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"Se un viaggiatore finlandese in una calda giornata di giugno. A proposito di “maturità” e prima prova", di Antonio Valentino

Resto sempre e sinceramente affascinato dai temi che propongono ogni anno agli esami di stato. Esami che giornali e televisione si ostinano a chiamare “maturità”, come se non ci fosse stata una legge, più di 15 anni fa (n. 425/’97), che ne cambiava i connotati prevedendo modalità e accertamenti più puntuali e rigorosi (vi si parla per la prima volta nientemeno che di certificazione delle competenze; che decolla però – ovviamente a parole1 – solo più di un decennio dopo). Il cambiamento di pelle del ’97 stava a significare che l’esame non doveva avere alcuna pretesa di verificare e valutare la “maturità”, ma solo la preparazione del candidato, in termini di obiettivi formativi raggiunti a seguito di azioni didattiche effettivamente e intenzionalmente messe in campo dalla scuola. Di queste – nella normativa vigente – si prevede dia conto il Documento di classe che si elabora entro il 15 maggio e che riporta “i contenuti, i metodi e i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formatiuvo, i criteri e gli strumenti di valutazione, gli obiettivi raggiunti, nonche ogni altro elemento che i CdC ritrengano significativo ai fini dello svolgimento degli esami”. La prima prova scritta, come si legge nella normativa di riferimento, “è intesa ad accertare la padronanza della lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato…” (dm n. 41/2003). Come si vede, una cosa “concreta”, che è tutta dentro il senso e le finalità della nostra scuola e dei suoi percorsi reali Cosa propongono le tracce della prima prova? Proviamo a ripercorrele: con il brano di Claudio Magris (bellissimo, come, d’altra parte, tutti quelli scelti dalla commissione ministeriale), si richiedono spunti di riflessione sul viaggio, le frontiere e il confronto con la diversità; che costituiscono, verosimilmente (come conferma l’”indice di preferenza” delle tracce espresso dai candidato e riportato nel comunicato dal Mnistero) un sfida difficile, ma non impossibile per lo studente “medio”; ma, già con i saggi brevi, il terreno comincia a diventare accidentato, ma soprattutto “incognito”, come si dice: si propongono infatti temi – non solo particolarmente ardui, ma soprattutto estranei ai nostri “normali” percorsi scolastici – come il rapporto tra individuo e società di massa oppure il rapporto tra stato e mercato e democrazia o anche le connessioni tra gli omicidi politici del ‘900. Con la traccia scientifica, poi, si veleggia addirittura sulle prospettive aperte dall’avanzamento degli studi sul cervello. Mentre, con la traccia sui cosiddetti BRICS (sigla che sta ad indicare i paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia , India, Cina, Sudafrica…), si approda nientemeno che sui vasti e complicatissimi terreni della geopolitica. Per non parlare di quella scientifico-filosofica, affidata alle parole di Capra, con la quale si plana persino su tematica della vita come manifestazione di cooperazione e creatività anche sul piano strettamente biologico. Che dire di fronte a tanta erudizione e sapienza tematica? Ammirazione sincera, non c’è dubbio. Mi chiedo però cosa c’entrino queste tracce con esami di stato che non vogliono più essere – e da tempo – riti di generica e astratta/indefinita “maturità”. La domanda è: le competenze espressive e logico – critiche possono essere accertate proponendo problematiche, suggestive finché su vuole, ma lontane dai curricoli scolastici dei nostri studenti? E poi: può valere, in questo caso, il riferimento alla nozione di competenza come capacità di trasferire ad altri campi abilità e attitudini maturati attraverso le discipline di insegnamento? Quale “maturità” dello studente si intende saggiare? Detta in termini un po’ provocatori – ma non tanto – si ha l’impressione che, con scelte contenutistiche come quelle proposte, si voglia far finta di ignorare che le tematiche della prova – che pure dovrebbero entrare con esplicita e forte intenzionalità nell’esperienza scolastica dello studente, lasciando segni certificabili – hanno a che fare, solo molto accidentalmente e raramente, con gli effettivi “programmi” scolastici (perché, in effetti, siamo ancora lì); che percorsi di educazione alla riflessività, al pensiero rigorosamente critico, al pensiero trasversale e alla conoscenza di sé e del mondo che ci circonda (in altri termini, gli ingredienti di una idea moderna di cittadinanza, che pure ritroviamo nelle Raccomandazioni dell’Unione Europea e anche nella nostra più recente legislazione scolastica), che si danno per scontati in queste tracce, sono invece ben lontani da una pratica didattica diffusa, “normale” per le nostre scuole. Con queste tematiche si potrebbe fare, al limite, bella figura con un cittadino finlandese che capitasse in Italia in questo periodo e che, letti i testi della prova, sarebbe indotto ad esprimere ammirazione per il nostro sistema di istruzione, ignorando quello che effettivamente si insegna nelle nostre scuole. Ma niente di più di queste attestazioni ipotetiche. Perché allora ci si ostina in una prova siffatta? Squilibrata rispetto alla prassi comune e squilibrante per il povero candidato? Stiamo pagando ancora pegno, con riti di questo tipo, ad una cultura gentiliana che ha fatto il suo tempo? Mah. Comunque penso che bisognerebbe cominciare ad uscirne, come da più parti si auspica da diversi anni ormai. Come? Occorrerebe, probabilmente, in primo luogo, sviluppare consapevolezza diffusa, partendo da considerazioni critiche sulle tracce degli ultimi anni, che uno: chiedere agli studenti (non a quelli “fuori norma”, che sono bravi di loro o per grazia ricevuta) arrampicature sui vetri o esercizi di scrittura pseudo-creativa o finto-riflessiva, non è il massimo per una istituzione che vuole essere coerente e trasparente nelle sue finalità educative; due: prendere coscienza – come sistema – delle proprie criticità (e questo tipo di prova lo è certamente), attraverso il confronto tra risultati effettivi e risultati attesi, è condizione essenziale per la ricerca di altre vie più efficaci e credibili di accertamento e certificazione. Questo sulla prima prova. Ma discorsi altrettanto critici andrebbero fatti sulle altre prove scritte e orali. La neo-ministra, parlando della necessità di rivedere articolazione e senso degli ultimi due anni del secondo ciclo – e quindi della finalità degli esami in un’ottica orientativa -, sembra se ne sia accorta. Proviamo a sperarci. 1 I diplomi allegati al dm 26/2009 sono rilasciati ai candidati che hanno superato l’esame non contengono nessuna certificazione delle competenze ma solo il punteggio complessivo delle perove d’esame e i crediti acquisiti. Si prevedono, in calce al punteggio, eventuali “uleteriori specificazioni valutative della commissione con riferimento anche a prove sostenute con esito particolarmente positivo

da ScuolaOggi 21.06.13

"Il cinismo del guru", di Claudio Sardo

Beppe Grillo insulta l’Unità e si augura la nostra scomparsa perchè ieri abbiamo scritto la verità sul vergognoso ostruzionismo del gruppo Cinque stelle, che ha rischiato di far cadere importanti norme e finanziamenti a favore delle popolazioni colpite dai terremoti di Emilia e Abruzzo. Non creda Grillo di intimidirci con la violenza verbale del suo blog: l’Unità ha 90 anni, ha combattuto il fascismo, ha attraversato le stagioni più difficili della democrazia, ha contrastato Berlusconi che pure, come Grillo, voleva metterci il bavaglio.

Tuttavia capisco che la nostra idea di democrazia – che non si propone di cancellare le posizioni e gli interessi diversi dai nostri, che non disprezza il compromesso politico ma tenta di orientarlo al bene comune – non coincide con quella di chi, come Grillo, bolla col marchio d’infamia ed espelle dal proprio movimento quanti osano dire che il Capo ha sbagliato.

Il suo disprezzo per l’Unità e per la storia della sinistra sono noti: ma non sarà un untorello a spaventarci. Anche perché molti di coloro, che hanno votato e sperato nel Movimento Cinque stelle come vettore di cambiamento in questa drammatica crisi di sistema, si stanno accorgendo che da quelle parti c’è più autoritarismo che partecipazione, più tatticismo che sincerità, e che alla fine l’elemento proprietario prevale su tutto. O si serve Grillo o si viene cacciati. Altro che rinnovamento. Se Grillo avesse voluto, avrebbe potuto consentire un governo sen- za Berlusconi. Invece ha voluto Berlusconi al governo, perché pensava così di lucrare sulla paralisi politica. Ha giocato sporco, come gli speculatori che guadagnano soldi quando crollano le borse e i risparmiatori vengono derubati. Ma lo hanno scoperto. Per questo è stato abbandonato da tanti suoi elettori, disgustati dopo soli tre mesi: volevano che contribuisse a migliorare le cose, invece pretende il 100% (come i dittatori) e fino ad allora dichiara che lavorerà per la distruzione di tutto.

Il caso dell’ostruzionismo sul decreto-emergenze è emblematico. Il decreto vale più di un miliardo: riguarda le aree industriali di Piombino e Trieste, alcuni interventi d’urgenza nelle Regioni del Sud, e soprattutto le zone colpite del terremoto. Probabilmente Grillo ha deciso di forzare – mettendo in conto che potessero saltare la dilazione dei pagamenti di alcuni tributi fiscali in Emilia e Abruzzo, le semplificazioni amministrative previste sempre in quelle aree, e soprattutto quella deroga al Patto di stabilità interno, che consente ai Comuni colpiti dal terremoto di riavviare comunque una serie di appalti altrimenti bloccati – proprio per coprire l’indecenza delle espulsioni dei dissidenti interni. Meglio ingaggiare una ris- sa su altri temi che spiegare perché il M5S, a giudizio del Capo, deve essere una setta e non un movimento politico.

Il problema è che non potrà mai giustificare il cinismo di aver usato strumentalmente un decreto, di cui le popolazioni del terremoto hanno assoluto bisogno. Certo, l’Emilia e l’Abruzzo chiedono più di questo decreto. Il presidente Errani ha spiegato ieri che, dopo il primo passo, il governo dovrà varare al più presto altre norme di semplificazione e consentire il rinvio dei rimborsi assicurativi. Ma le conseguenze di una bocciatura del decreto sarebbero state drammatiche. Per questo Grillo tenta di nascondersi dietro la cortina fumogena degli insulti: anche se, a onor del vero, va detto che diversi suoi deputati hanno dissentito da questa cinica tattica. Nel suo gruppo parlamentare non manca chi si muove con onestà di intenti.

Ma ecco come sono andati i fatti, come si sono svolte le trattative tra i Cinque stelle, la maggioranza e il governo. In un primo momento, i grillini hanno proposto alcuni emendamenti al decreto: il relatore e il capogruppo Pd, condividendoli in parte, si sono presi l’impegno di inserirli in un nuovo ddl o in una legge di conversione. Hanno chiesto però al M5S di non bloccare il decreto, vista l’imminente scadenza dei 60 giorni. Forse sorpresi dal fatto che il Pd avesse dato loro ragione, i grillini hanno però cambiato linea: dal merito la richiesta si è spostata sul metodo. Siccome il decreto, nel passaggio al Senato, era stato appesantito di varie norme, i Cinque stelle hanno chiesto che fosse riportato alla struttura originaria. Una richiesta giusta, in linea di principio: i decreti non sono un treno a cui agganciare sempre nuovi vagoni. Il problema è che incombeva la mannaia della decadenza, perché il Senato avrebbe dovuto riesaminare daccapo il nuovo testo. Il governo si è detto contrario, ma il capogruppo Pd Speranza si è preso la responsabilità di dire sì alla proposta grillina e ha concordato con il Senato un nuovo, rapido passaggio per martedì prossimo.

A questo punto il gruppo M5S, a sorpresa, ha cambiato di nuovo linea: dal metodo si è tornati al merito, cioè alla richiesta di due ulteriori emendamenti (tra i quali la soppressione delle compensazione per alcuni Comuni interessati alla Tav). A questo punto, il giochetto è stato chiaro a tutti. Non è certo un successo che il governo abbia posto la fiducia. È questa una prassi da evitare il più possibile. Ma è bene che lo sgambetto di Grillo ai danni dei terremotati e dei lavoratori delle acciaierie di Piombino sia fallito.

P.S. Grillo nel suo blog porta come esempio dell’impegno a favore dei terremotati i 350mila euro, da poco donati al Comune di Mirandola. Quel gesto fa onore di Grillo (anche se ammetterà che non è stato elegante rendere pubblica la donazione alla vigilia delle amministrative). Nella gara della solidarietà, tuttavia, più concorrenti ci sono, meglio è per tutti. Il nostro giornale ha contributo sin dal primo giorno alla sottoscrizione organizzata dal Pd. Con i circoli Pd, le feste de l’Unità, le donazioni individuali sono stati raccolti e indirizzati a progetti di solidarietà e di ricostruzione oltre 1 milione e 200mila euro. Nessuno deve vantarsi. Bisogna continuare ancora con le feste de l’Unità di questa estate.

L’Unità 21.06.13

Muzzarelli: va assicurato in diniego definitvo, pratica chiusa con il sisma

”Chiediamo di assicurare una decisione definitiva di diniego e l’archiviazione di una pratica che, con il terremoto, e’ stata chiusa”. Si conclude cosi’ la lettera che l’assessore regionale alle Attivita’ produttive Giancarlo Muzzarelli ha inviato ai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, Flavio Zanonato e Andrea Orlando, dopo la presentazione al Tar dell’Emilia-Romagna di un ricorso ”per motivi aggiuntivi” da parte della societa’ Erg Rivara Storage, che gia’ si era vista rigettare una prima istanza presentata per il rilascio della concessione di stoccaggio relativa ad un sito sotterraneo di gas naturale a Rivara, nella Bassa pianura modenese. ”Agli inizi di giugno”, scrive l’assessore Muzzarelli, abbiamo appreso con interesse dai mezzi stampa che il Governo ”in una risposta ad una interrogazione parlamentare, volta a chiarire la situazione del procedimento di stoccaggio ‘Rivara’, ha considerato tale procedimento definitivamente chiuso”. In particolare ”il Ministero dell’Ambiente, non solo ha ribadito che il Ministero dello Sviluppo economico, a marzo di quest’anno, ha rigettato definitivamente la richiesta del rilascio della concessione che la societa’ Erg Rivara Storage aveva presentato nel lontano luglio 2002, ma ha chiarito anche che il procedimento di Via e’ da considerarsi ormai definitivamente decaduto, o meglio, come si esprime lo stesso Ministero ‘caducato”’. La Regione, confermando tutto l’impegno e le procedure per chiudere la vicenda, invita quindi il Governo a ”proseguire le azioni legali per evitare in assoluto l’autorizzazione dell’impianto” e anche ad assumere un”’esplicita e formale decisione negativa in merito al procedimento di Via sullo stoccaggio di Rivara”.

Ansa 21.06.13

Dl emergenze, accolti due ordini del giorno dei deputati Pd

Impegnano Governo su fiscalità di vantaggio e detassazione degli indennizzi assicurativi. Il Governo ha accolto due ordini del giorno presentati dai deputati modenesi del Pd che lo impegnano a introdurre la fiscalità di vantaggio per le microimprese e i lavoratori autonomi e a risolvere per via interpretativa la detassazione degli indennizzi assicurativi. “Due risultati importanti per chi vive e lavora nella zona del cratere sismico – commentano i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini e Matteo Richetti che avevano presentato i due odg – Di segno opposto l’atteggiamento del M5S che ha affrontato questi giorni di discussione alla Camera con un approccio del tutto demagogico”.

La Camera dei deputati ha votato la fiducia al Governo Letta sul cosiddetto dl emergenze, il provvedimento che se non convertito in legge entro il 25 giugno avrebbe comportato la perdita secca di misure chieste a gran voce da chi vive e lavora nell’area colpita dal sisma. In Senato, infatti, erano stati accolti emendamenti fondamentali quali la proroga del pagamento dei tributi, l’allentamento del patto di stabilità per i Comuni e la detassazione dei contributi. A questi importanti risultati, se ne aggiungono altri ottenuti oggi alla Camera. Il Governo ha, infatti, accolto due ordini del giorno presentati dai deputati modenesi del Pd che impegnano l’Esecutivo, da una parte, a risolvere in via interpretativa (e quindi senza necessità di approvare una nuova norma, poiché la materia è stata disciplinata già nel decreto 74 del 2012) la defiscalizzazione degli indennizzi assicurativi e, dall’altra, ad adottare una fiscalità di vantaggio in favore delle microimprese e dei lavoratori autonomi che operano nei comuni più colpiti dal sisma del 2012, in analogia a quanto previsto per L’Aquila. Due risultati che premiano l’impegno dei parlamentari modenesi, con il fattivo sostegno di tutti i colleghi emiliani e dell’intero gruppo Pd, un impegno improntato alla condivisione degli obiettivi e all’ascolto delle istanze dei cittadini e delle imprese. “Di segno opposto ci pare invece – dicono i deputati Baruffi, Galli, Ghizzoni, Patriarca, Pini e Richetti – l’atteggiamento del M5S, che ha affrontato questi giorni di discussione alla Camera con approccio demagogico, facendo prevalere le ragioni della propaganda su quelle dei risultati concreti. Stupisce, ad esempio, il contenuto dell’ordine del giorno, ovviamente respinto, con il quale il M5S voleva impegnare il Governo a consentire una ricostruzione senza vincoli, limiti di superficie e metratura, mentre il giorno prima facevano ostruzione per cancellare la norma inserita dal Senato che si limita a consentire l’ampliamento del 20% di cubatura per le aziende da ricostruire. Alla faccia della coerenza: non capiamo perché il nostro 20% sia stato denunciato come cementificazione selvaggia, mentre la loro deregolazione totale sarebbe un omaggio alla tutela del territorio. Resta un fatto innegabile – concludono i deputati modenesi del Pd – rimangono tante cose da fare per la ricostruzione e diverse risposte sono contenute proprio in questo provvedimento, che l’ostruzionismo del M5S rischiava di far saltare”.

"Violenza sulle donne Il 30 per cento colpite da compagni o ex", di Anna Meldolesi

La violenza contro le donne è un’emergenza globale. Lo dice una ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità su abusi sessuali e costi sociali.
Vittime. I dati si basano sull’analisi di 141 ricerche compiute in 81 Paesi e comprendono costi economici e sociali. Indicano che il 35% delle donne è costretto a subire forme di violenza. La più comune è perpetrata da mariti, fidanzati o ex compagni. Ne risulta vittima il 30% delle donne.
Lavoro. La Banca d’Italia ha diffuso intanto uno studio sulla condizione femminile con particolare riguardo al mercato del lavoro: i cambiamenti ci sono, ma sono ancora pochi e lenti.

Dati affidabili non ce n’erano, ora ci sono, e dicono che la violenza contro le donne è una questione strutturale globale. «Un problema sanitario di dimensioni epidemiche», lo ha definito ieri il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan, presentando il più grande studio mai fatto sugli abusi fisici e sessuali subiti dalle donne in tutte le regioni del pianeta.
Questi i dati più impressionanti emersi dall’analisi di 141 ricerche effettuate in 81 Paesi. Il 35% delle donne subisce nel corso della vita qualche forma di violenza. La più comune è quella perpetrata da mariti e fidanzati. A esserne vittime sono ben il 30% delle donne. E ancora: il 38% di tutte le donne uccise muore per mano del partner, certifica l’Oms che per l’occasione ha lavorato insieme alla London School of Hygiene & Tropical Medicine di Londra e al South African Medical Research Council. Il 42% di coloro che hanno subito violenze fisiche o sessuali da uomini con cui avevano avuto una relazione intima ha riportato danni alla salute. Sono tante, troppe per pensare che siano diverse da noi, queste madri, sorelle, figlie, lavoratrici. Troppe anche per pensare che il problema riguardi i singoli anziché la politica, le istituzioni, la collettività.
Quello che non sappiamo è come il fenomeno stia evolvendo nel corso del tempo: «È la prima volta che i dati sono compilati in modo rigoroso e sistematico, perciò non abbiamo termini di paragone. Il rapporto mostra che i livelli di violenza sono molto alti ovunque. Dobbiamo concentrarci sulla prevenzione e sulle risposte da dare su scala internazionale, nazionale, locale», ha detto al «Corriere della Sera» Jenny Orton, dell’istituto londinese.
Appena la scorsa settimana la rivista medica «Lancet» aveva pubblicato uno studio firmato da un’altra partnership internazionale, secondo cui una donna su sei tra coloro che si fanno curare per delle fratture ha subito violenze domestiche nell’ultimo anno. A quasi nessuna di queste 3.000 donne, prima di allora, un medico aveva mai fatto domande su eventuali abusi subiti dal partner. Questa situazione deve cambiare, ha ammonito l’Oms, presentando apposite linee guida per gli operatori sanitari. L’impatto degli abusi sulla salute, aggiunge l’organizzazione di Ginevra, comprende anche depressione e alcolismo, che sono due volte più probabili in chi ha subito violenze dal partner. Le infezioni sessualmente trasmissibili sono una volta e mezzo più probabili. Il ricorso all’aborto due volte maggiore, mentre i bambini che vengono fatti nascere sono meno sani.
Non vengono rilasciati dati scorporati, divisi per singoli Paesi, ci conferma una delle studiose coinvolte, ma la classifica delle violenze domestiche è guidata da Asia sudorientale, Paesi arabi del Mediterraneo e Africa, tutti con percentuali intorno al 37%. In Europa va meglio, ma non abbastanza: oltre 25 donne su cento sono abusate fisicamente o sessualmente dai partner.
Le sofferenze non hanno prezzo, ma se si potesse conteggiare il danno economico annuale della violenza domestica globale sarebbe enorme, considerato che Inghilterra e Galles da sole stimano un costo di 15 miliardi di sterline. I dati non sono ancora esaustivi, il quadro delle variazioni regionali comunque identifica almeno in parte le radici del fenomeno e suggerisce le contromisure. Proteggere i bambini dalle violenze aiuta a farne degli adulti migliori. L’istruzione femminile secondaria è correlata a una maggior sicurezza. Quanto al lavoro femminile retribuito, l’influenza dipende dal contesto geoculturale, spiegano su «Science» i ricercatori che hanno lavorato con e per l’Oms. Nell’immediato una donna che inizia a lavorare può essere più a rischio, soprattutto se ha un partner disoccupato, che si sente minacciato dalla sua indipendenza. Nel lungo periodo però l’emancipazione è benefica.
Oltre ad aiutare le vittime, c’è un grande lavoro di educazione e sensibilizzazione da fare, che passa anche per le riforme del diritto familiare e la lotta a tutte le disparità di genere. L’obiettivo è rendere le violenze sulle donne sempre meno accettabili socialmente. Un dato infatti è chiaro: anche al netto del grado di sviluppo economico dei Paesi, gli abusi fisici e sessuali sono più diffusi là dove, per affermare l’autorità maschile all’interno della coppia, le norme culturali tendono a giustificare il ricorso alla forza.

Il Corriere della Sera 21.06.13

"Se la vera priorità è la disoccupazione", di Paul Krugman

La settimana scorsa il Fondo monetario internazionale, che di solito ha il ruolo di intransigente disciplinatore di governi spendaccioni, ha dato agli Stati Uniti un consiglio alquanto insolito. “Tiratevi su!” ha detto il Fondo. “Godetevi la vita! Cogliete l’attimo!”. È vero, i dirigenti del Fmi non hanno utilizzato esattamente queste espressioni, ma ci sono andati abbastanza vicini, con un articolo pubblicato sulla rivista “IMF Survey” intitolato “Ease Off Spending Cuts to Boost U. S. Recovery” (Allentate un po’ i tagli alla spesa per dare un forte slancio alla ripresa degli Usa). Nella sua comunicazione più formale, in sostanza il Fondo afferma che la confisca e altre forme di contrazione fiscale taglieranno il tasso di crescita statunitense di quest’anno quasi della metà, compromettendo quella che diversamente potrebbe essere una ripresa abbastanza vigorosa. Per di più, questi tagli alla spesa sono poco ragionevoli e poco efficaci.
Purtroppo, da quanto sembra il Fondo non è riuscito a farla finita una volta per tutte con il principio dell’austerità, considerato una sorta di contrassegno
di serietà nel mondo politico. Pur esortandoci a tenerci deficit più alti per il momento, Christine Lagarde, a capo del Fmi, ci sollecita ad “accelerare la messa in campo di una road map a medio termine per ripristinare la sostenibilità fiscale a lungo termine”.
E quindi io mi chiedo: per quale motivo dovremmo mai sbrigarci e fare tutto di corsa? È davvero così urgente accordarci oggi su come affrontare le questioni fiscali negli anni 2020, 2030 e seguenti?
No, non lo è. In pratica concentrarsi sulla “sostenibilità fiscale a lungo termine” — che di solito significa per lo più essere favorevoli a una “riforma dei diritti acquisiti”, nota anche come tagli al Social Security e ad altri programmi — non è un modo di essere responsabili. Al contrario: è un pretesto, una scappatoia per evitare di affrontare i gravi problemi economici con i quali siamo alle prese adesso.
Dove è il problema del concentrarsi sul lungo termine? Parte della risposta — per quanto molto probabilmente la meno importante di essa — è che il lontano futuro è assai incerto (che sorpresa!) e che le proiezioni fiscali a lungo termine dovrebbero essere considerate per lo più un genere particolarmente tedioso di fantascienza. In particolare, le proiezioni di futuri enormi deficit sono in certa misura basati sull’ipotesi che le spese per l’assistenza sanitaria continueranno ad aumentare di gran lunga più rapidamente del reddito nazionale — anche se la crescita della spesa sanitaria è rallentata in modo smaccato negli ultimi cinque anni, e il quadro sul lungo periodo appare già molto meno cupo anche solo rispetto a poco tempo fa.
Ora, di per sé l’incertezza non sempre è un buon motivo per starsene inattivi. Nel caso del cambiamento del clima, per esempio, l’incertezza al riguardo dell’impatto dei gas serra sulle temperature globali di fatto rafforza la motivazione all’azione, per scongiurare il rischio di una catastrofe.
Ma la politica fiscale non è come la politica del clima, quantunque alcune persone abbiano cercato di instaurare un’analogia (e anche se quelli di destra, che sostengono di essere profondamente preoccupati per il debito a lungo termine, stranamente restano indifferenti nei confronti delle preoccupazioni ambientali a lungo termine). Rimandare nel tempo il momento di un intervento decisivo a sostegno del clima significa rilasciare altri miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera mentre continuiamo a discutere. Rimandare nel tempo il momento di agire al riguardo delle riforme dei diritti acquisiti ci costerà una cifra che nemmeno immaginiamo.
Di fatto, l’intero ragionamento a favore di un intervento tempestivo sulle questioni fiscali a lungo termine è sorprendentemente fragile e sdrucciolevole. Come mi piace sottolineare, per scongiurare il pericolo di futuri tagli ai benefit, secondo il giudizio dei più sarebbe doveroso intervenire immediatamente per tagliare i futuri benefit. No, non è affatto un’esagerazione.
E tuttavia, se può non essere necessario un “grande patto” che colleghi una minore austerità subito a cambiamenti fiscali a lungo termine, sarebbe dannoso cercare di perseguirlo? Sì. Sì perché non riusciremo a stringere quel tipo di accordo. Il paese, molto semplicemente, non è pronto dal punto di vista politico. Di conseguenza, il tempo e le energie impiegate a rincorrere un tale patto sono tempo ed energie sprecati, che sarebbero spesi meglio cercando di aiutare i disoccupati.
Mettiamola in questi termini: i repubblicani al Congresso hanno votato 37 volte per invalidare la riforma dell’assistenza sanitaria, il risultato politico che caratterizza la presidenza Obama. Davvero vi aspettereste che quegli stessi repubblicani siano disposti a raggiungere un accordo con il presidente sul futuro fiscale della nazione, così intimamente connesso al futuro dei programmi sanitari federali? Anche se tale accordo fosse raggiunto in qualche modo, davvero credete che il Gop (Grand Old Party) lo rispetterà, se e quando riconquisterà la Casa Bianca?
Quando potremo dirci pronti per un accordo fiscale sul lungo periodo? Dal mio punto di vista, soltanto dopo che gli elettori si saranno espressi risolutamente a favore dell’una o dell’altra delle visioni in antitesi tra loro che oggi pilotano la nostra attuale polarizzazione politica. Forse la presidente Hillary Clinton, reduce da poco da una disorganica vittoria nelle elezioni del 2018 di metà mandato, sarà in grado di mediare un compromesso sul budget a lungo termine con i repubblicani che avranno appena preso una bella batosta. Oppure, forse, saranno i demoralizzati democratici a firmare il piano del presidente Paul Ryan finalizzato a privatizzare Medicare. In ogni caso, non è ancora arrivato il momento di prendere decisioni importanti sul lungo periodo.
Tenuto conto che quel momento non è ancora giunto, le persone influenti devono smettere di prendere il futuro a pretesto per non passare all’azione. Il pericolo evidente e presente è la disoccupazione di massa, e di essa dovremmo occuparci. Subito.
Traduzione di Anna Bissanti © 2013, The New York Times-la Repubblica

La Repubblica 21.06.13