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"Le signore della competenza", di Natalia Aspesi

Questa volta le donne al governo sono sette e non se ne erano mai viste tante, in Italia almeno, infatti chi le ha scelte, il nuovo candidato premier in extremis Enrico Letta, si compiace con se stesso. È molto soddisfatto della sua brillante innovazione. Non tanto per poter dire sbuffando ecco qua la tanto strombazzata quota rosa, quanto per il coraggio di avere scelto delle persone che sia pure di sesso femminile, quindi soggette a virile diffidenza, sono (quasi) di sicuro competenti: almeno come gli altri uomini di solito inchiodati alle poltrone di potere, e alcune molto di più: certamente più di una buona parte dei 14 colleghi che tenteranno assieme a loro ciò di cui un paese estenuato, avvilito e arrabbiato ha urgente bisogno, un governo sia pure di emergenza; e quasi quasi non ci sperava più, e del resto non si è ancora del tutto sicuri, televisioni e Internet già traboccano, inseguiti dai reporter, di esagitati sconosciuti o ben noti, che analizzano, deprecano, sghignazzano, profetizzano e magari hanno ragione, ma si vorrebbe almeno un po’ potersi illudere, sperare; se non altro perché certi personaggi terrorizzanti sono rimasti a casa, sostituiti da persone poco conosciute quindi per ora senza peccato, più giovani quindi forse meno intrallazzati, e appunto da ben sette signore, cui si affida il duro compito di essere davvero brave. Eccole, la Bonino, ogni tanto proposta del tutto inutilmente come possibile presidente della Repubblica, agli Esteri, la Cancellieri, già ministro dell’Interno con Monti, alla Giustizia, la Lorenzin talvolta sottosegretaria, alla Salute, la Di Girolamo alle Politiche agricole e alimentari, la Carrozza, ex rettrice poi docente di Bioingegneria alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, all’Istruzione, Ricerca e Università, la Idem, italiana di origine tedesca, ex campionessa olimpica di canoa, 38 medaglie sportive, alle Pari Opportunità e allo Sport, l’italiana Kyenge, medico di origine congolese, all’Integrazione. La più giovane è la Di Girolamo, 39 anni, la più matura è la Cancellieri, 70 anni: come collocazione politica, una è radicale, una montiana, due pdl, tre pd. È consolante pensare che le signore siano state scelte come si fa con gli uomini, per la loro appartenenza politica, ma soprattutto almeno per quasi tutte, per il percorso professionale della loro vita, per il talento, il carattere, la capacità appunto la competenza, come senza offesa, non si fa sempre con gli uomini. Certo, malignamente si potrebbe pensare che per qualche dicastero si è scelto una donna per sbarrare il passo a certi ormai inguardabili politici che in questi giorni l’informazione ha accanitamente segnalato, innervosendo e avvilendo tanti che non li sopportano più. Insomma, attaccando una donna, si fa sempre brutta figura, e pareva che solo Grillo ne avesse dette di ogni colore sulla Bonino, del resto come fa con tutti, e che il Pdl non gradisse la Cancellieri, però all’Interno, da cui infatti è stata spostata (alla Giustizia) per far posto al buon Alfano da cui ci si aspetta, se il governo andrà avanti, anche come vice premier, ogni cortesia al Cavaliere; che misteriosamente per ragioni sue, forse di immagine, ormai si veste solo di blu Savoia, così lo
si vede subito. Invece nella trappola tesa con sapienza da Enrico Letta, è subito caduta la Lega, già all’opposizione: che ha ritenuto uno schiaffo ai lumbard la nomina di Cècile Kyenge, bella signora modenese di 48 anni, di colore, e giù quindi improperi e minacce da parte del solito corrucciato e noioso Salvini, per l’insulto al popolo maroniano, di un ministro italiano “abbronzato” e soprattutto troppo competente sui diritti degli immigrati e quindi sull’integrazione: annunciando che i governatori del Nord faranno argine, non si sa a che. Comunque, prima gli italiani! Come appunto è la signora Kyenge. Poi alla fine, un’altra piccola soddisfazione femminile: le ministre di questo governo, non sono come quelle che in parlamento, al governo, nei consigli regionali del passato, erano tutte giovani, coi tacchi a spillo, il seno esposto, le belle gambe, la boccona rifatta e il talento da show girl: adesso ce ne è di ogni età, di ogni corporatura, di ogni tipo di abbigliamento; almeno fisicamente, rappresentano davvero tutte le donne italiane.

La Repubblica 28.04.13

Kyenge “Una decisione che marca un cambiamento concreto”

La prima dichiarazione del neo-ministro dell’Integrazione, la deputata Pd Cécile Kyenge. “Una decisione, quella di Enrico Letta, che segna il passo decisivo per cambiare concretamente l’Italia e il modo di vedere un’integrazione che è già presente nel Paese”: ecco il primo commento della deputata modenese del Pd Cécile Kyenge appena nominata ministro dell’Integrazione nel nuovo Esecutivo guidato da Enrico Letta. Ecco il testo della sua dichiarazione: “Per me è una grossa soddisfazione: ringrazio Enrico Letta per una decisione che segna il passo decisivo per cambiare concretamente l’Italia, la sua società e il modo di vedere un’integrazione che è già presente nel Paese. Il mio percorso è merito di un lavoro svolto con Livia Turco e il Forum immigrazione del Partito Democratico: io sono la portavoce di una politica fatta all’interno del partito, ma che è frutto di un lavoro comune che raccoglie anche le istanze e le forti richieste della società civile che in questo momento chiede a gran voce una nuova legge sulla cittadinanza”.

Biografia di Cécile Kyenge

Cécile Kyenge Kashetu, è originaria della Repubblica Democratica del Congo ed è attualmente cittadina italiana. Arriva in Italia nel 1983, e si laurea in medicina e chirurgia all’Università Cattolica di Roma, specializzandosi poi in oculistica all’Università di Modena, in seguito svolge la sua attività professionale presso diversi Poliambulatori di Modena e provincia. E’ impegnata al servizio della promozione sociale e dell’integrazione, con riguardo particolare per la sua terra d’origine, l’Africa. Ha promosso e coordinato il progetto AFIA su sanità e salute a Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo; partecipato alla formazione di operatori sanitari sulla medicina dell’immigrazione; è impegnata nell’associazionismo e nella promozione della piena cittadinanza degli immigrati attraverso il progetto “Diaspora Africana”. Nel 2004 è stata eletta consigliere della circoscrizione n°3 di Modena, successivamente responsabile provinciale del Pd del Forum della Cooperazione Internazionale ed immigrazione. E’ stata consigliere provinciale Pd nella commissione Welfare e politiche sociali e responsabile regionale delle politiche dell’immigrazione del Partito Democratico. Portavoce nazionale della rete Primo Marzo dal settembre 2010 per la quale si è occupata di promuovere i diritti dei migranti e i diritti umani. Presidente dell’Associazione Interculturale DAWA, dell’Associazione Giù le Frontiere e del comitato scientifico dell’Istituto Italiano Fernando Santi, collabora inoltre con il centro studi politiche internazionali (CESPI) che ha sede a Roma. Ha attivamente partecipato all’elaborazione della Carta Mondiale dei migranti del febbraio 2011 a Gorée e come Forum nazionale dell’immigrazione del Partito democratico, alla prima Festa nazionale dell’immigrazione a Cesena. Impegnata attualmente in diverse campagne nazionali tra cui L’Italia sono anch’io, Lasciatecientrare, Per non dimenticare mai il 2 novembre, la giornata globale per la libera circolazione il 18 dicembre e sta elaborando un dossier sul razzismo istituzionale in Italia. A fine febbraio 2013 si dimette dalla carica di consigliere provinciale e il 25 Febbraio 2013 viene eletta alla Camera dei deputati – XVII legislatura.

"25 aprile, i qualunquisti e il partigiano Chiesa", di Enzo Costa

Leggo dei soliti sproloqui mortuari di Grillo, questa volta dedicati al 25 Aprile (a suo bloggare, defunto causa gli ultimi sviluppi della politica nazionale), conditi, e ci mancava, con la classica lamentazione sul tradimento degli ideali resistenziali da parte della classe politica. Per carità, l’attuale classe politica ha molto da farsi perdonare, ma che l’invettiva filopartigiana venga dal già ammiccante a Casa Pound suona grottesco. Ma il Guru è sicuro: i Partigiani che non ci sono più l’avrebbero pensata come lui. Io ho qualche dubbio, in compenso sono certo di come la pensa sul suo MoVimento e sull’idea di politica che rappresenta, un partigiano che è ancora molto attento e vigile sulla nostra democrazia: Angelo Chiesa, presidente provinciale dell’Anpi di Varese. Un paio di mesi fa, a ridosso delle elezioni politiche, mi aveva scritto una lettera molto eloquente al riguardo: la pubblico qui di seguito con la sua autorizzazione.
«Ciascun uomo politico vale l’altro, sono tutti mestieranti privi di scrupoli, pronti a strumentalizzare tutto e tutti per la salvezza della loro pagnotta». È una delle tante affermazioni che nel lontano 1946 (non era ancora passato un anno dalla Liberazione) scriveva a nome del suo «movimento» personale sul suo giornale personale «l’uomo qualunque» il commediografo Guglielmo Giannini. Siamo sempre nel novero di uomini di teatro che hanno cambiato mestiere, che vogliono fare politica con un loro personale movimento o un loro personale partito, con le stesse polemiche, con le stesse accuse, anche se sono passati 68 anni.
Quel movimento politico chiamato l’uomo qualunque partecipò alle elezioni della Assemblea Costituente del 2 giugno 1946 e ottenne un significativo risultato elettorale con ben 1.211.956 voti pari al 5,28 per cento dei voti validi e la elezione di un gruppo di 30 parlamentari. Un gruppo, un Movimento che non assolse alcuna funzione nel processo di elaborazione della Carta Costituzionale se non quello della continua negazione. Il 5 dicembre del 1945 Giannini aveva già scritto sul suo giornale che c’era bisogno di «…un governo di transizione al di fuori di tutti i partiti». L’unica proposta avanzata era che lo Stato «dovrebbe fare solo dell’amministrazione in senso stretto, tanto più che non ha bisogno di specialisti della politica per essere retto, ma da un buon ragioniere».
Come la storia insegna, quel movimento finì presto nel nulla soprattutto perché i partiti dell’arco costituzionale seppero elaborare e approvare in modo unitario, senza alcun inciucio, pure durante il contemporaneo duro scontro politico di quei mesi del 1947, i valori e le regole della vita democratica contenute nella carta fondamentale della nostra Repubblica, sia perché a sostituirlo nacque il «movimento sociale» di chiara estrazione fascista come di chiaro orientamento reazionario è chi oggi pontifica accusando di ogni nefandezza tutti gli altri, minaccia i sindacati che devono essere aboliti (come già fece Mussolini) e, con i voti e i parlamentari che otterrà, vuole aprire il Parlamento come una scatola di sardine.
Ieri, come oggi, il qualunquismo tanto diffuso non sa distinguere. Tutti gli altri sono uguali. L’unico che si salva, è il predicatore di turno, sia quando urla sulle piazze sia quando usa la rete per dare ordini ma, come tutti i predicatori, mai per ascoltare, sempre pronto a pronunciare una condanna quando non si è d’accordo con lui. Facciamo tesoro delle passate esperienze e, soprattutto, i partiti sappiano essere quegli strumenti che la Costituzione vuole quali promotori della partecipazione dei cittadini per «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» e non, come è avvenuto troppo spesso, strumenti di gestione del potere.

L’Unità 27.04.13

L’appello di Telefono rosa “Ora serve una norma ad hoc per fermare la strage delle donne”, di Grazia Longo

Altro che «Finché morte non ci separi». Le parole che in un quadro romantico e idilliaco possono avere un valore benaugurale sulla durata di una relazione, suonano ormai sempre più sinistre.
L’uccisione delle donne fenomeno noto come femminicidio – si consolida come una realtà a cui ci stiamo tristemente abituando. I dati sono allarmanti: negli ultimi 18 mesi, nel nostro Paese viene ammazzata una donna quasi ogni due giorni. Dall’inizio dell’anno sono già 21 le vittime di questa strage talmente strisciante e frequente da ottenere sempre meno prime pagine e titoloni sui giornali. «E invece non dobbiamo tacere – insiste la presidente del Telefono Rosa, Gabriella Moscatelli – Anzi dobbiamo farci sentire per prevenire e combattere un fenomeno che l’anno scorso ha registrato 127 vittime».
Una legge specifica «sul delitto di genere, quello appunto delle donne» è l’obiettivo più dirompente. «Lo chiediamo a gran voce al governo che sta per insediarsi – prosegue Moscatelli – Esistono tre proposte di legge ancora nel cassetto, è tempo di passare ai fatti».
Non solo con una norma ad hoc, ma anche con la ratifica alla Camera dei deputati del «Trattatto di Instabul», già firmato dal ministro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero. Un provvedimento assai importante perché si occupa, tra l’altro, della «violenza assistita», ossia della frequenza sempre più crescente con cui i bambini e i ragazzi assistono a episodi di violenza subiti dalla madre. Il dato forse più impressionante che emerge dal campione di 1.562 donne che si sono rivolte a Telefono Rosa nel corso del 2012, è proprio quello dell’82% che dichiara di avere figli che assistono alle violenze, in crescita del 7% rispetto all’anno precedente. Per il resto, i numeri annuali dell’Osservatorio del Telefono Rosa confermano che il tragico volto della violenza sulle donne non cambia. L’autore è il marito (48%), il convivente (12%) o l’ex (23%), un uomo tra il 35 e i 54 anni (61%), impiegato ((21%), istruito (il 46% ha la licenza media superiore e il 19% la laurea). Insomma, un uomo «normale». La maggior parte delle violenze continuano ad avvenire in casa, all’interno di una relazione sentimentale (84%), in una famiglia «normale». Per non parlare dell’atteggiamento persecutorio, lo stalking, che continua a perseguitare una donna anche dopo la dine di una relazione.
Le denunce alle forze dell’ordine, ma anche una telefonata a uno dei tanti Centri ascolto (e non solo del Telefono Rosa) sono fondamentali. «Non bisogna rimanere incastrate dalla convinzione “Io ti salverò” – conclude Gabriella Moscatelli – Bisogna chiedere aiuto subito dopo le prime avvisagli. Uno schiaffo costituisce già un precedente che può preludere ad un’escalation mortale».

La Stampa 27.04.23

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Lo psichiatra Pietropolli Charmet “Il sesso è anche amore insegniamo ai ragazzi a viverlo serenamente”
intervista di Elena Dusi

«Un problema educativo reale ». L’invasione della pornografia richiede senza alcun dubbio un intervento da parte delle scuole, secondo lo psichiatra dell’adolescenza Gustavo Pietropolli Charmet. «È importante costruire una cintura sanitaria attorno alla testa dei ragazzi per aiutarli a difendersi da chi vende sostanze e comportamenti stupefacenti. E la pornografia ricade sicuramente in quest’ultima categoria».
La scuola è l’ambiente adatto?
«Ne sono convinto. In famiglia discutere di sessualità è più complicato. A scuola bambini e ragazzi si ritrovano insieme, maschi con femmine, in un ambiente che per sua natura è teso all’apprendimento e al raggiungimento di consapevolezze. Almeno per quanto riguarda l’educazione sessuale, che è un mix di biologia e di introduzione al mondo delle emozioni, l’insegnamento dovrebbe iniziare già alle materne e alle elementari, prima ancora della pubertà».
Quali sono i rischi, senza questa “cintura sanitaria”?
«Nella pornografia non c’è ombra di reciprocità o affetto. È un’eccitazione senza amore. Il tono tende sempre al macabro, al sadico e alla violenza. Il desiderio può essere rivolto indifferentemente a esseri umani, animali, oggetti. Immagini simili potrebbero istigare gli adolescenti a un sesso di gruppo, fortuito, rapido, tendenzialmente violento, magari accompagnato da alcool, in ogni caso esercitato al di fuori di qualunque situazione affettiva».
In concreto come immagina una lezione di educazione alla consapevolezza della pornografia?
«Come una vera e propria educazione all’immagine. Dovrebbe insegnare ai ragazzi a distinguere tra ciò che è brutto e fuorviante rispetto alla realtà e ciò che invece è esteticamente accettabile. L’obiettivo è arrivare a vivere una sessualità libera, non schiava delle immagini pornografiche. Bisogna cancellare l’immagine del sesso come godimento senza amore, come prova ginnico atletica o esercizio a corpo libero che nelle immagini porno trova le sue ispirazioni».
Distinguere il sesso della pornografia dal sesso della realtà è uno degli obiettivi dell’iniziativa inglese.
«Il rischio di restare delusi dal sesso reale, dopo il consumo di immagini pornografiche, esiste. Ma è da se stessi che spesso si finisce con il restare delusi, più che dal partner».

La repubblica 27.04.13

Nel partito va in scena il disagio “Chi ci spiega che cosa è successo?”, di Giovanni Cerruti

Passa appena per un saluto. «Non chiedetemi niente, non dico niente», risponde Pierluigi Bersani sul portone della sede del Nazareno. E su al terzo piano, davanti a questi cento segretari Pd arrivati da città, province e regioni, ha davvero poco da aggiungere. Forse, in questo stanzone, è il suo ultimo intervento da segretario dimissionario. Il partito lo conosce bene, i parlamentari forse meno. E sa che lontano da Roma non sono solo i bolognesi di “#ResetPd”, o i torinesi di “OccupyPd”, a non aver capito. «Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto. Ora vi raccomando il bene della Ditta». Applausi, rimpianti. E altro.
Perchè i cento son venuti qui per sapere cosa è successo. «Perchè mi chiamano, mi chiedono, mi dicono “sei tu che ci rappresenti” e ancora io non so cosa rispondere», come sta spiegando Marco Zanolla, goriziano con una gran coda di capelli. C’è Roberto Speranza, il capogruppo, che provvede alla «relazione introduttiva», e come sempre si vola alto: «Cos’è il Pd? Cosa ci tiene uniti? Quali obiettivi ci diamo? ». E poi giù in picchiata, per dire «che il Pd deve sostenere convintamente il tentativo di Enrico Letta». Certo che sì. Uno esce e telefona: «O è così o ci bruciamo l’ultimo pezzettino di credibilità rimasto».
Di solito, in riunioni come questa, un paio d’ore e tutti a casa, questa è la linea, avanti così. Ieri no. salone più pieno del solito, nessuno che rispetti i cinque minuti, interventi che debordano. Finisce che non finisce, si ritroveranno, almeno in venti che debbono ancora dir la loro. Ultimo a parlare è stato Stefano Bonaccini, modenese, segretario dell’Emilia-Romagna, gli azionisti di maggioranza del Pd «convintamente» deciso a farsi sentire. La sera prima del non voto per Franco Marini era stato proprio Bonaccini a mandare il primo allarme alla sede del Nazareno: «Fermatevi! ». E vuol partire da quella sera, Bonaccini.
«No, non dite che è colpa di Twitter – e ha già passato i cinque minuti -, io ho il cassetto pieno di mail mandate dai nostri iscritti». E’ l’ultimo a parlare, Bonaccini. Forse è il più autorevole, ma non è l’unico. I toscani di Livorno. Gli emiliani e i romagnoli tutti. E Daniele Zoffoli, segretario di Cesena, ha guardato il capogruppo che si chiama Speranza prima di chiudere con una frase da titolo del disagio: «La nostra rabbia è la nostra speranza! ». La rabbia di chi sta aspettando risposte, chiarezza. «Meglio la rabbia della rassegnazione», spiega poi. «Ma quella vigliaccata dei 101 che hanno tradito Prodi deve venir fuori. Non possiamo accettare che il dubbio ricada su tutti».
Rabbia e speranza, come quella dei giovani Pd di Bologna o Torino. «Al terzo piano la voce della base l’abbiamo portata noi», dice Paola Bragantini, deputata e segretaria torinese: «Il gruppo dirigente deve capire che è importante il merito, ma anche il metodo». Più che la testa, nelle periferie del partito, ora comandano pancia e cuore: vuota la prima, a pezzi il secondo. Rabbia, per rimanere nella sede del Nazareno, che si sente anche dalle telefonate che arrivano al centralino: «Non ne posso più di questo partito Pd-Pdl! », urla una signora di una certa età. O da chi, dalla strada, vede arrivare Giuseppe Fioroni, l’ex ministro dell’istruzione: «Ecco il democristiano, vattene! ».
Alle tre del pomeriggio i cento escono e se ne vanno di fretta. C’è chi vuol parlare solo del sì al governo Letta. Bonaccini spera in «un governo di scopo, con una squadra giovane, innovativa». Poca voglia di raccontare la rabbia e la speranza. Che poi non è così, o non sarebbe così, dappertutto. «Mi sembra sia successo a macchia di leopardo, o di giaguaro… », dice Antonio Castricone, deputato e segretario del di Pescara: «Ma adesso, più che la Ditta il problema è il Paese». Perchè, e questo è Roberto Speranza, «il Pd deve mettere al centro l’interesse dell’Italia con l’assunzione di responsabilità da parte di tutti». E di tutto il Pd.
E’ che non sarà semplice spiegarlo a quelli di «#ResetPd» o di «#OccupyPd», o alle altre macchie di giaguaro. Proprio la parola «responsabilità» da quelle parti è la più detestata, presa con sospetto e diffidenze. «Ora che siamo tutti impegnati nel sostenere Enrico Letta – dice Maurizio Martina, segretario del Pd di Lombardia – dobbiamo metterci alla testa di questo progetto e riempirlo di contenuti». E c’è da battere la rabbia: «Ci saranno complicazioni e difficoltà, non sarà immediato, ma dobbiamo guardare in faccia questa nuova realtà. Noi segretari dobbiamo fare quel mestiere». Perchè la rabbia fa male alla Ditta.

La Stampa 27.04.13

"Segretari Pd: sì a Letta ma ora si cambia", di simone collini

Sostegno al tentativo di Enrico Letta ma, primo, serve una squadra di governo fortemente rinnovata e senza impresentabili e, secondo, adesso il partito deve garantire il confronto a tutti i livelli, un profondo ricambio della classe dirigente, una discussione congressuale seria che porti a «rifondare il Partito demo- cratico». Mentre Pippo Civati e gli altri parlamentari contrari a un esecutivo insieme al Pdl («siamo una cinquantina ma quelli che si manifesteranno saranno la metà») preparano un documento molto critico da lanciare prima del voto di fiducia, i segretari regionali e provinciali del Pd arrivano a Roma dopo aver vissuto giornate difficili. Sui territori, le votazioni per il Quirinale hanno provocato tensioni, suscitato proteste fomentato la rabbia di militanti e simpatizzanti che non hanno digerito né la proposta di Franco Marini perché figlia di un’intesa con il Pdl né l’impallinamento di Romano Prodi ad opera di 101 franchi tiratori. Ed è toccato a loro affrontarli, dare spiegazioni. Anche se non erano stati coinvolti prima che a Roma si prendessero le diverse decisioni. Per questo ora arrivano al quartier generale del Pd apprezzando la convocazione per fare il punto sul governo, ma agli interlocutori che hanno di fronte spiegano che adesso molte cose dovranno cambiare, anche perché il rischio è di «non reggere» sui territori.

Con Pier Luigi Bersani, che passa per un saluto veloce al terzo piano del Nazareno dove sono riuniti, c’è uno scambio di battute e un lungo applauso quando il segretario dimissionario si congeda chiedendo a tutti «senso di responsabilità» e sostegno all’operazione Letta «per il bene della ditta». Ma poi parte una discussione tutt’altro che di rito, le critiche al modo in cui è stata gestita la partita per il Quirinale non mancano e i moniti per il futuro nemmeno. «Serve un governo al servizio del Paese», dice Roberto Speranza aprendo i lavori. Il sostegno al tentativo avviato da Letta non manca (gli interventi contrari si contano sulle dita di una mano) però un po’ tutti insistono sul fatto che sarebbe difficile difendere un governo di cui facciano parte «impresentabili» del Pdl.

Ma è soprattutto sulla gestione della partita per l’elezione del Capo dello Stato che vengono espresse le critiche più dure. I segretari provinciali di Bologna, Ferrara, Livorno e di molte altre città contestano la scelta di puntare su Marini proprio perché rappresentava un cambio di linea rispetto al no alle larghe intese ribadito per settimane dal gruppo dirigente. E ancora più duro e ancora più generalizzato è l’attacco all’impallinamento di Prodi che, viene ripetuto da diversi dirigenti locali, è la dimostrazione di una mancanza di tenuta del partito, della necessità di rinnovare l’intero gruppo dirigente e di «rifondare il Pd» con un «congresso serio» (le due espressioni più ricorrenti).

Il segretario del Pd di Bologna Raffaele Donini, che si dice favorevole al governo Letta purché resti in carica per «un tempo circoscritto» e per affrontare un numero limitato di questioni, dice della vicenda Quirinale: «Non si può raccontare che la partita di Marini è stata la stessa di Prodi. La candidatura di Marini divideva il Pd e non era in coerenza col percorso che aveva portato all’elezione di Boldrini e Grasso. Su Prodi è stata fatta una vigliaccata. E respingo anche la caricatura con cui si dipingono i dirigenti locali non in grado di reggere un tweet. Un gruppo dirigente nazionale che non si relaziona coi territori è un tronco secco».

È il cambio di linea, dal no alle larghe intese al governo con esponenti del Pdl, a venir messo al centro del mirino. Per questo i segretari regionali e provinciali chiedono una discussione congressuale seria, senza perdere tempo, e un cambio di fase. «Bisogna aprire spazi di confronto a tutti i livelli», sottolinea il segretario del Pd di Milano Maurizio Martina. Ci sono stati «limiti nella costruzione del partito», dice il commissario del partito calabrese Alfredo D’Attorre. C’è anche chi chiede di fare un congresso a tesi perché non c’è soltanto un segretario da eleggere ma un partito, per dirla con il segretario del Pd della Campania Enzo Amendola «da rifondare». Un concetto che ripetono in tanti, sottolineando come la ragion d’essere stessa del partito, che doveva chiudere il ventennio berlusconiano e garantire un governo di cambiamento, rischia di venir meno.

Sono questioni che verranno affrontate già all’Assemblea nazionale di sabato prossimo, ma su cui si aprirà una discussione già al momento di votare la fiducia al governo Letta. Civati e gli altri contrari all’operazione in atto stanno preparando un documento molto duro da far firmare ai dissidenti. Hanno già espresso contrarietà a un’esecutivo con il Pdl Laura Puppato, Sandra Zampa, Corradino Mineo, Sandro Gozi, ma potrebbero firmare il documento anche un’altra ventina di parlamentari Pd (si parla di Felice Casson e di Alessandra Moretti, mentre Rosy Bindi smentisce indiscrezioni che la danno tra i firmatari). Prima di tutto bisognerà però vedere se il tentativo di Letta andrà in porto e quale sarà la lista definitiva dei ministri. Poi si vedrà, nel caso di voti contrari, cosa sarà della discussione che si è aperta da giorni sull’ipotesi che un no alla fiducia determini un’espulsione.

L’Unità 27.04.13

"In 11mila chiedono la dilazione per bollette gas e acqua di Aimag", di Serena Arbizzi

La percentuale di clienti che hanno deciso di dilazionare il pagamento delle bollette di acqua e gas oscilla fra il 7 e l’8%, per un equivalente di circa 3300 e 7300 utenti rispettivamente di acqua e gas. Questa è la fotografia, secondo Aimag, una delle multiutility presenti nei comuni terremotati, a pochi giorni dalla ripresa della bollettazione nel cratere sismico, le cui modalità avevano destato qualche perplessità negli utenti che hanno ricevuto le richieste di pagamento. Un dato complesso per l’estrema eterogeneità degli utilizzatori del servizio, i quali possono scegliere fra tre opzioni: o saldare subito l’intero importo del totale delle bollette, diluire in 24 rate il pagamento e, ultima ipotesi, dimezzare il periodo di rateizzazione che, quindi, diventa di 12 mesi. «Finora, non sono state molte le richieste di dimezzamento del periodo di rateizzazione – spiega Antonio Dondi, direttore generale di Aimag – sono circa 200 i clienti che hanno fatto questa richiesta. Per quanto riguarda la bollettazione, abbiamo ripreso a fatturare, e siamo ormai allineati, nei confronti di chi ha un immobile inagibile, ma, secondo la lettura del contatore, consuma. Questo, tenendo conto che servirà ancora qualche mese per procedere operativamente con la rateizzazione: prevediamo che entrerà in vigore entro giugno. A chi usufruisce di questa possibilità, arriverà un bollettino postale per tenere tale pagamento ben distinto dal conto corrente e arriverà un numero di bollettini pari alle fatture. Sono previste due modalità di rateizzazione: o quella classica da 24 rate, o quella dimezzata, da 12. Chi decide per quest’ipotesi, deve comunicarlo entro il 30 aprile. Nel frattempo, entro giugno, riprenderà la fatturazione anche per i soggetti con immobili inagibili che non consumano. Ricordiamo, inoltre, che abbiamo applicato tutte le agevolazioni previste dall’Autorità, con effetto retroattivo dal 20 maggio. Per quanto concerne il territorio, non esistono distinzioni particolari tra i vari Comuni in cui operiamo con la bollettazione. E i dati sul mancato pagamento ci dicono che sono 6.600 e 14.600 gli utenti, rispettivamente di acqua e gas, che hanno anche soltanto una fattura non pagata. Da questi, ne devono essere scremati una metà, appartenenti alla categoria dei “morosi”, ovvero degli utenti con un ritardo fisiologico nel pagamento, indipendente dal terremoto. Entro giugno procederemo anche con la rateizzazione ai morosi». C’è anche un altro dato significativo di Aimag, multiutility impegnata nella rimozione delle macerie per buona parte del “cratere”, ad eccezione di Finale. «Sono 250mila le tonnellate raccolte dall’inizio sul territorio di competenza di Aimag – specifica Dondi – Abbiamo chiuso 800 cantieri e procediamo con quest’attività con una media di 10/15 cantieri alla settimana». Per conoscere i dati delle altre multiutility del territorio sono state interpellate anche Sorgea ed Hera. A Sorgea hanno risposto che in mancanza del direttore i dati non sono disponibili. Hera si è impegnata a renderli noti “appena possibile”.

La Gazzetta di Modena 27.04.13

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Va precisato che a L’Aquila dopo 3 anni dal sisma avevano spostato solo il 20% delle macerie