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"Perchè bisogna leggere i classici", di Benedetto Vertecchi

Oggi la cultura dell’educazione tende a ignorare i classici, appiattendo il dibattito su questioni o soluzioni contingenti. Eppure, proprio dalla lettura dei classici possono derivare nuove e più impegnative interpretazione anche per i problemi attuali. Nel 1658 fu pubblicato, a Norimberga, un libro che avrebbe avuto, nei due secoli successivi, un’enorme diffusione, in particolare nei paesi dell’Europa riformata. Si trattava dell’Orbis sensualium pictus di Jan Amos Komensky (latinizzato in Comenius, donde l’italiano Comenio). Il libro aveva un impianto didattico che rispondeva all’esigenza di avviare insieme alla conoscenza di una lingua volgare (nella prima edizione dell’opera era il tedesco) e del latino. Fungevano da elemento di congiunzione e da stimolo per l’apprendimento le illustrazioni poste in testa alle pagine: il testo era organizzato in due colonne, una per ciascuna lingua. Le parole usate nel testo erano associate a numeri che corrispondevano a elementi presenti nella tavola illustrativa in testa alla pagina, facilmente identificabili perché associati agli stessi numeri. In pratica, Comenio aveva ideato e realizzato una proposta didattica complessa, che consisteva nello stabilire un parallelismo tra tre modi di comunicare il medesimo messaggio, due volte in forma alfabetica, ma in lingue diverse, e una volta in forma iconica, ma associabile all’una e/o all’altra lingua. Mutatis mutandis, e tenendo conto dello strumentario fisico limitato a disposizione per l’insegnamento, non sarebbe difficile riconoscere nella proposta di Comenio aspetti che oggi sarebbero considerati propri di una didattica multimediale.

Sarebbe riduttivo, tuttavia, limitarsi a considerare i soli aspetti innovativi dell’organizzazione del messaggio comeniano che si sono posti in rilievo. Lo stesso Comenio non lo avrebbe molto apprezzato, perché nella sua opera più importante, quella che è a giusto titolo considerata il fondamento della didattica moderna (mi riferisco, come la mia dozzina di lettori avrà compreso, alla Didactica magna), proprio nelle pagine di apertura sottolinea la differenza che intercorre tra l’innovazione che consiste nel far ricorso a questa o quella soluzione capace di facilitare l’apprendimento e quella che deriva da una interpretazione originale dell’insieme dei fattori che in qualche modo incidono sull’attività di insegnanti e allievi. Anche questo richiamo, come l’accostamento alla multimedialità, è estremamente attuale, perché contiene la critica più appropriata alle proposte didattiche centrate solo su questa o quella caratteristica dello strumentario fisico a disposizione, senza che vi siano apprezzabili tentativi per conferire coerenza all’insieme di un determinato progetto educativo. Proprio nella pagina di apertura (invitatio) compare un dialoghetto che richiede un’attenta riflessione. Già nella prima riga leggiamo:

Magister: – Veni, puer, disce sapere!

Ovvero, “Vieni, bambino, impara a conoscere”. In anni recenti, un’espressione analoga (“imparare a imparare”) ha avuto grande consenso: ma perché non se ne è rilevata la continuità con l’invito che si legge nell’Orbis sensualium? Dispiace dirlo, ma è uno dei tanti segni della distruzione di una cultura dell’educazione. Non si leggono più i classici, con la conseguenza di non cogliere la realtà dell’educazione – anche nei suoi aspetti teorici – in termini evolutivi, ma solo in una dimensione sincronica che non può che essere riduttiva. Vale la pena di seguire le battute successive del dialogo. Il bambino chiede che cosa significhi conoscere e si sente rispondere che conoscere vuol dire capire tutto ciò che è necessario, saper agire in conseguenza e parlarne in modo appropriato. Il maestro farà da guida al bambino nel suo procedere verso la conoscenza:Ducam te per omnia, ostendam tibi omnia, nominabo tibi omnia (ti condurrò dappertutto, ti mostrerò di tutto, ti dirò qual è il nome delle cose). Risulta evidente qual è il modello didattico sottostante a queste affermazioni. L’esperienza del contesto e la percezione sensoriale sono considerati premesse necessarie, ma danno luogo a conoscenza solo quando siano organizzate attraverso il linguaggio. Conoscere il nome delle cose rappresenta dunque il salto di qualità che occorre compiere per qualificare progressivamente il profilo della cultura di ciascuno. Le azioni che corrispondono ai tre verbi usati da Comenio (ducam, ostendam, nominabo) devono realizzare un equilibrio, che solo dà senso all’attività educativa.

Si direbbe che molte delle ragioni di disagio lamentate nei sistemi educativi del mondo contemporaneo possano essere ricondotte ad una attenuazione dei significati che si collegano alle azioni menzionate. È vero che bambini e ragazzi hanno oggi a disposizioni opportunità molto maggiori di quelle di cui fruivano le generazioni precedenti, ma è anche vero che i contesti e le esperienze sensoriali risultano attenuate per l’imporsi nelle condizioni di vita di rituali consumistici che hanno la conseguenza di ridurre la portata conoscitiva di ciò che si trae dall’esperienza e che ricade nel dominio dei sensi. Bambini e ragazzi sono molto più mobili nello spazio, ma si direbbe che a questa mobilità non corrisponda un vantaggio in termini di conoscenza. Lo stesso accade per le percezioni sensoriali, delle quali si è avuta una vera e propria esplosione anche per effetto dello sviluppo della tecnologia: perché non ci si chiede e non si cerca di analizzare che cosa resta, dell’apporto di tali percezioni, nei profili culturali di bambini e ragazzi? Ma il punto più docente riguarda il linguaggio: possiamo dire di conoscere qualcosa di cui non siamo in grado di parlare? Eppure, è quanto sta accadendo. Se lo sviluppo storico della didattica ha seguito un percorso dall’implicito verso l’esplicito (o, come si dice oggi, dall’informale verso il formale), ora sta accadendo il contrario. I messaggi dell’educazione assomigliano sempre più a quelli che nella comunicazione sociale sono funzionali ad altre esigenze, soprattutto collegate alla promozione dei consumi e al condizionamento valoriale.

Ma, se l’educazione spinge nelle direzioni indicate, è difficile non pensare che anche chi si occupa di educazione sia soggetto ai medesimi condizionamenti. Se nel profilo degli insegnanti gli elementi culturali (letterari, scientifici, artistici eccetera) sono soverchiati da quelli professionali, è difficile che le azioni indicate da Comenio (ducam, ostendam, nominabo) siano sostenute da un livello adeguato di competenza. Chi lamenta il livello deludente dei risultati che nelle nostre scuole si conseguono nelle rilevazioni comparative, e collega tale livello a una insufficienza dell’intervento didattico, dovrebbe chiarire perché la cultura del sistema (i documenti ministeriali, gli interventi di politici e responsabili amministrativi, l’organizzazione delle scuole, i percorsi di studio richiesti agli insegnanti) sia prevalentemente rivolta a produrre effetti per il breve periodo, trascurando di soffermarsi sugli scenari che è presumibile si presenteranno in tempi ulteriori. Gli insegnanti finiscono col subire le conseguenze del deterioramento della cultura del sistema sia perché sono privati di una cultura specifica, che costituisca per loro un repertorio stabile e qualifichi il loro profilo come studiosi, sia perché si chiede loro di acquisire un bagaglio di competenze strumentali che si deteriora rapidamente e rispetto alle quali hanno per lo più un ruolo di utilizzatori marginali. Se i risultati che si registrano nelle nostre scuole non soddisfano, sarebbe saggio modificare le scelte precedentemente effettuate: in altre parole, se tali scelte rappresentano, nel sistema, le variabili indipendenti e i risultati le variabili dipendenti, è solo intervenendo sulle variabili indipendenti che si possono attendere cambiamenti di qualche rilievo nelle variabili dipendenti. Ma perché si tratti di cambiamenti orientati nella direzione desiderata, occorre che la polarità delle singole variabili sia rovesciata: per esempio, se si è proceduto riducendo l’orario di funzionamento delle scuole, c’è bisogno di fare il contrario, ossia di accrescerlo; se l’enfasi è stata posta sullo strumentario fisico della didattica, bisogna che sia spostata verso la revisione dei modelli organizzativi e via seguitando.

da Tuttoscuola 15.06.13

"Eccezione culturale" Bray al governo: «Deve difenderla» di Marcella Ciarnelli

Il ministro dei Beni culturali non mostra dubbi e si rifà, per cancellare ogni interpretazione, a quanto da lui affermato a Bruxelles ma anche nelle commissioni cultura di Senato e Camera all’atto della presentazione del suo programma. «L’eccezione culturale è una peculiarità italiana e il governo deve fare tutti gli sforzi perché venga considerata come tale». Non c’è, dunque, per Massimo Bray margine di discussione su un argomento su cui, in questi giorni, si sono spesi con un appello al governo quattro premi Oscar, Benigni, Bertolucci, Tornatore e Salvatores, oltre alla Rai e a Mediaset ed un lungo elenco di artisti. Il ministro ha ribadito la sua posizione proprio mentre a Lussemburgo si svolgeva la riunione dei ministri europei del Com- mercio sul mandato da dare alla Commissione per avviare il negoziato con gli Stati Uniti sull’ accordo di libero scambio. Viene vissuto come positivo su molti argomenti ma che ha provocato timori per quanto riguarda il possibile dominio americano sulle attività culturali ed audiovisive.

La Francia è totalmente contraria ad un’apertura di credito in un settore così importante. E si è detta fin dall’inizio pronta a mettere il veto su un accodo che richiede l’unanimità risvegliando preoccupazioni anche in Grecia, Belgio e Ungheria.

E l’Italia? La posizione del nostro Paese appare chiara, stando alle parole ribadite in più occasioni, ed anche ieri, dal ministro cui non mancherebbe l’appoggio di altri colleghi di governo a cominciare dal ministro Zanonato e quello esplicito di Nichi Vendola.

Il timori di possibili ritorsioni americane in campi come gli appalti pubblici, il trasporto marittimo e aereo, sembrano aver invece invitato ad una maggiore cautela prima di arrivare alla contrapposizione che i francesi sono pronti a portare fino alle conseguenze estreme. Per l’Italia l’identità culturale è un «valore non negoziabile », ma il mandato per l’accordo di libero scambio con gli Usa presentato al Consiglio Ue commercio sembra tutelare «adeguatamente» il settore. È la posizione espressa dal vice ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda a margine della riunione dei 27 a Lussemburgo, che ha invitato ad essere «molto cauti» nel caso di un’esclusione a priori del settore audiovisivo in quanto potrebbe mettere a rischio «altri settori industriali italiani» chiave. L’accordo transatlantico per una zona di libero scambio fra Ue e Usa per Calenda è «fondamentale non solo per i nostri rapporti bilaterali, ma per il riequilibrio delle relazioni commerciali e di investimento mondiali», e secondo il governo, in caso di conclusione positiva del negoziato in corso «l’Italia sarebbe il primo beneficiario in Europa, in termini di aumento delle esportazioni».

POSIZIONI DIVERGENTI

Eccolo il problema, su cui è stato esplicito il commissario europeo all’Industria, Antonio Tajani, uomo di punta in Europa del Pdl, partito di governo. «È una grande opportunità, non bisogna averne paura. Firmare un accordo non vuol dire che dobbiamo rinunciare all’identità culturale. Nel mandato che sarà dato alla Commissione, ci sarà una linea rossa da non superare per difendere la posizione culturale dell’Europa». «Mi auguro che davvero le “linee rosse” indicate dalla commissaria Vassiliou e dal governo italiano non siano linee Maginot» ha commentato Silvia Costa, parlamentare europea del Pd, membro della commissione Cultura.

La preoccupazione per gli sviluppi, in negativo, della questione “eccezione culturale” si avvertiva al Quirinale in occasione della presenta zione dei finalisti ai David. Gabriele Salvatores, uno dei firmatari dell’appello al governo, ha sottolineato com «i film, almeno per chi li fa, vanno seguiti come se fossero figli. Se passa l’accordo Ue-Usa saremmo schiacciati da Google ed Apple, saremmo come delle gocce d’acqua in un oceano». Ed an che Giampaolo Letta, Ad di Medusa ha voluto insistere sulla necessità della «battaglia di libertà per escludere l’audiovisivo dai negoziati del Trattato di libero scambio Usa ed Ue. Il settore deve continuare ad essere tutelato nei confronti dell’industria americana e non essere equiparato a qualsiasi altra merce.

L’Unità 15.06.13

Epifani: "Il governo fornisca le cifre e il Pdl non tiri la corda", di Carlo Fusi

Il punto di non ritorno su Iva e Imu sembra ad un millimetro. Il Pdl preme come un forsennato, per ultimo per bocca del vicepremier Alfano; il ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, avverte che, allo stato, i soldi non ci sono. Ed Epifani che dice? Il Pd da che parte sta? Da questa: «Palazzo Chigi spieghi una volta per tutte qual è la cifra a disposizione e poi faccia le sue scelte. Al governo dico anche di accelerare i tempi di attuazione per la cassa integrazione in deroga. Vale anche per la restituzione dei crediti alle imprese: con la crisi attuale, far passare troppo tempo è un assoluto controsenso».
E l`Imu? E l`aumento dell`Iva? Si fanno o no?
«Non mi piace come questa discussione si sta facendo. Capisco che la situazione è peggiore di quella prevista: basta vedere i dati della produzione industriale. Ma c`è un punto dal quale non si sfugge: voglio sapere dal governo quali sono le somme disponibili. E` la prima cosa che il governo deve dire: e non al Pd ma al Paese».
Scusi segretario se è per questo il ministro Saccomanni è già stato chiaro: risorse non ce ne sono. Dunque?
«Io voglio sapere come stanno le cose da tutto il governo. Voglio sapere se Saccomanni parla a nome del governo. Quali sono realmente le cifre a disposizione. Se non sappiamo questo, non capisco che discussione si può fare»
Insisto: il vicepremier Alfano e tutto il Pdl insistono per togliere l`Imu e non far scattare l`Iva. Sì o no?
«Non mi piace che ci sia qualcuno che sostiene il governo e qualcun`altro che fa l`opposizione. Questo film l`abbiamo già visto nella fase finale del governo Monti e non vogliamo replay. No a due parti in commedia. E per essere chiari aggiungo: anch’io non voglio che aumenti l`Iva perché si scarica sui commercianti. Voglio che l`Imu sia tolta per le fasce medio-basse e che ci sia un pacchetto forte di risorse per l`occupazione giovanile. Non esiste un partito della spesa e uno delle tasse. Per questo dico al governo: dica le cifre e poi faccia una scelta unitaria, non che isoli un problema rispetto all`altro. E, sempre unitariamente e non con chi tira da un parte e chi dall`altra, motivi di fronte al Paese le sue scelte».
Lei chiede chiarezza di cifre. Ma intanto proprio sulle cifre c`è un balletto che non si ferma: pare che servano otto miliardi o giù di lì. Ma per averli bisogna tagliare la spesa. Dove?
«Guardi, quando Saccomanni dice che per ridurre le tasse ne deve mettere altre capisco cosa intenda dire, ma insisto: bisogna conoscere Le risorse a disposizione. E poi fare le scelte. Il resto è propaganda. Bisogna
spiegare alla gente perché fai così. E` quello che chiedo al governo».
Lo chiede al governo o al Pdl?
«A tutti. Il governo deve avere più collegialità, il Pdl non speculi. Servono decisioni che siano spiegabili al Paese, ai cittadini. Diciamolo con chiarezza, anche rispetto alle richieste che facciamo all`Europa: esiste un evidente scarto tra la gravità dei problemi sociali ed economici, basta girare un pò l`Italia per capirlo, e le disponibilità economiche per affrontare le emergenze. E` questo il guaio in cui siamo».
Questo lo sanno tutti, è la premessa su cui il governo è nato. E il resto?
«Mi faccia dire che siamo prigionieri di noi stessi. Chi ha preso l`impegno con Bruxelles per il pareggio di bilancio? Berlusconi. Chi ha preparato l`intesa sempre con Bruxelles sul fiscal compact? Sempre Berlusconi. Poi è arrivato Monti. L`Europa non c`è dubbio che debba cambiare politica».
Ma il Pd ce l`ha una proposta choc, per esempio sul lavoro?
«Le priorità sono investimenti ed occupazione giovanile. Choc? Si può utilizzare tutta la riprogrammazione dei fondi europei per favorire il lavoro dei giovani e aggiungere anche altre somme in questa direzione».
Cifre? Lei le chiede al governo: dica le sue su questo.
«Sette-otto miliardi».
Al dunque il governo rischia?
«Per quel che ci riguarda no. Continuiamo a sostenerlo anche avendo le antenne alzate: ci ricordiamo come finì il governo Monti. Lo dico gentilmente al Pdl: c`è un limite oltre il quale non si può andare».

Il Messaggero 15.06.13

"Cassazione: Bolzaneto, tutti liberi e risarcimenti ridotti", di Claudia Fusani

La Corte di Cassazione ha confermato le sette condanne disposte in Appello ad agenti di polizia, carabinieri e infermieri per le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001. Ma nessuno, tra indulto e attenuanti, finirà in carcere.
Sarà che si sente ancora l’odore del sangue misto agli umori e alla pipì. Che non si possono scordare i racconti e le immagini di quei ragazzi messi nudi contro il muro in piedi, gambe divaricate, così per ore. O delle ragazze umiliate e minacciate di stupro. Che rimbombano nelle testa gli ordini: «Canta faccetta nera», «viva il Duce», «un-due-tre viva Pinochet». Gli urli della ragazza a cui fu strappato il piercing dal naso.
Per tutto questo, scritto in migliaia di pagine di atti processuali, la sentenza con cui ieri la Cassazione ha chiuso definitivamente la mala storia del G8 di Genova, capitolo torture nella caserma di Bolzaneto, è inconsistente, una beffa, un’offesa a un paese che si dice democratico. Anche un pericoloso precedente la cui morale è che omertà e spirito di corpo vincono sempre rispetto ai fondamenti democratici.
Dopo sette ore di camera di consiglio la V sezione penale della Cassazione ha confermato le sette condanne disposte in Appello ad agenti di polizia, carabinieri, agenti penitenziari e infermieri accusati di aver picchiato, umiliato e offeso (lesioni personali aggravate) giovani raccattati per caso nelle strade di Genova, quindi anche persone che non avevano avuto alcun ruolo nelle devastazioni, Confermate anche le quattro assoluzioni di altrettanti uomini delle forze dell’ordine. Nessuno, tra indulto e attenuanti, finirà in carcere. Tutti rischiano una sanzione disciplinare da parte della loro stessa pubblica amministrazione (possiamo immaginare di quale intensità). Ulteriore beffa: rendendo definitiva la condanna, la Cassazione ha anche ridotto i risarcimenti che in ogni caso saranno riconosciuti in sede civile, cioè chissà come e quando. La sentenza di secondo grado (5 marzo 2010) aveva stabilito dieci milioni di risarcimenti da suddividere tra le 150 vittime ammesse tra le parti civili. Ora non ci sono più neppure questi.
Per comprendere fino in fondo l’insopportabile beffa di queste sentenza, occorre ricordare almeno un paio di cose. La prima: erano 44 gli imputati quando è cominciato il processo, tutte posizioni definite e riscontrare con testimonianze coincidenti non solo delle vittime ma anche di qualche agente in servizio che s’è messo la mano sul cuore, ha ascoltato la coscienza e ha parlato. Solo che per 37 imputati è scattata, dopo 12 anni di processi, la prescrizione. Perché il vizio della dilazione nei processi non è appannaggio esclusivo di Berlusconi.
La seconda: la pochezza, quasi insussistenza delle condanne, nasce dal fatto, più volte denunciato dai pm sia in primo che in secondo grado, che il nostro codice penale non contempla il reato di tortura. «E quelle avvenute alla caserma di Bolzaneto erano decisamente torture» hanno detto i magistrati nelle loro requisitorie.
«Gli agenti, dalla finestra della cella, ci insultavano: “puttane”, “troie”, “ora vi scopiamo tutte”» ha raccontato in aula una ragazza di 25 anni arrestata la sera del 20 luglio 2001. La sua deposizione portò alla luce tutto il repertorio di insulti e umiliazioni sessiste subito dalle ragazze. «Gli agenti dicevano che le avrebbero dovute stuprare come in Bosnia» è riportato in un altro verbale. Minacce di stupro che i pm hanno voluto sottolineare nella memoria. «Come in ogni caso di tortura, avvennero grazie all’impunità percepita, ovvero quel meccanismo fatto di omissioni per cui i responsabili non vengono puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i maltrattamenti subiti».
E che dire del personale medico penitenziario? Un altro verbale: «Al medico avevo raccontato che mi avevano rotto il labbro, ma lui disse che me l’ero fatto da solo».
Per come s’erano messe le cose in questo processo, per i familiari è già una buona cosa che alla fine ci siano state sette condanne e tutti gli altri prescritti (quindi non assolti). «Significa che le torture e i soprusi sono avvenuti, solo che non abbiamo il reato per condannarli» diceva ieri Enrica Bartesaghi, mamma di una delle giovani finite a Bolzaneto. Adesso i familiari chiedono l’introduzione del reato di tortura e «le scuse da parte dello Stato perchè è lo Stato che ha umiliato e abusato dei nostri figli».
Si chiude, nei fatti, con questa sentenza, la pagina nera del G8 di Genova. Di quei giorni in cui, è scritto in sentenza, «sono stati sospesi di diritti democratici». Il bilancio è insufficiente. Hanno pagato, molto, i funzionari di polizia che fecero irruzione alla Diaz. Ma solo alcuni e, possiamo dire, forse quelli meno colpevoli di altri. Storia drammatica. Da cui non è nato alcuna forma di riscatto.

L’Unità 15.06.13

"Ddl semplificazioni, addio ai certificati di idoneità psico-fisica per docenti e Ata", da La Tecnica della Scuola

Presto in CdM due testi che cambieranno alcune consuetudini anche nel mondo del pubblico impiego. Come quella che i suoi lavoratori, poiché categorie non a rischio, saranno esentati dalla presentazione all’atto dell’assunzione dei certificati di sana e robusta costituzione. Le altre novità: titoli di studio anche in lingua inglese, certificati scolastici utili a ottenere la cittadinanza degli stranieri nati in Italia, “borsa di mobilità” per gli studenti delle superiori più bravi.
Ci sono diverse novità riguardanti da vicino il mondo della scuola nella “pioggia” di semplificazioni che i tecnici del Governo Letta hanno messo nero su bianco nelle bozze di due diversi provvedimenti e che dovrebbe presto essere presentato al Consiglio dei ministri. L’iniziativa del Governo, finalizzata, che come ha spiegato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni porterà ad “una ulteriore riduzione degli oneri amministrativi”, è composta da un doppio testo: un decreto di 15 articoli (che non è escluso possa diventare parte integrate del “decreto del fare”) e un ddl di 82 articoli che spazia da fisco a lavoro, da privacy ad ambiente, contenente misure di svariato genere.
Siamo andati ad estrapolare tutti i punti riguardanti la scuola, i suoi utenti e i suoi lavoratori.
Nel capitolo sulle semplificazioni per i cittadini è previsto “il rilascio di certificazioni sui titoli di studio in lingua inglese”.
Per quanto riguarda la cittadinanza degli stranieri nati in Italia, il testo contiene un piccolo anticipo di ‘Ius Soli’: se i provvedimenti vedranno la luce così come sono composti oggi, quindi senza variazioni dell’ultimo momento, diventerà sicuramente più facile per i nati in Italia da genitori stranieri acquisire la cittadinanza a 18 anni, anche se i genitori non hanno effettuato alcuni adempimenti amministrativi. Anche i certificati scolastici o medici varranno come prova.
Il doppio provvedimento in costruzione prevede, inoltre, la sparizione dei certificati di sana e robusta costituzione sino ad oggi richiesti ai dipendenti del pubblico impiego ad inizio carriera (per i lavoratori della scuola entro un mese dalla sottoscrizione dell’immissione in ruolo o della supplenza annuale): l’intento dei legislatori è quello di eliminare l’obbligo di certificazione sanitaria per molte categorie di lavoratori non a rischio, compreso quello di “idoneità psico-fisica”.
Arriva la borsa di studio per studenti eccellenti: coloro che conseguiranno un percorso di studio eccellente nella scuola superiore potranno ottenere una “borsa di mobilità” per iscriversi ad una università in regioni diverse da quella di residenza.

La Tecnica della scuola 15.06.13

L’assemblea Anci: «Sulla ricostruzione lo Stato ha deluso», di Giovanni Vassallo

La quinta assemblea nazionale Anci (Associazione nazionale comuni italiani) giovani, dall’eloquente titolo “Italia al futuro – Cambiare paese o cambiare il paese?”, ha simbolicamente scelto come sede del proprio dibattito Mirandola. Decine di amministratori locali, tra cui il sindaco di Parma Federico Pizzarotti e quello di Reggio Emilia (ora anche ministro per gli Affari Regionali) Graziano Delrio, sono accorsi da tutt’Italia per offrire la propria testimonianza e per esporre le crescenti difficoltà nel governare gli enti locali. Presenti anche alcuni primi cittadini dell’Irpinia ed alcune delegazioni delle terre abruzzesi colpiti dal sisma nel 2009. Tanti gli argomenti trattati, tra i quali assume particolare importanza il capitolo terremoto. «Benvenuti in queste terre sfregiate dal sisma, e grazie per aver scelto la nostra città come sede dell’assemblea – esordisce il sindaco di Mirandola Maino Benatti – Terminata l’emergenza è fondamentale tenere al centro dell’attenzione questa situazione, che rimane pur sempre catastrofica: è proprio una volta spente le luci dei riflettori che dobbiamo lottare maggiormente per riguadagnarci quella normalità perduta più di un anno fa». Luca Malavasi, sindaco del comune lombardo di Quistello, accusa poi la disparità di trattamento attuata dal governo centrale in tema di ricostruzione: «Il nostro territorio è stato letteralmente bistrattato. I cantieri non riescono a partire a causa della lentezza nell’erogazione dei fondi. Nonostante la zona che ha subito i danni maggiori sia stata la Bassa modenese, non si può scordare come anche i nostri territori abbiano subito una totale devastazione: non vogliamo e non possiamo essere considerati terremotati di serie B». Il coordinatore nazionale Anci giovani Nicola Chionetti ricorda inoltre come siano ancora tante le macerie da rimuovere e indirizza un plauso nei confronti dei giovani amministratori presenti nel cratere, i quali «lavorando a testa bassa e con umiltà hanno saputo risollevare città messe letteralmente in ginocchio dal sisma», senza farsi mancare una piccola nota polemica: «Le disfunzioni dello Stato hanno giocato un ruolo fondamentale in questa tragedia, così come già successe a L’Aquila». A chiudere simbolicamente la giornata interviene il vicesindaco di Camposanto Luca Gherardi: «Il nostro esempio è servito per dimostrare come le istituzioni possano ancora rappresentare punti di riferimento per i cittadini. Il terremoto ci ha permesso di riscoprire il valore di comunità: ripenso ad esempio a quelle centinaia di persone che hanno offerto gratuitamente aiuto, o a quei giovani volontari che si sono messi incessantemente a disposizione degli sfollati. Adesso occorre che lo Stato faccia il proprio dovere, creando una legge ad hoc per tutelare i comuni dalle calamità naturali: non di rado ci è capitato di fungere da capro espiatorio quando le colpe non sempre erano nostre».

La Gazzetta di Modena 15.06.12

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“Tasse, aiuti fino a novembre Studi di settore: rivolta fiscale”, di Francesco Dondi

Nonostante il decreto legge 43 non sia ancora stato convertito perché manca il passaggio alla Camera, l’Agenzia delle Entrate ha già anticipato che permetterà l’accesso alla triangolazione Cassa Deposito e Prestiti-banche-imprese fino al 15 novembre. «Cittadini e imprese colpiti dagli eventi sismici – si legge in una nota – potranno accedere al finanziamento agevolato per il pagamento di imposte, contributi e premi per le somme dovute fino al 15 novembre 2013. Più tempo anche per presentare le domande, con la scadenza che passa dal 15 giugno al 31 ottobre 2013. Considerata la persistente situazione di emergenza, l’Agenzia delle entrate provvederà prontamente, non appena terminato l’iter parlamentare, ad adeguare le procedure necessarie per consentire la trasmissione delle comunicazioni da parte degli interessati con riferimento alle nuove scadenze». «Il Senato non ha colto tutti gli emendamenti al decreto legge 43 che abbiamo chiesto per rispondere alle esigenze delle famiglie e delle imprese nell’area del sisma – dice l’assessore regionale Giancarlo Muzzarelli – e pertanto proseguiremo sollecitare il Governo affinché provveda celermente con altre norme. I risultati fin qui raggiunti sono comunque molto significativi, soprattutto per i Comuni e le imprese. In particolare sono da sottolineare gli interventi di natura fiscale che permetteranno alle imprese, con danni sia alle strutture che ai bilanci, di pagare le imposte e i contributi con un prestito senza interessi fino al 15 novembre. La comunicazione dell’Agenzia dell’Entrate lascia ben sperare che tutta la macchina amministrativa dello Stato sia orientata ad agevolare le procedure di attuazione delle norme. Ora contiamo che il Parlamento concluda rapidamente l’iter della legge e che tutti siano al lavoro per risolvere il problema di liquidità delle imprese». A disposizione delle imprese ci sono 5,2 miliardi, il residuo avanzato dall’operazione attivata a dicembre. Bisognerà capire in quanti vorranno accedere al prestito bancario anche alla luce dei vincoli piuttosto stringenti già emersi nel 2012. C’è comunque da dire che, rispetto all’anno scorso, ora sono coinvolte anche le imprese con danni indiretti. Ma sul fronte fiscale si registra la dura presa di posizione delle associazioni di categoria appartenenti a Rete Impresa Italia (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti) che sospenderanno, forse un po’ in ritardo, la compilazione degli studi di settore su cui ancora pende una richiesta di sospensione a cui l’Agenzia delle Entrate non ha ancora risposto. «Cna – si legge in una nota – assieme alle altre associazioni di Rete Imprese Italia, ha chiesto a più riprese l’esclusione dalla compilazione degli studi di settore delle imprese con sede nei comuni terremotati relativamente al periodo d’imposta 2012. Dall’Agenzia delle Entrate non è però ancora arrivata nessuna risposta ufficiale in merito, né è dato sapere quando si potrà sbloccare questa situazione. Cna ha deciso quindi di non compilare gli studi di settore per le imprese associate che affidano l’assistenza fiscale all’associazione. Secondo Cna, infatti, per il 2012, tutte imprese dell’area si sono trovate in un periodo di non normale svolgimento dell’attività. «Una scelta doverosa – sostengono alla Cna di Modena – per sopperire al ritardo con cui l’amministrazione finanziaria sta tergiversando rispetto ad una decisione doverosa». «È indubbio – commenta Davide Pignatti, direttore della divisione politiche sviluppo organizzativo – che esistano tutte le giustificazioni per motivare eventuali mancate congruità delle imprese rispetto agli studi, perché è evidente come tutte le aziende abbiano risentito, almeno indirettamente, delle conseguenze di quanto accaduto un anno fa. Ecco perché riteniamo la sospensione un atto dovuto da un punto di vista strettamente fiscale ed economico, ma, soprattutto, morale».

La Gazzetta di Modena 15.06.13

"Legge 194, le Regioni devono garantirne i servizi a tutti" di Valeria Fedeli

La 194/78 è una legge che tutela le donne. E’ una legge dello Stato e in quanto tale deve essere applicata. Questo semplice e banale principio, che non dovrebbe trovare contraddittorio, è invece negato dall’esperienza.
L’accesso alle strutture dove si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza è diventato complesso quando non impossibile. Il motivo principale è l’altissimo numero di medici obiettori, passato dal 58,7% del 2005 al 70% circa nel 2010 per quanto riguarda i ginecologi (leggermente minori le percentuali per anestesisti e altro personale medico).
L’obiezione di coscienza è un diritto dei medici, diritto che nessuno vuole mettere in discussione. Si tratta però di un diritto individuale, che non può riguardare le strutture, né può ledere i diritti previsti e garantiti dalla 194.
È esattamente in questa direzione che vanno le mozioni presentate come Pd alla Camera e al Senato durante il dibattito in Aula in questa settimana. Abbiamo chiesto e chiediamo che le singole obiezioni di coscienza da parte del singolo medico non si trasformino in obiezioni di intere strutture sanitarie: il governo deve impegnarsi concretamente perché almeno il 50% di personale in ogni struttura non sia obiettore.
Oggi ci sono Regioni, come la Campania o la Basilicata, dove il numero di obiettori supera l’80%, rendendo di fatto impossibile l’accesso alle strutture e inapplicabile quindi la legge o costringendo donne e coppie a migrare verso altre regioni o all’estero.
E iniziano a spuntare di nuovo, spesso per notizie di cronaca nera o giudiziaria, gli ambulatori fuorilegge, dove si pratica l’aborto senza garanzie e controlli.
È una situazione che non può essere tollerata. Non degna di un Paese civile, democratico, libero, rispettoso dell’autonomia delle donne.
Credevamo di aver dimenticato per sempre l’esperienza delle interruzioni clandestine di gravidanza, anche perché i dati dimostrano che la 194 è stata una legge efficace, se gli aborti in Italia erano circa 400.000 nel 1978 e sono circa 115.000 l’anno, riguardando nel 75% dei casi donne straniere, spesso poco informate sui propri diritti.
Accolgo quindi con favore l’annuncio del governo che si è impegnato a vigilare sulle Regioni perché vengano garantiti i servizi di interruzione volontaria di gravidanza, a seguito anche dell’approvazione delle mozioni alla Camera che chiedevano proprio un impegno in questo senso.
C’è da passare dalla teoria dove i diritti delle donne sono perfettamente tutelati alla pratica, per garantire le scelte libere e la salute delle donne. Finanziando e ridando piena centralità ai consultori; proponendo come opzione alle donne l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica; promuovendo la conoscenza dei diritti in tema di contraccezione di emergenza; prevedendo azioni di prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza mediante attività di educazione alla tutela della salute e di informazione sulla contraccezione nelle scuole; tornando a far interagire, come nelle intenzioni della 194, competenze sanitarie e psicologiche, di cura e sociali, di assistenza e di prevenzione.
La 194 perseguiva un equilibrio tra salute e l’autonomia, la libertà e la responsabilità delle donne e doveri e diritti dei medici, che sono indubbiamente portatori di libertà di scelta, ma hanno anche responsabilità, come singoli e come categoria, cui non possono sottrarsi. Questo equilibrio tra libertà individuale e responsabilità delle strutture va rivisto, per garantire sempre le cure e l’assistenza alle donne.
I tempi rispetto al 1978 sono cambiati. Tante cose per le donne sono migliorate, ma molto c’è ancora da fare per raggiungere una vera parità di genere e una vera libertà.
Alla legge sull’aborto si arrivò dopo la stagione del femminismo, delle battaglie culturali per una società più libera e aperta. Una stagione che ha prodotto enormi risultati, per l’autonomia, la libertà e la responsabilità delle donne e per il Paese. Una stagione che pur con le dovute differenze di pensiero e coinvolgimento si è sentita di nuovo viva negli ultimi due anni, da quando il movimento delle donne invase piazza del Popolo a Roma, chiedendo con forza rispetto, diritti, cambiamento. Per far ripartire l’Italia anche con l’energia libera e sana delle donne.

L’Unità 15.06.13