindi le paga entrambe, ma con una riduzione. Dire che l’Imu sulla prima casa non c’è più sarà quindi una bugia, perché vi sarà la Service tax.
Ovviamente il governo dovrà definire nel dettaglio come verrà articolata la componente patrimoniale; ad esempio in Francia entrambe
le imposte sulla casa sono calcolate sulla base di rendite catastali rivalutate, mentre da noi la Tares si basa sui metri quadri dell’immobile. La scelta dei metri quadri dipende dall’idea che la
dimensione dell’appartamento sia un’indicazione del numero delle persone che abitano nell’immobile. È probabile che nei grandi numeri una relazione del genere si possa trovare, ma prendere a base il numero dei metri quadri invece del valore catastale tende a favorire la rendita urbana; un appartamento di cento metri quadri ha un valore molto diverso a seconda dell’ubicazione. La componente patrimoniale dovrebbe quindi essere predominante nella Service tax, e la componente puramente dimensionale dovrebbe tener conto dell’ubicazione dell’immobile; è probabile che l’orientamento del governo vada in questo senso. È invece del tutto improbabile che il governo affronti quello che è in realtà il problema principale dell’Imu, cioè le forti discrepanze tra i valori effettivi degli immobili e quelli che vengono calcolati sulla base delle rendite catastali rivalutate col moltiplicatore di 160. È questo un elemento che costituisce una forte arbitrarietà nel calcolo dell’imposta, e che introduce un aspetto di regressività, dato che gli appartamenti delle zone di pregio come i centri storici sono spesso quelli più vecchi, e quindi con rendite catastali più basse. Oltre alla scelta di affidarsi alla (lunga) strada della trasformazione dell’attuale catasto in un catasto parametrale, si potrebbe subito ricorrere alle stime effettuate dall’Osservatorio Immobiliare, eventualmente abbassando le stime di un 10-15%.
In questo modo sicuramente la forte variabilità tra rendite e valori effettivi sarebbe molto ridotta. Un ultimo punto riguarda l’ancora incerto destino della seconda rata dell’Imu. Al momento infatti non si è trovata una copertura per gli oltre due miliardi necessari. Ma forse su questo occorrerebbe una parola più chiara: anche se le risorse ci fossero, sarebbe bene che venissero impiegate in favore di chi ne ha maggiormente bisogno. Un quarto delle famiglie che vivono nella casa di proprietà ha già ricevuto un regalo con l’eliminazione della prima rata; non è necessario che ne ricevano un altro, in una situazione in cui le diseguaglianze sociali sono aumentate.

L’Unità 29.08.13

“Imu «prima casa » cancellata in tre tappe”, di Marco Mobili e Marco Rogari

Con un decreto legge il Governo ha deciso l’abolizione dell’Imu, che avverr à in tre passaggi: la cancellazione della rata di giugno (già sospesa) sulla prima casa, quindi lo stop alla rata di dicembre con la futura legge di stabilità e infine il passaggio alla service tax dal 2014. Letta: «Ora possiamo guardare al futuro del Governo con maggiore fiducia». L’Imu finisce in soffitta. Ma per cancellarla definitivamente occorrerà attendere il completamento di un’operazione in tre tappe. Che scatta subito per le abitazioni principali, per i terreni agricoli e le case rurali con l’immediato azzeramento della rata di giugno, fin qui congelata, per la quale sono già disponibili i 2,4 miliardi di risorse necessarie. E che prevede la cancellazione anche del versamento di dicembre, ma per il momento solo sulla carta seppure con un impegno politico su cui è d’accordo tutta la “strana maggioranza” che dovrà tradursi nell’individuazione di altri 2,4 miliardi con un prossimo decreto da collegare a met à ottobre alla legge di stabilità.
La terza fase prenderà poi il via il 1° gennaio 2014 con la definitiva eliminazione dell’Imu. E con il decollo della nuova service tax comunale, ancora in cerca di una denominazione precisa dopo che il nome iniziale (Taser) è durato lo spazio di una giornata a causa della coincidenza con quello di una pistola anti-molestatori. Una tassa unica che si muoverà su un doppio binario (gestione dei rifiuti urbani e copertura dei servizi indivisibili) con un meccanismo da definire sempre con la prossima legge di stabilità. E con una certezza: a manovrarla saranno esclusivamente i sindaci nel rispetto del principio federalista “vedo, pago, voto”.
L’abolizione della rata di dicembre è invece già nero su bianco per gli immobili invenduti e sfitti, che saranno totalmente esentati dal prelievo dal 2014. Per il mercato degli affitti, invece, scatterà la riduzione della cedolare secca sugli immobili concessi in locazione a canone concordato: la tassa piatta scenderà dal 19 al 15 per cento. Torna poi l’Irpef sulle case sfitte a disposizione (seconde, terze case e via dicendo) ma solo nella misura del 50% anche ai fini delle addizionali (v. Il Sole ore di ieri).
Questa misura garantirà le risorse necessarie per far scattare da subito la deducibilità Imu per le imprese e i professionisti, ma solo al 50% e limitatamente ai fini Ires e Irpef (quindi, Irap esclusa). In sostanza resta fuori dalla deducibilità l’Imu pagata sui beni immobili posseduti a titolo personale a cui è riservato lo stesso regime di indeducibilità previsto per tutti contribuenti. La disciplina Imu, infatti, non prevede espressamente alcuna norma di deduzione.
A sancire questa operazione in più fasi è l’intesa raggiunta tra il Governo (Palazzo Chigi e ministero dell’Economia in testa) e la maggioranza che è scaturita, dopo una lunga e convulsa trattativa fino all’ultimo secondo, nel decreto varato dal Consiglio dei ministri in cui sono stati inglobati altri tre capitoli: il piano casa per giovani coppie, lavoratori atipici e studenti, messo a punto dal ministro Maurizio Lupi (Pdl); il rifinanziamento della Cig per 4-500 milioni nel 2013 e il salvataggio di altri 6.500 esodati (per un costo di 150 milioni annui per il prossimo quinquennio) fortemente voluti dal Pd. Che è riuscito a spuntarla sulla service tax, mentre il Pdl ha imposto la cancellazione dell’Imu per quest’anno, terreni agricoli compresi.
Nel complesso il decreto vale circa 3 miliardi, che vengono coperti senza ricorrere a nuove tasse, rinunciando quindi anche all’ipotesi di aumentare le accise sui carburanti o sugli alcolici. E, assicurano il premier Enrico Letta e il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, mantenendo fermo l’obiettivo concordato con Bruxelles di non oltrepassare quota 2,9% nel rapporto deficit-Pil. La dote è stata assicurata facendo leva su tre dispositivi: un extragettito Iva per circa 1 miliardo derivante dallo sblocco anticipato di una nuova tranche di pagamenti ritardati delle imprese per 10 miliardi: la sanatoria contabile delle maxi-multe delle new slot per 6-700 milioni di euro; un mix di tagli alla spesa di tipo semi-lineare, raccordati all’avvio della prossima spending review, e l’utilizzo di “fondi dormienti” relativi a stanziamenti per vari interventi, in primis di tipo infrastrutturale, non ancora utilizzati.
La partita più complessa è stata quella del superamento dell’Imu. In attesa di definire come sarà cancellato il saldo di dicembre il Governo ha abolito il pagamento della rata di settembre (ex giugno) anche per i terreni agricoli. Questi ultimi a causa della coperta troppo corta delle coperture erano stati inizialmente esclusi. Dopo un intenso pressing del Pdl, cui si è aggiunto quello dei grillini, la cancellazione della prima rata dell’Imu riguarderà anche gli agricoltori. Dell’esenzione, in ogni caso, non benificeranno i proprietari di immobili di lusso (ville e castelli) adibiti ad abitazioni principali come peraltro previsto dal decreto di maggio che aveva sospeso la prima rata Imu.
Il Governo ha previsto inoltre interventi mirati per gli alloggi popolari e quelli di proprietà, ma come unico immobile, del personale delle Forze armate e delle forze dell’ordine ad ordinamento militare. In questi casi i contribuenti usufruiranno delle agevolazioni sulle abitazioni principali (200 euro di detrazione e 50 euro di sconto per ogni figlio residente).
Le novità per i comuni, comunque, non si esauriscono con l’Imu e la futura service tax. Come anticipato martedì dall’Esecutivo all’Anci, viene prorogato al 30 novembre il termine di approvazione dei bilanci annuali di previsione degli enti locali. Il che consentirà ai sindaci di rivedere entro la stessa scadenza i regolamenti 2013 sulla Tares.

Il Sole 24 Ore 29.08.13

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“Dal 2014 service tax gestita dai Comuni (ma con «tetto»)”, di Marco Mobili

Una nuova tassa sui rifiuti e una service tax sui servizi indivisibili. A stabilirne le regole sarà la legge di stabilità che il Governo varerà entro il 15 ottobre prossimo. Con l’arrivo della nuova tassa (inizialmente chiamata Taser fin quando a via XX settembre non si è scoperto che è il nome di una pistola utilizzata dalle donne contro i molestatori) scatterà di fatto la cancellazione dell’Imu sull’abitazione principale e il superamento della Tares. Con una certezza, almeno secondo lo stesso premier Enrico Letta: il nuovo tributo sarà più equo per famiglie e imprese.
Ma le novità per i comuni non finiscono qui. I sindaci avranno più tempo per approvare i bilanci annuali di previsione 2013 e, per le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni Imu, nonché per i regolamenti d’imposta, l’efficacia per il solo 2013 decorrerà dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune. Inoltre, con il nuovo termine di approvazione dei bilanci di previsione degli enti locali, che slitta dal 30 settembre al 30 novembre, in attesa della nuova tassa si apre la strada ai sindaci per una rimodulazione dei regolamenti della Tares.
Nel decreto legge approvato ieri, infatti, viene previsto che la tariffa 2013 sui rifiuti potrà essere commisurata alla quantità e qualità media ordinarie dei rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte, nonché al costo del servizio sui rifiuti. I comuni, sempre e solo per il 2013, potranno introdurre riduzioni ed esenzioni ulteriori rispetto a quelle già previste dall’attuale disciplina della Tares. Semplificati anche gli adempimenti Tares 2013: viene previsto l’invio del modello di pagamento precompilato dell’ultima rata del tributo sulla base delle norme regolamentari e tariffarie che i comuni potranno ora rimodulare.
La service tax che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014, avrà dunque due componenti: «la gestione dei rifiuti urbani (Tari) e la copertura dei servizi indivisibili (Tasi)». Per la prima, come ha spiegato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, «le aliquote saranno commisurate alla superficie e nel rispetto del principio comunitario che “chi inquina paga” e comunque in misura tale da garantire la copertura integrale del servizio». La prima componente (Tari) sarà dovuta da chi occupa, a qualunque titolo, locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Per i servizi indivisibili, «il comune – ha aggiunto Saccomanni – potrà scegliere o il criterio della superficie o quello della rendita catastale». La componente Tasi sarà a carico sia del proprietario (in quanto i beni e servizi pubblici locali concorrono a determinare il valore commerciale dell’immobile) che dell’occupante (in quanto fruisce dei beni e servizi locali).

Il comune, inoltre, avrà adeguati margini di manovra, nell’ambito di limiti fissati verso l’alto. Viene cioè preservata la capacità fiscale dei comuni, nel pieno rispetto dell’autonomia finanziaria sancita dalla costituzione. «L’autonomia nella fissazione delle aliquote –
ha detto ancora il ministro dell’Economia – sarà limitata verso l’alto per evitare di accrescere la capacità fiscale e quindi il carico sui contribuenti, applicando aliquote massime complessive».
Una novità, ha aggiunto il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, che semplifica e rende più equa la gestione dei tributi locali e soprattutto concede più poteri ai Comuni «verso un vero federalismo fiscale».
Dal canto loro i sindaci sembrano accogliere con favore le scelte del Governo sul superamento dell’Imu e sull’arrivo della nuova tassa. «Siamo lieti che il presidente del Consiglio abbia autorevolmente confermato che il Governo garantisce ai Comuni la copertura del gettito Imu 2013 prima casa», ha affermato in una nota il presidente dell’Anci Piero Fassino. «Così come apprezziamo, ha aggiunto ancora il presidente dei sindaci, che la service tax sia introdotta a partire dal 2014, potendo così disporre del tempo necessario al miglior decollo di questo nuovo tributo. Si tratta di questioni che l’Associazione nazionale dei comuni aveva ripetutamente sollecitato e che il Governo oggi ha accolto».
Con il decreto legge, infine, viene disposto un ulteriore anticipo di liquidità ai comuni: entro il 5 settembre 2013 il ministero dell’interno erogherà 2,5 miliardi agli enti locali come anticipo su quanto spettante per l’anno in corso a titolo di Fondo di solidarietà comunale. Inoltre la sperimentazione dei nuovi sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli locali si allunga a tre esercizi finanziari e nel complesso vengono riviste le norme del decreto 118 del 2011.

Il SOle 24 ore 29.08.13

“Salvi 6500 esodati. Cassa integrazione, c’è mezzo miliardo”, di Antonio Pitoni

L’ emergenza doveva essere affrontata. Disinnescando la bomba sociale che, tra cassa integrazione in scadenza e lavoratori intrappolati nel limbo degli esodati, rischiava di esplodere tra le mani del governo. E nonostante la coperta decisamente corta a disposizione, alla fine le risorse necessarie sono state trovate. In gran parte con tagli di spesa, per il resto ricorrendo alla leva fiscale sulle imprese operante nel settore dei giochi e delle scommesse. In tutto, 1,2 miliardi rastrellati nelle pieghe del decreto-Imu per la copertura delle misure adottate ieri dal Consiglio dei ministri. A dare un titolo alla giornata ci ha pensato allora il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini: «I più deboli al centro del decreto legge varato dall’esecutivo».

Nel dettaglio, 500 milioni saranno destinati al rifinanziamento della Cig (2,5 miliardi il totale degli stanziamenti nel 2013), altri 700 (spalmati però tra il 2014 e il 2019) daranno respiro agli esodati, quei lavoratori cioè senza più impiego né pensione, prodotto (distorto) della riforma Fornero. Come chiarito dal premier Enrico Letta ne beneficeranno circa 6.500 persone (che andranno ad aggiungersi ai 130mila lavoratori già salvaguardati), per effetto di «una risposta strutturale». Illustrata nei dettagli dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. «Rispetto a quello che avevamo in mente, abbiamo deciso di anticipare la quarta salvaguardia – ha spiegato –. Questo intervento riguarda chi è stato oggetto di una risoluzione unilaterale del rapporto lavorativo tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2011», ovvero chi «sarebbe dovuto andare in pensione tra dicembre 2011 e dicembre 2014». Con un intervento da 700 milioni, ribadisce Giovannini, che vanno a sommarsi alle ulteriori risorse già messe a disposizione dal governo negli ultimi mesi: «Complessivamente 3,7 miliardi sul lavoro per il rilancio dell’economia».

Provvedimenti che incassano il placet bipartisan della maggioranza. «Una soluzione equilibrata dal punto di vista sociale e delle emergenze, il governo ha tenuto conto delle situazioni più difficili», assicura il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, promuovendo le misure su Cig ed esodati. Soddisfatto anche il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta: «Le decisioni del governo pongono le basi per una nuova fase economica, che troverà nella Legge di Stabilità 2014-2016 ulteriori misure virtuose, volte alla crescita e allo sviluppo». Ma a frenare gli entusiasmi di governo e maggioranza arriva, in serata, una nota della Cgil all’insegna della cautela.

«Primi atti, sia pur utili e importanti, ma che lasciano irrisolti i temi della cassa integrazione e degli esodati», fanno sapere da Corso d’Italia. Motivo: «I fondi sono totalmente esigui, servono a coprire solo l’immediata emergenza». Insomma per il sindacato guidato da Susanna Camusso, i nodi della Cig e degli esodati sono ancora tutti sul tavolo, sebbene il governo abbia messo in campo misure «importanti» che, tuttavia, «non possono certo risolvere i nodi di Cig in deroga, mobilità in deroga e solidarietà».

E pure sul fronte degli esodati «i fondi sono scarsi e poco significativi». Se «è positivo che sia stato individuato un criterio, quello dei licenziamenti individuali», d’altra parte «vanno al più presto individuati i criteri per coprire tutte le altre categorie che non hanno trovato soluzione». E anche i dati citati dal presidente del Consiglio, concludono dalla Cgil, dimostrano che l’intervento «copre solo l’emergenza più immediata».

La Stampa 29.08.13

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CRISI, NOVE MILIONI IN FORTE DISAGIO

Nove milioni tra disagiati e sofferenti per motivi legati al lavoro: disoccupati, scoraggiati, cassintegrati, precari e part time involontari. Non si era mai arrivato a tanto dall’inizio della crisi. Solo tra gennaio e marzo tre milioni e 276 mila persone sono andate in giro a caccia di un lavoro. Che non c’è. A certificare la disfatta stavolta è l’associazione Bruno Trentin-Isf-Ires, presieduta dall’ex segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni, che ha elaborato gli ultimi dati Istat disponibili.

35ENNE DONNA MERIDIONALE Il quadro che ne viene fuori è triste come la realt à che rappresenta. Per esempio quella dei nuovi disoccupati, che sono soprattutto ex occupati (in crescita più del venti per cento) ed ex inattivi con alle spalle qualche esperienza di lavoro (aumentati di quasi il dieci per cento). Ma anche la squadra di chi è in cerca del primo impiego è sempre più numerosa (più 16,2). Il tasso di disoccupazione è al 12, 8 per cento (più 1,8 dal primo trimestre 2012), l’identikit del disoccupato tratteggia una persona con almeno 35 anni, le donne crescono leggermente di più degli uomini (13,9 per cento contro 1’11,9). E il tutto si moltiplica man mano che si scende verso Sud, dove il binomio giovani-disoccupazione è legato in cordata verso il baratro. Più in generale, il tasso di disoccupazione giovanile (tra 15 e 24 anni) segna un nuovo record balzando al 41.9 per cento dal 35,9 dei primi tre mesi dell’anno scorso. L’analisi suddivide nove milioni di persone in due macro gruppi: quelli che stanno nell’area della sofferenza, ovvero gli oltre cinque milioni di disoccupati, scoraggiati e cassa integrati, e quelli che rientrano nel disagio, che si contano in quattro milioni e 113mila, tra precari e part time involontari. Ma «questi sono solo i dati principali di una ricerca che evidenzia molti altri aspetti del progressivo deterioramento del mercato del lavoro italiano», fa sapere Fammoni, che oltre alla disoccupazione giovanile e all’emergenza Mezzogiorno, fa riferimento all’aumento della disoccupazione di lunga durata (cioè superiore a 12 mesi, passata in un anno dal 48 al 52 per cento) e al permanere di una alta quota di inattività. Non solo. A questo si aggiunge «il part time involontario (cioè quando non si trova un’occupazione a tempo pieno e si è costretti a lavorare meno, ndr) in costante crescita dal 2007 e l’anomalia di una precarietà non solo subita ma che, contrariamente a quanto si afferma, non porta più occupazione nonostante sia la forma di ingresso al lavoro nettamente prevalente».

INATTIVI E SOFFERENTI Seppur con «dinamiche contrastanti», dalla ricerca Trentin-Isf.Ires emerge come in assoluto i cosiddetti inattivi in età da lavoro (15-64 anni) facciano registrare il settimo calo consecutivo (meno 0,8 per cento). Due le ragioni principali: «l’inasprimento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione – che ha impedito a molti lavoratori relat ivamente anziani (soprattutto lavoratrici) di lasciare l’impiego – e la necessità di integrare il reddito familiare, depauperato dalle difficoltà economiche che ancora attanagliano le famiglie italiane». Mentre il fronte dell’area dell sofferenza è in costante aumento (salvo il primo trimestre 2011) da sei anni. Complessivamente, confrontando i primi trimestri degli ultimi anni, dal 2007 l’aumento è del novanta per cento, equivalente a poco più di due milioni e 380 mila persone. Le ultime 650mila si sono aggiunte nell’ultimo anno. «Dati gravi – conclude Fammoni – confermano la drammaticità del problema e la necessità di intervenire».

L’Unità 29.08.13

“Il nodo irrisolto della destra”, di Michele Prospero

Dopo i giorni del ricatto, che spruzzavano venti di tempesta su un esecutivo malconcio che pareva ormai alla deriva, sono arrivati per la destra i momenti del trionfalismo più smisurato. Falchi e colombe fanno tra loro a gara nel cantare vittoria e nel promettere una più agevole navigazione della legislatura ora che è pervenuto l’annuncio fatidico della abolizione dell’Imu. I provvedimenti varati dal governo diventano quindi l’occasione per il Pdl di un repentino (e alquanto propagandistico) cambio di rotta.
Alle minacce di far saltare tutto in aria, in assenza di segnali chiari sulla sorte di Berlusconi, seguono gesti di euforica esultanza, che paiono però degni di miglior causa. Il positivo compromesso, raggiunto a fatica nel consiglio dei ministri di ieri, non autorizza la destra a mettere delle bandierine di propaganda su misure molto attese, che si tramutano maldestramente in un simbolo partigiano da vendere nel marketing politico.

L’Italia continua ad essere una polveriera sociale (circa dieci milioni di persone sperimentano il cupo male di vivere indotto dalla disoccupazione, dalla precarietà, dalla incertezza) e i consumi al dettaglio subiscono un ulteriore e devastante crollo. Dinanzi a questa crisi sociale persistente, che si intreccia con la crisi radicale del sistema politico, il governo deve definire il suo percorso programmatico e impegnarsi a realizzarlo nel tempo che ancora lo separa dal voto.

La funzione essenziale del governo di servizio, imposto dalle circostanze, e non sorretto da un patto politico e programmatico esplicito, è quella di arginare la crisi sociale con delle misure condivise e con degli atti non rinviabili dinanzi alle emergenze esplosive. Per questo suo ruolo con- tingente, il governo è chiamato a delinea- re, in una prospettiva appunto emergenziale, dei provvedimenti immediati, utili nel fronteggiare almeno le situazioni sociali più drammatiche (cassa integrazione, esodati, precari della pubblica amministrazione, fuga talvolta rocambolesca delle fabbriche all’estero).

Oltre a questa preoccupazione che suggerisce di tamponare le emergenze nuove o ereditate, il governo deve predisporre anche delle efficaci politiche selettive (misure per la crescita, per il recupero della competitività delle imprese) che incidano nelle strutture economiche fiaccate dal ventennio della decrescita e quindi intercettino la ripresa, che in altri Paesi europei è già annunciata. Ma la ripresa, la ricostruzione del tessuto produttivo, l’innovazione nelle politiche industriali resteranno delle prospettive del tutto aleatorie senza la ridefinizione di un moderno sistema politico.

E qui il principale scoglio continua ad essere rappresentato dalla sempre scottante questione Berlusconi. Un partito privato si rivela in ogni momento della vita pubblica un ostacolo formidabile alla possibilità di stringere un compromesso programmatico con l’avversario per gestire un tempo circoscritto della vita nazionale.

Al comprensibile spirito di compromesso necessario per la convivenza a tempo tra partiti del tutto diversi, che rimanda- no a classi sociali differenti e quindi richiedono politiche pubbliche eterogenee, si oppone la perversa incursione delle vicende private del leader della destra. Con le sue questioni private, Berlusconi è un ci- clone incontenibile che con le richieste indecenti stravolge ogni lavoro di limatura programmatica indispensabile per tracciare la missione di un governo sorretto da una strana maggioranza.

La rimozione dell’ostacolo Berlusconi è una condizione irrinunciabile per l’uscita dalla crisi e per il superamento dell’emergenza democratica che si prolunga da un ventennio. Se la destra non approfitta del tempo di tregua, coperto da un governo di servizio, per risolvere le sue anomalie storiche divenute ormai anacronistiche, la crisi democratica rimane ancora aperta e una comune distruzione potrebbe coinvolgere tutti gli attori politici.

Tra la stabilità politica, condizione certo indispensabile per placare le emergenze sociali e per avviare la ripresa economica, e il deviante fattore Berlusconi si apre una contraddizione insanabile. Se non si perviene alla risoluzione politica della vicenda Berlusconi (e quindi finalmente al- la costruzione di una destra politica retta secondo canoni non più patrimonialistici), la funzionalità dell’esecutivo rimane incerta, sottoposta a ricatti, condizionamenti, paralizzanti rinvii.

La stabilità, che è una ineliminabile con- dizione per la crescita ed è per questo invocata da tutte le cancellerie europee che ancora temono il possibile contagio italiano, ha un nemico esplicito. Si chiama Berlusconi.

Se le sue esigenze private definiscono l’agenda politica della destra, è evidente che questa intromissione travolgerà le prospettive di un governo che pure avrebbe un ruolo cruciale da giocare. La risoluzione della grave crisi economico-sociale non può essere disgiunta dalla cura del malessere del sistema politico. E per questo il superamento del partito persona- le-privato è una necessità anche per la cura delle emergenze economiche.

L’Unità 29.08.13

“Se la Costituzione viene dimenticata”, di Gianluigi Pellegrino

Il maggior danno che si sta facendo al Paese è quello di dare per plausibile ciò che pacificamente non lo è. Plausibile che un Parlamento violi smaccatamente un norma anticorruzione che ha appena approvato. Plausibile chiedere al capo dello Stato di abbuonare la pena ad un conclamato evasore fiscale, plurinquisito e pluricodannato in vari gradi di giudizio. E questo perché è «un leader politico al quale assicurare agibilità», costituzionalizzando cosi il principio che fare politica garantirebbe uno statuto legale privilegiato, una minore soggezione alla legge. E dimenticando che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale (art. 87 della Costituzione) e non può certo mettere i suoi poteri a servizio della pretesa di una parte politica che abbia pure il dieci, il venti o il trenta per cento dei voti.
I pareri affannosamente depositati ieri dalla difesa di Berlusconi in realtà già nel loro affastellarsi e nello sforzo comprensibilmente titanico dei redattori, finiscono con il dar conto di come davvero non vi sia nessuno spazio per il Senato, di non dichiarare la dovuta decadenza dal seggio di Silvio Berlusconi. Decadenza che peraltro è destinata a conseguire anche in via automatica non appena si sarà perfezionata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, rinviata dalla Cassazione con qualche generosità per l’imputato (che nessuno però sottolinea). E se è comprensibile che dalla parte del Cavaliere tutti si impegnino nel disperato tentativo, gli altri dovrebbero fare più attenzione prima di essere costretti a smentire e rettificare, a non cadere in trappole di strumentalizzazione buone sole a sbandare ulteriormente il grande pubblico dei non addetti ai
lavori. Perché non ha nessun senso dire che in astratto la giunta delle elezioni potrebbe rimettere la questione alla Consulta, se allo stesso tempo non si dice dove sarebbe questa pretesa incostituzionalità della legge che per semplicità chiamiamo Severino ma che in realtà l’intero Parlamento a larghissima maggioranza e lo stesso Pdl hanno confezionato e approvato pochi mesi addietro e ora si pretende di non applicare ad personam.
Sul punto i pareri prodotti da Berlusconi cercano di allegare una violazione dell’articolo 66 della Carta che attribuisce alla Camera di appartenenza l’accertamento della sussistenza della causa di decadenza. Ma basta leggere il precedente articolo 65 per trovarvi la disposizione che è «la legge» che «determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato e senatore ». Sicché la norma del 2012 altro non ha fatto che applicare la Costituzione che è l’opposto di violarla. E ha poi puntualmente rimesso alla giunta di accertare che in effetti la causa di decadenza si sia verificata come avviene per tutte le altre cause di incompatibilità. Dove sia quindi l’incostituzionalità risulta davvero misterioso.
Il secondo affannato argomento è quello della cosiddetta retroattività. Ma di retroattivo non c’è un bel niente atteso che la decadenza opererà in avanti, non certo indietro, e l’ordinamento, sol che venga rispettato, è ricco di norme che a tutela dell’interesse pubblico prevedono preclusioni per i soggetti condannati. Un esempio per tutti la disciplina in tema di pubblici appalti che nessuno
si è mai sognato di applicare a corrente alternata in base a quando furono compiuti i delitti. Ciò che in realtà viene evocato dai pidiellini è la pretesa applicazione del favor rei, senza però citarlo per non ricordare che di un reo accertato si sta parlando e perché è noto che quel principio riguarda le pene, non certo le misure di salvaguardia istituzionale: nel caso a tutela del Parlamento e dell’interesse pubblico alla sua composizione.
Così crollata anche la seconda questione un giudice che sollevasse una inesistente eccezione di costituzionalità al solo fine di prendere tempo meriterebbe per questo un procedimento disciplinare. Lo facesse il Parlamento calpestando clamorosamente le sue stesse leggi, se ne imporrebbe lo scioglimento come per l’ultimo Consiglio comunale.
Il punto allora non è come finirà una vicenda dall’esito costituzionalmente dovuto; ma quanto sia ancora tollerabile questo dare tutto per plausibile, l’abbandono di ogni fermezza morale, il ritenere tutto negoziabile. Con la dialettica democratica strozzata dalle larghe intese, e con le istituzioni di garanzia assediate e costrette ad affermare elementari ma fondanti valori di una democrazia costituzionale, come «la legge uguale per tutti». È questa deriva di etica civica il colpo di coda di un ventennio che l’ha prosciugata e svilita; e che se non interrompiamo con un sussulto inequivoco, rischiamo di pagare tanto, anche molto più di un benvenuto risparmio di una rata di Imu.

La Repubblica 29.08.13

“Un altro sparo nel buio”, di Rocco Cangelosi

I venti di guerra sono tornati a soffiare violentemente verso la Siria. Il discorso del segretario di Stato americano John Kerry, pronunciato ieri, aveva tutta l’aria di un ultimatum e sembrava preannunciare una decisione già presa. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nel giro di 48 procederanno probabilmente ad attaccare la Siria. Ma se l’intervento militare è ormai scontato, non si riescono a comprendere le finalità e le modalità dell’attacco.

Secondo le ultime informazioni si procederebbe con bombardamenti dall’aria e dal mare, utilizzando droni e missili, nell’intento di creare una no fly zone come avvenne con l’Iraq di Saddam Hussein. Ma è proprio il precedente dell’Iraq che desta le maggiori perplessità sia per quanto riguarda la solidità delle prove esibite o ancora da esibire sull’uso da parte dell’esercito siriano di armi chimiche, sia per quanto riguarda gli obiettivi che si intenderebbero perseguire nei confronti del regime di Damasco, facendo ricorso alla forza.

Ancora una volta la politica medio orientale americana, apparsa inconsistente e contraddittoria di fronte ai recenti avvenimenti in Egitto, sembra destinata a finire in un vicolo cieco. La decisione di intervenire al di fuori di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, come fu fatto per il Kossovo, appare estremamente pericoloso per la stabilità di tutta la regione. Le opzioni militari al buio hanno avuto sempre effetti devastanti, come è avvenuto in Iraq, in Afghanistan e più recentemente in Libia.

Peraltro il quadro diplomatico si presenta tuttora fluido e confuso. In prima linea con Obama si è schierato Cameron, confermando la Gran Bretagna come il migliore compagno di ventura degli Stati Uniti nelle imprese militari. Sul fronte interventista si muove anche il primo ministro turco Erdogan, interessato a accrescere l’influenza di Ankara sulla Siria e soprattutto preoccupato di tenere sotto controllo i curdi siriani e prevenire eventuali movimenti indipendentisti. Hollande, da parte sua, rivendicando il ruolo di primo piano storicamente svolto dalla Francia in Siria, si è dichiarato pronto a intervenire. Ancora titubante l’atteggiamento tedesco, in considerazione anche delle elezioni ormai imminenti, ma non è escluso che Angela Merkel decida in qualche modo di partecipare senza impegnare direttamente uomini e mezzi,

Quanto all’Italia, il ministro degli Esteri Bonino lascia intendere che il nostro Paese non interverrebbe senza una copertura dell’Onu, ma la decisione definitiva sarà assunta oggi dal Consiglio supremo di sicurezza e difesa. Sul fronte mediorientale sono pronti a dare il loro sostegno l’Arabia saudita ed alcuni Paesi del Golfo.

Ma a questo possibile schieramento si oppone decisamente la Russia di Putin e la Cina che difficilmente consentirebbero un intervento con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Molto prudente appare la posizione iraniana, che propende per la ricerca di una soluzione diplomatica. Ma, nonostante gli inviti alla prudenza provenienti da più parti e gli appelli al negoziato del segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, l’attacco non sembra più rinviabile. Le parole di John Kerry sono state molto eloquenti: con l’uso delle armi chimiche (comprovato dalle ispezioni, secondo gli Usa), Damasco ha superato la red line fissata dall’amministrazione americana. Eppure sono passati solo pochi mesi dal G8 tenutosi in Irlanda del nord nel giugno scorso. In quell’occasione, dopo un aspro confronto tra Obama e Putin sulla sorte da riservare a Bashar Assad, era stata lanciata la proposta di convocare una conferenza internazionale – Ginevra 2 – mirante alla pacificazione della Siria con la partecipazione delle maggiori potenze regionali interessate, ivi compreso l’Iran e aperta alle forze rappresentative dei ribelli. In pochi mesi tutto questo è stato dimenticato e si profila all’orizzonte un intervento militare, che qualche autorevole commentatore ha definito uno sparo nel buio.

Lo scenario di guerra in Siria ha peraltro fatto scomparire dai radar dell’informazione la situazione egiziana, togliendo dall’imbarazzo gli Usa e gli alleati europei sulla linea da seguire nei confronti del golpe dei militari guidati dal generale Al Sissi. Un eventuale intervento in Siria, tanto più senza la copertura Onu, potrebbe aprire un pericoloso confronto russo-americano. Per i russi il porto di Tartous è l’unica base mediterranea disponibile e difficilmente potrebbero rinunciarvi. Il loro appoggio al regime di Assad potrebbe divenire più assertivo e incondizionato, come potrebbe essere ridimensionato l’appoggio ai ribelli da parte dell’Arabia saudita e dei Paesi del Golfo, preoccupati delle reazioni di Hamas e dei movimenti Jihadisti.

La situazione medio orientale si va complicando: in Egitto, in Tunisia, in Libano, in Libia prevale l’instabilità politica e sociale. Il confronto politico religioso tra sunniti e sciiti e tra le diverse fazioni all’interno dei due gruppi, diviene sempre più teso e incontrollabile. In questa situazione è difficile comprendere a cosa servirebbe un intervento militare se non a provocare una deflagrazione di violenza in tutta l’area con un accresciuto rischio per i Paesi europei. La minaccia della forza dovrebbe essere utilizzata per portare i contendenti al tavolo della pace e dovrebbe essere soprattutto l’Europa a svolgere questo ruolo.

L’Unità 28.08.13