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"Perchè bisogna leggere i classici", di Benedetto Vertecchi

Oggi la cultura dell’educazione tende a ignorare i classici, appiattendo il dibattito su questioni o soluzioni contingenti. Eppure, proprio dalla lettura dei classici possono derivare nuove e più impegnative interpretazione anche per i problemi attuali. Nel 1658 fu pubblicato, a Norimberga, un libro che avrebbe avuto, nei due secoli successivi, un’enorme diffusione, in particolare nei paesi dell’Europa riformata. Si trattava dell’Orbis sensualium pictus di Jan Amos Komensky (latinizzato in Comenius, donde l’italiano Comenio). Il libro aveva un impianto didattico che rispondeva all’esigenza di avviare insieme alla conoscenza di una lingua volgare (nella prima edizione dell’opera era il tedesco) e del latino. Fungevano da elemento di congiunzione e da stimolo per l’apprendimento le illustrazioni poste in testa alle pagine: il testo era organizzato in due colonne, una per ciascuna lingua. Le parole usate nel testo erano associate a numeri che corrispondevano a elementi presenti nella tavola illustrativa in testa alla pagina, facilmente identificabili perché associati agli stessi numeri. In pratica, Comenio aveva ideato e realizzato una proposta didattica complessa, che consisteva nello stabilire un parallelismo tra tre modi di comunicare il medesimo messaggio, due volte in forma alfabetica, ma in lingue diverse, e una volta in forma iconica, ma associabile all’una e/o all’altra lingua. Mutatis mutandis, e tenendo conto dello strumentario fisico limitato a disposizione per l’insegnamento, non sarebbe difficile riconoscere nella proposta di Comenio aspetti che oggi sarebbero considerati propri di una didattica multimediale.

Sarebbe riduttivo, tuttavia, limitarsi a considerare i soli aspetti innovativi dell’organizzazione del messaggio comeniano che si sono posti in rilievo. Lo stesso Comenio non lo avrebbe molto apprezzato, perché nella sua opera più importante, quella che è a giusto titolo considerata il fondamento della didattica moderna (mi riferisco, come la mia dozzina di lettori avrà compreso, alla Didactica magna), proprio nelle pagine di apertura sottolinea la differenza che intercorre tra l’innovazione che consiste nel far ricorso a questa o quella soluzione capace di facilitare l’apprendimento e quella che deriva da una interpretazione originale dell’insieme dei fattori che in qualche modo incidono sull’attività di insegnanti e allievi. Anche questo richiamo, come l’accostamento alla multimedialità, è estremamente attuale, perché contiene la critica più appropriata alle proposte didattiche centrate solo su questa o quella caratteristica dello strumentario fisico a disposizione, senza che vi siano apprezzabili tentativi per conferire coerenza all’insieme di un determinato progetto educativo. Proprio nella pagina di apertura (invitatio) compare un dialoghetto che richiede un’attenta riflessione. Già nella prima riga leggiamo:

Magister: – Veni, puer, disce sapere!

Ovvero, “Vieni, bambino, impara a conoscere”. In anni recenti, un’espressione analoga (“imparare a imparare”) ha avuto grande consenso: ma perché non se ne è rilevata la continuità con l’invito che si legge nell’Orbis sensualium? Dispiace dirlo, ma è uno dei tanti segni della distruzione di una cultura dell’educazione. Non si leggono più i classici, con la conseguenza di non cogliere la realtà dell’educazione – anche nei suoi aspetti teorici – in termini evolutivi, ma solo in una dimensione sincronica che non può che essere riduttiva. Vale la pena di seguire le battute successive del dialogo. Il bambino chiede che cosa significhi conoscere e si sente rispondere che conoscere vuol dire capire tutto ciò che è necessario, saper agire in conseguenza e parlarne in modo appropriato. Il maestro farà da guida al bambino nel suo procedere verso la conoscenza:Ducam te per omnia, ostendam tibi omnia, nominabo tibi omnia (ti condurrò dappertutto, ti mostrerò di tutto, ti dirò qual è il nome delle cose). Risulta evidente qual è il modello didattico sottostante a queste affermazioni. L’esperienza del contesto e la percezione sensoriale sono considerati premesse necessarie, ma danno luogo a conoscenza solo quando siano organizzate attraverso il linguaggio. Conoscere il nome delle cose rappresenta dunque il salto di qualità che occorre compiere per qualificare progressivamente il profilo della cultura di ciascuno. Le azioni che corrispondono ai tre verbi usati da Comenio (ducam, ostendam, nominabo) devono realizzare un equilibrio, che solo dà senso all’attività educativa.

Si direbbe che molte delle ragioni di disagio lamentate nei sistemi educativi del mondo contemporaneo possano essere ricondotte ad una attenuazione dei significati che si collegano alle azioni menzionate. È vero che bambini e ragazzi hanno oggi a disposizioni opportunità molto maggiori di quelle di cui fruivano le generazioni precedenti, ma è anche vero che i contesti e le esperienze sensoriali risultano attenuate per l’imporsi nelle condizioni di vita di rituali consumistici che hanno la conseguenza di ridurre la portata conoscitiva di ciò che si trae dall’esperienza e che ricade nel dominio dei sensi. Bambini e ragazzi sono molto più mobili nello spazio, ma si direbbe che a questa mobilità non corrisponda un vantaggio in termini di conoscenza. Lo stesso accade per le percezioni sensoriali, delle quali si è avuta una vera e propria esplosione anche per effetto dello sviluppo della tecnologia: perché non ci si chiede e non si cerca di analizzare che cosa resta, dell’apporto di tali percezioni, nei profili culturali di bambini e ragazzi? Ma il punto più docente riguarda il linguaggio: possiamo dire di conoscere qualcosa di cui non siamo in grado di parlare? Eppure, è quanto sta accadendo. Se lo sviluppo storico della didattica ha seguito un percorso dall’implicito verso l’esplicito (o, come si dice oggi, dall’informale verso il formale), ora sta accadendo il contrario. I messaggi dell’educazione assomigliano sempre più a quelli che nella comunicazione sociale sono funzionali ad altre esigenze, soprattutto collegate alla promozione dei consumi e al condizionamento valoriale.

Ma, se l’educazione spinge nelle direzioni indicate, è difficile non pensare che anche chi si occupa di educazione sia soggetto ai medesimi condizionamenti. Se nel profilo degli insegnanti gli elementi culturali (letterari, scientifici, artistici eccetera) sono soverchiati da quelli professionali, è difficile che le azioni indicate da Comenio (ducam, ostendam, nominabo) siano sostenute da un livello adeguato di competenza. Chi lamenta il livello deludente dei risultati che nelle nostre scuole si conseguono nelle rilevazioni comparative, e collega tale livello a una insufficienza dell’intervento didattico, dovrebbe chiarire perché la cultura del sistema (i documenti ministeriali, gli interventi di politici e responsabili amministrativi, l’organizzazione delle scuole, i percorsi di studio richiesti agli insegnanti) sia prevalentemente rivolta a produrre effetti per il breve periodo, trascurando di soffermarsi sugli scenari che è presumibile si presenteranno in tempi ulteriori. Gli insegnanti finiscono col subire le conseguenze del deterioramento della cultura del sistema sia perché sono privati di una cultura specifica, che costituisca per loro un repertorio stabile e qualifichi il loro profilo come studiosi, sia perché si chiede loro di acquisire un bagaglio di competenze strumentali che si deteriora rapidamente e rispetto alle quali hanno per lo più un ruolo di utilizzatori marginali. Se i risultati che si registrano nelle nostre scuole non soddisfano, sarebbe saggio modificare le scelte precedentemente effettuate: in altre parole, se tali scelte rappresentano, nel sistema, le variabili indipendenti e i risultati le variabili dipendenti, è solo intervenendo sulle variabili indipendenti che si possono attendere cambiamenti di qualche rilievo nelle variabili dipendenti. Ma perché si tratti di cambiamenti orientati nella direzione desiderata, occorre che la polarità delle singole variabili sia rovesciata: per esempio, se si è proceduto riducendo l’orario di funzionamento delle scuole, c’è bisogno di fare il contrario, ossia di accrescerlo; se l’enfasi è stata posta sullo strumentario fisico della didattica, bisogna che sia spostata verso la revisione dei modelli organizzativi e via seguitando.

da Tuttoscuola 15.06.13