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"Il peso delle buone intenzioni", di Luigi La Spina

I discorsi che i neo-presidenti del Consiglio leggono in Parlamento per ottenere la fiducia ai loro governi sono sempre pieni di buone intenzioni. Anche quello che Letta ha pronunciato ieri alla Camera è stato pieno di buone intenzioni, forse troppo pieno di buone intenzioni. Ma, accanto ai propositi, questa volta, il nuovo inquilino di palazzo Chigi ha pure fornito agli italiani due notizie importanti.

La sospensione della rata Imu di giugno per la prima casa e l’impegno a non aumentare l’Iva. Un annuncio che, legittimamente, ha permesso al centrodestra di rivendicare il successo della promessa elettorale di Berlusconi e di imprimere al primo governo di larghe intese nella storia della nostra Repubblica il suo sostanziale sigillo politico.

È vero che il presidente del Consiglio ha annunciato l’avvio di una nuova fase nella politica italiana, con un esplicito richiamo a quella necessità di una profonda autocritica dei partiti sollecitata da Napolitano nel suo discorso di rielezione al Quirinale. Così come ha posto il problema del lavoro al centro di un programma tutto teso alla crescita e ha confermato una visione europeista, pure molto spinta in senso federale. Ma lo scarto temporale tra le buone intenzioni e le notizie è stato tale che l’appropriazione, debita o indebita, da parte del centrodestra del suo governo è stata fin troppo facile. Anche perché sarebbe stato molto arduo individuare nel fumoso programma elettorale del centrosinistra una proposta concreta, di immediata comprensione da parte dei cittadini italiani, da accogliere nel discorso del nuovo presidente del Consiglio. Ecco perché quello squilibrio politico, in verità, non è addebitabile tanto a Letta, quanto alla sciagurata campagna per il voto di febbraio condotta da Bersani.

Il premier, citando la distinzione che faceva il suo maestro, Nino Andreatta, tra «la politica» e le «politiche», ha cercato preventivamente di ammonire la ex contrastante maggioranza che si appresta alla fiducia a evitare proprio simili divisive rivendicazioni di schieramento e a unirsi sulla necessità dei provvedimenti da varare. Una giusta raccomandazione, anche se i primi commenti dei berlusconiani trionfanti non sembrano averne tenuto conto. Ma è proprio nel merito della complessiva manovra economica annunciata ieri che, subito, è emersa una domanda fondamentale: dove il nuovo governo troverà, nel risicato bilancio dello Stato, le risorse per coprire tutte le nuove spese indispensabili di fronte agli impegni annunciati alla Camera?

La domanda non ha avuto, ieri, una risposta, anche perché le assicurazioni del presidente del Consiglio sulla «ferrea lotta all’evasione» e sul rispetto degli impegni assunti dall’Italia durante il precedente governo Monti non servono, certamente, a trovarla. Né, d’altra parte, il discorso programmatico di un nuovo governo è l’occasione più adatta per snocciolare cifre e illustrare tabelle di bilancio. Si può intuire, però, la strada che Letta ha intenzione di imboccare per mantenere fede alla sua convinzione per cui «di solo risanamento l’Italia possa morire». Ed è quella annunciata da un’altra notizia fornita dal discorso alla Camera, il suo immediato viaggio a Berlino, Bruxelles e Parigi.

Il carattere fortemente europeista che il presidente del Consiglio ha voluto imprimere al programma del governo, infatti, non è solo la rivendicazione della fondamentale sua esperienza politica e intellettuale. Perché individua, persino con le uniche parole un po’ enfatiche di un discorso altrimenti pacato, quelle finali, l’unica possibilità di conciliare la tenuta dei conti pubblici con l’urgenza di avviare la crescita dell’economia italiana. È proprio sulle sue indiscutibili credenziali europeistiche che Letta tenterà di appoggiare le richieste alla Merkel di concedere al nostro Paese quello che è stato ottenuto da un altro confratello del partito popolare europeo, il premier spagnolo Mariano Rajoy, cioè un allentamento dei vincoli sul deficit. Dopo aver invocato l’elezione diretta da parte dei cittadini europei del presidente della commissione, gli sarà più facile, nei prossimi giorni a Bruxelles, incoraggiare i vertici comunitari su quella svolta antirecessiva della politica economica che sembra annunciarsi nelle più recenti loro dichiarazioni. Sarà naturale, a Parigi, stringere un patto di sostegno reciproco con il francese Hollande per rafforzare quella «alleanza per la crescita» che pare incominciare a far breccia nel muro rigorista elevato dai Paesi del nord Europa.

Basterà la patente dell’europeista a 24 carati Letta per convincere la Merkel e, soprattutto, la Bundesbank, di concedergli quello che non hanno concesso a un altro indiscusso europeista come Monti? Basterà il cambiamento di umore continentale che si avverte dappertutto, anche in Germania, per aiutarlo in una impresa che appare abbastanza temeraria? Gli basterà l’appoggio di Napolitano, la competenza e l’autorevolezza internazionale di Saccomanni, il favore di Draghi, la mancanza di una alternativa che non siano le elezioni, per arrivare al primo tagliando del suo governo, quello fissato tra 18 mesi? Domande a cui nessuno, oggi, potrebbe dare risposte. Letta, comunque, merita un sincero augurio, perché l’Italia ha bisogno che le sue buone intenzioni si realizzino. Ma ci potremmo accontentare anche di molto meno di quello che ci ha promesso.

La Stampa 30.04.13

Parlamentari Pd “Proposta Governo pienamente condivisibile”

I parlamentari modenesi del Pd annunciano il proprio voto a favore dell’Esecutivo Letta. “Negli impegni del governo una risposta concreta alle emergenze sociali, un piano per la crescita e il lavoro per i giovani, un progetto coraggioso di riforma della politica”: con queste parole i parlamentari modenesi del Pd (Baruffi, Galli, Ghizzoni, Guerra, Patriarca, Pini, Richetti e Vaccari) annunciano il proprio sì alla fiducia al Governo guidato da Enrico Letta. Ecco il testo della loro dichiarazione congiunta:

«È pienamente condivisibile la proposta di Governo presentata oggi dal premier Enrico Letta alla Camera. Negli impegni del nuovo Esecutivo sono indicate risposte puntuali e stringenti alle emergenze che il Pd ha indicato: il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, la cancellazione dell’aumento previsto dell’Iva, la copertura degli esodati e lo sblocco degli investimenti e dei pagamenti della Pubblica amministrazione. Anche le misure annunciate sul fisco, per nulla generiche, puntano ad aggredire in modo selettivo le priorità del Paese: da un lato il lavoro, quello nuovo e quello stabile, che va agevolato per ridare sostegno all’occupazione buona; dall’altro le famiglie, quelle più fragili, che non riescono più a pagare il mutuo o l’affitto. È altrettanto condivisibile l’idea di cambiare passo sulle politiche economiche: l’austerità da sola non basta, occorrono misure per la crescita e lo sviluppo, a sostegno delle imprese – in particolare delle piccole e piccolissime -, dell’innovazione e della ricerca, della formazione e della conversione ambientale della produzione. Giusto quindi ridefinire in sede comunitaria le regole di convergenza e le misure per la crescita, in un progetto europeo pienamente federale, quello degli Stati Uniti d’Europa. Infine, ma non da ultimo, l’impegno per la riforma della politica: il taglio dei suoi costi (tra cui, ad esempio, l’abolizione dell’indennità di carica per i ministri che sono anche parlamentari). l’efficienza delle istituzioni e della Pubblica amministrazione, la riforma del Parlamento in senso federale, una nuova legge elettorale. Sono misure invocate da troppo tempo, per le quali occorre ora passare una volta per tutte ai fatti. Per queste ragioni crediamo che il Governo Letta meriti fiducia e per questa ragione noi convintamente la accorderemo. Consapevoli come siamo che le difficoltà saranno numerose e la responsabilità che siamo chiamati ad assumerci dinanzi al Paese non possono mai far velo al bisogno di cambiamento. L’atteggiamento del Pd dovrà essere di cooperazione leale nel Governo e di competizione con le altre forze politiche sulle idee, sui valori e sulle proposte in Parlamento e nel Paese, per riuscire ad entrare in sintonia con la situazione drammatica che stanno vivendo milioni di persone».

"Il bene del Paese", di Ezio Mauro

Il Paese prima di tutto, avevamo detto qualche giorno fa.
Oggi possiamo aggiungere: in particolare nei momenti di difficoltà. Ma dove sta il bene del Paese? Proviamo a ragionare, se è ancora possibile fare una discussione serena anche con chi non si riconosce nel pensiero dominante di questa primavera italiana 2013. O almeno col tentativo di usare l’emergenza politica per un cambio di stagione generale e definitivo, che trucchi i conti della piccola storia italiana di questi anni. Non voltando pagina, perché questo accade spesso. Ma riscrivendola.
Tre punti mi sembrano non controversi. 1) – L’Italia è in difficoltà, la crisi dell’economia reale sta sopravanzando il rischio finanziario rivelandosi in tutta la sua gravità per le aziende, per i lavoratori, per la coesione sociale. 2) – Un governo è indispensabile, e chi ha detto il contrario è uno sprovveduto in linea con i populismi vari, che campano spacciando risposte semplici a problemi complessi. La Spagna proprio in questi giorni ha negoziato con Bruxelles due anni in più di tempo per il rientro del deficit, dimostrando che un esecutivo con conti e programmi alla mano può farsi ascoltare in Europa fino a bucare il muro dell’austerity dogmatica. 3) – Dopo aver sfiorato il default finanziario, il sistema ha rischiato il default istituzionale.

E questo perché le tre minoranze uscite dalle urne anche grazie ad una legge sciagurata non sono state capaci di formare una maggioranza di governo, e addirittura non sono riuscite a dare forma all’istituzione suprema, la presidenza della Repubblica. Da qui il corto-circuito che ha portato tre partiti a chiedere a Napolitano di ricandidarsi perché il parlamento era bloccato, accettando nel contempo la richiesta del capo dello Stato di impegnarsi a far nascere un governo, due mesi dopo il voto. Quindi un governo di necessità, una situazione estrema, una soluzione eccezionale fortemente contraddittoria, perché trova unite questa destra e questa sinistra, che si sono contrapposte duramente per vent’anni.
Com’è chiaro, non sono le responsabilità che devono spaventare. Ci sono parecchie cose che non solo si possono, ma si devono fare insieme tra forze politiche molto diverse (Scalfari ha ricordato Togliatti) e riguardano le regole del gioco e le sue varie forme, quindi la legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari, la correzione del bicameralismo perfetto, il taglio dei costi della politica: tutte misure che potrebbero ridare efficienza alla macchina democratica, ma soprattutto potrebbero avviare un recupero di fiducia nel rapporto in crisi tra partiti, istituzioni e cittadini. Anzi, le politiche di cambiamento e di novità (come la scelta da parte di Enrico Letta del ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge) sono l’unica strada per governare la contraddizione politica di questa maggioranza, provare a superarla nei fatti e guardare avanti, ricordando che la premiership viene dal Partito democratico e deve averne il segno.
Il punto in discussione è il tentativo ormai evidente, sistematico, insistito e molto diffuso di vendere un’alleanza di emergenza come uno stato d’animo del Paese, trasformando un governo di necessità in un’opportunità culturale per rimodellare la vicenda storica di questi anni. L’operazione cambia le carte in tavola, e assume un unico punto di vista – quello della destra, con le sue convenienze – come fondamento oggettivo della nuova fase. È evidente a tutti che Berlusconi, giunto terzo alle elezioni, arriva al tavolo delle grandi intese per scelta, con un’opinione pubblica che si sente premiata, una classe dirigente che appare miracolata.
Dall’altra parte, il Pd – sconfitto politicamente nel momento in cui prevaleva numericamente – arriva alla condivisione di governo per obbligo, con un’opinione pubblica contraria e frastornata, un gruppo dirigente disorientato e diviso. La sinistra vuole governare per fare poche riforme necessarie, affrontare la crisi del lavoro, rinegoziare la stretta dell’austerity con l’Europa e andare al voto. La destra vuole rilegittimarsi come forza di governo dopo il fallimento del ministero Berlusconi, vuole istituzionalizzare la carica “rivoluzionaria” che aveva in passato portandola dentro il sistema, vuole sacralizzare la figura del suo leader ripulendola dalle troppe macchie degli ultimi anni attraverso un ruolo da padre della Repubblica: senatore a vita, o presidente della convenzione per le riforme. Dunque il governo può durare finche servirà a questo scopo.
In sostanza è come se la destra dicesse al sistema: l’anomalia berlusconiana (composta dalle leggi ad personam e dal rifiuto di accettare il giudizio dei tribunali, dal conflitto di interessi, dallo strapotere economico e mediatico, da una cultura populista che intende il potere eletto dal popolo sovraordinato rispetto agli altri poteri, dunque insofferente per natura speciale ad ogni controllo) è troppo grande e troppo permanente per essere risolta. Il sistema è stremato per lo scontro senza soluzione con la presenza fissa di questa anomalia. Dunque al sistema conviene costituzionalizzarla,
introiettandola: ne uscirà in qualche misura sfigurato ma definitivamente pacificato, perché a quel punto tutto troverà una sua nuova deforme coerenza. Per questo, la grande coalizione è un’occasione irripetibile, guai a non sfruttarla
ben al di là del governo.
Per arrivare fin qui, al vero scopo, è necessario lavorare sul “contesto”. Ingigantire l’aura di questo governo, parlando di “pacificazione”, di uscita dalla “guerra civile”. Bisogna cioè creare un senso comune accettato che ricrei le basi del confronto politico e rinneghi la lettura di questo ventennio, sia la lettura di destra che quella di sinistra (quella centrista o liberale non conta, perché è sempre al traino della cultura dominante in quel momento). E il senso comune è quello della grande omologazione nazionale, dove si scopre all’improvviso che destra e sinistra sono uguali, le vicende di questi ultimi anni non contano più per gli uni e per gli altri, non hanno lasciato segni nella storia, nella cultura istituzionale, nella piccola vicenda dei partiti, nel loro rapporto che pure è stato per lunghi tratti vivo, vitale e addirittura vivace con le opinioni pubbliche di base.
Ne discendono norme nuove di comportamento, inviti insistenti. Valga per tutti “il principio di realtà”, quindi non le culture di riferimento, gli interessi legittimi che si rappresentano, addirittura gli ideali diversi. No, conta solo la “realtà”, cioè il dato di oggi che prevale sul futuro e sulla storia italiana di questi anni. La politica si conformi. I giornali cambino addirittura tono, abbassando la voce, come se ci fosse un tono prefissato secondo le stagioni di governo, e i toni non fossero ogni volta la reazione a precise azioni dei protagonisti, dichiarazioni, proclami. Il risultato da ottenere è evidente: una grande amnistia culturale deve scendere sul ventennio, non lo si deve più ricordare per non giudicarlo, tutto è alle spalle, tutto si confonde, gli statisti non sono a targhe alterne ma in servizio permanente effettivo.
E qui, il nuovo senso comune ben coltivato porterà all’esito finale di tutta l’operazione: la fine del giudizio penale ancora in corso per definitiva autoconsunzione, in quanto il nuovo clima dominante di conciliazione governante prevarrà sul clima che pretendeva giustizia, o sosteneva per anni la pretesa di volere addirittura la legge uguale per tutti. Giuliano Ferrara lo ha detto lucidamente: la strada maestra per Berlusconi è spingere per la grande politica, «obliterando in questo modo ogni valore morale delle condanne che lo riguardano ». Vale a dire che il nuovo senso comune spodesterà quello precedente, vivo per anni, maggioritario o di minoranza secondo le fase, e tuttavia vivo. Alla fine si presenterà tutto questo come una vittoria della politica, mentre è un’altra cosa. L’abuso semantico e politico, dunque culturale, del concetto di governo di salute pubblica si estenderà prosaicamente alla salute privata di qualcuno. E quando questo clima sarà instaurato, potranno venire come al solito le norme ad personam, visto che a quel punto non sembreranno più un vulnus, ma un esito naturale e accettato.
Nella lettura a reti unificate che i giornali danno della grande intesa, si vedono tutti i segni di questa costruzione complessa che si richiama alla “realtà”, ma che configura un’iper-realtà politica di comodo, addirittura ideologica. È una lettura dalla quale ci discostiamo. Si possono – si devono – fare le cose che servono al Paese, ma salvando il vero principio di realtà, che consiste nel preservare le diverse “visioni sostantive” del Paese, le identità distinte di destra e sinistra, le letture degli ultimi vent’anni che sono state fatte in forme tutt’affatto difformi nei due campi, le due diverse idee dell’Italia. Qui c’è la base di un’onesta responsabilità condivisa, proprio perché qui c’è la coscienza dei limiti dell’emergenza, il rispetto delle pubbliche opinioni, la consapevolezza del fatto che il Paese ha bisogno di una maggioranza e di una minoranza, a cui si deve tornare appena i nodi principali sono stati sciolti. Qui, nelle differenze occidentali, nel rispetto onesto delle diversità, sta la base del futuro scontro elettorale, della ripartenza del Paese e del confronto democratico. Ecco perché tutto questo ci sta a cuore. Perché non tutto è emergenza, e nelle differenze culturali sta il bene del Paese.

La Repubblica 30.04.13

Discorso del Presidente del Consiglio Enrico Letta alla Camera dei Deputati

Signora Presidente, onorevoli deputati, appena una settimana fa il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale, con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia, Sinistra Ecologia Libertà, Lega Nord e Autonomie, Fratelli d’Italia e Misto).
Voglio inoltre ringraziare i Presidenti   del Senato, Piero Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase di consultazione in questo primissimo avvio dell’esperienza di Governo.
Quella del Presidente Napolitano è stata – lo sappiamo – una   scelta eccezionale. Eccezionale perché tale è il momento che l’Italia e l’Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all’emergenza il Presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese ed al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un’ultima opportunità: l’opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione, degni di servire il Paese attraverso il rigore, l’esempio, le competenze, in una delle stagioni più complesse e dolorose della storia unitaria. Accogliendo il suo appello, intendo oggi rivolgermi a voi proprio con il linguaggio sovversivo della verità, confessandovi che avverto fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti ed il peso della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere nelle vesti di Presidente del Consiglio di un Governo che richiede qui ed oggi la fiducia del Parlamento.
Infine, non potrei iniziare questo discorso, in   un passaggio così impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi, con generosità e senso antico della parola lealtà, mi ha sostenuto anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia, Sinistra Ecologia Libertà e di deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente e Misto).
La prima verità è che la   situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita, in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l’Italia).
Il mantenimento degli impegni   presi con il Documento di economia e finanzia è necessario ad uscire quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei vincoli europei che vogliamo rispettare. Nelle sedi europee ed internazionali l’Italia si impegnerà, poi, per individuare strategie per ravvivare la crescita, senza compromettere il processo necessario di risanamento della finanza pubblica. L’Europa è in crisi di legittimità ed efficacia, proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L’Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile e, quindi, di speranza e di costruzione di futuro, solo se finalmente si apre; si apre perché il destino di tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere vincitori e vinti, se l’Europa fallisce questa prova: saremmo tutti perdenti, sia nel sud che nel nord del continente. È per questo che, se otterrò la vostra fiducia, immediatamente, già da domani sera e poi mercoledì e giovedì, visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un Governo europeo ed europeista (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia).La risposta dunque   è una maggiore integrazione verso un’Europa federale, altrimenti il costo della non Europa, il peso della mancata integrazione, il rischio di un’unione monetaria senza unione politica e unione bancaria ed economica diventeranno insostenibili, come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato.
Questo   Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all’Europa un contributo italiano innovativo: questo è avvenuto nel sostegno all’azione europea del Governo Monti ed è avvenuto nell’elaborazione di posizioni comuni, come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio europeo del giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo. Le premesse macroeconomiche sono quelle dell’euro e della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi.
Di solo risanamento l’Italia muore. Dopo più di   un decennio senza crescita, le politiche per la ripresa non possono più attendere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia). Semplicemente non c’è più tempo: tanti cittadini, troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio, nel vuoto di speranze, rischia di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come dimostra e ci ricorda lo sconcertante fatto avvento ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri, andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri (Generali applausi, cui si associano i membri del Governo – L’Assemblea e i membri del Governo si levano in piedi)… Dicevo, ieri andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina: il Parlamento si stringe a lei in questo momento così doloroso (Applausi). E il Parlamento deve stringersi anche all’Arma dei carabinieri e a tutte le Forze dell’ordine, per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell’interesse della nazione in Italia e all’estero (Applausi).
Senza crescita e senza   coesione, l’Italia è perduta. Il Paese invece può farcela, ma per farcela deve ripartire e per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L’architrave dell’Esecutivo sarà l’impegno ad essere seri e credibili sul risanamento e la tenuta dei conti pubblici. Basta con i debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.
Ecco perché la riduzione fiscale   senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neoassunti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia). Poi, una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia, includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche, affitti e mutui agevolati per giovani coppie e poi bisogna superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa, intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo al Governo e al Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti (Applausi dei deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e di deputati del Partito Democratico). Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle amministrazioni pubbliche, l’allentamento del Patto di stabilità interno, la rinuncia all’inasprimento dell’IVA (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente), l’aumento delle dotazioni del Fondo centrale di garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti, sebbene necessari, non sono sufficienti. La crescita economica di un Paese richiede una strategia complessa che eviti dispersioni a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi.
Per questo è necessaria una sintonia   tra le azioni del Governo, quelle delle banche e delle imprese, che devono essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici, per superare gli annosi ritardi dell’Italia in termini di crescita della produttività e della competitività.
Il Governo deve accompagnare   questa crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando queste si impegnano all’estero nell’arena globale.
Un importante argomento   di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo ovviamente riguarda innanzitutto l’impegno alla moralizzazione della vita pubblica, alla lotta alla corruzione che distorce regole e incentivi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia e Libertà). E questo riguarda la giustizia nel suo complesso: la giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana e tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia e Libertà) ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il Paese di Cesare Beccaria.
Dobbiamo liberare le energie   migliori dell’Italia e non partiamo da zero. Partiamo da due grandi risorse: prima di tutto sui giovani. «Scommettete su cose grandi» ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro e noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente: è una questione drammatica, che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto e la rabbia di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non nascono ogni anno in Italia per la precarietà, che limita le scelte delle famiglie giovani (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia e Libertà). Non è solo demografia: è una ferita morale, perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani possono ricostruire questo Paese. Le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico ed è la certezza di decrescita, la più infelice. Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in Paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla 92, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal legge n. Presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegno ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale.
Non bastano incentivi   monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all’imprenditorialità. Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile Kyenge (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta civica per l’Italia, Sinistra Ecologia libertà e Misto) significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse. La società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui banchi della scuola e nell’università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori, che in tante classi volgono il disagio in speranza, e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica.
In Italia, c’è una nuova   questione sociale, segnata dall’aumento delle diseguaglianze: solo il 10 per cento dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40 per cento in Gran Bretagna, il 35 per cento in Francia, il per 33 per cento in Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all’articolo 34 della Costituzione, per il quale i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.L’eguaglianza più   piena è destinata a durare nelle generazioni ed è oggi più che mai l’uguaglianza delle opportunità. Per rilanciare il futuro industriale del Paese bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca finanziato tramite project bond. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo come, ad esempio, l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale, solo per citarne alcuni. Si tratta di fare una politica industriale moderna che valorizzi i grandi attori, ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo del nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Lega Nord e Autonomie). Oltre all’alta tecnologia bisogna investire su ambiente e energia. Le nuove tecnologie, fonti rinnovabili, efficienza energetica vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti di incentivazione in un’ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e per il gas il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei. È chiaro che episodi in questo campo come quelli dell’ILVA di Taranto non sono più tollerabili.
Tutta l’impresa italiana per crescere ha   bisogno di più semplicità, di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia), per snellire le procedure ed avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare e offrire posti di lavoro. Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai soliti noti. I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all’evasione con un fisco amico dei cittadini senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata. L’altra grande risorsa è l’Italia stessa, bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le migliori ricchezze. È per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il commissario unico per l’Expo 2015, una grande occasione che non dobbiamo mancare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà). E a questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto e a partire per l’ultimo miglio di questo evento strategico.
Per questo   dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo. Questo significa valorizzare e custodire l’ambiente, il paesaggio, l’arte, l’architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture. Questo vuol dire valorizzare il nostro grande patrimonio sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione delle malattie, lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci, come ha già detto il Ministro Idem, per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale. L’intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d’altra parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità. Dobbiamo mettere in condizione il sud di crescere da solo annullando i divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l’hanno frenato, puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e creative e sulla buona gestione dei fondi europei come quella che ha caratterizzato l’operato del Governo Monti. Dobbiamo soprattutto evitare di continuare a mettere la testa sotto la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra nord e sud del Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti a livello nazionale come a livello locale.
È il risultato   dell’azione della criminalità organizzata, che certo è presente anche nel resto del Paese: in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante del territorio. E questo, nonostante lo spirito di servizio e sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine innanzitutto –, che, troppo spesso, abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze armate e della Polizia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia).
Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande   tragedia di questi tempi, che, d’altronde, al sud tocca punte di desolazione e allarme sociale. È la questione che sarà la prima priorità del mio Governo: la questione del lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia). Solo con il lavoro si può uscire da questo incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e a riportare dignità e benessere.
Senza   crescita anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui ribadisco – rifinanziamento delle casse integrazione in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione –, sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà). Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Sono sicuro che, come in tanti momenti critici della vita della Repubblica, i sindacati saranno protagonisti.
E il Governo vuole aprire la   strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito di impresa. Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni che, in una società post industriale, rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.
Anche sull’occupazione femminile occorre fare molto di più. La maggiore   presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del Paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei: non siamo ancora un Paese delle pari opportunità (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà). La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, e tutto questo è aggravato, in alcuni casi, da una crescita insopportabile dei fenomeni di violenza contro le donne.
La riforma del nostro   welfare richiede azioni di ampio respiro per rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà). E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà).
Hanno   trovato largo consenso parlamentare, nei mesi passati, le proposte su incentivi al pensionamento graduale, con part time misto a pensione, con una staffetta generazionale per la parallela assunzione di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con tre, quattro anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.
Dobbiamo,   poi, ricordarci che l’Italia migliore è un’Italia solidale.
È per questo   che il Governo non può che valorizzare la rete di protezione dei cittadini e dei loro diritti con misure tese al miglioramento dei servizi, dai servizi sanitari a quelli del trasporto pubblico locale e pendolare, con una particolare attenzione per i disabili e i non autosufficienti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia, Sinistra Ecologia Libertà).
Vorrei a   questo punto rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro Paese di godere di questa solidarietà, e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato, quelli che rischiano la vita per protegge le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere, ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore, della galassia del 5 per mille (Applausi).
È l’esempio che giornalmente viene dato da   queste persone che fa riscoprire l’onore e il valore del servizio pubblico. Una speciale menzione merita la Protezione civile, che ha dato una straordinaria prova nei terremoti in Abruzzo e in Emilia, e che ci ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione con piani straordinari di manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all’abusivismo (Applausi).
Onorevoli deputati, vorrei che questo Governo inaugurasse una fase nuova   nella vita della Repubblica, non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della politica e del nostro modo di percepirci come comunità. La ricostruzione, però, può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso troppi errori: si è erosa giorno dopo giorno la credibilità della politica e delle istituzioni, vittime di un «presentismo», vale a dire dell’ossessione del consenso immediato che ha bloccato il Paese.
Ancora, non abbiamo compreso quanto le legittime   istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione della rete potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa, anziché sfociare nel mito o nell’illusione della democrazia diretta. Oggi abbiamo dinanzi un’altra sfida ancora più complessa, quella dell’autorevolezza: l’autorevolezza del potere che non ha più come in passato il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di informazioni presenti nella rete; l’autorevolezza di chi non si accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e solo la verità ed ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale. Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell’onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione del buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine, per dare l’esempio – e dico al Parlamento una cosa che nemmeno i miei Ministri sanno ancora –, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei Ministri parlamentari, che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità (Applausi).
Nessuno – ripeto nessuno – può sentirsi esentato dal dovere   dell’autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall’accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere e omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo partito: o lo capiamo o la politica scompare.
Non era mai   accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, 4 milioni in più rispetto al 2006; su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità.

  CRISTIAN IANNUZZI. Rinunciate ai rimborsi elettorali…

  ENRICO LETTA, Presidente del Consiglio dei Ministri. Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari, non rimborsi ma finanziamento mascherato, per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei conti ha recentemente confermato, due miliardi e mezzo di euro dal ’94 al 2012 a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo; è questa solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo, dunque, dal finanziamento pubblico ai partiti abolendo la legge approvata e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali; occorre, poi, avviare percorsi che finalmente consegnino la libera scelta del cittadino, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all’attività politica dei partiti.
È però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della   democrazia interna ai partiti attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’articolo 49 della Costituzione (applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà), stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure.
Rivendico con forza l’importanza di un   temporaneo Governo di servizio al Paese tra forze sicuramente lontane e diverse tra di loro; credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide, perché non è motivata dall’interesse particolare, ma da principi più alti di coesione nazionale (applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Sinistra Ecologia Libertà). Questo è stato il senso del messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere, non dobbiamo aver paura di fare il nostro dovere per l’Italia, noi dobbiamo dare il nostro contributo a ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione comune; come italiani o si vince o si perde tutti insieme (applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia). Sicuramente è e deve essere un’eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni, ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l’emergenza economica che il Governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo, quindi, che le forze politiche che sostengono il Governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent’anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra partiti ed opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta delle risse inconcludenti. Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra le diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni; se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno; se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremmo svolgere un servizio al Paese migliorando la vita dei cittadini (applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia e Lega Nord e Autonomie). È per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti, perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il Governo e le forze politiche che hanno deciso di sostenerlo.
L’appello alla responsabilità e alla capacità di trovare   terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il Governo in modo organico, ma che devono partecipare pienamente al processo costituente.
Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma – anche radicale   – del sistema istituzionale e del sistema politico. Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all’avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni, anche sincere, di chi li proponeva promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante, in ultimo, i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.
Al fine di sottrarre la   discussione sulla riforma della Carta costituzionale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione aperta anche alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati delle attività parlamentari della scorsa legislatura e delle conclusioni del Comitato dei saggi istituito dal Presidente della Repubblica.
La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori   sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per una legge costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l’unico sbocco possibile su questo tema è il successo nell’approvazione delle riforme che il Paese aspetta da troppo tempo, fra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazione a trarne immediatamente le conseguenze.
La moralità della   politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono e di rispettare gli impegni presi di fronte al Paese e alle istituzioni. L’obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni rafforzando l’investitura popolare dell’Esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che debbono guidarci sono quelli di una democrazia governante, la capacità degli elettori di scegliersi propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui Governi e le maggioranze che li sostengono.
Dobbiamo superare   il bicameralismo paritario per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale, infatti, è in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento. Dobbiamo, quindi, istituire una seconda Camera – il Senato delle regioni e delle autonomie – con competenze differenziate e con l’obiettivo di realizzare compiutamente l’integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una chiara ripartizione delle competenze tra livelli di Governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V.
Bisogna riordinare i livelli   amministrativi e abolire definitivamente le province. Semplificazione e sussidiarietà debbono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma, al contrario, valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un’ottica di alleanza tra il Governo, i territori e le autonomie ordinarie e speciali.
Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo   fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali.
Si può anche   esplorare il suggerimento del comitato di saggi, istituito dal Presidente della Repubblica, per l’eventuale riorganizzazione delle regioni e dei rapporti tra loro.
Occorre poi riformare la forma di Governo, e su questo punto bisogna   anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.
La legge elettorale è   naturalmente legata alla forma di Governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali: innanzitutto dobbiamo solennemente, qui, assumere l’impegno che quella dello scorso febbraio sia l’ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente (Applausi). Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire Governi stabili, ma prima ancora, per restituire legittimità al Parlamento e ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l’idea di parlamentari, di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole il giorno delle elezioni. Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere, a livello meramente personale, che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
Rappresentare l’intera nazione oggi significa prima di   tutto sapere ribadire che le sorti dell’Italia sono intimamente correlate a quelle dell’Unione europea, due destini che si uniscono. Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel, anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti, l’Unione europea è stata premiata per un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme; dopo, insieme, abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro, insieme abbiamo dato vita al mercato unico, insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo, insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie e insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché delle verità non bisogna mai avere paura.
In primo luogo, il Nobel è alla memoria, l’Europa   non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro; l’Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra, è lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.
In secondo luogo, l’Europa è il nostro viaggio, la sua storia   non è scritta malgrado noi, è scritta da noi; l’orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale e globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti e soprattutto nell’abbattimento dei muri tra il nord e il sud del continente, così come tra il nord e il sud dell’Italia.
In terzo luogo, il porto a cui il nostro viaggio è rivolto   sono gli Stati Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia, guardiamo con ammirazione, certo, lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia, in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a un sogno che si chiama Unione politica europea e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro.
Possiamo avere più Europa soltanto con più democrazia, con partiti   europei, con l’elezione diretta del Presidente della Commissione (Applausi), con un bilancio coraggioso e concreto, come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.
L’Italia vive in un mondo sempre più   grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti, che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria, e interagire con questi nuovi attori, e influire sui processi globali. Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconde a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile (Applausi).
L’Italia è saldamente collocata   nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica, proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo, e la sua economia vocata all’esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze emergenti. Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle Primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.
Onorevoli colleghi, vado a concludere. In questi giorni ho   pensato molto al personaggio biblico di Davide: come lui, con lui, siamo nella valle, in attesa di affrontare Golia, nella valle delle nostre paure, di fronte a sfide che appaiono gigantesche, anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide, in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero. Come Davide prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca di pastore, nella bisaccia, prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia, noi dal torrente delle idee sulle quali ci siamo confrontati, abbiamo scelto i nostri ciottoli, le nostre proposte di programma. La fionda l’abbiamo in mano insieme – Governo e Parlamento – ma, di Davide, ci servono il coraggio e la fiducia: il coraggio di mettere da parte quella prudenza politica, che spinge ad evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l’armatura. No, il coraggio di affrontare la sfida, liberandoci dall’armatura, forse l’abbiamo trovato; la fiducia è quella che oggi chiediamo al Parlamento e agli italiani (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, Scelta Civica per l’Italia, Lega Nord e Autonomie e Misto. I deputati dei gruppi Partito Democratico, Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Scelta Civica per l’Italia si levano in piedi).

"L’Italia non è tutta Pompei. E sulla cultura c’è molto da fare", di Vittorio Emiliani

Il neo-ministro Massimo Bray dunque gestirà Beni e Attività culturali e Turismo. Abbia cura di non subordinare i primi al secondo: centri storici, musei, siti archeologici, chiese, il paesaggio in generale sono il motivo di attrazione per milioni di stranieri che praticano il «turismo culturale». Se però questi beni irriproducibili li lasciamo distruggere, sfregiare, imbruttire, involgarire, anche l’indotto turistico ne risente pesantemente. Nel monitoraggio delle grandi agenzie siamo ancora al 1°-2° posto per le città d’arte, ma siamo stati retrocessi per la natura e per le spiagge.

Onorevole Bray, il macchinone che lei – proveniente da un luogo di cultura come l’Enciclopedia Treccani – dovrà guidare con le Regioni è stato scassato da chi l’ha preceduta, soprattutto Bondi, Galan e Ornaghi, lasciato quasi senza olio e benzina, con le gomme consunte. In compenso ha a bordo un’autentica folla di direttori generali (ben 25, più il segretario generale), mentre i soprintendenti e gli ispettori che fanno la vera tutela, che gestiscono musei e aree archeologiche sono stati indeboliti, guadagnano infinitamente di meno e…restano a piedi. Capaci e meritevoli. Se un direttore generale percepisce 166.688 euro lordi l’anno, il soprintendente territoriale ne riceve 78.999 e il responsabile di un grande museo appena 35.000. Non so quanto tempo lei avrà davanti a sé, ma questi squilibri strutturali sono strategici. È la rete territoriale che conta, che va rafforzata.

Poi c’è l’impoverimento quantitativo/qualitativo del personale tecnico-scientifico statale: archeologi statali ridotti a 343 a fronte di oltre 2000 siti e musei archeologici (di cui oltre 700 statali), architetti a 487 per una montagna di pratiche di vincolo, di autorizzazioni urbanistiche ed edilizie, di condoni, ecc. per cui ne dovrebbero sbrigare 4-5 al giorno (addirittura 79 a Milano), storici dell’arte a 453 per oltre 460 musei statali, più la vigilanza su una marea di chiese, palazzi, ville, ecc. Pagati poco più dei custodi.

QUALI FONDI

C’è chi vuole immettere i privati nelle gestioni pubbliche. Non gli dia retta. «È come mettere la volpe nel pollaio», mi ha detto il direttore di un grande museo americano. Coi privati vanno in- vece attivati rapporti più chiari ed efficaci. Anzitutto con le Fondazioni bancarie, le uniche in soldi e che spesso li disperdono in tanti rivoli oppure nel «mostrificio». Un discorso serio va fatto a loro, ai privati proprietari di dimore, ville e giardini storici (rilegga la benemerita legge Scotti, la n. 510/82 che tanti investimenti mobilitò) e agli aspiranti sponsor e/o mecenati. Norme chiare, incentivi e ritorni certi. Faccia studiare perché si formano i residui passivi, perché si inceppano gli appalti, se e come si usano i fondi Ue.

Certo devono anche essere recuperati soldi al MiBac, precipitato dallo 0,39 % del bilancio statale (2000) allo 0,20 % di quest’anno. Un suicidio per la cultura. Lo spettacolo dal vivo sta de- perendo sempre più. La prosa, che pro- duceva quasi 81.000 spettacoli (14,3 milioni di paganti), taglia allestimenti, repliche, tournée, i Comuni, proprietari dei teatri e promotori dei circuiti con le Regioni, non possono pagare. Il cinema boccheggia da anni ed è sempre meno presente al botteghino. Le Fonda- zioni musicali versano pure in angosciose difficoltà, a cominciare dal Maggio musicale. Il balletto rischia addirittura di scomparire.

Nei teatri pubblici però vi sono vecchi e oggi inammissibili privilegi corporativi, accordi integrativi insostenibili (l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, una delle prime d’Italia, costa un 25% in meno delle orchestre degli ex Enti lirici). Inoltre la quota di burocrazia rispetto ai tecnici di scena e alle masse artistiche è, sovente, esorbitante, frutto di lontane clientele. Tutto questo, nel bene e nel male, va gestito dal MiBac e dal Turismo insieme alle Regioni, copianificando (dove sono finiti i piani paesaggistici?) e co-riformando. Altrimenti, anche con più fondi, non c’è futuro. Le sbatteranno in faccia Pompei. Ma non tutta Italia è Pompei. Se ad Ostia Antica, paragonabile ad essa per vastità (anche se meno fragile), certe cose non succedono, una ragione ci sarà.

L’Unità 29.04.13

"Il gap delle donne vale una busta paga", di Francesca Barbieri

Trentasei giorni di lavoro extra. Tanti ne servirebbero alle donne per riempire il gap in busta paga che le divide dai colleghi maschi nel settore dei servizi, quello più “rosa”, dove si concentra un terzo delle occupate. Segretarie, impiegate, assistenti, che nella realtà guadagnano l’11% meno degli uomini, secondo l’elaborazione del centro studi Red-Sintesi per Il Sole 24 Ore, che ha messo sotto la lente la retribuzione oraria netta. E ci sono rami di attività dove il vuoto da colmare è ancora più ampio: in agricoltura servono due mesi per arrivare alla parità, in banca e nelle compagnie assicurative 59 giorni, nella pubblica amministrazione 39. Più basso il gap nell’industria, anche se di poco, 33 giorni, molto di più rispetto ai 10 giorni del commercio e ai dodici delle attività immobiliari, o degli 8 di alberghi e ristoranti.
L’unico settore dove il match ha un punteggio invertito è l’edilizia: qui sono gli uomini che dovrebbero lavorare 23 giorni in più per raggiungere le “rivali”. La ragione? «Solo l’un per cento delle donne – risponde Catia Ventura, ricercatrice di Red – lavora nelle costruzioni, probabilmente in ruoli impiegatizi con paga superiore al semplice manovale, tipicamente maschio».
Il gender pay gap aumenta, poi, con il crescere dell’età e del titolo di studio. Se il divario in busta paga è nullo fino a 34 anni, dai 35 in poi esplode. Dai 35 ai 44 anni le donne dovrebbero lavorare 16 giorni in più per arrivare alla parità, mentre tra i 45 e i 54 anni la distanza sale a tre settimane.
Più istruite, ma non nei settori che contano: le donne, si sa, raggiungono i titoli di studio migliori e in tempi rapidi, ma le loro scelte scolastiche cadono su ambiti “femminili” e meno in quelli scientifici e tecnologici. «Decisioni – spiega Giovanna Vallanti, docente di economia alla Luiss di Roma – in parte indotte dalla necessità di conciliare la vita lavorativa e le esigenze familiari, che da una lato le induce a cercare lavoro in settori che garantiscono una maggior flessibilità e dall’altro incide pesantemente sulle chance di carriera». Tra le occupate si registra il 42,6% di diplomate (contro il 38,2% degli uomini) e il 22,4% di laureate (solo il 13,8% tra i maschi) e a faticare di più per conquistare la parità sono proprio queste ultime. Secondo l’elaborazione di Red-Sintesi il pay gap tra i “dottori” è all’8,3% (l’equivalente di 28 giorni di lavoro), più alto rispetto a quello registrato tra chi si ferma alla maturità (7% e 23 giorni). Restringendo l’obiettivo solo sui laureati, poi, emerge che mentre nelle materie umanistiche (dove si concentra il 32% delle lavoratrici laureate) sono gli uomini a dover lavorare 17 giorni extra per arrivare allo stesso stipendio, tra ingegneri e architetti, invece, la sparuta rappresentanza “rosa” (6%) registra un differenziale record, al 19,1%, con ben 72 giorni di handicap rispetto ai maschi.
A livello di qualifiche, poi, il gender pay gap è più marcato nei ruoli “intermedi” (lavori impiegatizi, assistenza, insegnamento), dove il gentil sesso ha maggior peso. Tra i dirigenti, ad esempio, dove si colloca appena l’1,5% delle lavoratrici, lo stipendio orario netto è pressoché equivalente (circa 16 euro), mentre tra gli impiegati (categoria che raggruppa oltre il 55% delle donne in attività), il dislivello è di oltre tre settimane. «Le donne che riescono a conquistare una posizione di rilievo nel mondo del lavoro – sottolinea Egidio Riva, ricercatore dell’università Cattolica di Milano – iniziano finalmente a vedere premiato il proprio capitale umano e professionale. Il tutto a vantaggio proprio, chiaramente, ma anche del sistema paese più in generale. E se consideriamo la scarsa generosità del sistema di welfare è probabile che il percorso verso la parità, quanto a opportunità professionali e salariali, passi attraverso rinunce molto pesanti negli altri ambiti di vita. Rinunce ancora più grandi di quelle richieste, di norma, agli uomini in carriera». In generale, infatti, le donne dedicano al lavoro meno tempo (32% part-time, contro il 7% dei maschi) e sono più restie allo straordinario: mamme acrobate che si dividono tra famiglia e ufficio, con una carriera professionale più discontinua e con un livello maggiore di contratti a termine (15% rispetto al 13% degli uomini).

Il Sole 24 Ore 29.04.13

"Basta rattoppi per la scuola. Ora risorse e progetto educativo", di Benedetto Vertecchi

Molte delle difficoltà che le scuole si trovano oggi ad affrontare sono evidenti, e riguardano le strutture e il funzionamento del sistema. Sono difficoltà che si sono progressivamente accentuate per la crescente penuria di risorse destinate alle spese per il personale, all’edilizia, alle dotazioni didattiche. Ma per capire le ragioni del malessere del sistema scolastico non basta menzionare i tagli nei finanziamenti. Sono venute meno negli anni alcune condizioni morali che, dal raggiungimento dell’Unità nazionale in poi, avevano sostenuto la crescita della scuola e la sua capacità di modificare in una linea di progresso sia le condizioni della vita materiale, sia il profilo culturale del nostro Paese.

UNA NUOVA STAGIONE
È urgente porre a disposizione delle scuole le risorse di cui hanno bisogno per svolgere la loro attività, ma è altrettanto urgente elaborare linee di sviluppo capaci di conferire coerenza agli interventi e di perseguire intenti non limitati al tempo breve, ma proiettati nei prossimi decenni, quando i bambini e i ragazzi che ora frequentano le scuole dovranno poter fare affidamento su quanto hanno appreso per affrontare realtà le cui caratteristiche al momento sono estremamente indefinite. La disponibilità di risorse e la capacità di elaborare un progetto educativo a medio e a lungo termine sono premesse ugualmente necessarie per qualificare una nuova stagione di sviluppo per la scuola italiana. Occorre superare la frammentazione degli interventi che in anni recenti ha finito col costituire una costante nel governo della scuola. Si è preteso di intervenire sulla cultura professionale degli insegnanti senza verificare in alcun modo se quella cultura fosse disponibile, si è intervenuti sulle dotazioni seguendo suggestioni marginali, sull’edilizia senza disporre di ipotesi sulle attività che si sarebbero dovute svolgere. Sono esempi di ciò che non va fatto, e nel complesso costituiscono una sorta di utopia negativa che deve essere rovesciata. Con gli insegnanti bisogna ricostruire un rapporto di fiducia che non può fondarsi sui soliti riconoscimenti rituali circa l’essenzialità della funzione che svolgono, ma deve considerare in che modo una professione allo stremo può riacquistare slancio e rilevanza sociale. Non c’è dubbio che nelle scuole occorra promuovere l’innovazione, ma non ha senso ridurla a una questione strumentale, perché occorre rivedere le interpretazioni che collegano i tempi della vita con quelli dell’apprendimento, e c’è bisogno di definire un concetto di utilità adeguato alla rapidità delle condizioni di cambiamento. Nessuno dubita che sia urgente intervenire per qualificare l’edilizia, ma occorre anche stabilire una corrispondenza tra le tipologie di attività che s’intendono promuovere e l’organizzazione degli spazi. C’è anche da chiedersi se non si debba abbandonare l’angusta sovrapposizione tra tempo delle lezioni e tempo del funzionamento per affermare un’idea di scuola capace di qualificare una parte significativa della vita di bambini e ragazzi e, soprattutto, di consentire di compiere esperienze di apprendimento sottratte ai condizionamenti consumisti che oggi finiscono con l’esercitare un’influenza determinante sui loro atteggiamenti e sul definirsi dei loro profili culturali. Quelli accennati sono solo alcuni esempi, ma sufficienti per affermare che non si può intervenire sul sistema scolastico riconcorrendo le emergenze del momento. I rattoppi non hanno altro effetto che quello di aggravare le lacerazioni. Anche se le diverse esigenze richiedono tempi diversi per essere soddisfatte, occorre definire con chiarezza la linea nella quale si vuole procedere. A definire tale linea occorre il contributo di tutti: attraverso una grande consultazione nazionale si potrebbero raccogliere le proposte formulate da cittadini, organizzazioni politiche e sociali, istituzioni culturali. Ma, altrettanto urgente, è avviare subito iniziative che incrementino la conoscenza delle condizioni in cui si pratica l’educazione. Invece di disperdere risorse per rilevare dati dai quali, bene che vada, si ottengono rappresentazioni sfocate di una realtà in movimento, sarebbe preferibile impostare ricerche che possano essere utilizzate per interpretare i cambiamenti che si riscontrano nelle condizioni di sviluppo, nell’acquisizione e nell’uso del linguaggio, nell’assimilazione di valori e atteggiamenti sociali.

L’Unità 29.04.13