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"Presidio dei precari al Miur, primi risultati", da Tuttoscuola

Centinaia di persone ieri pomeriggio 10 aprile hanno animato a Roma il presidio presso il ministero dell’Istruzione indetto dalla Flc Cgil, per consegnare al ministro Profumo la piattaforma elaborata dal Coordinamento nazionale dei lavoratori precari della conoscenza Flc Cgil. All’appello fatto nei giorni scorsi dal segretario generale Domenico Pantaleo alle Istituzioni e alla Politica hanno risposto i parlamentari Francesca Puglisi, Giovanni Barozzino, Alessia Petraglia e Massimo Cervellini.

Pantaleo ha illustrato la piattaforma, si è dichiarato contrario al concorso e al decreto sugli inidonei e ha chiesto in particolare risposte su TFA ordinario e speciale, assunzioni, organici e piani pluriennali di stabilizzazioni in tutti i comparti, reclamando l’immissione in ruolo di tutto il personale ATA, la proroga dei contratti negli istituti di ricerca e università e il superamento dei problemi legati al pagamento delle ferie e degli stipendi del personale precario.

Il ministro ha riconosciuto la necessità di un aumento del finanziamento destinato alla scuola, alla ricerca, all’università e all’Afam, impegnandosi a trovare le risorse necessarie. Allo stesso tempo ha riconosciuto l’assoluta necessità, per il comparto scuola, di un Organico Funzionale, con il superamento della tradizionale distinzione tra organico di fatto e organico di diritto, per un concreto miglioramento del sistema scolastico e un contemporaneo allargamento del numero del personale, così come storicamente richiesto dalla Flc Cgil.

Per i supplenti della scuola statale ha assicurato il superamento delle problematiche tecniche che fino ad oggi hanno impedito la certezza e la regolarità del pagamento dello stipendio e delle ferie non godute. Per il personale ATA ha accettato di sostenere la richiesta di immissione in ruolo per i Collaboratori Scolastici e si è impegnato a trovare una soluzione efficace per gli Assistenti Tecnici e Amministrativi.

Per l’Università ha auspicato uno sblocco del turnover, accettando la richiesta contenuta nella piattaforma di un nuovo consistente reclutamento di Ricercatori a Tempo Determinato di tipo B (cioè con tenure track). Per la Ricerca ha assicurato non solo la proroga di tutti i contratti in scadenza negli Enti Pubblici di Ricerca che fanno riferimento al Miur, ma ha anche accettato di farsi portatore della stessa istanza presso il ministero della Funzione Pubblica. Per l’Afam ha assicurato di aver predisposto tutti gli atti necessari per l’emanazione del regolamento per il reclutamento e di avere avviato le procedure per la trasformazione delle graduatorie, necessaria per la stabilizzazione di tutto il personale precario.

da Tuttoscuola 12.04.13

"Salviamo la scuola dall'ebook integralista", di Roberto Carnero

Con un recente decreto firmato dal Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo si è data attuazione a un punto importante della cosiddetta «Agenda Digitale», che tanto sta a cuore a Mario Monti: dall’anno scolastico 2014-2015 i libri di testo adottati dovranno essere esclusivamente in formato elettronico o tuttal’più misto (cartaceo con una estensione elettronica). Quando si parla di questi argomenti, è sempre consistente il partito degli entusiasti, pronti a cantare «le magnifiche sorti e progressive» del cambiamento in senso moderno della scuola. Ci sono però anche alcune perplessità. Ad esempio c’è chi fa notare che il risparmio per le famiglie argomento portato a suffragio di questa innovazione è soltato teorico: perché per utilizzare i libri digitali bisogna acquistare specifici supporti informatici (computer portatile, tablet, e-reader ecc.). In molti, inoltre, esprimono la preoccupazione che l’eliminazione dei libri cartacei determini un problema di mancanza di punti di riferimento certi, stabili, autorevoli, in un ambiente virtuale, quello di Internet, in cui si trova tutto e il contrario di tutto. Tra costoro si colloca il filosofo Giovanni Reale, autore, presso l’Editrice La Scuola, di un vivace pamphlet intitolato Salvare la scuola nell’era digitale (pagine 110, curo 10.00). Reale pone l’accento su un aspetto che spesso sfugge, ma che sul quale non si può non essere d’accordo: «Occorre non trasformare in ‘fini’ quelli che sono semplici ‘mezzi’, che pure hanno una grande e innegabile portata, ma che, comunque, devono assolvere non altro che la loro funzione di mezzi». In altre parole, è un po’ semplicistico e illusorio pensare di migliorare la qualità dell’insegnamento soltanto attraverso l’introduzione di nuovi strumenti tecnici. Reale perciò cerca di smontare la visione che sta alla base delle nuove normative, una visione «fondata su un paradigma culturale fortemente ‘integralistico’, che ingabbia la realtà nelle dimensioni della tecnologia e dell’informatica». Perché scuola significa, al di là dei mezzi che si utilizzano per fare lezione, soprattutto rapporto educativo. E la qualità di un rapporto è data dalle persone. Forse, dunque, sarebbe il caso di partire da lì, dal valorizzare, sul piano motivazionale e anche su quello economico, i professionisti della scuola, cioè i docenti.

L’Unità 12.04.13

"Il Pd e cinquanta associazioni presentano otto disegni di legge contro la precarietà e per il diritto allo studio", da Diario della Scuola

I ddl vertono su: compenso minimo legale; modifica della Legge Fornero; ammortizzatori e futele sociali universali; giustizia previdenziale; statuto del lavoro autonomo e professionale; diritto allo studio”. Oltre 50 associazioni tra cui 20 Maggio -Tutelare i Lavori, Giovani Democratici, Lavoro & Welfare, insieme ai deputati del gruppo Under 35 del Partito democratico hanno presentato otto disegni di legge che sono stati presentati oggi in Paramento. I ddl vertono su: compenso minimo legale; modifica della Legge Fornero; ammortizzatori e futele sociali universali; giustizia previdenziale; statuto del lavoro autonomo e professionale; diritto allo studio”.
“I disegni di legge – spiega Fausto Raciti, deputato e segretario dei Giovani Democratici – sono il frutto di un intenso lavoro di partecipazione che nel corso degli ultimi due anni ha visto, traverso la campagna Alta partecipazione promossa dai Giovani democratici, la partecipazioni di piu’ di 50 diverse associazioni a cui complessivamente fanno riferimento diverse tipologie di lavoratori precari , autonomi, delle professioni”.
“Queste proposte – dice Fausto Raciti – sono a disposizione di tutto il Parlamento e spero davvero che possano diventare un movimento di confronto costruttivo e meno politicistico anche coi nostri colleghi del Movimento 5 Stelle. Sono provvedimenti che offriamo alla loro firma e che con un voto di fiducia potrebbero diventare immediatamente legge.”
“Si è trattato di un lavoro – ha detto Giuditta Pini, deputata del Partito Democratico – di vera politica. Siamo riusciti a dare voce attraverso questi provvedimenti ad un mondo estremamente eterogeneo che riteniamo possano essere sottoscritti anche dagli altri. Si tratta di un mondo a cui noi stessi, giovani deputati, facciamo parte e che vorrei che fossero ampiamente condivise anche con i nostri colleghi in particolare con quelli del Movimento 5 Stelle e sederci insieme intorno ad un tavolo per arrivare ad una rapida approvazione”.
Della delegazione dei Deputati del Pd che hanno fatto loro le otto proposte di legge fa parte anche Marianna Madia. “Personalmente – ha spiegato – presenterò due distinti disegni di legge uno relativo al contratto Unico di inserimento formativo (CUIF) che ha come obiettivo quello di facilitare e di uniformare l’accesso al lavoro e in questo modo modificare anche la riforma Fornero che su questo punto non ha fatto nulla lasciando invariata le oltre 40 tipologie contrattuali esistenti, e la realizzazione di un’indennità di disoccupazione allargata ai lavoratori che oggi non ce l’hanno”.
“Lo statuto dei lavori autonomo riguarda soci di cooperative, collaboratori occasionali imprenditori liberi professionisti – spiega Cesare Damiano, presidente di Lavoro &Welfare – e prevede il sostegno per le microimprese sostegno all’imprenditoria giovanile sostegno alla maternità promozione dei fondi mutualistici, marchi di qualità, investimenti in R&S, semplificazione degli adempimenti legislativi. E inoltre introduce il tema dell’equo compenso”.

da IL DIARIO DEL LAVORO

"Stiglitz: più coraggio o il baratro", di La Repubblica

«L´Italia è vittima di un fallimento dell´austerity europea, state pagando un prezzo più elevato della Grande Depressione, le vostre imprese sono penalizzate a tutto vantaggio di quelle tedesche. Non accusate Beppe Grillo di populismo: i temi che solleva sono legittimi, compresa l´opzione estrema di un´uscita dall´euro. Niente governissimo Pd-Pdl, per salvarsi l´Italia deve tagliare i ponti con la corruzione dell´èra Berlusconi».
Joseph Stiglitz, premio Nobel dell´economia, parla nel suo “tempio”, alla Columbia University di New York. L´occasione è una conferenza molto dotta, patrocinata dalla Italian Academy e dal nostro Istituto di cultura. Il tema è impegnativo e attuale: Stiglitz smonta uno per uno tutti i dogmi del pensiero economico neoclassico, o delle sue versioni neoliberiste. Se c´è uno che ha le carte in regola per istruire questo processo, è lui. Già consigliere di Bill Clinton alla Casa Bianca, iniziò a contestare il pensiero unico sulla globalizzazione negli anni Novanta; fu licenziato da vicepresidente della Banca mondiale per le sue critiche all´istituzione; più di recente fu uno dei primi a solidarizzare con gli “indignados” spagnoli e a giustificare le rivolte anti-austerity. Con rigore teorico implacabile, fa a pezzi l´idea di un homo economicus razionale, di un mercato capace di auto-regolarsi. Espone l´inutilità del Pil come misuratore di benessere (lui stesso ha ispirato molti governi e organismi internazionali nella ricerca di indicatori alternativi). Stigmatizza l´avidità dei banchieri e lo strapotere delle oligarchie capitalistiche. Finita la conferenza, Stiglitz accetta di parlare di noi: l´Italia nella trappola dell´austerity, e come uscirne. Il premio Nobel sa di essere diventato il massimo “guru” economico del Movimento 5 Stelle. E non si tira indietro. Conosce la situazione politica italiana, risponde a tutte le domande, anche le più delicate. Difende Grillo, pur spingendolo nella direzione di un accordo con il Pd.
Grillo ha proposto un referendum sull´euro, le sembra concepibile agitare la possibilità di una nostra uscita dalla moneta unica?
«L´eurozona deve cambiare le sue politiche di austerity. Perché l´euro funzioni occorrono una vera unione bancaria con regole comuni, un´assicurazione unica per i depositi dei risparmiatori, una vigilanza europea; poi ci vuole la vera unione fiscale, l´emissione di euro-bond. Il sistema attuale è instabile, incompiuto. Ci vuole più Europa oppure meno euro, non si può restare a metà del guado. Alcune posizioni del M5S sono fondate: un Paese come l´Italia potrebbe arrivare fino al punto di dover abbandonare l´euro per salvare l´Europa. Sarebbe preferibile di no, sarebbe meglio che fosse l´Europa ad abbandonare l´austerity».
Perché ritiene che per l´Italia possa diventare insostenibile l´appartenenza a questa unione monetaria?
«Le regole attuali dell´Unione europea restringono la vostra possibilità di fare una politica industriale, di cui avete gran bisogno. Il mercato unico all´origine doveva creare condizioni eque di competizione, una concorrenza leale. E´ fallito. Anzi: la competizione fra nazioni europee non è mai stata così diseguale. Le imprese italiane oggi devono pagare tassi d´interesse molto più alti delle imprese tedesche, anche ammesso che riescano ad avere accesso al credito bancario. Questa non è concorrenza leale, è un mercato squilibrato, altamente instabile. Se non cambia, non vedo via d´uscita».
Per il momento non c´è segnale che l´eurozona voglia cambiare rotta in modo sostanziale, rinnegando l´austerity voluta dalla Germania.
«In assenza di una svolta radicale e strutturale delle politiche economiche europee, è probabile che l´Italia sia condannata a rimanere a lungo in recessione. Oggi il vostro reddito nazionale è inferiore a quello del 2007, il danno economico che subite è superiore perfino a quello della Grande Depressione degli anni Trenta. Questo non è l´effetto ineluttabile di un terremoto o di uno tsunami, è un fallimento economico determinato da politiche sbagliate. L´Unione europea deve ammetterlo, deve rilanciare la crescita, e allora anche il vostro debito pubblico diventerà governabile».
Dunque lei difende un referendum sull´euro, che viene considerato una fuga in avanti populista.
«Gli italiani devono poter valutare, e mi rendo conto che questa valutazione è molto complessa. Dovete soppesare da una parte le possibilità concrete di ottenere un cambiamento drastico nelle attuali politiche europee; dall´altra, gli eventuali costi di una uscita dall´euro. Dibattere queste idee non è populismo, è democrazia. Si tratta di restituire sovranità ai cittadini, che hanno il diritto di volere un futuro migliore. Affermare che le politiche economiche hanno peggiorato le vostre condizioni di vita non è populismo».
Nell´immediato, dati i vincoli della nostra appartenenza all´euro, cosa può fare un governo italiano?
«Voi avete rinunciato a gran parte della vostra sovranità entrando nell´euro, la vostra libertà è limitata. Ma ci sono cose che potete fare. Rendere il vostro sistema bancario più efficiente per stimolare la crescita. Passare al setaccio le voci della spesa pubblica. Riformare la corporate governance del vostro capitalismo. Aggredire quei problemi di corruzione di cui Silvio Berlusconi è una manifestazione».
Vasto programma, per il quale bisognerebbe avere un governo. A cinquanta giorni dalle elezioni non si è trovato un nuovo governo. Le posizioni sembrano inconciliabili, il M5S non ha accettato compromessi.
«In ogni democrazia è necessario che ci siano dei compromessi. Si parte da posizioni diverse, ma bisogna lavorare assieme. Capisco la preoccupazione di non cedere sulle questioni di principio. Io credo che una maggioranza di italiani abbia alcune esigenze comuni: una riforma dello Stato; far ripartire la crescita; di conseguenza cambiare le politiche di austerità».
Cosa pensa dell´ipotesi di un governissimo tra Pd e Pdl?
«Questo mi sembra il compromesso più difficile da raggiungere. Il livello di corruzione associato a Berlusconi e al suo partito non è compatibile con i programmi di governo di quelle forze che si battono contro la corruzione. Vedo più naturale una convergenza con Grillo».
Tra le proposte considerate demagogiche c´è quella di un salario di cittadinanza garantito a tutti.
«L´India, che resta una nazione povera, ha introdotto un sistema di occupazione garantita per le popolazioni rurali. Bisogna partire dal principio che la disoccupazione è il fallimento di una società. E la società deve assumersi la sua responsabilità, deve riuscire a generare una forma di sostegno, commisurata alle sue risorse. Non è populismo affermare che il 12% di disoccupazione è un fallimento dell´Europa. Non c´è dramma più grave di questo, di quando ci sono venti disoccupati che si presentano per un solo posto di lavoro».
Lei è stato uno dei pionieri nell´elaborazione di nuovi indicatori del benessere collettivo. Dal Prodotto interno lordo si è passati al Fil (felicità interna lorda) e altri misuratori alternativi come l´indice di sviluppo sociale. Qual è l´utilità di questa ricerca?
«Il Pil non ci dà una misura delle cose che contano davvero per noi: per esempio la qualità dell´ambiente, la sostenibilità dello sviluppo, la diseguaglianza, la giustizia sociale. Per fare due esempi ispirati dagli Stati Uniti: abbiamo un sistema sanitario molto inefficiente e molto costoso, ma proprio i suoi alti costi contribuiscono a “gonfiare” il valore del Pil; abbiamo degli Stati Usa che spendono per le prigioni più di quanto stanziano per le loro università, ma anche la spesa carceraria va a contribuire al Pil. Sul tema della giustizia sociale un tempo la dottrina economica prevalente diceva che la distribuzione del reddito è irrilevante, anzi arrivava a sostenere che le diseguaglianze contribuiscono a rendere efficiente un´economia di mercato. Invece oggi anche il Fondo monetario internazionale ammette che esiste una correlazione fra diseguaglianze e instabilità».
Ai leader europei che continuano a pensare che l´austerity ci tirerà fuori dalla crisi, lei cosa dice?
«E´ come la medicina medievale che pretendeva di curare i malati a furia di salassi, togliendogli sempre più sangue. Questa gente seleziona solo le informazioni che conferma le loro idee preconcette. L´austerity non funziona neppure per l´obiettivo che si prefigge, di ridurre il debito pubblico. Se non abbiamo la capacità di trarre le lezioni di questa crisi, come fu fatto dopo la crisi del 1929, temo che saremo condannati ad un´ulteriore ricaduta».

La Repubblica 12.04.13

"Commissioni pentastellate", di Manuela Ghizzoni

Potrei definirmi una tipica “parlamentare di commissione”, cioè una di quei parlamentati che ha sempre preso molto sul serio l’attività nella propria commissione e che in quel luogo, più appartato e raccolto rispetto all’Aula e pertanto più consono al confronto e alla discussione nel merito dei provvedimento, ha trascorso tantissimo tempo, ha appreso molto ed è cresciuta come persona e in competenze.
Sarà che all’attività delle Commissioni la Camera dedica solo un resoconto sommario e non quello stenografico, riservato ai dibattiti dell’Aula, sarà che si discute nel merito e di rado la “si butta in politica”, sarà che i big (tutti) ne sono spesso esentati per non appesantirne l’agenda (e non lo sto dicendo in senso ironico) ed è quindi appannaggio di coloro i quali stanno sempre in seconda fila, ma al lavoro di Commissione è sempre stata attribuita una dignità inferiore rispetto a quello che si svolge in Assemblea. Tant’è che nel dibattito pubblico questa attività è spesso definita “oscura” e raramente assurge alla cronaca, se non nell’informazione specializzata.
Ma grazie all’intemerata battaglia del M5S la verità è ristabilita! L’oscuro lavoro delle Commissioni occupa da alcuni giorni intere paginate dei quotidiani, sul web e nei Tg non si parla d’altro e, cosa ben più importante, si è finalmente svelata ai cittadini italiani la soluzione di ogni problema: si convochino le Commissioni e ogni difficoltà del nostro amato e disgraziato Paese sarà risolto.
Per il mio trascorso di “parlamentare di commissione” dovrei essere contenta del fatto che qualcuno, finalmente, mi abbia reso giustizia e invece mi sento profondamente strumentalizzata. E come me, si dovrebbero sentire tali tutti gli italiani.
Perché? Perché grazie ad una sapiente (questo sì, non fatico a riconoscerlo!) campagna di comunicazione, i colleghi del M5S vogliono far credere che nel nostro ordinamento costituzionale le Commissioni parlamentari possono lavorare senza problemi e quindi predisporre atti normativi anche in assenza di un Governo legittimato ad operare, come se potere legislativo e quello esecutivo non avessero rapporti o, peggio, come se “esecutivo” avesse il mero significato di “operativo”. Peccato che le cose non stiano così; la nostra Costituzione – la più bella del mondo – prevede un sistema parlamentare, QUINDI NON ASSEMBLEARE, che al potere esecutivo affida una funzione di indirizzo, di governo appunto.
Pertanto, è bene far sapere che se le Commissioni fossero convocate – seppure in virtù di una forzatura politica – sarebbero costrette a limitare la propria azione ad indagini conoscitive (utilissime, ma ininfluenti nel dare risposta ai problemi urgenti che investono gli italiani) e alle interrogazioni (quindi ad atti di testimonianza e/o denuncia politica ma privi di una propria capacità risolutiva), mentre non potrebbero procedere alla cosiddetta attività di indirizzo (cioè le risoluzioni), poiché ad assumere impegni sarebbe lo sfiduciato esecutivo Monti e tanto meno a quella legislativa, poiché è al Governo che spetta l’indirizzo politico complessivo della legislazione.
E qui casca l’asino – e tocca a noi denunciarlo: questo gran parlare di Commissioni parlamentari dal parte del M5S in realtà nasconde una scottante verità, imbarazzante per il M5S e pertanto da celare sotto una cortina fumogena: la situazione di stallo in cui ci troviamo non dipende dalla mancata attivazione delle Commissioni, bensì dalla responsabilità dei pentastellati di aver messo in frigorifero oltre otto milioni di voti e di aver negato ad un Governo di cambiamento la possibilità di iniziare la propria attività di riforme, consentendo così all’esecutivo Monti, sfiduciato da mesi, di restare in sella! Questa è la semplice verità. Ed è bene che il Paese ne sia messo al corrente.
Restituire la dignità che spetta all’attività delle Commissioni è nobile, non lo è raccontar balle agli Italiani.

ps: il collega Vittorio Ferraresi, conterraneo neoeletto del M5S, ha rilasciato una intervista sul primo mese di attività parlamentare. Nelle risposte, molto misurate, riconosco le preoccupazioni e le attese che avevano accompagnato l’avvio della mia esperienza parlamentare, quando nel 2006 il centrosinistra vinse per un soffio e stava per dare vita al Governo Prodi, dopo aver eletto Napolitano Presidente della Repubblica. Della sua intervista, però, mi ha particolarmente colpita questo passaggio: “Da mattina a sera siamo blindati in riunioni a Montecitorio”. Se ad occupare l’intera giornata in riunioni “interne” fossimo noi del Pd, non ci salveremmo dall’accusa infamante di saper parlare solo di noi stessi e di guardare ossessivamente al nostro ombelico mentre il Paese è in fiamme. Ammetto: provo un po’ di invidia (lo so che non è sentimento nobile, ma lo è l’ammissione…) per coloro i quali possono raccontare di utilizzare il tempo (e il denaro) del mandato parlamentare in interminabili riunioni e non apparire degli irresponsabili incendiari. Mi/ci dobbiamo fare un esame di coscienza, ma forse è bene che già si predispongano a farlo i colleghi pentastellati.

«Stallo per colpe altrui. Il governo si farà», di Maria Zegarelli

Si sente responsabile dello stallo politico e della mancanza di un governo? La domanda va in onda al Tg1 della sera, il più seguito. «No, francamente, onestamente non mi sento responsabile per un banale motivo: io una proposta l’ho fatta. Un governo di cambiamento, convenzione e data certa per le riforme istituzionali, corresponsabilità in questo quadro di tutte le forze parlamentari. Pdl e M5S mi hanno detto no». Pier Luigi Bersani sa che questa è l’accusa che ogni giorno gli viene rilanciata (e che più gli brucia) dal Pdl e non solo dal Pdl (Matteo Renzi ieri è tornato all’attacco: o accordo con Berlusconi o voto): la mancanza di un governo a 45 giorni dal voto. Nei momenti in cui si lascia andare con i suoi più fidati collaboratori dice che è proprio questa la cosa che più lo ferisce: «Non sono la causa di questo stallo, io ho fatto tutto quello che era in mio potere per dare un governo al Paese». Ogni volta ripete che lui c’è se è utile, «altrimenti…».

Il pressing è per un esecutivo di larghe intese, il tentativo quello di intrecciare l’elezione del Capo dello Stato con la nascita di un governissimo che traghetti il Paese alle elezioni dopo aver affrontato le emergenze economiche e sociali. E allora ecco che segna di nuovo la linea di confine: «Il Presidente della Repubblica dura 7 anni e deve garantire l’unità della nazione. Un governo deve aggredire una drammatica questione sociale e mettere una nota di cambiamento nel Paese per ridare un po’ di fiducia». Capo dello Stato e Capo del governo «sono due mestieri diversi», ripete andando però oltre. Quando sarà la sciolto il primo nodo, il Quirinale, allora «un governo si farà». Quello giusto resta convinto che sia «un governo di cambiamento che possa accompagnare una fase di riforma delle istituzioni», ma se anche con il nuovo Capo dello Stato dovesse risultare una via impraticabile allora «discuteremo perché un governo a questo Paese va dato». Non ci sono out out, sembra dire, «non è una questione personale», (il senatore Miguel Gotor, suo consigliere sottolinea che se il segretario «avrà la possibilità di governare si muoverà in quel solco, se non ci riuscirà vedrete che sarà il primo a voler far giare la ruota»), anzi, «farò tutto ciò che è in mio potere per agevolare una soluzione». Ma un governo con Berlusconi non sarà lui a farlo.

Ieri mattina Bersani ha parlato a lungo con il suo maggiore alleato, Nichi Vendola – che ieri si è dimesso da parlamentare senza nascondere l’amarezza per i duri attacchi subìti per il doppio incarico – ricevendo l’appoggio su tutta la linea: sia per i criteri che dovranno guidare l’elezione del Capo dello Stato, sia sul tentativo di formare il governo una volta superato il voto per il succesore di Napolitano.

Ma sarà quella di oggi una giornata politicamente importante per il leader Pd: alle 11 incontrerà il leader della Lega Roberto Maroni che non ha mai mo- strato rigide chiusure verso Bersani pur essendo unito a doppio filo con il Pdl. «Non mi interessa chi sarà il presidente della Repubblica, mi interessa che ci sia un governo», ha detto ieri il neo governatore della Lombardia. Bersani sa che il patto Pdl-Lega è quello che tiene in piedi le Regioni del Nord e dunque non si fa troppe illusioni ma è pur vero che dall’inizio di questa complicatissimo rompicapo post-elettorale sono proprio la Lega e il M5S gli interlocutori da non trascurare. È anche questo il motivo per cui il leader Pd vuole condurre le sue consultazioni con tutte le forze parlamentari in vista del voto del 18 aprile, «perché dobbiamo trovare una figura altamente condivisa per la presidenza della Repubblica», inclusi i grillini. I capigruppo di Camera e Senato, Roberto Speranza e Luigi Zanda, hanno avanzato una formale richiesta di incontro ai colleghi del M5S, ma finora nessun appuntamento è fissato: il Movimento ha fatto sapere che andrà all’incontro soltanto una volta sentita la base sul nome da votare, mentre Grillo, tanto per distendere il clima, ha già bollato l’incontro Bersani-Berlusconi, avvenuto l’altro ieri, come un «inciucio a porte chiuse».

I fronti aperti sono molteplici, caselle da incastrare che sembrano slegate eppure sono strettamente connesse. E creano tensioni: non solo tra le forze politiche (nel Pdl i falchi lavorano affinché il Cavaliere non accetti di tenere separati Colle e governo mentre Berlusconi invita alla calma), ma anche all’interno della stessa casa democratica. Ieri l’ultima durissima polemica tra il segretario e Renzi sulla vicenda dei grandi elettori per il Capo dello Stato, diffidenze che nascono, timori che ormai nessuno nasconde più. Tanto che l’altro ieri Areadem, che fa capo a Dario Franceschini, ha riunito i suoi parlamentari, una settantina, per mettere in allerta: Quirinale, governo e partito sono tre passaggi che se governati male possono costare la pelle al Pd. Un presidente della Repubblica che sia una figura di garanzia e competenza senza cessioni al nuovismo, chiedono alla fine dell’incontro. E poi, subito dopo, un governo, «anche a guida Bersani», purché abbia un programma vero, di riforme incisive e non soltanto una funzione di traghettamento verso le prossime elezioni. Ma arrivare indenne alla fine di questo percorso, secondo Areadem, al Pd serve un punto di sintesi, una sorta di «camera di compensazione», un ponte di contatto con le altre varie anime del partito. E a questo si candida una delle più corpose anime democratiche. Resta da vedere con quali risultati.

L’Unità 11.04.13

"I grillini toscani: soldi sprecati i viaggi ad Auschwitz", di Toni Jop

Il Movimento 5S – scriveva ieri Grillo sul suo blog commentando il richiamo di Napolitano – porterà all’eccesso la moralità in politica». Bene, si attende, pur diffidando di chi predica e pratica eccessi in campo morale. Perché fin qui si è visto poco. Al volo: dovevano mostrare le stimmate della povertà i nuovi parlamentari dei Cinque Stelle ma a ora guadagnano oltre un- dicimila euro al mese perché, dicono, «Roma è troppo cara» e, anche, «perché noi li usiamo quei soldi». Umano. Meno umano è giurare che agli altri non servano e su questa scommessa accendere i roghi. Ruggini d’avvio.

Al contrario, eccoci prendere atto del nuovo che avanza, spinto dal vento di questa intransigente etica, dalle parti di Firenze: qui, non ci si può sbagliare, i grillini volano altissimi. Nella zona che va sotto il nome di «Empolese-Val d’Elsa», in questi giorni stanno affrontando una questione di grande rilevanza: come salvare dal macero imposto dai tempi duri le sedi staccate del tribunale e del giudice di pace. Le risposte non possono che poggiare su un dispositivo, sempre lo stesso: tagliare da qualche altra parte e tenersi quegli uffici. Ecco, allora, i militanti di Grillo distribuire dei volantini in cui, con il consueto spirito pratico, mostrano come si possa responsabilmente operare dei tagli nell’inutile, o nel poco utile, a vantaggio del «bimbo» da salvare.

Tra le voci ce n’è una destinata a impostare la nuova bellissima giurisprudenza moralmente eccessiva dei Cinque Stelle: è quella dedicata dall’Unione dei Comuni del circondario ai viaggi della Memoria. Vogliono, cioè, tagliare quei 64.500 euro che ogni anno vengono investiti per far sì che gli studenti della zona tocchino con mano i forni crematori, i lager nazisti. Il bello è che questa voce viene riferita, nei fatti, a una generica attività ricreativa in cui governano assieme il piacere e l’opinabilità. Se questo viaggio ricade, grazie a quel volantino, in questa sfera, vuol dire che allo sguardo responsabile della catalogazione sfugge del tutto il ruolo formativo, necessario, di una esperienza simile.

In questa «sentenza» che condanna l’«allegria» inutilmente costosa di una gita ad Auschwitz si rintraccia la stessa curva paradossale con cui i leghisti obiettarono ai ragazzi tunisini che affollavano Lampedusa – ricordate? – la nascosta intenzione di aver espatriato per fare i fighetti nei dancing tricolore.

Rossana Mori, sindaco di Montelupo Fiorentino e delegata dal Circondario alla Memoria, dice di essere preoccupata. Ricorda che un centinaio di cittadini furono deportati dalla zona nei lager da cui, salvo eccezioni, non tornarono più. E non perché vi si trovassero bene. Rossana Mori annota che oggi si assiste a un rigurgito del nazifascismo nonostante i Comuni della zona siano tutti responsabilmente fondati sui valori dell’antifascismo. Lamenta, infine, che il Movimento Cinque Stelle non dimostri sensibilità nei confronti di questa cultura.

Starà in questa sensibilità alternativa la radice della moralità spinta all’eccesso sbandierata da Grillo? Adesso, il nostro uomo si preoccupa di rinverdire la tesi secondo cui è lui l’unico argine rispetto al nazismo old-style di Alba Dorata; ma nessuno dimentica – colpevolmente? – come nei mesi scorsi, davanti a un gruppo di militanti di Casa Pound abbia preferito smitizzare l’anti-fascismo dicendo che a lui questa particolare piega dell’animo «non compete».

Più o meno come aveva avuto modo di ribadire, prima di correggersi con un certo ritardo, perfino Berlusconi. Anzi, ai ragazzi che stimano Mussolini Grillo strizzò l’occhio. Un momento: non c’è solo lui su questa spiaggia desolata, c’è anche Roberta Lombardi, non una qualunque, la capogruppo dei Cinque Stelle alla Camera.

Suo il lusinghiero giudizio sui primi anni del fascismo, secondo lei ricchi di spunti positivi; aveva parlato di fascismo «buono» dotato di «altissimo senso dello Stato» e di attenzioni alla «tutela della famiglia». È qui che li porta quella morale d’acciaio destinata a fare a pezzi i cadaveri putrefatti della sinistra, del Parlamento, dei sindacati?

L’Unità 11.04.13