Latest Posts

"Spesa per ricerca ai minimi così l'Italia non innova più", di Rosaria Talarico

Pochi capitali, pochi brevetti, poca ricerca e sviluppo. La diagnosi di Banca
d’Italia sulla situazione delle imprese italiane è impietosa. «Le determinanti
del ritardo innovativo dell’Italia vanno ricercate in alcune caratteristiche
del sistema produttivo e finanziario privato» si legge nella relazione annuale
di Bankitalia «e nella difficoltà del settore pubblico di creare un contesto
istituzionale e regolamentare favorevole all’innovazione e di sostenere
direttamente l’attività innovativa». Inoltre il 40 per cento circa della spesa
in ricerca e sviluppo è effettuata dal settore pubblico. Una produzione
scientifica che non sfigura nel confronto con altri paesi, sebbene le nostre
strutture universitarie siano meno presenti nelle posizioni di eccellenza delle
principali graduatorie internazionali. Ma nonostante i recenti progressi, la
collaborazione tra il sistema di ricerca pubblica e il settore privato è
scarsa.

«Gli incentivi pubblici all’innovazione delle imprese hanno conseguito
risultati modesti. La loro efficacia ha risentito negativamente della
frammentazione degli interventi, dell’instabilità delle norme e dell’incertezza
sui tempi di erogazione». Un parametro per misurare l’innovazione è il numero
di brevetti. Nel 2010 le domande depositate presso l’Ufficio europeo dei
brevetti (European patent office, Epo) erano pari per l’Italia a 7,4 per 100
mila abitanti, molto meno che in Francia (13,5), Germania (26,7) e Svezia
(30,8). Il ritardo è più attenuato per i marchi e, soprattutto, per i disegni
industriali. Altro problema è la ridotta dimensione aziendale, che caratterizza
il sistema produttivo italiano nel confronto con gli altri principali paesi e
«riveste un ruolo più rilevante della specializzazione settoriale nel limitare
l’attività innovativa». Più piccola è la dimensione, più difficoltoso è
sostenere gli elevati costi fissi connessi con l’avvio di progetti innovativi;
inoltre la minore propensione all’esportazione delle piccole e medie imprese
«riduce ulteriormente l’incentivo a investire in innovazione che deriva dalla
possibilità di ripartire tali costi su un maggiore volume di vendite».

Le aziende familiari inoltre hanno un peso più elevato nell’economia italiana
rispetto agli altri principali paesi europei. Quelle a proprietà e gestione
completamente familiare rappresentano il 59 per cento del totale delle imprese
in Italia, contro il 18 in Francia e il 22 in Germania. Tali imprese si
caratterizzano per una minor propensione all’attività di ricerca e sviluppo
rispetto alla media poiché «la sostanziale coincidenza tra il patrimonio
aziendale e quello della famiglia proprietaria può ridurre la disponibilità a
intraprendere progetti rischiosi».

E poiché l’accesso al credito bancario è sempre più complicato ricorrere al
capitale azionario aumenterebbe considerevolmente l’attività innovativa delle
imprese, «l’emissione di azioni accrescerebbe in Italia la probabilità di
svolgere attività di ricerca e sviluppo di circa un terzo».

La Stampa 01.06.13

"Trovata l'intesa sulla rappresentanza", di Nicoletta Picchio e Giorgio Pogliotti

È intesa tra Confindustria e sindacati sulla rappresentanza. Ieri alle 17 il
presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi ha incontrato i leader di Cgil,
Cisl e Uil – rispettivamente Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, e Luigi
Angeletti -, con l’obiettivo di portare l’affondo finale al tavolo; dopo
quattro ore di confronto si è arrivati alla firma del testo che defmisce d
criteri per misurare la rappresentatività, per stabilire la titolarità a
negoziare e rendere esigibili i contratti. «Una bella notizia l’accordo appena
firmato Confindustria- Sindacati. È il momento di unire, non di dividere, per
combattere la disoccupazione» ha subito commentato il premier Enrico Letta su
Twitter. Soddisfatto anche il numero uno degli industriali: «Abbiamo ottenuto
un risultato storico – è il giudizio di Squinzi -, dopo 6o anni è stata
finalmente raggiunta l’intesa per definire le regole della rappresentanza. Si
rende misurabile il peso dei sindacati con l’intesa che regola i rapporti per
avere contratti nazionali pienamente esigibili. In un momento come questo
l’accordo ha un significato importante anche sotto l’aspetto della coesione
sociale ». Nel merito, l’accordo stabilisce che per determinare il peso di ogni
sindacato occorre basarsi sull’incrocio tra le deleghe (le trattenute operate
dal datore di lavoro su mandato del lavoratore, comunicate all’Inps per la
certificazione) e i voti raccolti alle elezioni delle Rsu, sul modello di
quanto accade nel pubblico impiego. Il numero degli iscritti e i voti peseranno
ciascuno per il 50%: spetta al Cnel, in qualità di ente certificatore esterno,
calcolare la rappresentanza di ciascun sindacato. Le Rsu saranno elette secondo
un meccanismo esclusivamente proporzionale per i tre terzi; si supera il
“residuo” terzo riservato ai sindacati firmatari del contratto nazionale
applicato nell’unità produttiva. Uno dei punti chiave del testo è rappresentato
dalle modalità per negoziare e rendere esigibili gli accordi. La presenza al
tavolo negoziale per la contrattazione nazionale è prevista per i soli
sindacati firmatari che raggiungano almeno il 5% della rappresentanza per ogni
contratto nazionale (come media tra iscritti e voti certificati). In ogni
contratto nazionale i sindacati decideranno come sarà definita la piattaforma,
anche se l’impegno è a favorire in ogni categoria la presentazione di
piattaforme unitarie. In presenza di più piattaforme, la parte datoriale
favorirà l’avvio del negoziato in base alla piattaforma presentata da sindacati
con almeno il 5o%+1 della rappresentatività nel settore. Sono considerati
esigibili i contratti nazionali sottoscritti dai sindacati con almeno il 5o%+1
della rappresentanza, approvati con consultazione certificata dai lavoratori a
maggioranza semplice (secondo modalità stabilite dalle categorie). Le parti
firmatarie, e le rispettive federazioni, sono impegnate a dare pena
applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto (cause legali,
scioperi). Anche se non sono state introdotte esplicitamente sanzioni,
l’accordo prevede che nei contratti di categoria si dovranno defmire clausole o
procedure di raffreddamento per garantire a tutti l’esigibilità degli impegni
presi, e le conseguenze di eventuali inadempimenti. Questi principi sono
vincolanti anche per le strutture aderenti alle sigle che hanno firmato
l’accordo, e alle loro articolazioni territoriali e aziendali. Tra le reazioni
anche la Camusso parla di «accordo storico che mette fine a una lunga stagione
di divisioni e definisce le regole». Bonanni considera l’intesa una «svolta
importante nelle relazioni industriali» che «cambierà la faccia nel mondo del
lavoro». Le relazioni industriali, per Angeletti «sono regolate in una maniera
più chiara e trasparente». L’accordo è stato preceduto dall’intesa tra
Confindustria e sindacati sui criteri per beneficiare della detassazione del
salario di produttività, ma i principi ispiratori sono contenuti nell’accordo
interconfederale del 28 giugno del 2011.

Il Sole 24 Ore 01.06.13

"Diamo ai cittadini le scelte di finanziamento dei partiti", di Walter Tocci

La riforma del finanziamento dei partiti è un passaggio ineludibile per migliorare la credibilità della politica e per rafforzare il prestigio del Parlamento. L’unica via che può legittimare un contributo pubblico è il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di finanziamento. Ed è possibile solo se viene assicurata la massima trasparenza sull’utilizzo delle risorse e sui rapporti con i poteri economici e mediatici.
La proposta che abbiamo elaborato in un gruppo di lavoro composto da deputati e senatori del PD individua tre strumenti: contributo pari all’uno per mille del gettito Irpef da ripartire secondo le indicazioni dei contribuenti; credito d’imposta per le libere donazioni private; rimborso parziale delle spese elettorali effettivamente sostenute. Per rendere credibile quest’ultimo aspetto della proposta il PD dovrebbe rinunciare volontariamente alla parte di rimborsi elettorali non spesi per la campagna elettorale 2013. Sono escluse, quindi, tutte le forme di finanziamento diretto dello Stato che non siano legittimate dalla scelta dei cittadini.
Pur trattandosi di un testo normativo compiuto, è una proposta aperta che ha lo scopo di promuovere una discussione e un confronto con altre ipotesi possibili. Organizzeremo un seminario di discussione invitando esperti del settore e tutti i soggetti interessati all’argomento. Solo dopo aver acquisito pareri ed eventuali critiche trarremo le conclusioni scrivendo un testo definitivo e lo depositeremo alla Camera e al Senato. Abbiamo anche inviato la proposta al Presidente Letta apprezzando la sua volontà di procedere rapidamente alla riforma.
Infine, una considerazione che ci riguarda. I meccanismi previsti nel disegno di legge aiuterebbero la nostra organizzazione a ritrovare un rapporto stretto con i propri elettori, non solo per ottenere le risorse economiche, ma per rafforzare la partecipazione politica.
Nessuna di queste norme potrebbe funzionare se rimanesse l’attuale organizzazione. La proposta implica un nuovo PD centrato sul popolo delle primarie, capace cioè di mettere a frutto giorno per giorno la disponibilità di milioni di elettori coinvolgendoli nelle decisioni e nell’ampliamento dei consensi. Da questo assunto discendono scelte radicalmente diverse nell’uso delle tecnologie, nelle modalità di comunicazione, nel rapporto centro-periferia, nella relazione tra eletti ed elettori.
Non si tratta solo di norme di finanziamento. Chiedere ai cittadini il sostegno significa renderli protagonisti dell’azione politica. È compito del partito che ha deciso di chiamarsi democratico

Proposta sul finanziamento dei partiti e dei movimenti politici che si presentano alle elezioni

Principi fondamentali
La legge stabilisce il principio della trasparenza attraverso cui i cittadini possono contribuire al finanziamento dei partiti e dei movimenti politici.

Abolizione del finanziamento ai partiti
Si aboliscono i rimborsi elettorali attualmente vigenti ai partiti politici.

Finanziamento dei partiti secondo le libere e volontarie indicazioni dei cittadini
Si aboliscono tutte le forme di finanziamento diretto dello Stato che non siano legittimate dalla scelta dei cittadini. I partiti verrebbero finanziati attraverso la libera scelta dei cittadini di devolvere l’un per mille del gettito Irpef ai partiti politici che abbiano depositato il proprio statuto presso la presidenza di Camera e Senato. La proposta riprende in parte un simile progetto di legge presentato dall’on. Claudia Mancina nella XIII legislatura.
Il contributo dell’uno per mille è calcolato sul gettito complessivo dell’Irpef per consentire anche ai redditi bassi, in particolare ai cosiddetti incapienti che non possono fruire di crediti d’imposta, di contribuire al finanziamento della politica. La privacy è garantita dalla dichiarazione in busta chiusa e anonima. La procedura non è in contrasto con gli indirizzi della competente Autorità.

Credito d’imposta per i contributi in favore dei partiti politici
Le libere donazioni private sono incentivate attraverso il meccanismo del credito d’imposta, con precisi massimali.Le percentuali per cui si ha diritto al credito d’imposta verranno definite dopo la discussione pubblica anche in base alla disponibilità di bilancio.
In questo modo di incentivano le libere donazioni dei cittadini limitando grandi donazioni che possano compromettere l’autonomia dei partiti politici. Vengono inoltre introdotti precisi limiti alle donazioni (massimo 50.000 € annui per i singoli cittadini, 100.000 € annui per aziende, associazioni e altre personalità giuridiche). Questo articolo riprende quasi integralmente la proposta di legge di iniziativa popolare proposta dalla Fondazione Nuovo Millennio per una Nuova Italia ed ideata dal prof. Pellegrino Capaldo.

Misure in favore della formazione politica dei giovani e dell’attività di ricerca
Per incentivare l’attività di ricerca, la formazione delle giovani generazioni, gli scambi con enti di ricerca internazionali e per concorrere alla crescita culturale del Paese è agevolata la costituzione di una fondazione culturale per ogni partito politico che deposita il proprio statuto ai sensi dell’articolo 2. Ogni partito che costituisce una fondazione ha diritto ad un ulteriore quota dell’un per mille del gettito irpef sempre secondo le indicazioni dei contribuenti.

Rimborso delle spese per le campagne elettorali
Per garantire a tutti i partiti pari opportunità di partenza è previsto un rimborso delle spese elettorali sostenute per le campagne elettorali. Tale rimborso potrà essere riconosciuto solamente dietro la presentazione dei giustificati di spesa nella misura massima di 20 centesimi di euro per ogni voto ricevuto.

Lo statuto dei partiti
I partiti politici sono qualificati come associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica. Nella presente legge si prevede che i partiti politici siano a tutti gli effetti persone giuridiche ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000 n. 361.
La legge prevede che gli statuti indichino, senza imporre alcun modello, le modalità di decisione degli indirizzi politici e delle candidature, le tutele per le minoranze interne e i diritti e i doveri degli iscritti.

Misure transitorie
L’attuale meccanismo di finanziamento verrà mantenuto con percentuali ridotte per un periodo transitorio di tre anni (art. 8), affinché i partiti possano compensare le minori entrate con adeguate misure di autofinaziamento.
La copertura finanziaria delle misure previste dalla presente legge è garantita dallo stanziamento previsto dalla legge 96/2012 e dagli stanziamenti per la copertura delle detrazioni fiscali attualmente previsti per le erogazioni liberali in favore dei partiti politici.

DISEGNO DI LEGGE:
ATTUAZIONE DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI SUI PARTITI POLITICI

Art. 1
(Principi fondamentali)

1. La presente legge stabilisce le modalità e le regole di trasparenza attraverso le quali i cittadini possono contribuire e partecipare alle scelte di finanziamento dei partiti e dei movimenti politici

Art. 2.
(Abolizione del finanziamento ai partiti).

1. A partire dall’entrata in vigore della presente legge sono aboliti i rimborsi elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157 secondo le modalità previste dagli articoli seguenti.
2. Le disposizioni previste dalla presente legge si applicano ai partiti e movimenti politici che liberamente decidono di presentarsi alle elezioni politiche con proprie liste di candidati, d’ora in poi denominati partiti e movimenti politici
3. A partire dall’entra in vigore della presente legge, i partiti e i movimenti politici che intendono avvalersi delle agevolazioni previste dagli articoli 2,3,4 e 5, istituiscono nel proprio sito internet una sezione apposita per la trasparenza dei bilanci in cui sono pubblicate tutte le voci di bilancio in entrata ed in uscita ed il bilancio annuale in forma esaustiva.

Art. 3.
(Finanziamento dei partiti secondo le libere e volontarie indicazioni dei cittadini).

1. A decorrere dall’anno finanziario della data di entrata in vigore della presente legge, ciascun contribuente, contestualmente alla dichiarazione annuale dei redditi, può destinare l’uno per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) ai partiti e ai movimenti politici che hanno depositato il proprio statuto ai sensi dell’articolo 6.

2. La destinazione volontaria avviene contestualmente alla dichiarazione dei redditi, su una scheda separata e anonima, al fine di garantire il rispetto della riservatezza. La scheda contiene l’elenco dei partiti e dei movimenti politici aventi diritto, ai sensi del comma 1. Il contribuente indica sulla scheda il partito politico cui intende destinare la quota dell’imposta.

3. L’importo versato da tutti i contribuenti ai sensi del comma 2 compone un apposito fondo devoluto ai singoli partiti in misura corrispondente alle indicazioni preferenziali effettuate dai contribuenti.

4. Possono accedere alle agevolazioni di cui al presente articolo solamente i partiti ed i movimenti politici iscritti nel registro delle Persone giuridiche di cui all’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica, 10 febbraio 2000, n. 361, che abbiano depositato il proprio statuto presso la presidenza della Camera dei Deputati e la presidenza del Senato della Repubblica e che rispettino le prescrizioni previste dall’articolo 7.

Art. 4.
(Credito d’imposta per i contributi in favore dei partiti politici).

1. Ai cittadini italiani e agli stranieri residenti in Italia che erogano contributi volontari in denaro in favore di partiti o movimenti politici di cui all’articolo 2 comma 4 è riconosciuto, a decorrere dal periodo d’imposta successivo all’entrata in vigore della presente legge, un credito di imposta pari:
a) al .… per cento dell’ammontare del contributo stesso, per i contributi fino a 2.000 euro, per ciascun periodo d’imposta.
b) al …. per cento dell’ammontare del contributo stesso, per i contributi da 2000 a 5000, euro per ciascun periodo d’imposta.
Non è previsto alcun credito d’imposta per le donazioni effettuate dalle persone giuridiche.

2. Le erogazioni liberali volontarie in denaro a partiti e movimenti politici da parte di una singola persona fisica non possono superare l’importo massimo di 50.000 euro l’anno pena l’esclusione dai contributi previsti dalla presente legge. Per le persone giuridiche il limite di cui al periodo precedente è di 100.000 euro.

3. Sono abrogate tutte le precedenti agevolazioni fiscali previste per le donazioni e le erogazioni liberali in favore dei partiti e movimenti politici.

Art.5.
(Misure in favore della formazione politica dei giovani e dell’attività di ricerca)

1. Ogni partito o movimento politico può costituire una fondazione per l’attività di ricerca, per la formazione delle giovani generazioni, per gli scambi con enti di ricerca internazionali e per concorrere alla crescita culturale del paese

2. Le fondazioni che svolgono attività di ricerca e di formazione ricevono un contributo pari a quello versato ai rispettivi partiti e movimenti politici ai sensi dell’articolo 2. Con successivo decreto sono definiti i criteri di verifica dell’effettivo svolgimento delle suddette attività.

3. I bilanci della fondazione sono allegati ai bilanci dei partiti e dei movimenti politici.

4. Il controllo sui bilanci dei partiti e le sanzioni pecuniarie previste dalla legge 96 del 2012 si applicano alla disciplina di finanziamento di cui al comma 4 dell’articolo 4.

Art. 6
(Rimborso delle spese per la campagna elettorale)

1. I partiti ed i movimenti politici di cui all’articolo 2 comma 4 che concorrono alle elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento italiano, per il rinnovo del Parlamento Europeo e dei Consigli regionali possono richiedere il rimborso delle spese effettuate per la campagna elettorale dietro presentazione di adeguati giustificativi di spesa e dimostrazioni di avvenuto pagamento

2. Il rimborso è corrisposto nella misura massima di 20 centesimi di euro per ogni voto valido ottenuto da ogni singolo partito o movimento politici alle elezioni politiche, del Parlamento Europeo e dei Consigli regionali e alle elezioni amministrative.

3. Il rimborso delle spese elettorali è corrisposto alle liste che ottengono almeno l’uno per cento dei voti validi nelle elezioni politiche, per il Parlamento Europeo e per i Consigli regionali.

Art. 7.
(Statuto dei partiti e dei movimenti politici).

1. I partiti politici e i movimenti politici che vogliano avvalersi delle agevolazioni previste dalla presente legge sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto. L’atto costitutivo e lo statuto sono redatti nella forma dell’atto pubblico.

2. Lo statuto viene depositato presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, entro sessanta giorni dalla data di iscrizione del partito o del movimento politico nel registro delle persone giuridiche di cui all’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica, 10 febbraio 2000, n. 361. Eventuali variazioni successive dello statuto sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale entro sessanta giorni dalla loro approvazione.
3. Allo statuto sono allegati, anche in forma grafica, il simbolo che, con la denominazione costituisce elemento essenziale di riconoscimento del partito o del movimento politico medesimo. La proprietà del simbolo appartiene al partito o al movimento politico e non può costituire in alcun modo una garanzia in rapporti di nessun tipo con terzi.

Art. 8.
(Princìpi e criteri direttivi per gli statuti dei partiti).

1. Tutti i cittadini e gli stranieri residenti in Italia hanno diritto di chiedere l’iscrizione ad un partito politico e di avere risposta, entro tre mesi, dagli organi competenti previsti dallo statuto.

2. Al fine di assicurare il rispetto del metodo democratico di cui all’articolo 49 della Costituzione, ogni partito nel proprio statuto di cui all’articolo 6, comma 1, deve indicare:
a) gli organi dirigenti, le loro competenze e le modalità della loro elezione da parte di un organo rappresentativo degli iscritti e la durata degli incarichi;
b) i casi di incompatibilità tra cariche dirigenziali all’interno del partito e incarichi, o nomine, a livello istituzionale e delle amministrazioni pubbliche nazionali e locali;
c) i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia; le modalità di partecipazione e di consultazione degli iscritti; le regole per l’istituzione e per l’accesso all’anagrafe degli iscritti.
d) le modalità di selezione delle candidature per il Parlamento europeo, per il Parlamento nazionale, per i consigli regionali e comunali, nonché per le cariche di sindaco e di presidente della regione

3. Lo statuto può altresì contenere norme integrative, adottate in conformità a quanto stabilito dalla presente legge.

4. Per quanto non espressamente previsto dallo statuto, ai partiti si applicano le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti in materia.

Articolo 9
(Trasparenza dei bilanci)

1. I controlli sui bilanci dei partiti e dei movimenti politici sono effettuati secondo le procedure previste dalla legge 96 del 2012

2. Sul sito internet dei partiti e dei movimenti politici di cui all’articolo 1 comma 3, sono indicati gli organi competenti a redigere e approvare il bilancio annuale dell’ente centrale. Questo bilancio, con allegati i bilanci degli altri enti controllati o collegati e il bilancio annuale consolidato, è pubblicato sul sito. Il bilancio dell’ente centrale e il bilancio consolidato devono essere certificati e devono essere accompagnati da informazioni esaustive sulle proprietà, sui soggetti creditori e debitori, sui rapporti di questi con i partiti o i movimenti politici e sull’eventuale controllo di organi di informazione diffusi su qualsiasi piattaforma tecnologica.

3. Sul sito internet dei partiti e dei movimenti politici di cui all’articolo 1 comma 3, sono inoltre pubblicati gli stati patrimoniali e dei redditi dei componenti degli organi dirigenti.

Art. 10.
(Misure transitorie e finali)

1. I movimenti e i partiti politici, ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, è riconosciuto il rimborso per le spese elettorali ai sensi dalla legge 96 dell’anno 2012, continuano ad usufruirne nell’esercizio finanziario in cui è compresa la predetta data e nei due esercizi successivi, esclusivamente per le spese sostenute e comunque secondo le riduzioni seguenti:
a) nell’esercizio di entrata in vigore della presente legge il rimborso è riconosciuto nella misura spettante in base alla citata legge n. 96 del 2012;
b) nel primo e nel secondo esercizio successivi a quello di entrata in vigore della presente legge il rimborso è riconosciuto nelle misure, rispettivamente del sessanta e del trenta per cento dell’importo determinato ai sensi della lettera a).

2. Il rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, cessa a partire dal quarto esercizio finanziario successivo a quello in cui è compresa la data di entrata in vigore della presente legge.

3. Nel primo e nel secondo esercizio successivo a quello dell’entrata in vigore della presente legge, la parte restante dello stanziamento previsto dalla legge 96/2012 è destinato alla copertura finanziaria delle misure previste dalla presente legge e costituisce il fondo di cui all’articolo 2 comma 3.

4. Sono destinati comunque alla copertura finanziaria delle misure previste dalla presente legge i fondi attualmente destinati alle detrazioni fiscali dell’attuale normativa per quel che riguarda le erogazioni liberali ai partiti politici.

5. Il credito d’imposta erogata in base alle modalità previste dall’articolo 3 è erogata a valere sul fondo di cui all’articolo 2 comma 3 senza prevedere finanziamenti ulteriori, fino ad esaurimento dei fondi a disposizione.

6. Con regolamento da adottare con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente, sono regolamentati i meccanismi di funzionamento della presente legge e le sue modalità di attuazione.

7. Al termine dei primi tre anni di applicazione della presente legge il Ministero dell’Economia e della Finanza, attraverso apposito decreto, provvederà alla revisione dei coefficienti di cui all’articolo 5 comma 1, in base all’effettiva partecipazione dei cittadini e comunque in modo tale da non superare lo stanziamento attuale.

8. Per i rimborsi elettorali dovuti per le elezioni politiche generali dell’anno 2013 è possibile, per i partiti politici che abbiano diritto a tali fondi, richiedere il rimborso solamente delle spese effettivamente sostenute dietro la presentazione dei giustificativi di spesa e dei mandati di pagamento.

Walter Tocci, Monica Cirinnà, Giuseppe Civati, Paolo Corsini, Erica D’Adda, Antonio Decaro, Nicoletta Favero, Elena Fissore, Paolo Gandolfi, Marianna Madia, Corradino Mineo, Massimo Mucchetti, Luca Pastorino, Alessia Rotta, Sandra Zampa.

http://waltertocci.blogspot.it/

"Italia in ritardo, colpa di politici e imprese", di Luigi La Spina

C’era un malcelato orgoglio nell’elenco dei ringraziamenti che Ignazio Visco
ha rivolto a coloro che, dalla Banca d’Italia, sono andati a ricoprire posti
importanti nel governo, nell’amministrazione pubblica e, perfino, alla Rai. E c’
era molta curiosità tra la platea che ascoltava le sue «considerazioni finali»
per capire come il governatore avrebbe marcato la distanza con il suo ex
direttore generale, Fabrizio Saccomanni.

Quel Fabrizio Saccomanni da solo un mese a capo del ministero dell’Economia,
il tradizionale interlocutore degli ammonimenti che, ogni anno, vengono
lanciati da via Nazionale al governo. Il potenziale imbarazzo di Visco è stato
schivato con abilità, ma senza reticenze, pur nell’ancor più rigoroso rispetto
della funzione del governatore e dei limiti del ruolo. Così il messaggio alla
politica, anche questa volta, è stato chiaro, ma si è esteso, con maggior forza
del passato, a tutta la società italiana, in particolar modo alle imprese e all’
alta dirigenza burocratica del nostro Paese. Nella consapevolezza di una vasta
corresponsabilità per il drammatico ritardo competitivo che l’Italia ha
accumulato negli ultimi 25 anni.

La diagnosi dei nostri mali è, ormai, da tutti condivisa e le terapie per la
cura, anche per i ridotti margini che l’Europa concede ai medici italiani,
sono, quasi da tutti, pure condivise. Ma il guaio è nella loro applicazione,
perché i politici, come ha detto eufemisticamente Visco, «stentano» a mediare
tra interesse generale e interessi particolari, la burocrazia frena il processo
di ammodernamento e le riforme «sono sempre chieste a chi è altro da noi». È
questo il nodo che strozza l’economia italiana e che ha indotto il governatore
a un giudizio abbastanza desolato e desolante sul nostro Paese «incapace di
rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e
demografici» avvenuti da oltre due decenni.

Ecco perché la politica deve fare la propria parte e, a questo proposito,
Visco si è schierato decisamente fra coloro che difendono il rigore nelle
politiche di bilancio, in sottintesa, ma trasparente polemica con chi è stato
colto da improvvise conversioni sull’opportunità di un loro allentamento. Anzi,
ha ricordato al governo che, almeno per quest’anno, non ci sono né tesori, né
tesoretti da spendere e che le tasse, nel medio periodo, andranno sì abbassate,
ma cominciando da quelle che gravano sul lavoro e sulle imprese. E i silenzi
del governatore sulla invocata, da Berlusconi, abolizione dell’Imu e sul
sollecitato, dalla sinistra, rinvio dell’aumento dell’Iva sono apparsi davvero
eloquenti.

Non basta, però, a salvare l’Italia da un inesorabile declino nella gerarchia
delle nazioni nel mondo l’opera dei politici e neanche il forte contrasto alle
inerzie e alle inefficienze dell’amministrazione pubblica, pure nella speranza
che il nuovo ragioniere dello Stato, proveniente proprio dalla Banca d’Italia,
Daniele Franco, riesca là dove hanno fallito i suoi predecessori. La sferzata
più bruciante, e forse la più inattesa, è stata riservata da Visco alle
imprese. Non tutte, per la verità. Perché il governatore ha riconosciuto che
alcune, fra le più grandi, hanno investito con risorse proprie, hanno accettato
la sfida dell’innovazione spostandosi sui mercati più dinamici, hanno cambiato
i modelli organizzativi. Altre, invece, continuano a chiedere soldi allo Stato,
a non diversificare, rispetto ai finanziamenti bancari, le fonti delle loro
risorse, a non modernizzare i processi produttivi.

È vero che profondi cambiamenti nei rapporti di lavoro sono necessari, ha
sostenuto Visco, così come nel mondo dell’istruzione, nella giustizia civile,
nel quadro troppo ridondante di norme e di adempimenti amministrativi. Ma
quella «distruzione creativa» di schumpeteriana memoria farà il suo
inarrestabile corso nei prossimi anni in Italia e la previsione del governatore
non è sembrata nascondere la drammaticità delle conseguenze che provocherà
anche sulla coesione sociale nel nostro Paese.
La relazione del governatore è apparsa spietata nella diagnosi, completa nella
individuazione delle responsabilità, ma forse priva, all’apparenza, di proposte
innovative, soprattutto sul difficile problema del rapporto tra banche e
imprese medio-piccole. È possibile che, nei prossimi mesi, la Banca d’Italia
suggerisca, su questo tema, una serie di misure che possano aiutare quel
tessuto aziendale intermedio che costituisce la forza dell’economia produttiva
italiana. Una struttura gravemente indebolita nel numero di grande industrie
presenti in settori fondamentali per i mercati internazionali e che conserva,
invece, nicchie di eccellenza che, però, avrebbero bisogno di una crescita
dimensionale ormai non più rinviabile. Ma siamo davvero sicuri che sia più
urgente esercitare la fantasia, immaginando nuove norme, nuove leggi, nuove
proposte e, invece, non sia meglio, e più concretamente efficace, far
funzionare quelle che ci sono già o che sono state già decise e che le mille
corporazioni italiane del privilegio stanno bloccando?

La Stampa 01.06.13

"Addio Franca Rame tra donne in rosso e Bella Ciao", di Natalia Aspesi

La gente è così tanta — c’è chi parla di 7-8mila persone — che anche Dario Fo
e i parenti faticano a raggiungere il sagrato del Teatro Strehler, dove, sotto
una gigantografia di Franca Rame in scena, c’è il feretro che se la porta via
per sempre. Ma va bene così: ciò che conta, dirà poi il premio Nobel, sfinito,
a funerale terminato, dopo aver tumulato la salma nel famedio, il cimitero dei
grandi di Milano, casualmente e teneramente proprio accanto all’amico Enzo
Jannacci, «ciò che conta, è che finalmente tutti abbiano potuto salutare
Franca». Ed è stato, quello di ieri, un saluto umanissimo e civile ai mille
volti di Franca Rame: le centinaia di donne vestite di rosso a cantare “Bella
ciao” per «la Franca che ha lottato per noi»; gli handicappati in carrozzella
per la donna che li ha sostenuti coi soldi del Nobel; i vecchi amici di
“Soccorso rosso”, Oreste Scalzone e altri, a ricordare le battaglie politiche
col pugno alzato e l’Internazionale, suonata a molti opaca, incongrua, remota.
E poi i colleghi, gli amici, Stefano Benni, Carlo Petrini, Gad Lerner,
Ferruccio Soleri, Giulia Lazzarini, Gianna Nannini arrivata apposta da Amburgo,
Claudia Mori coi saluti di Celentano, Beppe Grillo nella camera ardente
con una rosa rossa, Sergio Escobar il direttore del Piccolo tutti qui per l’
attrice e l’amica; e i compagni di lavoro, Mario Pirovano, Doriano Cranco,
Fabrizio de Giovanni, il suo regista delle riprese tv, Felice Cappa, Chiara,
Luca per l’infaticabile organizzatrice di ogni evento.
É stato Dario Fo, ancora una volta, a commuovere. Ammirevole, a 87 anni,
spaesato dai tre giorni di dolore, ha fatto venire il magone a tutti con queste
parole: «C’è una regola antica nel teatro: quando hai concluso, non c’è bisogno
che tu dica altro: saluta e pensa che la gente se l’hai accontentata ti sarà
riconoscente». Poi, guardando la bara, ha urlato un “Ciaooo” disperato. Prima, spiazzando tutti, aveva interpretato un pezzo inedito, «scritto da Franca non da me», aveva sottolineato rendendo omaggio alla Rame scrittrice, una Genesi apocrifa dove a essere creata per prima è Eva non Adamo e una volta insieme scelgono «la sapienza, la conoscenza, il dubbio, l’amore. Anche se poi c’è la fine ».
Ad aprire la cerimonia laica era stato alle 11 il sindaco di Milano
Giuliano Pisapia che ha portato «un cuore rosso, il cuore di Milano », ha
detto. Con rabbia e commozione Jacopo Fo ha ripercorso le battaglie della
madre, ha accusato «i servizi deviati e gli ufficiali dei carabinieri che
brindavano quando fu stuprata», e quelli che ancora legano quello stupro alla sua
bellezza. «Mia madre rompeva i c… Per loro era intollerabile che a farlo
fosse una donna e bella». Un discorso il suo contro l’avvilimento. «Mia madre
diceva: Dio c’è ed è comunista, si sono estinti i dinosauri e si estingueranno le persone che non hanno rispetto per l’umanità. Non solo: Dio è anche femmina. Dunque state certi che questo mondo lo cambieremo».

La Repubblica 01.06.13

"Chi paga il conto", di Massimo Giannini

Quello del governatore «è il mestiere più facile del mondo: stringi la
liquidità, la allarghi, e in tutti i casi non devi rispondere davanti all’
elettore degli effetti concreti delle tue scelte ». Era una vecchia lezione di
Guido Carli, che negli anni ’70 e ’80 temeva il «vuoto», politico e
anche sociale in cui la Banca d’Italia finiva spesso per rinchiudersi, mentre
“fuori” dilagava la democrazia del deficit, la partitocrazia usava la spesa
pubblica per comprare consensi, e la tecnocrazia di Via Nazionale non poteva
far altro che restringere il credito per frenare il disastro. Il grafico dell’
inflazione e quello della massa monetaria erano un’arma di difesa, l’unica e l’
ultima, da brandire contro le «invasioni barbariche» dell’epoca. Era un bene,
perché così si tutelava l’economia nazionale. Ma per alcuni era anche un male,
perché la Banca finiva per essere percepita come un corpo a sé, distinto e
distante dal Paese.
Quarant’anni dopo molto è cambiato. La lira non c’è più. Sui tassi di
interesse decide l’Eurotower, non più Palazzo Koch. Ma quella sottile
sensazione di «straniamento» che percepiva a suo tempo Carli si percepisce
anche oggi, ad ascoltare le Considerazioni finali che il suo erede Ignazio
Visco legge di fronte a quello che una volta si chiamava il «gotha» dell’
industria e della finanza.
Una bella relazione, quella del governatore. Stringata e asciutta, com’è nel
nuovo stile della casa. Ma oggi come allora (e come è accaduto anche all’
assemblea di Confindustria una settimana fa), l’establishment celebra i suoi
riti autoreferenziali lanciando speranzosi messaggi in bottiglia a una politica
che non li raccoglierà. Parlando a se stesso di un altro «anno difficile», di
«gravi prove» che la collettività ha dovuto affrontare, di «progressi
insufficienti». Ma intanto, «fuori», svaniscono un milione e 400 mila posti di
lavoro, la disoccupazione giovanile supera il tetto del 40%, i prestiti delle
banche si contraggono di 60 miliardi, falliscono 14 mila imprese all’anno,
bruciano 230 miliardi di Pil in cinque anni.
In queste condizioni non deve essere più tanto facile fare il banchiere
centrale, senza sentire il peso di una situazione drammatica che, come dice
giustamente Visco, in teoria chiama in causa tutti (dai «rappresentanti
politici » che «stentano a mediare tra interesse generale e interessi
particolari», alle «imprese, le banche, le istituzioni »). Ma in pratica
presenta il conto solo ai tanti che, in quel salone di Via Nazionale, non ci
sono, non si vedono e non si sentono. Le famiglie mono- reddito, i pensionati
al minimo, i precari, le finte partite Iva, i disoccupati, i cassintegrati. Qui
non si tratta di fare populismo un tanto al chilo. L’auto-rappresentazione
delle classi dirigenti è fisiologica nelle democrazie moderne dell’Occidente.
Ma non può e non deve diventare auto-assoluzione delle élite, che tutt’al più
si rimpallano le colpe tra di loro.
Nella relazione del governatore non c’è una sola riga che non sia
condivisibile, e improntata al rigore scientifico, analitico ed etico che da
sempre contraddistingue la Banca d’Italia e ne fa (insieme al Quirinale) l’
istituzione più autorevole del Paese, al quale presta, non a caso, da decenni
le sue migliori risorse umane e professionali. La criticità dell’euro e la
centralità dell’Europa. Il ruolo insostituibile della Bce, che finora ha
salvato da sola la moneta unica e persino l’Italia, dove gli interventi «non
convenzionali » decisi da Draghi hanno contribuito a sostenere il Pil per
almeno 2 punti percentuali e mezzo negli ultimi due anni. La necessità di
completare il processo di integrazione «monetaria, bancaria, di bilancio e
infine politica ». Ma quando l’orizzonte si restringe sull’Italia, subentra uno
sconforto che l’intero «Sistema» (non solo quello politico, ma anche quello
industrial-finanziario) non può non avvertire come risultato di una sua
inadeguatezza.
E se oggi è davvero a rischio «la coesione sociale», questo non può dipendere
sempre e soltanto da una politica sorda e codarda. Dall’osservatorio di Palazzo
Koch la Prima Repubblica non è mai finita. L’Italia si è fermata «a venticinque
anni fa». Siamo cioè nello stesso Jurassic Park del 1988-89, quando governava l’
Andreotti VI, Tangentopoli covava sotto la cenere, esplodeva lo scandalo Bnl-
Atlanta, infuriavano le proteste sulla chiusura dello stabilimento Italsider di
Bagnoli, le lettere del corvo ammorbavano il pool antimafia, e proprio Carli da
neo-ministro del Tesoro sbatteva i pugni e la testa contro il «partito
trasversale della spesa». Basta sostituire il penta-partito di Andreotti con il
«governo di servizio» di Letta e Alfano, Bnl-Atlanta con il Montepaschi, l’
Italsider di Bagnoli con l’Ilva di Taranto, i veleni del corvo di Palermo con i
miasmi della trattativa Statomafia, Carli con Fabrizio Saccomanni. E il gioco è
fatto.
Da lì, da quelle «debolezze strutturali», non ci siamo quasi più mossi.
Abbiamo rinviato il risanamento del bilancio. Non abbiamo qualificato la scuola
e l’università. Non abbiamo lottato abbastanza contro la corruzione e l’
evasione. Non abbiamo riformato il mercato del lavoro. Non abbiamo semplificato
la nostra burocrazia, per rendere la vita più facile ai cittadini e l’ambiente
più propizio alle imprese. Quello che Visco dice, ed ha perfettamente ragione,
è che tanta parte della nostra arretratezza è imputabile a un capitalismo senza
capitali, a un tessuto industriale che ha rifiutato la sfida del libero mercato
e dell’innovazione di prodotto e di processo, privilegiando la rendita agli
investimenti. Quello che Visco non dice, e ha torto a non farlo, è che nella
crisi le banche hanno avuto ed hanno un ruolo cruciale, non meno «critico» di
quello delle imprese. Il credit crunch è un nodo scorsoio che si stringe al collo delle famiglie e delle aziende. È vero che le sofferenze esplodono, ma una parola di più ai Signori del Credito il governatore avrebbe potuto e dovuto spenderla, per spiegare come si può allentare quella morsa.
Dietro l’angolo non c’è molto di buono. In un anno non se ne possono
recuperare venticinque. Non aspettiamoci che la Ue, chiusa la procedura d’
infrazione, ci proietti nelle verdi vallate del deficit spending. Non andrà
così. L’austerità non può finire, non si esce dalla crisi «con la leva del
disavanzo». La ricetta del governatore è di assoluto buon senso. Possiamo
ridurre le imposte solo in modo selettivo, tagliando la spesa corrente e
privilegiando il lavoro e la produzione (magari non trasformando l’Imu in un
feticcio ideologico). Dobbiamo spostare l’attività industriale dai settori in
declino a quelli in espansione, rassegnandoci all’idea che molte occupazioni
scompariranno per sempre. E senza un piano di lungo periodo sul lavoro e la
formazione, a salvare i giovani non basterà il miraggio della «staffetta
generazionale ». In definitiva, serve «un programma credibile », che incida
sulle aspettative e ridia la fiducia necessaria. Così, alla fine, si torna all’
inizio: in tutti i settori della vita pubblica, servono leadership all’altezza
del compito, che diano l’esempio e inoculino civismo in un tessuto sociale,
imprenditoriale e sindacale, irrigato dal cinismo. Ma nell’Italia di oggi c’è
traccia, di un establishment siffatto? La stagione delle Larghe Intese sarà
anche quella delle Lunghe Attese.

La Repubblica 01.06.13

"Donne: in forte aumento le richieste di soccorso", di Marcello Radighieri

Un fenomeno emergenziale. È questa la percezione restituita dalle principali testate giornalistiche locali e nazionali: sulle cui pagine campeggiano da mesi casi legati al femminicidio e alla violenza sulle donne. Un’attenzione mediatica che se da una parte enfatizza giustamente il problema, fino a farlo diventare un argomento di stringente attualità, dall’altra non aiuta a fare chiarezza sulla reale portata del fenomeno. E solo i numeri istituzionali possono aiutare ad analizzare in maniera oggettiva la situazione. Il dato più significativo proviene probabilmente dalla rete ospedaliera territoriale. Alla sezione “violenza di genere” dei pronto soccorso sparsi lungo la provincia modenese, i casi segnati sotto l’anno 2012 sono 841. In deciso aumento rispetto all’anno precedente, quando la casistica stentava a toccare quota 790. Numeri oltretutto, che potrebbero risultare sottostimati, a causa di problemi tecnici legati al sisma dello scorso anno. Numeri, ancora, di cui disponiamo solo una tendenza recente, dato che fino a pochi anni fa questa sezione non esisteva e i casi di violenza sulle donne dovevano essere estrapolati dalla categoria residuale “opere terzi”. «Teniamo conto – spiega Carlo Tassi, direttore provinciale del Dipartimento emergenza-urgenza dell’Ausl – che si tratta di cifre bassissime rispetto alla reale entità del problema; è noto, infatti, che solo un 10% delle donne riesce a denunciare». Che ci sia un aumento tendenziale, secondo Tassi, è però indubbio. «Sicuramente troviamo una maggiore disposizione ad “uscire dall’omertà”, abbinata probabilmente ad un aumento della propensione degli infermieri a rintracciare i segnali sospetti al pronto soccorso. Ma questo non significa che tale fenomeno sia costante, anzi». Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’assessore alle politiche sociali Francesca Maletti. Anche i dati in possesso dell’ente comunale sembrerebbero parlare da soli. I casi seguiti dal centro “Donne contro la violenza” sono sempre di più: quasi raddoppiati rispetto a tre anni fa. Dai 140 del 2010 si passa infatti ai 262 dell’anno passato, in un trend che, tenendo conto anche dei poco più di 200 del 2011, non lascia spazio a dubbi ed incertezza. Anche i cosiddetti progetti congiunti, corrispondenti alle donne seguite attraverso una collaborazione del centro con i Servizi sociali del Comune, si allineano all’andamento, arrivando a superare la ventina di episodi tra gennaio e dicembre 2012. I numeri segnalati dalle due istituzioni consegnerebbero insomma una fotografia di un fenomeno in costante aumento. Proprio per questo Giuseppe Maggese, dirigente della divisione anticrimine della Questura modenese, rappresenta in parte una “voce fuori dal coro”: «Se guardiamo alla realtà modenese non possiamo parlare di un fenomeno emergenziale – spiega Maggese – non vuole assolutamente dire che non vada affrontato o che la risposta messa in campo da parte dello Stato non fosse necessaria». Una risposta di buona qualità, quindi, ad una situazione che, almeno a Modena, «non è mai stata trascurata». Guardare alla casistica, però, piuttosto difficile. La Questura non ha certo competenze statistiche, e nell’archivio la “violenza di genere” non è in alcun modo desumibile dalla macrosezione “lesioni dolose”, che peraltro vede negli ultimi anni un trend «altalenante ma in costante discesa». L’unico dato a disposizione rimane quindi quello dell’ufficio antistalking diretto dallo stesso Maggese, che negli ultimi anni ha seguito circa 45 casi.

La Gazzetta di Modena 31.05.13