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"Il Governo Letta e l’edilizia scolastica", di Osvaldo Roman

L’edilizia è ancora oggi un drammatico problema di sicurezza nelle scuole. assumerla come priorità come ha fatto il Presidente Letta potrebbe significare, anche se non necessariamente nei primi 100 giorni, la realizzazione di interventi destinati non solo al risanamento delle scuole ma alla crescita del Paese.
Si può allo scopo ricordare che del famigerato miliardo, sbandierato da Berlusconi e poi “nascosto” da Tremonti, sono stati impegnati praticamente solo i 276 milioni destinati all’approntamento delle strutture scolastiche allestite o risanate nel territorio devastato dal terremoto dell’Abruzzo. Altri 120 milioni, derivanti in parte da ulteriori interventi (60 milioni) della legge di stabilità 2012, sono stati destinati per le esigenze derivanti dal terremoto dell’Emilia Romagna. E’ incredibile ma vero tutto il resto dello stanziamento non è stato finora utilizzato!
Con i Fondi strutturali europei (FSE, FESR) e con il Piano di Azione e Coesione (PAC) avviato nel 2011 il Miur ha finanziato interventi per gli ambienti scolastici nelle Regioni della Convergenza.
Gli impegni effettuati a partire dal 2010 con il relativo PON, pari a circa 220 mln, saranno completati finanziariamente solo nel 2015. Quelli previsti nel PAC (422,5 milioni di euro) superano la dotazione dell’Azione pari a 383,9 milioni di euro per la realizzazione di opere di ristrutturazione e riqualificazione degli ambienti scolastici volti a migliorare l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza e l’accessibilità degli edifici.

Le risorse per quanto riguarda l’edilizia scolastica sono attualmente in sostanza quelle richiamate alla lettera a) del comma 4 dell’art. 11 della legge 221/12 e sono rappresentate, come specifica la Tavola 3.2 dell’allegato VI al DPF 2013-Doc. LVII n.1 da:
• 203,4 mln che vanno a integrare o a sostituire quei 358,422 mln già stanziati dalla delibera CIPE n.32/2010 successivamente ridotti dalla Delibera CIPE n. 6 del 20 gennaio 2012;
• 259,0 mln la cui progettazione ,stando al suddetto DEF,è ancora in corso!
Poiché l’edilizia scolastica è una priorità del governo Letta si riparta dunque da questi dati per i quali si dovrà prevedere una tempestiva erogazione e un adeguato incremento.

La recente Direttiva per i 38 mln per il Fondo immobiliare

Mentre si attendono ancora i piani si cui all’art.53 e quelli di cui all’art 11 comma 4 della legge 221/12 il MIUR ha emanato il 26 marzo 2013 una Direttiva per l’edilizia scolastica che prevede l’impiego di 38 milioni di euro per interventi nelle scuole statali attraverso il fondo immobiliare.
Si tratta di 38 milioni di euro da destinare alla rigenerazione del patrimonio immobiliare e alla costruzione di nuove scuole attraverso lo strumento del fondo immobiliare.
Il fondo immobiliare, da costituire attraverso una Società di Gestione del Risparmio appositamente individuata dall’Ente locale/Regione tramite procedure ad evidenza pubblica, è uno strumento finanziario destinato a realizzare le nuove strutture grazie alla valorizzazione degli immobili obsoleti, conferiti dall’Ente locale/Regione, e ad ogni ulteriore eventuale cofinanziamento.
Per accedere ai contributi gli Enti locali/Regioni hanno dovuto presentare una richiesta, specificando l’importo del contributo richiesto ed inviando il modello di protocollo di intesa, nel quale dovevano essere espressamente indicati gli interventi da realizzare ed il relativo costo totale. Gli Enti locali e le Regioni che hanno diritto al contributo, avrebbero dovuto successivamente sottoscrivere formalmente con il MIUR il Protocollo di Intesa.

E’ utile al riguardo richiamare la più recente normativa in materia perché una gran parte delle disposizioni in essa previste risultano ancora inattuate.
Innanzitutto occorre richiamare il contenuto dell’articolo 53 del DL 9/2/2012 n. 5 convertito nella legge 4 aprile 2012 n.35 (legge sulle semplificazioni):
il comma 1 disponeva, – al fine di garantire su tutto il territorio nazionale l’ammodernamento e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare scolastico, anche in modo da conseguire una riduzione strutturale delle spese correnti di funzionamento- l’approvazione da parte del CIPE di un Piano nazionale di edilizia scolastica.
Lo stesso comma disciplinava il procedimento di approvazione del piano stabilendo che essa sarebbe dovuta avvenire:
su proposta dei Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca, e delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa in sede di Conferenza unificata;
entro 90 giorni dall’entrata in vigore del suddetto decreto (il comma in esame prevedeva che la proposta di Piano fosse trasmessa alla Conferenza unificata entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto e che il Piano fosse poi approvato entro i successivi 60 giorni).
Al comma 1 bis era prevista la verifica dello stato di attuazione degli interventi ela ricognizione sullo stato di utilizzazione della risorse già stanziate.
Il comma 2 specificava in dettaglio gli interventi da realizzare attraverso il Piano, nonché i criteri da seguire e gli strumenti da utilizzare per la loro realizzazione. Veniva infatti statuito che il Piano avrebbe dovuto avere ad oggetto la realizzazione di interventi:
di ammodernamento e recupero del patrimonio scolastico esistente, anche ai fini della messa in sicurezza degli edifici;
di costruzione e completamento di nuovi edifici scolastici.

Lo stesso comma elencava i criteri generali che avrebbero dovuto guidare l’attuazione del Piano; veniva infatti previsto che gli interventi citati dovranno essere realizzati:
in un’ottica di razionalizzazione e contenimento delle spese correnti di funzionamento;
nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti;
favorendo il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.

Tra gli interventi strumentali alla realizzazione del Piano, si ricordavano, come utilizzabili:
a) la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, costituito da aree ed edifici non più utilizzati, da destinare agli interventi previsti dall’articolo in commento, sulla base di accordi tra il MIUR, l’Agenzia del demanio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa in caso di aree ed edifici non più utilizzati a fini militari, le regioni e gli enti locali;
b) la costituzione di uno o più fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e razionalizzazione del patrimonio immobiliare scolastico ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l’acquisizione e la realizzazione di immobili per l’edilizia scolastica;
c) la messa a disposizione di beni immobili di proprietà pubblica a uso scolastico suscettibili di valorizzazione e dismissione in favore di soggetti pubblici o privati, mediante permuta, anche parziale, con immobili già esistenti o da edificare e da destinare a nuove scuole;
d) le modalità di compartecipazione facoltativa degli enti locali.
d-bis) la promozione di contratti di partenariato pubblico privato come definiti dal codice civile.
Il comma 3 prevedeva che, in coerenza con le indicazioni contenute nel Piano, i Ministeri dell’istruzione, dell’università e della ricerca, delle infrastrutture e dell’ambiente promuovano congiuntamente la stipulazione di appositi accordi di programma, approvati con decreto dei relativi Ministri, al fine di:
concentrare gli interventi sulle esigenze dei singoli contesti territoriali;
promuovere e valorizzare la partecipazione di soggetti pubblici e privati per sviluppare utili sinergie.

Il comma 4 prevedeva che nella delibera CIPE di approvazione del Piano fossero disciplinati modalità e termini per la verifica periodica delle fasi di realizzazione del Piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie.
Tale verifica, in base al medesimo comma, avrebbe dovuto consentire, in caso di scostamenti, di destinare le risorse finanziarie pubbliche a modalità di attuazione più efficienti.

Il comma 5 individuava i seguenti interventi urgenti da attuare nelle more della definizione e approvazione del Piano, al fine di assicurare il tempestivo avvio di interventi prioritari e immediatamente realizzabili di edilizia scolastica coerenti con gli obiettivi di cui ai commi 1 e 2:
approvazione, da parte del CIPE (su proposta dei Ministri dell’istruzione e delle infrastrutture, sentita la Conferenza unificata), di un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici, anche favorendo interventi diretti al risparmio energetico e all’eliminazione delle locazioni a carattere oneroso, nell’ambito delle risorse assegnate al Ministero dell’istruzione dall’art. 33, comma 8, della L. 183/2011 e pari a 100 milioni di euro per l’anno 2012.
applicazione anche nel triennio 2012-2014 delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 626, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), con estensione dell’ambito di applicazione alle scuole primarie e dell’infanzia, subordinatamente al rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica.
Il comma 6, al fine di semplificare le procedure relative alle operazioni presenti nell’articolo, disciplina l’acquisizione e la cessazione del vincolo di destinazione a uso scolastico. Viene infatti previsto che tale vincolo:
sia acquisito automaticamente per i nuovi edifici con il collaudo dell’opera;
cessi per gli edifici scolastici oggetto di permuta con l’effettivo trasferimento delle attività scolastiche presso la nuova sede.

Il comma 7 prevedeva l’emanazione di un decreto interministeriale recante le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia (anche con riferimento alle tecnologie in materia di efficienza e risparmio energetici e produzione da fonti energetiche rinnovabili) e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale.
Lo stesso comma precisava che l’adozione di tale nuova normativa tecnica dovrà essere finalizzata ad adeguare la normativa tecnica vigente agli standard europei e alle più moderne concezioni di realizzazione e impiego degli edifici scolastici, perseguendo altresì, ove possibile, soluzioni protese al contenimento dei costi.
Relativamente alle modalità di adozione del decreto, il comma precisava che esso avrebbe dovuto essere emanato, di concerto dai Ministri dell’istruzione dell’università e della ricerca, delle infrastrutture e dell’ambiente, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sentita la Conferenza unificata.

Il comma 8 disponeva che all’attuazione dell’articolo si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Il comma 9 prevedeva
• l’adozione, entro 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto, di misure di gestione, conduzione e manutenzione degli immobili finalizzate al contenimento dei consumi di energia e alla migliore efficienza degli usi finali della stessa, da parte di:
-enti proprietari di edifici adibiti a istituzioni scolastiche;
-università; enti di ricerca vigilati dal MIUR
Il comma prevedeva altresì che l’adozione delle misure indicate:
• dovrà avvenire secondo linee guida ministeriali, predisposte dal MIUR, di concerto con i Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico e delle infrastrutture, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto;
• potrà avvenire anche attraverso il ricorso, in deroga all’art. 12 del D.L. 98/2011, ai contratti di servizio energia di cui al D.P.R. 412/1993 e al D.Lgs. 115/2008.

Tutte le previsioni di cui al suddetto articolo 53 risultano ad oggi inattuate con l’eccezione dell’adozione delle norme tecniche quadro di cui al comma 7 a cui ha fatto seguito la Direttiva del MIUR riguardante l’impiego di 38 mln per il sostegno dei fondi immobiliari.

Sul tema dell’edilizia scolastica è successivamente intervenuto l’art. 11, commi dal 4 al 4-octies, del D.L. n. 179/2012 convertito con modificazioni dalla L. n. 221/2012.
Di conseguenza la lettera a) del comma 2 dell’articolo 53 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, risulta modificata come segue:
«a) Il Ministero dell’istruzione, università e ricerca, le regioni e i competenti enti locali, al fine di garantire edifici scolastici sicuri, sostenibili e accoglienti, avviano tempestivamente iniziative di rigenerazione integrata del patrimonio immobiliare scolastico, anche attraverso la realizzazione di nuovi complessi scolastici, e promuovono, d’intesa, con il Ministero dell’economia e delle finanze, iniziative finalizzate, tra l’altro, alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari, anche ai sensi degli articoli 33 e 33-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. I predetti strumenti societari o finanziari possono essere oggetto di conferimento o di apporto da parte delle amministrazioni proprietarie di immobili destinati ad uso scolastico e di immobili complementari ai progetti di rigenerazione, in coerenza con le destinazioni individuate negli strumenti urbanistici. Per le finalità di cui al presente comma, sono utilizzate le risorse di cui all’articolo 33, comma 8, della legge 12 novembre 2011, n. 183, nonché le risorse a valere sui fondi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, già destinate con delibera CIPE n. 6/2012 del 20 gennaio 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2012, alla costruzione di nuove scuole. Per favorire il contenimento dei consumi energetici del patrimonio scolastico e, ove possibile, la contestuale messa a norma dello stesso, gli enti locali, proprietari di immobili scolastici, possono ricorrere, ai fini del contenimento della spesa pubblica, ai contratti di servizio energia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni, da stipulare senza oneri a carico dell’ente locale in conformità alle previsioni di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, anche nelle forme previste dall’articolo 3, comma 15-ter, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;».

Altre integrazioni apportate dal suddetto art.11 alla normativa stabilita dall’ art 53 sono le seguenti:
4-bis. Per consentire il regolare svolgimento del servizio scolastico in ambienti adeguati e sicuri, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca con proprio decreto, d’intesa con la Conferenza unificata, definisce le priorità strategiche, le modalità e i termini per la predisposizione e per l’approvazione di appositi piani triennali, articolati in singole annualità, di interventi di edilizia scolastica, nonché i relativi finanziamenti.
4-ter. Per l’inserimento in tali piani, gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all’uso scolastico presentano, secondo quanto indicato nel decreto di cui al comma 4-bis, domanda alle regioni territorialmente competenti.
4-quater. Ciascuna regione e provincia autonoma, valutata la corrispondenza con le disposizioni indicate nel decreto di cui al comma 4-bis e tenuto conto della programmazione dell’offerta formativa, approva e trasmette al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il proprio piano, formulato sulla base delle richieste pervenute. La mancata trasmissione dei piani regionali nei termini indicati nel decreto medesimo comporta la decadenza dai finanziamenti assegnabili nel triennio di riferimento.
4-quinquies. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, verificati i piani trasmessi dalle regioni e dalle province autonome, in assenza di osservazioni da formulare li approva e ne dà loro comunicazione ai fini della relativa pubblicazione, nei successivi trenta giorni, nei rispettivi Bollettini ufficiali.
4-sexies. Per le finalità di cui ai commi da 4-bis a 4-quinquies, a decorrere dall’esercizio finanziario 2013 è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il Fondo unico per l’edilizia scolastica, nel quale confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.
4-septies. Nell’assegnazione delle risorse si tiene conto della capacità di spesa dimostrata dagli enti locali in ragione della tempestività, dell’efficienza e dell’esaustività dell’utilizzo delle risorse loro conferite nell’annualità precedente, con l’attribuzione, a livello regionale, di una quota aggiuntiva non superiore al 20 per cento di quanto sarebbe ordinariamente spettato in sede di riparto.
4-octies. Per gli edifici scolastici di nuova edificazione gli enti locali responsabili dell’edilizia scolastica provvedono ad includere l’infrastruttura di rete internet tra le opere edilizie necessarie.
4-novies. All’articolo 15, comma 3, lettera c), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dopo le parole: «dell’intera dotazione libraria» è inserita la seguente: «necessaria».

Non ha finora, fra l’altro, trovato alcuna attuazione quanto previsto al comma 4-sexies, circa l’istituzione nello stato di previsione del MIUR del Fondo unico per l’edilizia scolastica, nel quale confluiscano tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica, incluse quelle di cui al FSC.
In relazione a tale previsione l’Allegato VI al DEF 2013 segnala che é in corso l’istruttoria per definire il perimetro delle assegnazioni del Fondo Sviluppo e Coesione -FSC -(ex FAS) interessate e, soprattutto, le modalità per l’utilizzo delle risorse stesse che confluiranno nel Fondo suddetto in coerenza con le regole che le caratterizzano.
Se non altro per una questione di correttezza legislativa é inoltre necessario rivedere la formulazione dell’art.11 del DL n.179 convertito nella legge n. 221/2012 là dove, al comma 4, si interviene solo sulla lettera a) del comma 2 dell’art. 53 della legge n .35/2012 e non sulle rimanenti parti [b),c) d) e d-bis)] del medesimo articolo pure investite dalle modifiche apportate. Così pure sarà necessario coordinare le modifiche, apportate al comma 2, lett. a) dell’art 53 predetto, con le disposizioni recate dal comma 5 lettera a) del medesimo art. 53.

In questi giorni il nuovo ministro Maria Grazia Carrozza ha accennato alla centralità che dovrà assumere un intervento del Governo in questo settore.
Le condizioni per un serio avvio del progetto sono dunque già sul tappeto e dovranno essere correttamente utilizzate a partire da:
• una piena utilizzazione delle risorse del FSC non ancora programmate e un loro graduale incremento;
• l’utilizzo dei Fondi immobiliari;
• la rimozione del patto di stabilità per le spese che riguardano l’edilizia e la sicurezza delle scuole.

http://www.faceworker.it/it/notizie/255/il_governo_letta_e_l%92edilizia_scolastica.html

Errani: «Comunità e impegno di tutti, ecco come ci siamo rialzati»

Lo aveva detto nei giorni scorsi e lo ripete adesso: «Chi ha subito danni e li certifica sarà risarcito fino all’ultimo euro». Alla vigilia della prima scossa che un anno fa trasformò l’Emilia in una terra di sangue, terro- re e macerie, Vasco Errani ripete come un mantra che i terremotati avranno rimborsati i danni per le abitazioni e le imprese.
Nei paesi del cratere c’è però ancora diffidenza e in molti tengono fermi i lavori più grossi di ripristino in attesa di vedere prima l’arrivo di qualche soldo. «Partiamo da una certezza: i soldi per i risarcimenti ci sono. Così come sono tanti i cittadini e le imprese che hanno già ricevuto i contributi e altri li riceveranno mano a mano che i lavori andranno avanti perché abbiamo stabilito un sistema in base al quale le banche liquidano gli stati di avanzamento direttamente alle imprese scelte per i lavori di ricostruzione. E per questo sono disponibili sei miliardi. Ora lavoriamo per integrare le risorse per edifici pubblici, storici e le chiese. Sono temi seri, non scontati. Capisco che i tempi possano sembrare lunghi, forse più di quello a cui noi emiliano-romagnoli siamo abituati, ma hanno anche significato garanzie contro le infiltrazioni mafiose, contro lavori “in nero”, con verifiche serie sui danni effettivi in abitazioni e imprese». Le imprese lamentano che ci sia ancora troppa burocrazia. Le norme sulla ricostruzione si potevano fare meglio e più in fretta?
«La burocrazia in questo Paese è un problema con il quale ci confrontiamo tutti i giorni. E, certo, tutto si può sempre fare meglio. Ma siamo partiti da zero, dovendo scrivere norme nazionali che non esistevano».

Nei giorni scorsi ha parlato della ricostruzione come opportunità per il miglioramento dei centri storici e le imprese, rendendo più sicuri gli immobili. Che tempi prevede perché quei centri medioevali ricomincino a vivere senza impalcature e detriti?
«Le zone rosse all’indomani del sisma erano ventidue: sedici hanno già riaperto e sei hanno ripristinato la viabilità principale. Non mi sembra poco».
Ha detto che per la piena copertura dei danni manca ancora un miliardo. «Abbiamo completato la verifica preliminare dei danni insieme a Comuni, ministero dei Beni culturali e Curie. Le 2.326 proposte di intervento hanno un importo di 1,4 miliardi di euro, il 70% per interventi su beni tutelati e il rimanente per altri immobili. Nei prossimi giorni predisporremo il programma regionale che riguarda le opere pubbliche e i beni tutelati e che definirà l’elenco degli interventi prioritari sulla base di criteri condivisi. Sarà un programma che definisce piani annuali di intervento. Su questa base si verificheranno le risorse e faremo le nostre valutazioni».
Ha costruito un sistema con sindaci, presidenti della provincia e protezione civile: come funziona?
«C’è una sola parola che spiega la nostra reazione straordinaria: “comunità”. Perché è stato un grande lavoro di comunità frutto della cultura di questa terra. Lavoratori, imprenditori, autonomie locali, dipendenti pubblici che hanno fatto un grande lavoro comune e questo è un valore. Così come straordinario è stato il senso di solidarietà dimostrato dal volontariato, non solo dell’Emilia-Romagna ma di tutto il Paese, in collaborazione con tutti i corpi dello Stato, i Vigili del fuoco, le Forze dell’ordine e le Prefetture. In quest’anno abbiamo creato un impianto solido e flessibile che prima non esisteva: abbiamo scritto su una pagina bianca una gestione delle emergenze per molti versi inedita e, forse, utile per tutto il Pae- se, per affrontare con maggiore serie- tà le emergenze. Senza il lavoro di squadra tutto questo non sarebbe stato possibile».
Con il senno di poi agirebbe in maniera differente?
«Le nostre priorità sono state dare una mano alle persone e alle famiglie, scuola, sanità e lavoro. E credo che sia stato giusto muoversi in questo modo. Il terremoto ci porta a ristrutturare i poli sanitari (penso a Mirandola, Carpi e Finale), a fare nuovi poli scolastici. In questo modo abbiamo anticipato politiche di integrazione già stabilite a livello nazionale e regionale. Sottolineo anche l’impegno sulla cassa integrazione in deroga per tenere acceso il motore di tante imprese in difficoltà che ora stanno ripartendo. Per noi la questione del lavoro e della buona occupazione sono temi fondamentali, per questo abbiamo lavorato su innovazione e ricerca con l’obiettivo di far fare un salto di qualità alle nostre imprese. Abbiamo lavorato per sostenere il credito e gli ammortizzatori in deroga. Su questi due punti è indispensabile fare ancora passi avanti. Segnali incoraggianti del resto ci sono: i lavoratori che hanno dovuto fare ricorso alla cassa integrazione causa del terremoto, a novembre 2012, erano 41.335 di circa 4 mila unità produttive, oggi sono scesi a 2.627».

Il prossimo passo?
«In Parlamento è in discussione il testo del decreto per il terremoto e abbiamo posto con molta fermezza alcuni temi: la deroga del patto stabilità per Comuni e Province e la deroga per le assunzioni per consentire alle amministrazioni di svolgere le funzioni fondamentali per il riconoscimento dei danni a cittadini e imprese; il rinvio dei termini fiscali per i danneggiati dal terremoto e il riconoscimento del danno economico diretto subito dalle imprese e la revisione degli studi di settore così come la fiscalità di vantaggio, come i crediti di imposta per le assunzioni e per gli interven- ti di miglioramento sismico. Sono alcuni degli emendamenti più importanti che mi aspetto vengano approvati».

Quanta gente è ancora nei moduli abitativi o negli alberghi e per quanto tempo? «Abbiamo messo online un documento “A un anno del terremoto” che rende conto della situazione di oggi. Tra l’altro ricordo che, per la prima volta, tutte le donazioni e la loro destinazione sono state messe online sul sito «openricostruzione» e sono a disposizione di ogni cittadino. Le persone ospitate in albergo oggi sono 68, la maggioranza nei comuni del ferrarese. Sono complessivamente 760 i moduli prefabbricati abitativi (Pmar) realizzati nelle aree allestite in ambito urbano che ospitano circa 2.300 persone; oltre 200 quelli in aree agricole, in prevalenza nel modenese, che ospitano 600 persone tra agricoltori, loro familiari e dipendenti che hanno manifestato la necessità di restare nelle vicinanze delle aziende agricole per poter proseguire l’attività economica. Per quanto riguarda gli edifici (anche ad uso commerciale, produttivo e servizi) il totale delle pratiche avviate è di 2.660, di cui 600 già a pagamento. I contributi concessi sono pari a oltre 40 milioni di euro e in pagamento quasi 11 milioni. Le unità abitative coinvolte nelle pratiche accettate sono circa 3.700 e 800 gli immobili a uso produttivo, commerciale e servizi. Sul versante delle attività produttive, sono state accettate le richieste di contributo (per quasi 80 milioni di euro) da 110 aziende. Sono 1.057 le imprese che hanno finora chiesto contributi per la delocalizzazione temporanea all’interno delle 21 “aree” individuate dai Comuni; 386 le domande presentate dalle aziende agricole per il ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato (27,5 milioni di euro); 138 le domande sui fondi Inail (il cui bando è ora di nuovo aperto) per la rimozione delle carenze strutturali dei capannoni (5,5 milioni di euro)».
Dove sarà lunedì, anniversario della pri- ma scossa?
«Oggi sono a Finale Emilia alla festa del volontariato. Domani sarò insieme alla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e al prefetto Franco Gabrielli della Protezione civile all’incontro congiunto del Consi- glio provinciale di Ferrara e dei comuni ferraresi colpiti dal terremoto nel Cortile d’onore del castello Estense. Nel pomeriggio andremo a Casumaro, una frazione del Comune di Cento duramente colpita dal sisma, per visitare il cantiere della nuova scuola materna».

L’Unità 19.05.13

"La nuova parte di Grillo, il leghista", di Toni Jop

Si trovasse mai un razzista, uno xenofobo, disposto a farsi carico della propria passione, a dire: sì è vero, sono razzista e me ne vanto. Raro che accada. E non succederà, men che meno, con Grillo che ieri nel suo blog ha pensato bene di sollevare la questione degli «irregolari» presenti in Italia attingendo dalla cronaca nera, con pennellate alla Mel Gibson, l’autore di una Passione di Cristo splatter, tanto per scaldare gli animi.
«Quanti sono i Kabobo d’Italia?», si è chiesto l’illuminato signore dei Cinque Stelle. Ecco il problema: quanti sono questi esseri umani che… Già, cosa fanno oltre a vivere come ombre, lungo un margine che stritola umanità, subendo la violenza della invisibilità? Grillo non ha dubbi, lui lo sa cosa fanno e inizia un racconto per soli adulti, destinato a produrre raccapriccio, ostilità, a moltiplicare diffidenze e repulsione per delle figure umane costantemente ricattate, che, come capita a molti di noi in regola, spesso delinquono e non con uno stile prestigioso ed esclusivo. «Stacca a un passante un orecchio a morsi – orecchio a morsi è scritto in grassetto, ndr – … picchia… testate calci e pugni… raccoglie un mattone e glielo tira in faccia», questo è uno.
Poi, la storia atroce di Kabobo e del suo piccone omicida. E ancora il senegalese che stupra, che fa soffocare la sua povera vittima «col sangue delle ferite al setto nasale». «Chi è responsabile?», interroga il Megafono dall’alto della sua cultura «di sinistra», perché adesso ci tiene a dire che sono loro, che è lui la «vera sinistra», perché vuole i voti in libera uscita dal Pd, per vedersela, eliminato il grande partito della sinistra, con Berlusconi.
Adesso va così: fino a ieri lo dava per morto e sepolto, ma ha provveduto a riesumarlo costringendo i suoi gruppi parlamentari a chiudere porte e finestre a Bersani, giusto per verificare quanto fosse corretta la previsione dell’inciucio di governo. Il Pd ci ha messo del suo, eccome, ma la storia sarebbe diversa se Grillo non avesse deciso la serrata. Allora: «Chi è responsabile?»: «Nessuno è colpevole – risponde quel fiore di Guida dei cinque stelle – forse neppure Kabobo. Se gli danno l’infermità mentale, presto sarà di nuovo un uomo libero». Chiaro? Vuol fare la guerra (?) a Berlusconi con i voti del suo storico alleato, della Lega; oppure, non c’è trucco e non c’è inganno nella sua linea condensata dal racconto sui tre «irregolari» e il nostro uomo sta liberandosi dai condizionamenti del politicamente corretto per dare fiato a ciò che il cuore gli detta.
In questa seconda ipotesi, avremmo di fronte un essere umano atroce ma sincero. Tuttavia, non abbiamo mai dimenticato ciò che disse di lui Dino Risi: e cioè che non crede, Grillo, neppure a una parola di quelle che dice. Aveva già gelato gli animi di molti dei suoi negando la disponibilità del Movimento Cinque Stelle a riconoscere lo ius soli, provvedimento che sta molto a cuore alla sinistra; da qui al sangue che gronda dai canini dell’irregolarità il passo non è brevissimo, quindi se ha deciso di tuffarsi nell’«extreme-bizarre», e il vecchio Risi aveva ragione, un motivo ci deve essere.
Eccolo: in questi giorni, il padrone assoluto di un grande partito tenuto a bacchetta, era in giro per le piazze del lombardo-veneto. Quarantotto ore fa raccontava balle a Treviso, in una piazza non proprio traboccante. E Treviso è l’ombelico elettorale della Lega, almeno lo era, così come è stata una delle prime aree del paese a dare qualche soddisfazione alle pulsioni politiche del nuovo capo-popolo. È qui, in questa area geografica e culturale, che la Lega ha affilato i suoi attrezzi xenofobi. Inutile sperare che Grillo ammetta ciò che la Lega non ha mai ammesso, il suo razzismo, la pasta è quella. Lo sanno i suoi parlamentari che su quelle parole scivolano come possono per evitare l’espulsione, dicono che hanno altro da fare, che leggeranno più avanti, che in fondo il gran capo si limita a indicare un problema reale. Soffrono, speriamo.
Perché ha gettato la maschera definitivamente, mentre improvvisa un divertente frontismo anti-berlusconiano che mira, intanto, al Pd: «Il Pdl è solo Berlusconi, il Pd non si sa cosa sia – ha detto alla americana Cnbc International – Si proteggono l’un l’altro… Berlusconi non va in galera e nel Pd non si fanno indagini sulle banche, su Unipol e Mps… sono finiti». Eppure, le indagini su Mps vanno avanti e lui lo sa. Eppure, nel Pd molti sono pronti a votare l’incandidabilità di Berlusconi. Dino Risi aveva capito tutto.

L’Unità 19.05.13

Guglielmo Epifani «Pd all’attacco per risalire la china. La nostra priorità è il lavoro»

La lealtà nei confronti del governo Letta, il monito a Berlusconi, gli appelli al gruppo dirigente del Pd e le iniziative per incontrare e rimotivare militanti ed elettori perplessi, delusi, anche infuriati. Passata una settimana da quando è stato eletto segretario, Guglielmo Epifani parla di quel che il Pd deve fare per «risalire la china», dell’impegno che il partito de- ve mettere nella sfida delle amministrative (lui ieri era a Roma con Marino, oggi sarà ad Avellino e do- mani a Siena al fianco dei candidati sindaci), delle altre battaglie politiche e sociali. A partire da quella, prioritaria, del lavoro per i giovani («È la vera grande emergenza del Paese»). E di come «mettere in sicurezza» la legge elettorale (tornando al Mattarellum) prima che si concluda il percorso delle riforme istituzionali. La giornata di ieri è stata caratterizzata dal corteo della Fiom, dal quale sono arrivate critiche al Pd per la mancata adesione. Epifani dice: «Noi stiamo al fianco dei lavoratori con le scelte concrete, perché il problema non è stare in piazza ma ascoltarla e dare risposte. Questo è esattamente quello che ha fatto il governo, che è ripartito dal lavoro». Rifinanziamento della cassa integrazione, rinnovo dei contratti per i precari statali, sospensione dell’Imu: come giudica i primi atti del governo? «Vanno nella giusta direzione. Naturalmente, bisogna essere chiari, resta uno scarto tra la gravità della condizione economica e gli spazi della manovra della politica del bilancio, che si sono ulteriormente ridotti per via dell’attuale, difficile congiuntura ». Eppure lo stesso Monti, mesi fa, aveva parlato di una luce in fondo al tunnel: lei non la vede?

«Non c’è alcuna luce, siamo ancora nel tunnel e in fondo ci sono due strade: una che prosegue nell’andamento negativo, una che ci può portar fuori. Ma bisogna fare le scelte giuste per imboccare la seconda strada, non è automatico che la si prenda». Però ci sono vincoli europei che possono limitare l’autonomia di azione del governo, non crede? «Purtroppo siamo dei sorvegliati in Europa, ma a giugno c’è la decisione relativa alla nostra condizione e, se usciamo da sotto la lente, potremmo avere più spazi e anche liberare risorse che possano favorire il lavoro dei giovani. Questo però non basta e bisogna che Letta, come ha già fatto, approfitti del quadro che si sta modificando in Europa, perché di teorici dell’austerità ne vedo sempre meno, e prenda insieme ad altri la guida del fronte che chiede più politiche di investimento».
L’operazione richiederebbe comunque mesi per produrre effetti: possiamo permettercelo?
«No, non bisogna aspettare mesi. Giugno sarà uno spartiacque, ci potrà dare un po’ di respiro ma soprattutto dovrà farci compiere qualche passo avanti nelle risposte alla crisi e nel realizzare un po’ di politiche per lo sviluppo».

Le dovrebbe fare un governo che oltre che dal Pd è sostenuto dal Pdl: è sicuro che sia possibile?
«Con Berlusconi i patti devono essere chiari, proprio perché c’è un governo di servizio e una congiuntura economica peggiore di quanto tutti ci aspettass mo. Il centrodestra finora ha portato avanti due operazioni: tenere in permanente tensione il governo con questioni giudiziarie e provare a intestarsi tutto e il contrario di tutto. Questo film lo abbiamo già visto alla fine del governo Monti, quando da un giorno all’altro Berlusconi ha tolto l’appoggio. Oggi non può funzionare così. Se si crede utile la funzione di servizio del governo, lo si faccia lavorare».
C’è chi sostiene che questo sia un governo di pacificazione: lei lo interpreta così?

«No, quella è una lettura ideologica senza fondamento. Questo è un governo al servizio del Paese, che deve compiere le scelte necessarie. Non è un governo di pacificazione ma di responsabilità condivisa». Responsabilità condivisa con Berlusconi, che subito ha cantato vittoria per la sospensione dell’Imu? «Berlusconi dobbiamo incalzarlo a tenere un profilo di rispetto dell’autonomia e delle scelte del governo, sostenendolo lealmente. Con l’Imu Berlusconi si intesta un merito del governo. Peccato si scordi che la sua vera promessa elettorale era la restituzione di quanto pagato e la cancellazione dell’Imu ».

C’è il rischio che il Pd continui a giocare di rimessa?

«No, se svolgiamo come si deve il nostro compito, che è duplice: sostenere lealmente il governo, mettendoci la faccia perché un’avventura così difficile non la si affronta con la paura, e contemporanea- mente dobbiamo riprendere l’iniziativa autonoma del Pd sui temi che riteniamo essenziali».

E che sarebbero?

«Ho già detto che serve più Europa. E poi c’è la vera grande emergenza del Paese: il lavoro dei giovani, sul quale presenteremo presto nostre proposte molto precise. Non dimentichiamo poi che c’è un processo riformatore delle istituzioni da affrontare, provando però a mettere da subito in sicurezza il sistema elettorale perché non si può tornare al voto con l’attuale legge».

Pensa a rapide correzioni da fare al Porcellum?

«È una strada che non mi convince perché resterebbero comunque i problemi irrisolubili di quel sistema. La soluzione giusta a mio parere sarebbe invece un ritorno al Mattarellum corretto».

Come pensa di poter gestire tutti questi fronti, il Pd, considerando anche quanto accaduto negli ultimi tempi e un imminente congresso da svolgere?
«Ci riescirà sicuramente se sarà capace di risalire la china dalla condizione in cui è caduto. E per far questo ci sono due obiettivi da tenere insieme. Il primo, certamente, è stemperare il clima nel gruppo dirigente. Non nel nome di una generica richiesta di collaborazione tra tutti, ma di assunzione lucida e razionale di un principio di responsabilità, perché un Pd che imploda o crolli non sarebbe tollerabile per il Paese. È un rischio che abbiamo corso ma che non essendo ancora scongiurato ci deve impegnare a mettere in sicurezza il nostro partito. Il secondo obiettivo riguarda il rapporto con i nostri elettori, i nostri iscritti, con la realtà dei circoli, insomma con il nostro popolo. E su questo terreno abbiamo ancora molto da fare: i passaggi rapidi che ci sono stati, le conclusioni a cui siamo arrivati partendo da posizioni assai diverse, il fatto che non si sia discusso adeguatamente tra noi sulle scelte compiute, tutto ciò ha lasciato aree di fortissima insofferenza da cui bisogna ripartire».

Come pensa di affrontare la questione?

«Proporrò di fare una campagna generalizzata di assemblee, prima che il congresso parta. Penso a una serie di discussioni, incontri, appuntamenti dove vengono spiegate da parte dei gruppi dirigenti le scelte compiute ma in cui vengano anche ascoltate le ragioni anche di chi non la pensa allo stesso modo».

Tra una settimana c’è il voto amministrativo: il Pd ha sottovalutato questo appuntamento?
«C’è stato uno scollamento per cui sembrava che questo piano non fosse connesso con le scelte compiute nell’ultimo mese ma ora dobbiamo assolutamente mobilitarci, dobbiamo riconnettere l’impegno di tutto il Pd a fianco dei nostri candidati e rimotivare una parte del nostro elettorato e dei nostri circoli che mantengono una propria criticità».

I riflettori saranno puntati su Roma: previsioni?

«Con Zingaretti abbiamo ripreso la guida della Regione. Con Marino possiamo e dobbiamo riprendere la guida della città dopo questi anni di cattivo governo di Alemanno».

Dopo le amministrative partirà la fase congressuale: cosa dice dei tanti candidati già in campo?
«Il congresso non deve essere sulla scelta di un nome ma sul rilancio dell’azione del Pd. E dovrà essere preparato bene. Veniamo da settimane di lacerazione, occorre ristabilire subito un clima di concordia e aprire una discussione col nostro popolo».
Potrebbero esserci modifiche allo statuto, magari per non far più coincidere la figura del segretario con quella del candidato premier?
«Questo è un tema che abbiamo già affrontato nelle primarie precedenti e che ovviamente andrà ripreso e sistemato. Io ritengo di gran lunga preferibile seguire un modello europeo, dove il partito ha un suo segretario e poi si sceglie il candidato premier».
Ha sentito Prodi dopo la sua elezione a segretario? «Sì, perché al di là dell’antica amicizia che ci lega ritengo che abbiamo tutti un torto evidente nei suoi confronti, così come anche nei confronti di Marini. L’ho chiamato per dirglielo e abbiamo deciso di vederci nei prossimi giorni».

Perché il Pd non era al corteo della Fiom?

«Il Pd era presente con una sua delegazione, ma il punto non è essere o no in piazza, bensì ascoltarla e saper dare le giuste risposte. Noi intendiamo stare vicino ai metalmeccanici e a tutti i lavoratori con le scelte concrete che siamo impegnati a favorire. Al governo abbiamo chiesto che mettesse al primo posto il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, e questa è stata la prima scelta compiuta. Insieme abbiamo evitato il licenziamento di tanti lavoratori precari della pubblica amministrazione e il ripristino dei contratti di solidarietà. È esattamente la prova di come il Pd intende stare a fianco della condizione del lavoro ».

L’Unità 19.05.13

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“Letta: il mio piano-lavoro per la Ue”, di ROBERTO PETRINI

Dal primo luglio scatterà l’aumento dell’Iva: l’aliquota passerà dal 21 al 22 per cento e peserà circa 103 euro all’anno per famiglia. Intanto, nel giorno della manifestazione Fiom, il premier Letta annuncia una riforma del lavoro da presentare al vertice Ue. Ed è proprio il lavoro il centro della polemica tra il leader Fiom Landini e Guglielmo Epifani. Il primo accusa il Pd di non aver aderito al corteo. La replica: «Stiamo dando risposte serie». Il decreto Imu non è che il primo passo, perché la corsa contro il tempo per scongiurare l’ingorgo fiscale è ancora tutta da vincere. Dopo l’intervento sulla tassazione immobi-liare, ci sarebbe da neutralizzare l’aumento dell’Iva che scatterà il 1° luglio prossimo e che comporterà un aumento dell’aliquota dal 21 al 22 per cento che per ogni famiglia peserà circa 103 euro all’anno. Servono 1,9 miliardi e su questo intervento il governo è assai cauto, come sottolineano fonti dell’esecutivo: «Proveremo ma è difficilissimo », ovvero agiremo solo se troveremo le coperture adeguate. Il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, annuncia il calendario di azione: dopo l’Imu, la Cig e le misure per i precari, «da domani ci dobbiamo occupare dell’Iva e della proroga delle agevolazioni fiscali per la ristrutturazione delle abitazioni. Subito dopo ci attendono il piano giovani e la riforma del patto di stabilità».
Anche la partita dell’Imu, con il rinvio a settembre, per tre mesi, del pagamento, in attesa della riforma entro agosto, è una partita piuttosto complessa e delicata. Il decreto dovrà essere convertito entro metà luglio: se
non sarà stravolto dal Parlamento, a quel punto ci sarà poco più di un mese per varare una riforma dell’imposizione immobiliare che dovrebbe accorpare l’Imu e la Tares-rifiuti e trovare una soluzione per i redditi più bassi ispirata alla progressività.
Tutto in gran fretta perché poi ci saranno solo due settimane per sapere quanto si paga di Imu quest’anno e quanto ammonterà la rata del 17 settembre, tutto a ridosso della pausa estiva, con rischio di ingolfamento e file ai Caf. Del resto le prime avvisaglie di un certo disagio arrivano proprio dai centri di assistenza fiscale, i «commercialisti popolari» che curano calcoli e versamenti e che già chiedono uno slittamento ad ottobre. Senza contare la partita del rilancio dell’economia: il ministro del Lavoro Giovannini incontrerà i sindacati e le imprese mercoledì. Conforta solo Moody’s che stavolta esprime un giudizio positivo sull’Italia che si troverebbe posizionata meglio della Spagna nella gara per la crescita.
Intanto è scattata la volata finale per il versamento dell’Imu sulla seconda casa che resta previsto tra un mese. Sono 6-7 milioni gli italiani che nelle prossime quattro settimane si dovranno rivolgere ai Caf per regolare i conti con lo Stato. I Centri di Assistenza Fiscale lanciano l’allarme: chiedono almeno una settimana in più rispetto alla scadenza di lunedì 17 giugno perché mancano i codici tributo necessari al versamento e non c’è chiarezza sulle aliquote da applicare. Inoltre ci sono circa 100 mila contribuenti che avevano già versato l’Imu sulla prima casa, facendo la compensazione nel 730. Ora se vorranno recuperare quel credito fiscale dovranno rifare la dichiarazione dei redditi entro il 31 maggio.
Dunque un rischio caos e file. I Caf, in mancanza dei codici tributo e con l’avvicinarsi della scadenza, hanno consegnato ai contribuenti proprietari di immobili i modelli per il pagamento, i celebri «F24» senza codici e senza indicazioni sugli esatti importi. Ora in meno di un mese si dovranno mettere a punto l’intera operazione. « I tempi sono molto stretti – spiega il coordinatore della Consulta dei Caf, Valeriano Canepari – abbiamo bisogno di organizzarci. Se non si può spostare la scadenza del 16 giugno chiediamo che per i 6-7 giorni successivi, per esempio fino al 25 giugno, la gente possa pagare l’Imu senza sanzioni». Inoltre – aggiunge Canepari confidiamo che l’Imu sulle seconde case possa essere pagata con le delibere dei Comuni già disponibili ovvero quelle dello scorso anno perché è troppo tardi per aspettare le delibere di quest’anno. Ci sono solo quattro settimane di tempo e il rischio è il caos».

La Repubblica 19.05.13

"Grazie, non dimenticheremo (e una notizia che purtroppo non fa notizia)", di Manuela Ghizzoni

Oggi è il 19 maggio. E’ passato un anno dalla prima, terribile scossa delle 4 del mattino del 20 maggio. E oggi, nei comuni di Finale Emilia, Mirandola e San Felice si svolgono tre iniziative per “ricordare e ringraziare”.
Contrariamente alle mie previsioni, non potrò partecipare (ci si ammala, a volte…) e me ne rammarico molto perché con tutto il cuore avrei voluto stare con chi – più direttamente di me – ha subito la violenza del terremoto, avrei voluto insieme a loro ricordare le vittime, troppe, e avrei voluto unirmi al ringraziamento per tutti coloro – e sono stati tantissimi – i quali ci hanno portato un aiuto e ci hanno offerto un gesto di umanità.
Di strada, da quel 20 maggio, ne abbiamo fatta tanta, ma siamo tutti consapevoli che per la ricostruzione ancora più lungo è il tratto che dobbiamo ancora compiere: e non per tornare ad essere quello che eravamo prima, dato che nulla sarà più come prima, ma per essere qualcosa di meglio, di più coeso, di più sicuro, di più comunitario.
In Parlamento, ad un anno di distanza, il terremoto emiliano è ancora all’ordine del giorno e i senatori e deputati Pd sono al lavoro perché siano approvate nuove misure a sostegno delle zone colpite: è un impegno che abbiamo assunto durante la campagna elettorale, che ora ci apprestiamo a onorare (la prossima settimana le commissioni VIII e XIII del Senato cominceranno ad esaminare e votare gli emendamenti). Abbiamo presentato anche un emendamento, per il quale mi sono particolarmente impegnata, affinché alle microimprese, ai lavoratori autonomi e ai professionisti che operano nei comuni più colpiti dal sisma siano applicati gli stessi sgravi fiscali già previsti per L’Aquila.

Per ricordare questo nostro primo anno post-sisma, voglio parlare di una iniziativa di solidarietà e di una scelta etica.
Solidarietà, è vero, ne abbiamo ricevuta tanta: quella di cui voglio parlare è un po’ particolare perché ad un sostegno concreto è riuscita ad abbinare arte e memoria. Mi riferisco a “Terra tremuit. Incisori per gli archivi”, una mostra a scopo benefico inaugurata il 10 maggio scorso a Bologna e che si tiene presso lo spazio espositivo del Museo della Sanità, Via Clavature 8-10. L’esposizione riunisce oltre 100 opere di altissima qualità donate all’A.N.A.I. – Sezione Emilia Romagna dall’Associazione Liberi Incisori (ALI) di Bologna, dall’Associazione Italiana Ex Libris, dalle gallerie Stamparte di Arrigo Quattrini e G7 di Ginevra Grigolo di Bologna. Le opere esposte sono in vendita e il ricavato sarà destinato dall’ANAI al recupero degli archivi danneggiati dai sismi del 20 e 29 maggio 2012. Perché, come hanno scritto gli organizzatori dell’iniziativa: “Beni culturali solitamente poco percepibili agli occhi del pubblico, gli archivi di questa parte del nostro territorio, così dolorosamente colpito, meritano infatti di essere restituiti alle comunità di appartenenza, al pari di chiese, campanili e sedi municipali, perché di quelle comunità essi costituiscono la memoria storica, fondante e identitaria, che deve essere salvaguardata.”
Ma nella mia breve storia non c’è solo il soccorso dell’arte per i nostri beni culturali; c’è anche una scelta etica – ed è l’ultima cosa che voglio raccontare – che purtroppo non fa notizia come invece meriterebbe.
Immagino che pochi di voi sappiano che una gran parte del patrimonio archivistico (cioè la storia e la memoria delle nostre comunità) violentato dal terremoto troverà sicuro riparo presso un fabbricato messo a disposizione gratuitamente dall’Amministrazione di Vignola alla Sovrintendenza Archivistica e alla Direzione Regionale. E questo materiale lì potrà stare, in attesa di essere riordinato, restaurato e inventariato per almeno 10 anni.
Quell’edificio ha una storia particolare: è il frutto di un abuso edilizio che, a seguito di una lunga vicenda legale, è stato iscritto al patrimonio del Comune di Vignola, nonostante in diversi avrebbero voluto più sbrigativamente venderlo per recuperare un po’ di risorse ma – come giustamente afferma il Sindaco Daria Denti – “farne una valorizzazione economica avrebbe avuto gli stessi effetti di un condono”. Le caratteristiche del fabbricato ne hanno consentito la destinazione a magazzino comunale (e così si sono ridotte le spese per gli affitti) nonché a sede dell’archivio comunale di Vignola (che era dislocato in più sedi) e ad archivio dell’Unione Terre di Castelli. E’ poi venuto quasi da sé che un’ampia porzione di quell’edificio fosse poi offerta dal Comune come riparo agli archivi dei territori colpiti dal sisma.
Gli amministratori di Vignola hanno compiuto una scelta etica destinando un edificio, risultato di un abuso edilizio totale, a custodire le carte della memoria locale e hanno poi assunto un gesto di concreta solidarietà offrendo quel riparo sicuro alla memoria di altri comuni.
A me pare una storia forse piccola ma importante perché come dicono i valdesi è sufficiente una piccolissima luce perché le tenebre non siano più tenebre assolute. Ed è anche grazie ad una piccola luce come questa che possiamo “uscire dalla notte dei beni culturali”, per citare Salvatore Settis (che mi auguro possa dare a questo esempio di buona prassi lo spazio che ha dedicato alla polemica, un po’ sterile, sul recupero dell’ospedale di sant’Agostino di Modena).

"Un anno d’inferno ma l’Emilia è rinata", di Gigi Marcucci

Un anno dopo, ma ancora per pochi giorni, l’ufficio del sindaco è sempre nel minuscolo gabinetto di un asilo nido, dove due piccolissimi water-closet sono stati per decoro coperti con scatole di cartone. Il consiglio comunale si riunisce invece in una «ludo-tenda», d’inverno riscaldata con soldi arrivati dal Canada. Dodici mesi sono trascorsi dalla prima scossa, quella che divorò centri storici e si portò via fabbriche e le vite di molti operai tra Modena e Ferrara. Ma quello di Luisa Turci, sindaco di Novi, non è un lamento che si innalza da Cratere, come fu ribattezzata questa porzione di Emilia devastata dal terremoto. Semmai è una riflessione. «Il tempo è un nostro alleato, una fonte inesauribile di opportunità», dice il sindaco. Qui nessuno ha mai parlato di new town, cattedrali da costruire nella voragine, e poi magari da sgomberare perché edificate con materiali di scarto. Roba buona al massimo per qualche campagna elettorale. L’imperativo è recuperare, secondo una scala di priorità: prima i servizi e le scuole, ora ricavate in edifici temporanei, e un tetto per tutti. Si è cominciato con la riparazione dei danni lievi, si continua con quelli più gravi. E si difendono i centri storici, depositari di un’identità collettiva. Un passo dopo l’altro, come in un’ascensione alpinistica. Così anche Novi, da giugno, avrà il suo Comune provvisorio. Ci saranno scuole nuove, anche nella frazione di Rovereto: i progetti esecutivi ci sono già, la prossima tappa è l’apertura dei cantieri. Una palestra è già pronta: costruita prima del sisma, ha retto a sventole del quinto grado della scala Richter, quindi è stata anche sottoposta a test. Hanno riaperto gli ospedali vicini. Chi si sente male a Novi, ad esempio, può andare a Carpi.

La prima volta che parlò con l’Unità, Luisa Turci chiese tempo. Aveva appena saputo che la casa della sua famiglia sarebbe stata abbattuta. Aveva bisogno di piangere, disse. «È stata demolita l’8 marzo, ora viviamo in affitto e progettiamo di ricostruirla», racconta col tono di chi, seppur costretto, ha già voltato pagina. «Il mio vantaggio da sindaco», spiega, «è di non avere mai avuto tempo per pensare a me. Il disastro era di tali proporzioni da costringermi ad accantonare i miei problemi. La mia famiglia ha sofferto, ma ha capito e pagato il conto». Il secondo mandato del sindaco Luisa Turci era cominciato il 7 maggio 2012, il 19 si era insediata. Sette ore dopo cominciava un’altra vita.

Decisioni da prendere nel giro di poche ore e subito dopo programmi per i prossimi cinque anni, perché la ricostruzione, spiegano qui, deve essere partecipata. «In due ore ho dovuto scegliere le sedi dei campi tenda, in 8 giorni ho trasferire il Comune nella biblioteca, istituire un numero verde per 24 giorni restò attivo 24 ore su 24, attrezzare parcheggi con gabinetti chimici perché, soprattutto dopo la seconda scossa, nessuno si azzardava più a dormire in casa», racconta Piero Lodi, sindaco di Cento, città di 36mila tra le province di Bologna e Ferrara. A mezzogiorno del primo giorno furono preparati duemila pasti. «Il mio ufficio era in piazza e in auto, perché la scossa del 20 aveva colpito duro soprattutto nelle frazioni a nord. Ora lavoro nella sala “3” di un teatro tenda, quella dove i musicisti fanno le prove con la batteria». Lodi non vuole fare propaganda e nemmeno comparazioni, ma conferma la scelta del modello emiliano anche per l’emergenza. Una catena di comando molto corta. A un capo il presidente della Regione Vasco Errani, Commissario per il terremoto, dall’altra i sindaci. «Per noi Errani era sempre raggiungibile al telefono, ai rapporti col governo ci pensava lui. Non poteva che funzionare così. Era un mosaico in cui nessuna tessera era più grande dell’altra», spiega il sidaco. «La prova la ebbi quando arrivarono i professionisti inviati dal Dipartimento nazionale della protezione civile. Persone preparatissime, ma senza conoscenza del territorio. Il loro lavoro doveva essere accompagnato tenendo conto del sentimento della gente. Per esempio nel decidere cosa andava abbattuto e cosa no».

Non è un lavoro che si vede subito. A Cento come nel resto del Cratere si è lavorato molto sulle fondamenta, spiega Lodi, e non è facilissimo immaginare che lì sopra ci sarà una casa. Non ci sono fabbricati nuovi di zecca da mostrare in televisione, ma centri storici che verranno messi in piedi blocco dopo blocco. «Ci vorranno, se siamo molto veloci, tre o quattro anni», dice Claudio Broglia, già sindaca di Crevalcore, oggi parlamentare del Pd, che come i suoi colleghi si è ritrovato nel giro di una notte con un paese da ricostruire. Su 900 abitazioni inagibili, circa 300 sono state riparate, per altrettante sono stati fatti lavori che garantiscono la «fruibilità in attesa di agibilità»: formula poco digeribile, ma significa che chi ci viveva prima del terremoto ha potuto ritornarci. Nel centro storico è finito il recupero di un intero blocco, oggi verrà inaugurata una nuova chiesa ed è prossima l’apertura di un auditorium polivalente. «A differenza dell’Abruzzo, qui ha contato il coinvolgimento delle amministrazioni locali. Lì i sindaci, certo non per loro demeriti o responsabilità ma per una precisa scelta del governo di centrodestra, furono tagliati fuori. Qui sono protagonisti della ricostruzione. E i danni, tolti il centro storico aquilano e le perdite in vite umane, qui sono stati anche più rilevanti ed estesi».

L’Unità 19.05.13

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“E gli esami si preparano nella scuola con le molle” di Giulia Gentile

Federico sorseggia il suo caffè al bar del nuovo polo scolastico, nei prefabbricati costruiti alla velocità della luce in via 29 maggio. Spalancato sul tavolino davanti a sé, un quotidiano locale racconta com’è cambiata la sua Mirandola, e l’intera «bassa» modenese, a un anno dalle scosse di terremoto che portarono morte e distruzione fra le province di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.

Domani sarà l’anniversario della prima scossa, quando migliaia di Emiliani scapparono di casa nel cuore della notte con la terra che tremava sotto i piedi. Poi fu la volta della «botta» più vigliacca, nove giorni dopo, quando già le fabbriche, le case, i centri storici, tornavano a ripopolarsi, alle 9 di un martedì mattina. «Siamo stati tre mesi sfollati dai parenti in Lombardia – racconta il ragazzo appena prima di infilarsi in aula -. Poi, per fortuna, la nostra casa nel centro storico è stata dichiarata agibile e siamo rientrati. Qualche lavoro è stato indispensabile, ma per fare quelli più grossi i miei genitori stanno ancora cercando di capire se, e quando, i fondi per i danni arriveranno».

La giornata grigia non migliora l’aspetto malinconico del complesso di prefabbricati grigi e blu, che ospita 1100 studenti, fra liceo classico e linguistico “Pico”, e istituto tecnico e professionale per il commercio “Luosi” e “Cattaneo”. Unici tocchi di colore, a partire dal neon azzurro e dalla scritta rossa su un tetto “Insegna”, quelli portati fra le neonate strade del polo scolastico dal professore d’Arte, Anteo Radovan. «Questo posto non ha storia, non ha anima – sospira -. Abbiamo cercato, allora, di dargliene una chiamando artisti contemporanei con i loro progetti». E così sono arrivate le insegne del Profesùr, i «sigilli» di Cuoghi Corsello che contengono le aspirazioni segrete di alcune studentesse, disegni colorati sull’asfalto composti da alcune lettere del desiderio espresso, e i ritratti di Eva Marisaldi (purtroppo tolti per ragioni di sicurezza) che riproducevano gli studenti nell’atto di saltare, come in un esperimento per simulare il terremoto. «Delle volte speriamo che arrivi un’altra scossa ad impedirci di fare gli esami – scherza ancora Federico, che a breve dovrà affrontare la maturità -, ma queste nuove strutture hanno le molle sotto: mi sa che nulla ci impedirà di studiare. E se l’anno scorso i professori erano stati buoni causa sisma, quest’anno magari saranno anche severi». Geogiana ha invece davanti un altro anno al Luosi, prima di diplomarsi. «Grazie al cielo non abbiamo avuto problemi con la casa – sorride -, e anche qui non si sta male». Negli occhi suoi, e dei suoi coetanei, lo sguardo adolescente di chi vive ogni giorno scosse emotive, e forse anche per questo vuole prima degli adulti mettersi la storia del sisma alle spalle, una volta per tutte. Cecilia Severi, psicologa che lavora fra gli stretti corridoi delle casette prefabbricate, parla di un trauma elaborato bene anche grazie alle «tante occasioni» offerte per parlarne, e per andare avanti, proprio dalla scuola. «Certe paure, certe ansie tornano ancora fuori – racconta, ma la loro volontà principale è quella di non tornare in- dietro. Di non parlarne più».

Più dura allora, forse, è per i «grandi» della scuola. Insegnanti e collaboratori scolastici che hanno lavorato per una vita nelle sedi storiche degli istituti superiori, nell’ex convento dei Francescani dove ha sempre avuto casa il liceo classico, oggi transennato perché accanto alla chiesa di San Francesco completamente diroccata. Negli immobili, poco lontani a via 29 maggio, della vecchia ragioneria e dell’istituto professionale per il commercio. «In centro non torneremo più – dice chiaro il preside, Giorgio Siena -, non si potrà più tornare. Quella è una storia finita. Ma tutto sommato, qui stiamo bene ed in totale sicurezza». In un anno e mezzo, prevede il dirigente scolastico, il polo commerciale potrà rientrare nel restaurato stabile in muratura. Mentre il polo linguistico si trasferirà nel prefabbricato che ora ospita il tecnico commerciale. Almeno fino al 2016. «La Regione e gli altri enti locali hanno dato priorità assoluta alle scuole nel piano di ricostruzione – chiosa Siena -. Siamo stati più aiutati degli altri, ed ora sentiamo di dover essere autorevoli e responsabili». Soprattutto i docenti del “Pico”, però, ancora si commuovono pensando alla vecchia sede, al patrimonio culturale che portava con sé, al chiostro con il giardino dove affacciavano le finestre.

La mattina del 29 maggio Gabriella, collaboratrice scolastica, era entrata con altri nella vecchia sede dell’ex ragioneria. Servivano documenti e registri per preparare gli esa- mi, e per far continuare le lezioni. E tutti pensavano che il peggio fosse ormai alle spalle. «Siamo scappati fuori – si commuove -, ma è andata bene. Qui hanno rimediato bene e in poco tempo. E io sono di nuovo in casa mia. Ma tante colleghe sono ancora in affitto, in attesa di rientrare».

L’Unità 19.05.13

"Ora una legge quadro sulle emergenze", di Claudio Broglia

A un anno dal sisma siamo già nella fase della ricostruzione. Le due leggi nazionali, combinate con la legge regionale per la ricostruzione hanno consentito al commissario Errani di emanare le ordinanze, sempre concertate con enti locali, imprese, professionisti, che hanno prodotto risultati tangibili, rispondendo a tre principi fondamentali: la legalità, la trasparenza, e il controllo delle spese. E queste regole sono state via via meglio esplicitate e rese più chiare, tenendo conto delle novità legislative e dell’esperienza, in un rapporto chiaro e determinato con il governo e la collaborazione del Parlamento. Ed è questa collaborazione che dobbiamo consolidare e rinsaldare maggiormente proprio ora, perché abbiamo bisogno che l’Emilia riparta, perché se non riparte l’Emilia non riparte l’Italia.

Avvertiamo per questo la necessità che il governo si muova con celerità. La prima urgenza che poniamo oggi è la proroga dello stato d’emergenza di imminente scadenza nell’area del sisma, che noi chiediamo sia allungata fino al 31 dicembre 2014. Fondamentale per accompagnare la ricostruzione, senza lasciare indietro nessuno. La seconda urgenza è consentire a cittadini e imprese di diluire i tempi di assolvimento dei propri impegni con lo Stato su tasse, mutui e tributi e promuovere una fiscalità di vantaggio nel rispetto e nel solco dei dettati europei, strettamente limitata ai Comuni più colpiti dal sisma, che consenta di evitare la chiusura delle piccole e piccolissime imprese, che rappresentano una importantissima parte del nostro tessuto economico e sociale. Terza urgenza è, riconoscere agli enti locali un ruolo determinante nella ricostruzione, attraverso un pacchetto di misure sacrosante come: il riconoscimento rapido della copertura finanziaria del disavanzo generato dal mancato incasso dell’Imu al 100% e secondo i dati reali e concreti forniti dai Comuni e non su tabelle diverse; l’azzeramento per il 2013 del Patto di stabilità interno al fine di non intralciare gli investimenti diretti ad opere non direttamente riferibili e finanziabili per la ricostruzione ma necessarie per mantenere le infrastrutture e gli edifici pubblici; la sospensione per tutto il 2013 del pagamento dei mutui da parte dei Comuni verso la Cassa depositi e prestiti, posticipando di un anno le scadenze dei relativi ratei.

Ma ci sono anche altre cose da cambiare. In primo luogo serve ridare più poteri alla Protezione civile, che troppo è stata depotenziata e limitata nelle risorse economiche e nei poteri straordinari dopo il terremoto in Abruzzo. Non ci si può presentare in una tragedia come quella del terremoto emiliano senza quasi risorse economiche e stabilire in 60 giorni il limite massimo di copertura emergenziale. In secondo luogo il Paese deve riscrivere, una volta per tutte e in un percorso partecipato dai territori, una legge quadro e le regole con le quali rispondere a qualsiasi calamità naturale ci si trovi di fronte. Una legge che prenda come esempio il nostro sisma. Crediamo, senza falsa modestia, di aver costruito un modello di ricostruzione che non può andare perso, perché a dispetto di qualche corvo che in campagna elettorale ha detto che il modello Emilia non funzionava, il modello Emilia funziona con buona pace di tutti. Servono certezze di procedure e risorse per il sistema nazionale di protezione civile, per i Comuni, per le imprese, per i cittadini, indicando accanto alla fase di emergenza le tappe per costruire velocemente la fase della ricostruzione.

L’Unità 19.05.13

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“Privato più pubblico, qui la vera ricostruzione”, di Paolo Bonaretti

L’Imprea delle imprese. Poco meno di un anno fa di fronte alla tragedia del terremoto, l’Italia intera si trovava di fronte al rischio che un pezzo importante della struttura produttiva venisse messo definitivamente in ginocchio, incidendo profondamente sull’aggravamento della crisi strutturale che il Paese attraversava e tuttora attraversa. Per la prima volta un sisma così devastante aveva colpito un territorio fortemente industrializzato, con una significativa concentrazione di settori a competitività medio alta. Per mesi la pro- duzione si è fermata in molti stabilimenti e comunque, alla fine, sono stati persi quasi 2.500 posti di lavoro. Per la prima volta da molti anni l’Emilia Romagna ha avuto un differenziale negativo di Pil rispetto al Nord industrializzato, interamente attribuibile all’impatto economico del sisma. La reazione del territorio e delle imprese, del lavoro e delle istituzioni è stata forte, determinata e costante in tutti questi mesi. Quasi un anno fa 3.671 imprese avevano chiesto la cassa integrazione per 41.335 lavoratori; oggi sono 157 le imprese che hanno chiesto la proroga per 2.627 addetti. Un risultato impressionante, reso possibile da una comunità che ha creato le condizioni per che ciò accadesse, facendo ricorso ai valori profondi di quel territorio e a una coesione che ha consentito ai diversi soggetti di agire e confrontarsi in modo anche aspro, ma con una sostanziale fiducia e rispetto reciproci. Una comunità che ha risposto sempre con compostezza e determinazione anche di fronte alle insufficienze del governo centrale, che a volte nei comportamenti del (per fortuna ex) ministro Grilli, assumevano il sapore della provocazione.

Fin dall’inizio la scelta fu quella di puntare sulla priorità dell’impresa e del lavoro. I lavoratori hanno partecipato attivamente alla ricostruzione e alla messa in sicurezza dei posti di lavoro, si sono recuperati i macchinari e ricominciato a produrre in strutture provvisorie. Le imprese rimaste attive in alcuni casi hanno realizzato lotti di produzione per conto di altre imprese, affinché non perdessero ordini e mercati. Le attività di ricerca industriale non si sono fermate e diversi ricercatori delle imprese hanno continuato la loro attività presso locali e laboratori messi a disposizione dall’Università e dal Cnr. Si è puntato sulla presenza alcuni settori anticiclici come il biomedicale e l’alimentare per realizzare forme di intervento rapido anche in forma solidarististica (come l’acquisto consortile degli stock di Parmigiano danneggiati) che hanno consentito la ripartenza: è proprio dei giorni scorsi la notizia di imprese del biomedicale che con la ricostruzione hanno investito ulteriormente e procedono oggi a decine di nuove assunzioni.

La Regione ha comunque tenuto aperto il confronto anche duro e serrato col sistema bancario, un rapporto molto stretto con la Cassa Depositi e Prestiti, per poter garantire anticipazioni, liquidità e, soprattutto, certezza dei finanziamenti. Certo non tutto è funzionato alla perfezione e si può fare sempre meglio, come ha sottolineato il presidente Errani, ma questa fiducia reciproca e il quadro di certezze hanno contribuito anche a consolidare la determinazione degli im- prenditori che hanno spesso anticipato con risorse proprie o con accesso al credito gli investimenti di ripristino e ricostruzione. Tra l’altro una lungimirante prudenza degli imprenditori in molti casi (molti più di quanto si pensasse) aveva assicurato il patrimonio tecnico e immobiliare delle aziende e le compagnie assicurative, nell’area, hanno già messo in pagamento 500 milioni e impegnato oltre un miliardo.

Un grande risultato reso possibile anche dalla rinuncia a una gestione centralizzata e da una strategia che ha coinvolto tutti i soggetti imprenditoriali e istituzionali. Insomma nella gestione della ripresa Errani, prima ancora che bravo commissario, è stato un buon presidente e ha dimostrato che la buona politica contribuisce allo sviluppo dell’economia, del lavoro e della comunità.

L’Unità 19.05.13