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"Ancora 24 ore per il governo. Ma resta il nodo Quirinale", di Simone Collini

Sostenere o consentire, è la proposta. E ancora 24 ore è il lasso di tempo per portare avanti le trattative. Con una complicazione, per il presidente incaricato: alla partita sul governo se n’è affiancata un’altra, riguardante il prossimo Capo dello Stato. E benché si giocherà nella seconda metà di aprile, potrebbe dipendere da quest’ultima l’esito della prima. Un paradosso temporale? Non per Berlusconi, che liquida con un’alzata di spalle l’offerta del centrosinistra di fare una scelta attraverso la più ampia condivisione e insiste invece perché il successore di Napolitano sia un esponente del centrodestra. E su questo vuole chiudere ora un accordo. Per di più non soltanto verbale. Se non ci fosse questa «collaborazione»? Niente «governo di cambiamento» e, a sentire Alfano, si andrebbe dritti a nuove elezioni.
Le consultazioni di Bersani si chiudono oggi pomeriggio, ma ormai è chiaro che Pd e Pdl intendono portare avanti il confronto fino all’ultimo minuto utile. Quando sarà? Domani o la prossima settimana, dipende da Napolitano. Il Presidente della Repubblica venerdì ha dato al leader del Pd l’incarico a «verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo tale da consentire la formazione di un governo». La verifica si chiude tra stasera e domattina, dopodiché Bersani salirà al Colle per riferire il risultato dei colloqui avuti da sabato. Dice la deputata del Pd Alessandra Moretti che il premier incaricato «chiederà a Napolitano di andare in Parlamento e di presentare gli otto punti». E anche Vendola spiega: «Ci sono precedenti, i governi di minoranza non sono una novità nella storia del Paese. Bersani dovrebbe essere mandato in Parlamento a fare la sua proposta per il Paese».
In realtà Bersani non intende andare a un braccio di ferro con il Capo dello Stato, che difficilmente potrebbe accettare di mandare l’incaricato alla prova del voto senza che sia preventivamente dimostrato il «sostegno certo». Per questo il leader del Pd dovrà lavorare nelle prossime 24 ore per convincere le altre forze parlamentari a «sostenere o consentire» il governo di cambiamento, a «non impedire» il percorso avviato. Come? Oggi alla delegazione del M5S Bersani illustrerà nel dettaglio gli otto punti, ma sull’eventuale sì dei grillini il Pd si fa poche illusioni ed è ora sul fronte centrodestra che continuerà a lavorare.
L’incontro ufficiale che c’è stato ieri con Alfano e Maroni ha fatto registrare degli spiragli che Bersani vuole capitalizzare. «Certamente i problemi rimangono, bisogna continuare a lavorare, ma mi pare si cominci a comprendere meglio che cosa intendo per quel famoso doppio registro», dice il leader Pd insistendo sulla collaborazione sul fronte delle riforme istituzionali (da approvare tramite una Convenzione, la cui presidenza potrebbe essere affidata proprio a un esponente del Pdl). Bersani giudica importante soprattutto l’insistenza con cui il leader della Lega ha parlato della necessità che nasca «un governo a guida politica», la contrarietà nei confronti di un ipotetico nuovo governo tecnico. E anche la posizione con cui è andato a trattare Alfano, chiedendo «collaborazione» sull’elezione del prossimo Capo dello Stato, è per Bersani più avanzata di quella dimostrata fino all’altro ieri. Il problema è come rispondere a entrambe le istanze.
Bersani sta pensando di dar vita a un governo snello e composto in parte da personalità politiche non invise al centrodestra, in parte da personalità di alto profilo, dalle universalmente riconosciute competenze, alle quali sarebbe difficile dire no tanto per i Cinquestelle quanto per i leghisti. Più complicata è però la partita avviata col Pdl. Alfano, su mandato di Berlusconi, ha esplicitamente chiesto che il prossimo Presidente della Repubblica sia un esponente di «area» centrodestra. Discutere ora di un tema che sarà all’ordine del giorno tra un mese, per di più mettendo sul piatto dei nomi, è una proposta inaccettabile per Bersani, che da un lato ha assicurato l’intenzione di voler procedere in quel passaggio mirando alla condivisione più larga possibile, dall’altro ha consegnato al suo interlocutore un monito neanche troppo velato: «Sapete quali sono i numeri del Parlamento». Come dire: con i suoi 345 deputati e 123 senatori il centrosinistra parte da una posizione di forza per eleggere il sucessore di Napolitano, avendo poi la maggioranza assoluta o insieme a Scelta civica o insieme ai Cinquestelle.
Entro domani si capirà se le forze sono giunte a un punto d’intesa. Nel caso, si è già trovato il modo per far prendere la fiducia a Bersani anche al Senato. La Lega uscirebbe dall’aula, facendo abbassare la maggioranza, e alcuni esponenti del gruppo Grandi autonomie e libertà (ieri andato alle consultazioni insieme a Pdl e Carroccio) voterebbero sì. I nodi da sciogliere però non sono di poco conto.

L’Unità 27.03.13

"I guai dei tecnici che vogliono fare i politici", di Luigi La Spina

Infierire sarebbe così facile e così meritato che verrebbe voglia di cercare argomenti per difendere il governo e i due ministri competenti (?!), giustificare, in qualche modo, quella che il capo di stato maggiore ha definito, qualche giorno fa, «una farsa» e che, ieri, in Parlamento, ha superato persino i caratteri di un genere drammatico che, pure, ha grandi tradizioni e nobili interpreti. Ricorrere a quelle parole che cominciano tutte con la «s», come sconcerto, stupore, sgomento, sdegno e finiscono tutte con una condanna senza appello.

Oppure si potrebbe solleticare la complicità del lettore con l’irrisione e il sarcasmo, sfogando così l’amarezza e la vergogna per una figuraccia internazionale quale, nella storia della Repubblica, si fa fatica a ricordarne una somigliante. Una tentazione che promette un effetto brillante, ma che sarebbe imperdonabile accogliere, perché non si può davvero sorridere sulle spalle di due militari italiani in attesa di un processo che potrebbe condannarli, se non alla morte, a una lunga pena detentiva.

Meglio, allora, avvertire il rischio e sollecitare l’allarme davanti all’imprevedibile incrocio tra una crisi di governo, già molto complicata sullo sfondo di possibili nuove elezioni e uno «tsunami» devastante sul governo Monti , con riflessi negativi persino sul Quirinale. Istituzioni che, nel frattempo, dovrebbero reggere l’immagine dell’Italia sul piano internazionale, per evitare conseguenze gravi sui conti della nostra finanza e della nostra economia. Una situazione che, oggi, dovrebbe imporre a tutti i partiti, per un minimo di responsabilità nazionale, atteggiamenti che non cerchino di sfruttare il dibattito sul caso dei marò e delle dimissioni del ministro Terzi nell’occasione per una sfacciata e contingente propaganda politica.

L’occasione, invece, potrebbe essere anche utilizzata per cercare di rispondere alla domanda che, in queste ore, un po’ tutti si fanno. Perché quel governo Monti e quei «tecnici», chiamati in soccorso di una politica fallimentare, celebrati e celebratisi come i salvatori dell’Italia, rispettati in sede internazionale e stimati dalla stampa estera, stanno per concludere la loro esperienza, proprio su quella scena mondiale teatro di tante soddisfazioni, in un modo così disastroso? In un modo tale da cancellare, magari ingiustamente, un ricordo, nella memoria degli italiani, che poteva essere diverso?

C’è solo un motivo di consolazione, forse, in una vicenda dove è davvero difficile trovarne. Quella di un chiarimento, severo ma illuminante, sulla questione dei tecnici in politica. Una ipotesi auspicata fin dai lontani tempi del ministro repubblicano Visentini e che, periodicamente, si affaccia quando la politica si manifesta inadeguata a risolvere i nostri problemi. La delusione per questo epilogo del governo Monti potrebbe indurre alla errata conclusione che la competenza sia inutile o un ostacolo alla buona politica. Invece, proprio la lezione che si può trarre dal lavoro compiuto dal governo Monti, in questo anno e mezzo di attività, dimostra che i guai cominciano quando i tecnici esulano dalle loro competenze e sono sedotti dalla prospettiva di cambiare mestiere e di trasformarsi in politici. Tentazione che, sulla scia dell’esempio più importante, quello del presidente Monti, ha contagiato, ad un certo momento, anche il suo ministro degli Esteri.

Davanti a questa mutazione genetica così allettante, si palesano, allora, i dieci «peccati capitali» dei tecnici che vogliono cambiare mestiere: 1) La sopravvalutazione della competenza. Poiché è l’unico motivo per cui vengono chiamati, essi pensano che le loro teorie siano infallibili e, se producono errori, la colpa non è di teorie sbagliate, ma di realtà che sbagliano a non adeguarsi. 2) La pelle sottile. Abituati alle riverenze accademiche, non sopportano le durezze dello scontro politico. 3) L’ingenuità. Sottovalutano le capacità di interdizione delle burocrazie ministeriali, così potenti da far fallire qualsiasi progetto d’innovazione. 4) L’isolamento professionale. Se i consigliori decidono, chi consiglia i consigliori? 5) Un linguaggio che tradisce. Non c’è niente di peggio che scambiare un’aula di università, piena di studenti intimoriti, per un’assemblea parlamentare pronta ad azzannare chiunque. 6) Un’emozione che tradisce. Controllare i sentimenti non è facile, per chi non ha imparato la cinquantennale lezione di un Andreotti. 7) I tempi troppo veloci. La politica non consente le lentezze di chi è abituato a meditare troppo prima di rispondere (anche di fronte alle telecamere). 8) A proposito di tempi: sanno di essere ministri «a tempo», ma vorrebbero estendere all’infinito quella scadenza. 9) Suscitano troppe speranze, perché possano arginare le inevitabili delusioni. 10) Ultimo e più grave peccato: la vanità, per chi non è abituato a padroneggiarla, come gli attori o i politici, si trasforma sempre in un crudele boomerang.

In un mondo in cui si pensa di poter fare a meno dei medici, cercando le ricette su Internet, degli avvocati, sfogliando il codice, degli idraulici, ricorrendo agli esperti casalinghi del «fai da te» e, magari, pure dei giornalisti, utilizzando i più comodi tramiti comunicativi della «rete», sarebbe ora che anche i cosiddetti tecnici rispettassero le loro competenze e le loro professionalità e non invadessero quelle degli altri.

La Stampa 27.03.13

"Che tristezza rivedere De Falco e Schettino", di Francesco Merlo

Sembravano De Falco e Schettino e si è capito subito che l’ammiraglio Di Paola, se avesse potuto, avrebbe passato Terzi per le armi, seduta stante, nell’aula stessa di Montecitorio, come un Tersite nel campo
degli Achei. CON gli occhialini sul naso e palesemente a disagio nel suo abito borghese e politico, indossato come una divisa, il tesissimo ammiraglio ha elegantemente dato del codardo a Terzi che, con la voce stentorea ed eccitata, si era invece finto soldato e aveva vestito di eroismo la furbizia all’italiana: «Non posso più far parte di questo governo …». E Di Paola: «Non si abbandona la nave in difficoltà». Come De Falco appunto. Ma senza il turpiloquio e senza lo sbraitare dei sergenti.
Seduti vicini nel banco del governo, Di Paola e Terzi erano un De Falco e uno Schettino finalmente a confronto e allo scontro sui legni solenni di Montecitorio che ieri naufragava come la Concordia. Per capire questa coppia eterna del comando italiano bisognava dunque guardare Di Paola mentre Terzi parlava, e poi viceversa guardare Terzi mentre parlava Di Paola. Terzi che si agitava, Terzi che tormentava la cravatta, Terzi che non riusciva a ritrovare la compostezza del diplomatico mentre gli si arrostivano le orecchie. E Di Paola prendeva appunti mentre Terzi si atteggiava a nume adirato, Di Paola si toglieva gli occhiali forse per prendere la mira su quel nobile che si fingeva caduto nella trappola dell’ignobiltà, Di Paola che pur seduto stava sull’attenti accanto a quel Polifemo accecato proditoriamente da… Mario Monti e dai suoi colleghi di governo, Di Paola che ad ogni parola di Terzi accentuava la sua espressione da chivalà.
E infatti le dimissioni del ministro degli Esteri sono arrivate come un colpo di scena sul suo collega della Difesa che pure gli sedeva accanto a rappresentare lo stesso governo e a spiegare lo stesso pasticcio, che è di Terzi molto di più che di Di Paola, perché Terzi ha fatto tutto da solo, ci ha messo la firma, la faccia, la parola e ha pure imbrogliato le carte in Consiglio dei ministri e al Qurinale. Dunque le dimissioni sono state una scena madre, inaspettata certo, ma non per il centro-destra che invece sapeva e pregustava perché le intendenze del diplomatico Terzi e le furerie del caporale Cicchitto si erano già accordate. E c’era difatti il pienone: «Godetevi lo spettacolo», aveva mormorato Brunetta verso i banchi della sinistra prima che Terzi iniziasse. E poi, quando il ministro ancora parlava, Brunetta già urlava: «Vogliamo Monti subito in aula». Il testo in codice prevedeva infatti di scagliare i marò contro il presidente del Consiglio, che Terzi, educato dall’aristocrazia, non aveva informato. Aveva al suo posto avvisato gli ex ministri Stefania Prestigiacomo e Ignazio La Russa che, prima ancora dell’annunzio delpire
le dimissioni, già lo lodavano e al tempo stesso picchiavano su Di Paola, su Monti e su Napolitano.
Quando dunque, uno accanto all’altro e uno dopo l’altro, hanno parlato di patria, lealtà, bandiera e onore, quella grammatica ha preso significati diversi. La patria di Di Paola è infatti l’orgoglio, è la parola data: «Le istituzioni vengono prima delle emozioni »; «è facile, è no cost dare le dimissioni da un governo dimissionario ». La patria di Terzi è invece lo scaricabarile: «Mi dimetto in disaccordo », «altri hanno preso la decisione di rimandare i marò in India». E per capire bene l’ambiguità di questi paroloni, per comprendere il grottesco dei valori capovolti ieri bisognava vedere la vanagloria anche fisica di Terzi che spiegava di aver violato il giuramento dei militari «per servire l’onorabilità delle forze armate», di avere tradito il suo ambasciatore Daniele Mancini «per l’onorabilità della diplomazia italiana», di non avere mantenuto la sua parola e quella del-l’Italia «per servire l’onore del Paese». Blasone di spocchia? Troppo facile.
È vero che aveva lo stile affettato e non l’eleganza di chi ammette la sconfitta come competerebbe al suo
rango, che non è solo la diplomazia ma è la schiatta esibita. Non sappiamo se perché capovolgeva le responsabilità, ieri a Terzi tremava la voce, o forse perché, sicuro della claque, giocava con il ritmo pausa-applauso ed era emozionato mentre cercava i tanti occhi di quella destra che, poco dopo, a partire dai noti patrioti della Lega, avrebbe lodato le «dimissioni doverose e ammirevoli» facendo pesca delle occasioni politiche e arruolandolo come gregario. «Lo stimo», ha detto l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa e la Reuters ha scritto che Terzi sarà candidato di Fratelli d’Italia. «Mai dire mai», ha chiosato La Russa che aveva già offerto la candidatura ai due marò: non avendo potuto arruolare i danneggiati, si vuol rifare con il danneggiatore, che è suo compagno di villeggiatura in Liguria. Il pasticcio di Terzi andrà dunque a nutrire il militarismo da barzelletta di La Russa che è la parodia dell’etica militare come scuola di democrazia. Quando era ministro della Difesa, giocava ai soldatini, indossava la mimetica, andava in elicottero a Kabul paragonandosi a D’annunzio: indimenticabile.
Insomma ieri alla Camera è stato celebrato questo avanspettacolo di militarismo marmittone goliardico, e irresponsabile.
E infatti Di Paola ha ripetuto almeno dieci volte la parola “responsabilità” quando ha capito che la sceneggiatura prevedeva le prodezze e le grandezze del soldato fanfarone.
A conferma della gravità di quest’agguato politico contro Monti, oggi pomeriggio alla 15 tutto il governo si presenterà in Parlamento accanto al premier . Il colpo di scena di ieri è infatti l’attacco più forte, concreto ed efficace che il centro destra sferra alle istituzione, paragonabile sul piano politico solo all’invasione e alla gazzarra al tribunale di Milano. «Quando si dimette il ministro degli Esteri l’esecutivo non ha più credibilità né all’interno né sul piano internazionale », ha detto Cicchitto che chissà quando aveva preparato e caricato il suo bel discorso a pallettoni contro «quest’ ultimo atto del governo
dei tecnici».
Persino quelle grida confuse della moglie di Girone dalla tribuna a Montecitorio , «riportate a casa mio marito», «non dovevate rimandarlo in India» sa purtroppo di piano militare studiato, come un assalto alla baionetta, perché una moglie o una sorella o una mamma possono diventare scudi umani, e usare una famiglia, con il suo comprensibile spavento, è il rifugio più comodo. Tra i giochi facili, è quello più sporco.

La Repubblica 27.03.13

Marò, Pistelli: "L'8 settembre del governo tecnico"

L’8 settembre del governo tecnico”, così Lapo Pistelli, deputato democratico e responsabile Esteri del Pd, intervenuto in Aula a Montecitorio, ha commentato l’annuncio delle dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi, dato in Aula alla Camera durante l’informativa sulla vicenda dei marò.
Il ministro degli Esteri, poco prima, aveva affermato di fronte ai deputati, in dissenso col governo: “Mi dimetto perché per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità’ del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perché solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie.

“Pensavamo di aver visto tutto in quest’Aula m ci sbagliavamo. Chiudiamo questa pagina senza rimpianti”, ha detto Pistelli.

Per il deputato democratico i due marò sono caduti nelle maglie di “regole maldestre frutto del precedente governo” la cui modifica dovrà essere “un imperativo” per il prossimo governo.

Dovranno essere cambiate e rese più chiare le regole per la presenza di militari italiani a bordo delle navi mercantili per difenderle dagli attacchi dei pirati lungo le rotte dell’Oceano Indiano, “per evitare che gli altri 160 militari italiani che proteggono quelle navi possano incappare in una storia come quella capitata ai nostri due maro'”.

“A decidere sul rientro della nave in porto – ha aggiunto Pistelli – non fu il governo. Il problema è nato anche a causa di una catena di comando confusa e sbagliata. A decidere deve essere un’autorità politica e non un imprenditore privato. Per il prossimo governo si tratterà di cambiare le regole. Anche l’India porta delle responsabilità”.

Rivolto a Ignazio La Russa, ministro della Difesa all’epoca dei fatti, Pistelli ha affermato, con una battuta: “Mi permetto un consiglio: meno film americani e meno Chuck Norris”.

In ogni caso, il responsabile Esteri del Pd ha tenuto a ringraziare pubblicamente il sottosegretario Staffan de Mistura, “per la pazienza e per la tenacia, sottolineando poi che se “la catena di comando a bordo della Enrica Lexie fosse stata corretta non saremmo qui”.

“E’ difficile cancellare il senso comune che non si tratta di una pagina felice”, ha rimarcato Pistelli, secondo il quale “sarebbe stato coerente aprire il procedimento giudiziario in Italia, richiedere gli elementi probatori, per dare all’India il messaggio che non volevamo sottrarci a un giudizio. E invece abbiamo dato l’impressione che volevamo fare melina”.
“Anche il ricorso a procedure di arbitrato – ha avvertito il deputato – può divenire un nuovo labirinto e potrebbe richiedere anni”.

www.partitodemocratico.it

Gas Rivara, Ghizzoni e Vaccari “Questa è cieca ostinazione!”

I parlamentari Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari rispondono alla lettera di Nash. Nella sua missiva al senatore Giovanardi, Grayson Nash bolla come miopi i comitati no gas e come impreparati e retrivi gli amministratori e i politici locali. “Siamo davvero alla cieca ostinazione – commentano i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari – in questo paese si deve smettere di far pagare l’insicurezza a chi vive e lavora in luoghi a rischio. A oggi, nonostante le accuse, Independent non è mai riuscita a produrre prove a sostegno della sicurezza del sito di Rivara ed è per questo che abbiamo chiesto al Governo un atto di definitivo diniego dell’autorizzazione per il progetto del sito interrato del gas nella Bassa modenese”.

“Come può Grayson Nash parlare di “paure irrazionali” di fronte al sisma del maggio scorso, ai morti e alla distruzione che ha provocato? Qui siamo davvero alla cieca ostinazione, alla pervicace attenzione al solo bieco conto economico!”: rispondono così i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari all’ennesima presa di posizione dell’ex ceo di Independent che, in una missiva indirizzata al senatore Giovanardi, bolla come miopi i comitati no gas e impreparati e retrivi gli amministratori e i politici locali. “Il vero problema del nostro Paese – spiegano Ghizzoni e Vaccari – è che si deve smettere di contrapporre sicurezza e lavoro. I casi dell’Ilva e dell’Eternit devono averci almeno insegnato che non si può più far pagare l’insicurezza a chi vive o lavora in luoghi a rischio. Tutti i Comuni interessati dal progetto di deposito di gas interrato sono contemporaneamente nell’elenco delle aree colpite dal sisma del 2012: quale altra dimostrazione è ancora necessaria a Nash e all’Independent per arrendersi al fatto che quel sito non è adatto a ospitare un progetto di quel tipo?”. Quanto all’accusa rivolta ai politici e agli amministratori di essere arretrati e di ostacolare il progresso, i parlamentari Pd ricordano quanto fatto in questi anni: “La Regione Emilia-Romagna e gli enti locali non dicono “no” ad ogni proposta per partito preso. – proseguono Ghizzoni e Vaccari – Hanno concesso autorizzazioni per progetti similari in siti ritenuti sicuri. Quello di Rivara semplicemente non lo è. E visto che Nash cita tutti i passaggi che la sua azienda ha compiuto dal 2002 ad oggi, vogliamo ricordargli che in oltre dieci anni l’Independent non è mai riuscita a produrre le necessarie rassicurazioni sull’assoluta sicurezza del progetto e idoneità del luogo. Il sisma del maggio scorso ha fatto il resto. E’ per questo che abbiamo già depositato sia alla Camera che al Senato una interrogazione in cui chiediamo al ministro dello Sviluppo economico e a quello dell’Ambiente di adottare un atto di definitivo diniego dell’autorizzazione dello stoccaggio di gas a Rivara”.

Commercio, Baruffi e Ghizzoni “Si devono governare le aperture”

I parlamentari Pd stanno lavorando a una proposta di legge su orari e giorni di apertura
I deputati modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni stanno lavorando a una proposta di legge sugli orari e le aperture degli esercizi commerciali. La liberalizzazione del settore non è in discussione, ma non può essere che gli effetti perversi della crisi e della deregolazione siano, di fatto, scaricati solo sulle categorie più deboli, lavoratori dipendenti e piccoli esercizi. La strada da intraprendere deve essere quella, oggi abbandonata, della “concertazione”, capace di tenere insieme gli interessi di tutti i soggetti coinvolti: consumatori, imprese e lavoratori del settore.

“La liberalizzazione del settore non è in discussione, noi siamo contro gli effetti negativi che essa ha prodotto, contro la deregulation selvaggia che pesa sulle spalle dei lavoratori dipendenti e dei piccoli esercizi commerciali”: i deputati modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni rispondono alla lettera che, alcuni giorni fa, i lavoratori del commercio hanno inviato loro e all’annuncio di uno sciopero nei giorni festivi indetto dai sindacati confederali del commercio. Baruffi e Ghizzoni stanno lavorando a una specifica proposta di legge su orari e aperture degli esercizi commerciali, nonché sulla pianificazione delle grandi strutture di vendita. Il testo è in corso di elaborazione e sarà oggetto di un confronto articolato con tutte le parti sociali coinvolte, ma le linee guida sono chiare: “Il commercio vive una pesante situazione di stagnazione – commentano i parlamentari Pd – i consumi sono in calo, la totale deregolazione non ha sortito effetti positivi”. Non si tratta, naturalmente, di tornare indietro: il vecchio regime degli orari dei negozi stabiliti per legge non è più adeguato a questa società, alle nuove esigenze di imprese e consumatori. Ma certo non è neppure possibile scaricare tutte le difficoltà sulle categorie più deboli, il lavoro dipendente e i piccoli esercizi commerciali. La strada da intraprendere – continuano Baruffi e Ghizzoni – è quella oggi del tutto abbandonata della “concertazione”. Partendo dal presupposto che ci sono giorni festivi in cui semplicemente i negozi devono rimanere chiusi, come a Natale e a Capodanno, o il 25 aprile e il 1° maggio, per le restanti aperture occorre giungere ad accordi che contemperino in maniera positiva gli interessi in campo cioè quelli dei consumatori, quelli degli imprenditori e quelli dei lavoratori. Crediamo che questa sia la strada giusta da intraprendere”. “Si tratta quindi di ripristinare alcune prerogative essenziali di Regioni e Comuni circa l’organizzazione degli orari delle città – proseguono i due parlamentari modenesi – pur nel rispetto della libertà d’impresa”. Al tempo stesso si pone la necessità di una programmazione territoriale per quanto riguarda le strutture di vendita più grandi: “anche in questo caso – concludono Baruffi e Ghizzoni – non pensiamo a un ritorno alla pianificazione commerciale del passato, ma è certamente necessaria una programmazione più ordinata per quelle grandi strutture che possono inervenire a modificare abitudini e modi di vivere delle comunità”. Nei prossimi giorni i due parlamentari Pd promuoveranno una serie di incontri con i soggetti interessati – istituzioni, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali e rappresentanze dei consumatori – in modo da mettere a punto i dettagli della proposta di legge e poterla presentare alla Camera dei deputati in tempi molto brevi.

Interrogazione dei deputati Manuela Ghizzoni e Alessandro Bratti per chiedere un atto che impedisca definitivamente il deposito di gas a Rivara

GHIZZONI, BRATTI. Al Ministro per lo sviluppo economico e al Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare – Per sapere Premesso che: in data 30 luglio 2002, la società Indipendent gas management S.R.L. (IGM), ha presentato al Ministero delle attività produttive istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell’area di «Rivara», provincia di Modena, comprendendo porzioni territoriali dei comuni di San Felice Sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola, e Crevalcore in provincia di Bologna;

il progetto prevede uno stoccaggio di 3,2 miliardi di gas in un’area di 120 chilometri quadri e sarebbe, in Italia, il primo impianto di questo tipo;

nel 2005 è stato espresso parere favorevole sull’idoneità tecnica del progetto. Nel novembre 2006 è iniziata l’istruttoria per la valutazione di impatto ambientale conclusasi, nel luglio 2007, con la richiesta al soggetto proponente di fornire ulteriori chiarimenti e integrazioni in mancanza dei quali, la procedente commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, non avrebbe potuto esprimere un parere positivo;

nell’agosto del 2009 la società Erg Rivara Storage, costituita dalla precedente richiedente e dalla società Erg Power e Gas, ha presentato un nuovo progetto di stoccaggio nel medesimo sito allo scopo di esperire la procedura di compatibilità ambientale;

il 25 maggio 2011 la Commissione ambiente e lavori pubblici ha approvato una risoluzione con la quale impegna il Governo «ad assumere una posizione politica precisa sull’inopportunità della scelta della realizzazione del deposito di gas Rivara, allo scopo di evitare di sottoporre il territorio e i cittadini a rischi imprevedibili conseguenti alla mancanza di sicurezza sismica e geologica del sito che dovrebbe ospitare il deposito, oltre che per ragioni di criticità ambientale;

con parere approvato il 17 giugno del 2011 la citata Commissione VIA-VAS, non essendo in condizione di valutare ipotesi alternative e concludere, comunque, la procedura di compatibilità ambientale, esprime il proprio consenso all’avvio di una campagna di indagini geognostiche secondo il programma e con le finalità indicate dal proponente, vale a dire delle indagini dirette ad accertare in concreto la realizzabilità dell’impianto di stoccaggio, facendo presente che l’autorizzazione definitiva, come previsto dalla normativa vigente, è di competenza del Ministro dello sviluppo economico d’intesa con la regione Emilia Romagna;

risulta agli interroganti che la Commissione ministeriale VIA-VAS si sia nuovamente riunita, il 25 novembre 2011, per esprimere un nuovo parere favorevole, quindi sostanzialmente identico a quello già espresso precedentemente, circa la realizzazione della suddetta «fase di accertamento»;

la regione Emilia Romagna, che già nell’ottobre 2009, con la risoluzione del consiglio regionale n. 4903/2009, aveva invitato il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare a valutare soluzioni alternative, ha espresso parere contrario al progetto con delibera in data 8 febbraio 2011 e ancora con nota inviata dall’assessore regionale competente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 29 novembre 2011, fornendo «oggettivi, ineludibili e incontestabili elementi di pericolosità presenti nell’area di Rivara» che renderebbero il sito incompatibile con «operazioni di immissione ed estrazione del gas», ed esporrebbero la popolazione e l’ambiente ad un «rischio difficilmente quantificabile anche a seguito di ulteriori studi e pertanto non valutabile con il margine di certezza necessario in applicazione del principio di precauzione sancito dal diritto comunitario»;

ripetutamente a partire dal 2005, i comuni interessati e la provincia di Modena, hanno espresso, sulla scorta delle indicazioni fornite da numerosi esperti, la contrarietà all’intervento, in quanto l’impianto non fornisce sufficienti garanzie in termini di sicurezza e tutela ambientale;

oltre alle istituzioni e agli enti locali, anche i comitati dei cittadini, appositamente costituiti, e le forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione, hanno più volte manifestato analoga contrarietà al progetto, evidenziandone l’insufficiente sicurezza;

l’area interessata dal citato progetto è compresa, com’è noto, nella vasta zona interessata dai disastrosi eventi sismici dello scorso maggio. I comuni di San Felice Sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola, e Crevalcore, interessati dal deposito sotterraneo, sono tutti compresi nell’elenco, di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 1o giugno 2012, relativo ai comuni danneggiati del terremoto;

il Ministro dell’ambiente, dopo l’avverarsi degli eventi sismici citati, ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni alla stampa locale dalle quali emergeva chiaramente l’intenzione di negare ogni autorizzazione relativa allo stoccaggio di gas di Rivara, motivando tale nuovo orientamento con la evidente drammatica consapevolezza della sopraggiunta inidoneità del sito;

già nella scorsa legislatura gli interroganti con la presentazione di diversi atti di sindaco ispettivo (5-06464; 5-08419), hanno più volte sollecitato il Ministro dell’ambiente circa l’opportunità di negare ogni autorizzazione relativa all’istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell’area di «Rivara», presentata dalla Erg Rivara Storage da ultimo nell’agosto 2009;

sempre il Ministro dell’Ambiente rispondendo, in data 18 ottobre 2012, all’interrogazione n. 5-08154, con la quale si chiedeva di fornire assicurazioni circa il rigetto definitivo del progetto di realizzazione del deposito di gas a Rivara, specificava che con nota del 7 agosto 2012 il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato di aver respinto, con decreto direttoriale del 6 agosto 2012, l’istanza di autorizzazione del programma di ricerca «Rivara – Verifica di fattibilità dello stoccaggio» presentata dalla società Erg Rivara Storage e che con tale atto si è concluso con esito negativo l’iter amministrativo della domanda di verifica di fattibilità presentata dalla società Erg Rivara Storage;

se, alla luce della risposta precedentemente fornita alla succitata interrogazione 5-08154, nella quale precisamente si riferisce “quanto attiene al supplemento di istruttoria citato nell’interrogazione, esso è stato richiesto alla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA e VAS antecedentemente alla data di respingimento dell’istanza da parte del Ministero dello Sviluppo Economico ed immediatamente a valle degli eventi sismici del 20 e 29 maggio scorso. Dal momento che le finalità di questa attività superano il caso specifico, si è comunque ritenuto di non interrompere il summenzionato supplemento istruttorio, perché i dati che esso potrà fornire si inquadrano nel più generale tema delle eventuali correlazioni tra stoccaggi in acquifero profondo ed eventi sismici, anche di eccezionale gravità», il Ministro interrogato non ravvisi un palese contrasto con le procedure previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, che stabilisce che le procedure di valutazioni di impatto ambientale siano attivabili solo a fronte di progetti concreti”;

lo scorso 5 febbraio la società Erg Rivara Storage ha annunciato tramite un comunicato ufficiale sul proprio sito web la volontà di disimpegnarsi dal progetto di Rivara e di sollevare dall’incarico di Amministratore Delegato Mr. Nash;

Nonostante le considerazioni di merito di cui sopra, il supplemento d’istruttoria citato non ha modificato il parere precedentemente fornito;

La normativa vigente prevede l’obbligatorietà dell’intesa con la Regione competente in questo caso l’Emilia Romagna, che nell’agosto 2012 con DGR ha diniegato la stessa confermando le motivazioni tecniche e giuridiche dei precedenti propri atti, così come delle risoluzioni approvate dall’Assemblea legislativa nonché quelli contenuti nelle delibere dei comuni coinvolti e della provincia di Modena

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Se i ministri interrogati, alla luce delle suesposte considerazioni, non ritengano opportuno adottare un atto di definitivo diniego dell’autorizzazione dello stoccaggio gas di Rivara, il cui sito è gia stato da piu parti definito inequivocabilmente inidoneo, mettendo così fine ad una situazione di tensione e preoccupazione nella quale vivono da molti anni le popolazioni e le imprese residenti nei luoghi coinvolti dal progetto di stoccaggio, e colpiti gravemente dal sisma del 20 e 29 maggio 2012.

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